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” PSICOANALISI DELLA GUERRA ” DI VALTER MARCONE

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Redazione- Scrive Massimo Recalcati “Ripubblichiamo oggi questo straordinario lavoro di uno tra gli psicoanalisti italiani che nel secolo scorso si è distinto per rigore ed estrema originalità di pensiero. La lettura della vita affettiva originaria del bambino, l’invenzione della teoria coinemica e quella dei codici affettivi, la rilettura della lezione freudiana, l’interesse per la vita inconscia delle istituzioni, l’indagine pionieristica sulla lesione oncologica sono alcuni tra i capitoli fondamentali della sua ricerca. L’attuale contesto geopolitico, la tragedia della guerra scatenata dall’aggressione di Putin contro l’Ucraina e la minaccia di una sua escalation atomica rendono però, tra tutti i suoi numerosi testi, Psicoanalisi della guerra di una inquietante attualità. Non solo per la congiuntura storica che stiamo vivendo, ma per la notevole importanza che questo testo riveste nella psicoanalisi contemporanea. Lo psicoanalista esce dal suo “splendido isolamento”, abbandona l’uso strettamente clinico della sua concettualizzazione impegnandosi a comprendere uno dei fenomeni più perturbanti della nostra vita collettiva com’è quello della guerra. È un movimento di apertura della psicoanalisi al sociale che implica l’idea che la vita psichica sia costitutivamente una vita plurale. “

Si tratta del volume di Franco Fornari, “Psicoanalisi della guerra”, Feltrinelli, Campi del sapere, Milano 2023. Prefazione di Massimo Recalcati

Franco Fornari presentò per la prima volta in forma sistematica il suo pensiero sulla guerra nel 1964 a Milano durante il XXV Congresso degli Psicoanalisti di lingua romanza. Il breve saggio dal titolo “Psychanalise de la guerre” venne poi pubblicato in Francia. E successivamente ripubblicato con il titolo “Psicoanalisi della guerra” nella Rivista di Psicoanalisi .Rielaborato più volte conobbe diverse edizioni. La cronologia e i titoli dei volumi, le cui edizioni si rincorrono in rapido susseguirsi negli anni, indicano lo svolgersi di un pensiero che si va formando e ampliando e che esige di essere condiviso. Nel 1966 esce “Psicoanalisi della guerra atomica”, nel 1969 “Dissacrazione della guerra”, nel 1970 “Psicoanalisi della situazione atomica”.

Scrive Lidia Leonelli Langer in Note per una rilettura del pensiero di Franco Fornari sulla guerra sulla pagina web della Società di psicoanalisi italiana SpiWeb:”Convinto che rispetto al male della guerra è necessario interrogarsi e formulare ipotesi, ma anche cercare di fare concretamente qualcosa per evitarlo, Fornari contribuì alla nascita in Italia di un movimento di educazione alla pace che si concretizzò nel 1965 nel Gruppo Anti H e nel 1967 nell’Istituto Italiano di Polemologia. Ma la sua riflessione teorica sulla guerra, che sarebbe continuata negli anni evolvendo continuamente fino al suo ultimo giorno, era iniziata molto prima, forse assieme alla formazione psicoanalitica, immediatamente dopo la fine della seconda guerra mondiale. Aveva infatti vissuto lo sgomento e la disperazione di fronte a un evento distruttivo di così enorme portata, ma anche, con lo scoppiare della bomba atomica, la certezza attonita che l’umanità era arrivata a un punto di non ritorno segnato dalla possibilità di distruggere contemporaneamente senza distinzione il nemico e l’amico e che da questo, paradossalmente, nasceva la speranza per l’umanità che diventasse possibile cercare vie alternative.” (1)

E’ utile vedere la riflessione sulla guerra non come uno sviluppo di pensiero lineare nel tempo, ma come il cercare la via in un labirinto dove l’entrata e l’uscita sono collegate in modo nascosto e si sa che non è possibile arrivare all’una senza passare per l’altra. Perchè Fornari dice :

“Con che diritto – si interroga nell’introduzione a Psicoanalisi della guerra – uno psicoanalista si occupa di queste cose che non sono di sua competenza?”. E poi argomenta che la situazione analitica è una “condizione privilegiata per osservare le modalità individuali (…), le modalità in cui inconsciamente la guerra è fantasticata dagli uomini”.

Franco Fornari, è stato presidente della Società Italiana di Psicoanalisi, di formazione kleiniana, pacifista attivo e impegnato . Rivendica in questa sua opera il diritto della psicoanalisi ad affrontare il tema della guerra

Scrive Nicole Janigro in “ Guerre contro il futuro: Franco Fornari “ su Doppiozero che la funzione della guerra è una funzione ammirevole perchè è un insieme di “ operazioni che riguardano la conservazione dell’oggetto d’amore attraverso il poter mettere concretamente la causa della sua distruzione nel nemico, (…)Essa permette, specialmente in caso di vittoria, di fronteggiare e risolvere in un sol colpo le due angosce psicotiche di base: l’angoscia depressiva e l’angoscia paranoidea, alle quali si collegano le emozioni più intensamente penose che l’uomo possa provare nei riguardi della conservazione del Sé e nei riguardi della conservazione del proprio oggetto d’amore. Anche se una tale operazione costa agli uomini una quantità enorme di sacrifici, sembra che gli uomini si siano sempre sobbarcati a tali sacrifici con animo lieto: segno che il gioco valeva la candela. Il fatto nuovo però, il fatto imprevedibile del quale la nostra epoca ci rende sempre più coscienti, è che la guerra, come guerra atomica, sta per perdere la capacità di assolvere le sue funzioni: non permette più di vivere l’illusione paranoidea di salvare il proprio oggetto d’amore uccidendo il nemico nel quale si mette la causa della distruzione. Il fatto nuovo è dunque che la guerra è entrata in crisi come sostiene tra gli altri uno storico dell’autorità di Toynbee; questo fatto merita, a mio avviso, un’indagine particolare, perché, oltre a coinvolgere i paradossi dell’era atomica, dei quali abbiamo parlato, ci sembra il crocevia specifico della psicologia individuale e della psicologia di gruppo. “

Il problema è che noi ci avviamo verso una guerra nucleare che è chiaramente la crisi della guerra perchè : “la crisi della guerra è definibile come situazione in cui non è più possibile distruggere l’oggetto nemico senza coinvolgervi l’oggetto amico. Sulla spinta di una angoscia distruttiva quindi l’oggetto amico e l’oggetto nemico, in quanto accomunati da un identico destino di distruzione, tendono a fondersi l’uno nell’altro. Al posto cioè dei due oggetti distinti antitetici (amico-nemico) tende ad emergere una situazione paragonabile ad un oggetto “misto”. “ Così individualmente “siamo colpiti dal dover constatare che la crisi della guerra (cioè il fatto che non è più possibile uccidere l’oggetto nemico senza simultaneamente coinvolgere nella distruzione anche l’oggetto di amore) è qualcosa che l’individuo in prima persona porta al di dentro di sé come un fatto costitutivo dell’uomo in quanto tale. “

Il lavoro che sta dietro questa riduzione al soggetto in prima persona del fenomeno guerra – scopo che sembra impossibile senza una conoscenza scientifica dell’inconscio umano – debba essere il compito specifico della psicoanalisi nell’era atomica.

Lo sapeva e lo diceva Franco Fornari quando metteva queste parole sulla bocca di Michele il personaggio del suo primo romanzo “Angelo a capofitto” : “Mi è caduto addosso il male del mondo (…) Volevo fare qualcosa per la pace perché mi sentivo colpevole della guerra” Pazzo di dolore di fronte alla distruzione causata dalla guerra e pazzo d’amore nel suo vano tentativo di salvare il mondo dalla prospettiva di distruzione totale, il protagonista attraversa, negli incontri con il suo psichiatra, una vicenda segnata da eros e thanatos .”

“Per Fornari la guerra è un’istituzione sociale che può essere ben simbolizzata da un iceberg costituito dalle sue due parti, quella visibile e quella invisibile. Quella visibile “rappresenta la difesa da un pericolo esterno”, (…) mentre l’altra, quella nascosta, è inconscia e riguarda un’operazione di difesa e di sicurezza di fronte a terribili realtà fantasmatiche, (…) che potremmo chiamare ‘il Terrificante’”. Il paradosso consiste nel fatto che l’azione militare non ci serve in realtà, come appare, a difenderci da un nemico esterno, ma a dare un volto, carne e ossa, al Terrificante interno che in questo modo diventa il nemico reale. Si va in guerra, dunque, per recuperare un oggetto d’amore primario, indispensabile all’identificazione del gruppo. E, se immaginiamo che questo “oggetto” possa essere rappresentato da un luogo sacro, da una memoria storica o da un mito, la tesi di Fornari, per quanto molto discussa – perché non si occupa del nemico reale –, richiama alla responsabilità individuale e prefigura un rapporto integrato tra le due parti dell’iceberg.”(2)

Ma l’opera di Fornari non si limita a queste sue considerazioni e in questo esame della guerra e della sua arma ultima che comporta la distruzione di entrambi i combattenti ,la bomba atomica che dopo la sua costruzione e sperimentazione per la prima volta quasi al termine della seconda guerra mondiale su due città del Giappone ha completamente rivoluzionato il senso della guerra . Quella guerra che da sempre gli uomini hanno usato per risolvere le loro controversie. Quella guerra che era fatta di fanterie che si scontravano su un campo di battaglia e uno dei due aveva la meglio. Quella guerra che si era evoluta anche in guerra di trincea dove i due nemici si fronteggiavano per lungo tempo con enormi perdite ed era difficile attribuire una vittoria. Quella guerra che dava vita poi ad una pace. Ora con l’atomica questo tipo di guerra non esiste più.

C’è un contribuito della psicoanalisi a questo scenario. Scrive Stefania Nicasi : “La storia del rapporto fra guerra e psicoanalisi può essere raccontata in molti modi e può prendere molteplici direzioni. Esplorando in piccola parte questo vastissimo continente, mi sono fatta alcune idee generali che provo a riassumere: 1) gli apporti e le suggestioni sono stati e sono reciproci; 2) la psicoanalisi ha contribuito a orientare la ricerca degli storici verso lo studio dell’esperienza umana della guerra e delle relative trasformazioni mentali e culturali; 3) la psicoanalisi può essere letta come una risposta alla “catastrofe del soggetto” legata alla modernità e alla guerra come portato della modernità; 4) la psicoanalisi, come teoria psicodinamica centrata sul conflitto, è più attrezzata di altre teorie psicologiche per affrontare questioni relative alla gestione dell’aggressività negli individui e nei gruppi;  5) medici e psicologi hanno a disposizione un materiale di studio straordinariamente vasto relativo all’impatto della guerra sui soldati e sui civili: il trauma, le ferite psichiche, una generica sintomatologia nervosa, le nevrosi di guerra, i disturbi post traumatici da stress (Gibelli, 2006, 55-56); 6) gli psicoanalisti hanno fornito e possono fornire limitati ma molto preziosi contributi nei contesti traumatici in generale e nei contesti di guerra in particolare. Ognuno di questi punti richiederebbe una trattazione approfondita. Nell’economia di quello che vorrei dire, li dispongo come fondali di un palcoscenico sul quale si avvicenderanno gruppi di considerazioni come atti di una stessa rappresentazione. Per circoscrivere il discorso, mi limiterò a saggiare la tenuta di queste idee esplorando e usando quale esempio il rapporto fra psicoanalisi e prima guerra mondiale. E’ molto utile tenere presente che ogni guerra ha una sua fisionomia e presenta problemi specifici: è la prima cosa che ho imparato leggendo libri sull’argomento. (3)

Con il titolo “Nevrosi di guerra e traumi psichici” usciva nel 1918 un libro di Ernst Simmel. Ispirandosi a principi psicodinamici, l’autore proponeva un trattamento del disturbo basato sul metodo catartico. Da questo libro, e dai contributi di Abraham e Ferenczi sullo stesso tema, scaturì il V Congresso internazionale di psicoanalisi che si tenne a Budapest alla eccezionale presenza di rappresentanti dei governi tedesco e austriaco. Le relazioni del congresso, insieme a una relazione che Jones aveva tenuto a Londra nell’aprile 1918, furono riunite in un libro pubblicato nel 1919 con il titolo “Psicoanalisi e nevrosi di guerra”. Scrivendo l’Introduzione, Freud (1919) notò come la guerra in corso avesse contribuito alla diffusione delle teorie psicoanalitiche presso i medici che si erano trovati a occuparsi dei disturbi psichici causati dalla guerra e sostenne l’ipotesi che all’origine della nevrosi stesse un conflitto fra il vecchio Io pacifico e il nuovo Io bellicoso del soldato. Inoltre, osservò che nelle nevrosi traumatiche e di guerra l’Io si difende da “un pericolo che lo minaccia dall’esterno”.La guerra costringeva Freud a riconsiderare l’elemento ambientale, il peso della realtà esterna nell’origine della sofferenza psichica. Lo costringeva a ridisegnare il profilo del trauma spostando l’accento sul mondo esterno dopo che faticosamente lo aveva condotto al mondo interno. Il peso della guerra è evidente fin dalle prime pagine di “Al di là del principio di piacere” che si affaccia sull’ “oscuro e tetro argomento della nevrosi traumatica” sollevato dalla “terribile guerra che si è appena conclusa” (Freud, 1920a, 198-200).

Le Considerazioni attuali sulla guerra e la morte che scrive Freud nel 1915 sono la testimonianza di un uomo che ha visto dalle retrovie l’orrore della guerra . A differenza dei suoi due figli,, del genero e dei suoi seguaci Karl Abraham o Sándor Ferenczi, Freud non è stato arruolato. Il centro della sua riflessione su questo tema si occupa dello scatenamento della violenza. In queste pagine si trovano enunciati i punti di forza di quella che può costituire una teoria freudiana, se non della guerra, quantomeno della passione distruttrice che caratterizza il furore guerriero. Riprenderà questa tesi sviluppandola ne Il disagio della civiltà (1929).

Scrive infatti Freud in Cosniderazioni attuali sulla guerra e la morte : “La guerra a cui non volevamo credere è scoppiata e ci ha portato… la delusione. Non soltanto è più sanguinosa e rovinosa di ogni guerra del passato, e ciò a causa dei tremendi perfezionamenti portati alle armi di offesa e di difesa, ma è anche perlomeno tanto crudele, accanita e spietata quanto tutte le guerre che l’hanno preceduta. Essa infrange tutte le barriere riconosciute in tempo di pace e costituenti quello che è stato chiamato il diritto delle genti, disconosce le prerogative del ferito e del medico, non fa distinzione fra popolazione combattente e popolazione pacifica, viola il diritto di proprietà. Abbatte quanto trova sulla sua strada con una rabbia cieca, come se dopo di essa non dovesse esservi più avvenire e pace fra gli uomini. Spezza tutti i legami di solidarietà che possono ancora sussistere fra i popoli in lotta e minaccia di lasciare dietro di sé un rancore tale da rendere impossibile per molti anni una loro ricostruzione. ( Opere Edizione Bollati p.126)

Ora, osserva Freud, la guerra è questione di Stati. Decisa e condotta in nome degli ideali, autorizza e legittima l’aggressività propria dell’essere umano, che spinge verso le sue inclinazioni più oscure. A proposito del conflitto che lo preoccupa, Freud scrive: “Lo stato in guerra ritiene per sé lecite ingiustizie e violenze che disonorerebbero l’individuo singolo. Si serve contro il nemico non solo di una legittima astuzia, ma anche della cosciente menzogna e dell’inganno intenzionale; e ciò in una misura che sembra sorpassare tutto ciò che è stato fatto nelle guerre precedenti” (p.127)E aggiunge: “Là dove viene meno il biasimo della comunità cessa anche la repressione degli appetiti malvagi, e gli uomini si abbandonano ad atti di crudeltà, di perfidia, di tradimento e di brutalità, che sembrerebbero incompatibili col livello di civiltà che hanno raggiunto. ( p.128)

Il 28 e 29 settembre 1918, Budapest ospita il quinto congresso dell’Associazione Internazionale di Psicoanalisi. Questo evento costituirà l’apogeo del movimento in favore della psicoanalisi e al tempo stesso ne segnerà la fine. Per la prima volta alcuni rappresentanti delle istanze direttive della Germania e dell’Austria-Ungheria sono presenti a un congresso di psicoanalisi. La loro presenza testimonia l’interesse che essa suscita in un contesto in cui il numero massiccio di nevrosi di guerra e la persistenza dei loro sintomi interroga il corpo medico, dal momento che il ritorno al fronte è una priorità per le forze armate.

La guerra legittima dunque la psicoanalisi . Ma subito nasce un problema che Antonia Guedar-Delahaye in “1914-1918: laboratorio della psicoanalisi” in Guerre senza limite di Marie-Hélène Brousse e Paola Bolgiani alle pp. 127-133 mette in evidenza : “Le nevrosi apparse sotto le granate aprono una breccia nella prima teoria psicoanalitica della guerra. Se quest’ultima costituisce la particolare congiuntura in cui la civiltà stessa imbavaglia le forze del Super-io, per autorizzare ogni uomo a liberare le pulsioni aggressive che porta in sé e a indirizzarle contro il nemico, come spiegare che i soldati, in gran numero, diventano psichicamente malati per fuggire dal fronte?

Per risolvere questa contraddizione, Freud distingue le nevrosi in tempo di pace dalle nevrosi di guerra. Queste ultime hanno la particolarità che il conflitto psichico si svolge all’interno dell’io, scisso da una parte in un io guerriero rivelatore dell’uomo primitivo che dorme dentro di noi e, dall’altra parte, un io erede degli ideali trasmessi dall’Altro della cultura e dell’educazione. La divisione soggettiva arriva al suo culmine quando l’io pacifista realizza che, nel dare libero corso alla sua parte bellicosa, rischia la pelle.La nevrosi di guerra, conclude Freud, è una difesa contro il pericolo, esterno e interno, che minaccia la vita. Sebbene non sia ancora nominata in quanto tale, l’ombra della pulsione di morte si profila quando cade il velo dell’ideale, patriottico o eroico. Ricordiamo che, all’epoca, Freud colloca ancora la propria riflessione nel quadro della prima topica e del dualismo pulsionale che oppone le pulsioni dell’io o pulsioni di autoconservazione, rette dal principio di realtà, alle pulsioni sessuali (libido), dominate dal principio di piacere. È nel 1920, con la pubblicazione di Al di là del principio di piacere, che introduce la pulsione di morte e formula la seconda topica, operando un profondo rimaneggiamento della topologia psichica e delle forze inconsce.”

Nel 1932, Freud prosegue la riflessione sulla guerra in una corrispondenza con Einstein pubblicata sotto il titolo Perché la guerra. Il suo testo testimonia dell’avanzamento teorico rispetto a Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte. Sottolinea in particolare la messa in funzione della pulsione di morte nella sua articolazione antagonista, e tuttavia inestricabile, con la pulsione di vita. Come spiega in sintesi, non è per piacere né per sadismo che gli uomini sono spinti a uccidersi vicendevolmente, ma per questo godimento oscuro. Per il resto, la teoria del conflitto che proponeva nel1915 viene mantenuta, con la differenza che nella lotta interiore che oppone le pulsioni distruttrici al Super-io, quest’ultimo lascia il posto alle pulsioni di vita. È questo che gli permette di evitare il paradosso in cui si era trovato nel 1915, per concludere dieci anni più tardi: «Tutto ciò che favorisce l’incivilimento lavora anche contro la guerra»

Dunque al quinto Congresso psicoanalitico, tenutosi a Budapest nel settembre 1918, parteciparono alcuni tra i più grandi psicoanalisti dell’epoca (Freud, Ferenczi, Abraham, Simmel, Jones) per discutere le principali cause della psicopatologia traumatica di guerra nel tentativo di trovare una soluzione. La fine della guerra non consentì a questo primo, storico, incontro di avere riscontri immediati, ma l’intervento degli psicoanalisti e la loro opposizione alle forme di trattamento utilizzate fino a quel momento aprì nuove strade e portò successivamente a mitigare l’uso dell’elettroshock, sensibilizzando le coscienze degli psichiatri e dell’opinione pubblica.

Sigmund Freud (Freiberg, 1856 – Londra, 1939), neurologo, filosofo, fondatore della psicoanalisi, è autore di opere di capitale importanza, quali L’interpretazione dei sogni, Tre saggi sulla sessualità, Totem e tabù, Psicopatologia della vita quotidiana e Al di là del principio di piacere.
Sándor Ferenczi (Miskolc, 1873 – Budapest, 1933), psicoanalista e psichiatra ungherese, è stato uno dei pionieri della psicoanalisi in Ungheria.
Karl Abraham (Brema, 1877 – Berlino, 1925) è stato uno psichiatra e psicoanalista tedesco, tra i pionieri della psicoanalisi in Germania. Tra i fondatori dell’Istituto psicoanalitico di Berlino, è stato anche presidente della International Psychoanalytical Association.
Ernst Simmel (Breslavia, 1882 – Los Angeles, 1947), neurologo e psicoanalista tedesco. Emigrato negli Stati Uniti nel 1934, ha collaborato alla fondazione dell’Istituto psicoanalitico di Los Angeles e della Società psicoanalitica di San Francisco.
Ernest Jones (Glamorgan, 1879 – Londra, 1958), neurologo e psicoanalista britannico, è stato uno dei più autorevoli seguaci di Freud, del quale ha scritto un’ampia biografia. Ha introdotto lo studio della psicoanalisi in Gran Bretagna e negli USA.

I testi di queste relazioni con una introduzione di Silvia Vegetti Finzi sono pubblicati da Mimesis nel 2021 in Psicoanalisi e guerra ,pp. 120

A distanza di un anno e più dall’inizio di una guerra in cui la Russia di Vladimir Putin ha attaccato e invaso militarmente l’Ucraina scatenando un’offensiva che ha coinvolto e coinvolge in grandissima parte le popolazioni civili, causando morte e sofferenza in entrambi gli eserciti combattenti, la riproposizione del volumetto pubblicato per la prima volta poco più di un secolo fa, nel 1919, per i tipi dell’allora nascente Internationaler Psychoanalytischer Verlag appare quanto mai opportuna e di interesse.

Andrea Castiello d’Antonio nella recensione di questo volumetto su Psychiatry on line Italia scrive : “Scorrendo queste pagine si può apprezzare il diverso stile degli autori. Abraham come sempre sintetico e propenso ad illustrare i concetti che espone con numerosi flash clinici; Jones teorizzante e ampio nelle argomentazioni, con grande enfasi sulla difesa della psicoanalisi; Simmel concreto e lineare nelle considerazioni, legato alla propria esperienza ma capace di acuti approfondimenti; Ferenczi affascinante e brillante nella discussione sulla regressione, sugli scoppi di affettività incontrollati e sui tentativi inconsapevoli di auto-guarigione – e di Ferenczi è necessario ricordare un suo lavoro precedente, pubblicato nel 1916: Due tipi d’isteria di guerra.

Nei contenuti, con Abraham si scende nel profondo delle dinamiche della psicosessualità e del narcisismo, mentre Simmel riferisce la sua peculiare esperienza maturata sul campo, introdotta con le seguenti parole: “da un anno e mezzo dirigo un ospedale militare specialistico per nevrotici di guerra” (p. 77). E riferendosi in modo più netto a emozioni come spavento, paura, angoscia e furore – quindi introducendo il tema dell’aggressività – Simmel approfondisce il tema della scissione della personalità, notando pure che i traumi patiti dagli ufficiali non appaiono poi avere conseguenze così gravi come quelli subiti dalle truppe.

Degli autori, escluso Freud, proprio Ernst Simmel (1882-1947) è regolarmente ricordato nei testi di storia della psicoanalisi e nelle enciclopedie di psicoanalisi come una importante fonte relativamente allo studio delle nevrosi belliche (vedi il suo libro del 1918 Kriegsneurosen und Psychisches Trauma); un argomento che egli stesso riprenderà decenni dopo in un articolo pubblicato su The Psychoanalytic Quarterly (13, pp. 160-185) dal titolo Self-Preservation and the Death Instinct (ripubblicato in The Yearbook of Psychoanalysis, 1, 1945).

L’unico appunto che si può fare a questa seconda edizione italiana del libro sulle nevrosi di guerra è relativo alle traduzioni, tenendo conto che la prima edizione è del 1976, per i tipi della casa editrice Newton Compton. Dato che i contributi che sono qui proposti, a iniziare dalla introduzione di Freud in poi, con la sola esclusione del saggio di Ernst Simmel, hanno già avuto delle accurate traduzioni “ufficiali” in italiano – basti pensare alle opere di Karl Abraham edite da Boringhieri a metà degli anni settanta, e all’opera di Sándor Ferenczi pubblicata dapprima da Guaraldi di Bologna e poi da Raffaello Cortina), sarebbe stato preferibile riportare quelle traduzioni piuttosto che riproporre la traduzione di Luciano Tosti del 1976. Per fare un solo esempio, nella relazione di Ferenczi si legge che le nevrosi da choc sono dovute “a ragioni puramente psicogene, cioè alle fantasie di avidità…” (p. 45), mentre nel volume III delle opere di Sándor Ferenczi Fondamenti di psicoanalisi, la traduzione suona “sono sempre di natura puramente psicogena, e si sviluppano sulla base di rappresentazioni di desiderio” (p. 77 dell’edizione Guaraldi, Rimini, 1974. Entrambi i corsivi sono nei rispettivi testi). Tra il concetto di fantasie di avidità e quello di rappresentazioni di desiderio c’è una certa differenza!

Dunque Psicoanalisi della guerra, il libro di uno tra gli psicoanalisti italiani che nel secolo scorso si è distinto per rigore ed estrema originalità di pensiero,torna oggi di grande attualità e la sua ripubblicazione da parte dell’editore Feltrinelli offre un contributo importante alla conoscenza ed interpretazione dell’attuale contesto geopolitico, della tragedia della guerra scatenata dall’aggressione di Putin contro l’Ucraina e la minaccia di una sua escalation atomica . Un testo che seppure scritto qualche decennio fa è oggi di “inquietante attualità”.

(1)https://www.spiweb.it/dossier/dossier-psicoanalisi-e-guerre-gennaio-2014/note-per-una-rilettura-del-pensiero-di-franco-fornari-sulla-guerra/

(2)https://www.doppiozero.com/guerre-contro-il-futuro-franco-fornari

(3)https://www.spiweb.it/dossier/dossier-psicoanalisi-e-guerre-gennaio-2014/la-guerra-il-modesto-contributo-della-psico

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