RACCONTARE IL COVID DENTRO UNA STORIA CHE SI RIPETE
Redazione- Stiamo raccontando il Covid 19 per aneddoti e lo stiamo guardando dallo specchietto retrovisore al posto del cannocchiale che ci servirebbe per anticiparne le mosse ed affrontarlo con ben altri strumenti. Certo di fronte ad una condizione in cui , completamente impreparati si è dovuto fronteggiare un evento a causa di un agente sconosciuto qualche giustificazione regge .Non regge più quando con consapevolezza di un trend che si sarebbe verificato con tutte le probabilità largamente calcolabili da tempo ci ritroviamo di nuovo a combattere una battaglia , seppur con armi non del tutto spuntate ma continuando ad usare la fanteria e la cavalleria quando servirebbero le truppe corazzate e l’aviazione.
Chiedo scusa per aver estremizzata questa metafora della guerra che è a volte impropria per molte ragioni sulle quali sarebbe lungo riflettere ,ma che probabilmente in questo momento rende molto più di altre considerazioni . Come renderebbe molto di più, nella confusione di opinioni, alcune espresse anche male e senza alcun fondamento , una visita ai reparti ospedalieri che in questi giorni tornano a far parlare .
Scrive Karl Marx : “ La storia si ripete sempre due volte :la prima come tragedia ,la seconda come farsa “ . Noam Chomsky diceva che l’istruzione ,intesa come sapere che viene dalla valorizzazione dell’esperienza non è memorizzare che Hitler ha ucciso 6 milioni di ebrei. Ma è capire come è stato possibile che milioni di persone comuni fossero convinti che fosse necessario farlo, legittimando le azioni di Hitler . L’istruzione è anche imparare a riconoscere i segni della storia che si ripete.
In tempi di Covid e davanti e dentro questa pandemia probabilmente non si è stati capaci, e non lo si è ancora tuttora ( mentre più aspra si fa la contesa sui mezzi e le azioni per contrastare il contagio ) capaci di riconoscere i segni di una storia che si ripete.
La storia si ripete e non riusciamo a vedere il peso della situazione attuale sulla vita delle persone e dei sistemi . Una situazione resa epocale tanto da far dire a Thomas Friedman ,commentatore del The New York Times che le sigle acronime “a.C. “ e “d.C” che noi leggiamo come “ avanti Cristo” e “ dopo Cristo” possono anche esser lette come “ avanti Covid” ( o corona virus) e “ dopo Covid”.
Una esagerazione sicuramente perché siamo abituati ormai a considerare un prima e un dopo rispetto ad avvenimenti che diventano “ seriali “ nella nostra vita e in quella delle nostre società. Così per esempio per gli aquilani c’è un “prima del terremoto” e un “dopo il terremoto “. Evento naturale che non si può paragonare con nessun altro accadimento . Anche se ci sono fatti e momenti della nostra vita privata che amiamo definire “ Indimenticabili” e poi per ciascuno di noi lo sono veramente che fanno da cesura ad un prime e a un dopo.
Lucio Caraccioolo su Limes ha stigmatizzato l’annotazione di Thomas Friedman come “ l’eco blasfema del paradigma cristiano “ mentre Massimo Franco in “L’enigma Bergoglio “ ( Solferino 2020 ) scrive a questo proposito : “ Ma in qualche modo la Chiesa ,sembra aver accettato silenziosamente questa numerazione parallela e laica, perché le consente di azzardare un nuovo inizio e di smentire quanti sostengono da tempo che la sua parabola è nella fase discendente” ( pag. 21) . Un cambiamento epocale quello del Covid imperante,non solo per le singole persone, non solo per il nostro paese ma per l’intero pianeta ( e i risultati si vedranno nei prossimi anni ) perché ripropone ancora una volta quelle che furono le conseguenze delle grandi epidemie e pestilenze della storia per l’aspetto sanitario che ci hanno insegnato forse qualcosa , a differenza del Covid i cui insegnamenti non vogliamo apprendere e riconoscere. ( Con tracotanza e superbia questa volta perché ci siamo abituati ad un tenore di vita, ad un modo di leggere il mondo che non riusciamo a modificare per non dire , e forse potrebbe essere necessario , abbandonare ). Ci hanno insegnato che le armi di tutti i tempi nella guerra ai morbi e contagi, che disconosciamo con i nostri insofferenti comportamenti e con l’illusione di avere altri mezzi di difesa più potenti, sono stati l’isolamento, il distanziamento , il ricorso all’igiene( quando e dove si è potuto ) e come ultima razio il lazzaretto, l’ospedale dove si moriva o si aspettava di guarire fuori dalla vista e dal contatto con i pochi che erano riusciti miracolosamente a non contagiarsi. Un cambiamento che ha significato ogni volta ricominciare da capo. E’ questo aspetto del cambiamento che non vogliamo accettare perché anche se liberatorio finché vogliamo in realtà è il momento di intraprendere nuove strade, forse “ opposte “ a quelle che abbiamo sempre percorso. Strade che configurano contesti nuovi in cui sono limitate le risorse ( per l’impoverimento che l’attuale situazione ha prodotto ) ,per la necessità di ridistribuire meglio le risorse , per l’impegno che bisognerà mettere nella creazione di alternative sostenibili in termini di ambiente , sostenibilità dello sviluppo, recupero dei valori essenziali che caratterizzano una comunità e orientano una società.
Abbiamo scomodato la Storia e i grandi temi di riflessione e di azione che gruppi di cittadini ,associazioni e pensatori hanno messo sul tavolo per l’esame e la discussione, perché la seconda ondata di contagio da coronavirus che stiamo affrontando è peggiore della prima e forse anche la terza che saremo costretti ad affrontare, se non riusciamo ad arginare i contagi, sarà peggiore della seconda. In questo momento non possiamo far altro che comprare tempo a caro prezzo, per rallentare la curva dello stesso contagio. Fino ad un possibile vaccino forse del tutto liberatorio oppure capace solo di farci convivere con il virus ( dipende tutto dall’immunità che il vaccino riesce a dare e da altri problemi che si stanno studiando ) . Quella prodotta dalla pandemia di coronavirus è la peggiore delle crisi che abbiamo affrontato dal 2008. E deciderà del futuro.
Il futuro che condizionerà, come ha cominciato a condizionare la nostra stessa natura portata ad abbandonarsi agli abbracci, alle strette di mano, ai baci ,insomma alla socialità che ha costruito il mondo secondo una rete di relazioni che , malgrado gli attuali strumenti informatici ( telefonini, social, chat, incontri in rete ), sta cedendo a poco a poco . Comportamenti vietati che “risintonizzeranno per difetto” la nostra empatia e ci faranno guardare con sospetto ad ogni espansione con un senso di antisocialità che abbiamo cercato di combattere . La mascherina che siamo costretti ad indossare copre il viso e soprattutto il sorriso ed è quindi il segnale non verbale di un inizio di lontananza che poi dalla metafora fisiognomica si fa realtà. Cruda realtà che impone dietro front e marce indietro in molti settori della nostra vita associata. Pensiamo per esempio agli anziani e al “mantra “che da decenni , di fronte al fenomeno dell’ invecchiamento che ha determinato non la vecchiaia ma la terza, quarta e forse quinta età ( dipende dal crescere delle aspettative di vita),ha ripetuto che la socialità era l’elisir di lunga vita ( mentale ) e che l’interazione con gli altri era la terapia più importante . Tutto azzerato, tutto da ricominciare. Ricominciare in questo campo significa chiudere le RSA con le loro “ mastodontiche “ dimensioni e rimodulare l’assistenza creando diversi livelli di assistenza . Per l’anziano che può rimanere in famiglia aiutata economicamente per avere una risorsa per farsi aiutare ad accudirlo; per l’anziano autosufficiente che può andare a vivere in case di riposo dalla configurazione di un appartamento o in piccoli mini alloggio inseriti in una rete di assistenza domiciliare ( laddove le condizioni abitative delle famiglie di origine hanno ristrettezze di spazi ); fino all’anziano che ha bisogno di un’assistenza sanitaria organizzando piccole RSA, della dimensione anche qui di un appartamento . Un piano con un risvolto anche economico importante perché darebbe la possibilità di impiego, dopo una seria formazione da assistenti socio sanitari,infermieri domiciliari, medici della prevenzione, addetti alle cure della persona, a molti giovani in cerca di lavoro saldando così il progetto generazionale che stenta a realizzarsi . Progetto che articolato in molte altre forme potrebbe significare un’altra ripartenza dentro un cambiamento, appunto, come abbiamo tentato di dire, epocale. Un riuso del territorio, uno scambio tra città e campagna, un ripopolamento dei centri dell’Appennino centrale, una rimodulazione delle modalità di spostamento e un nuovo modello di trasporto pubblico , un turismo eco sostenibile , un modo di vivere insomma a misura di uomo .
Un cambiamento che ha già cominciato a produrre i suoi effetti a livello globale se consideriamo avvenimenti come l’ingresso della Cina nel mondo del commercio da appena uno o due decenni ;i risultati degli sviluppi della finanza della tecnica e dell’intelligenza artificiale ; gli avvenimenti strabilianti come l’attacco alle torri gemelle in America da parte di terroristi ,per finire con la rinuncia di un Papa al soglio di Pietro l’11 febbraio 2013 , cosa che no accadeva da settecento anni , dal secolo di Celerstino V .
Un cambiamento che però va misurato non solo a dimensione personale ma anche di gruppo. Ecco perché ,tanto per tornare su un esempio calzante e significativo , la questione assistenza agli anziani diventa un laboratorio per esaminare gli sconquassi sociali che la pandemia sta producendo e come dovremo abituarci a nuovi paesaggi e come dovremo richiedere nuovi diritti ( alla salute ,attraverso la piùlarga ed estesa medicina di prossimità) edunque a nuove esigenze di massa , compreso le nuove povertà. Che comprendono l’accentuazione dell’occupazione precaria e stagionale, i piccoli commercianti che devono affrontare una crisi superiore alle loro forze, ,la condizione degli operai edili, le collaboratrici domestiche ,persone disoccupate che riuscivano a vivere con lavori saltuari e in nero.
Ma stavamo esaminando una “ crisi “ che viene raccontata male e mina il senso di reciproco rapporto di fiducia , il valore della comunità , l’edificazione dell’aggregazione come luogo identificativo proprio di una comunità. E allora non possiamo tralasciare il senso e l’uso della comunicazione che in questi giorni inc9ontriamo su tutti i social, i talk show ,i programmi televisivi . Il contagio si diffonde anche solo parlando per cui siamo alla apoteosi di tutto quello che esclude la presenza e la comunicazione interpersonale delegando agli strumenti che ci permettono incontri virtuali una esagerata importanza e una “ incontrollata influenza “ sulla formazione delle opinioni. Fenomeni insieme ad altri sul web sui quali è stata posta l’attenzione con tentativi di combatterne l’aspettpnegativo e nocivo , forse con qualche risultato prima della pandemia da coronavirus che ha azzerato quel minimo di risultati raggiunti .
Appunto ,zero relazioni , , zero comunicazioni personali . E dunque in questo senso, in presenza di scarse relazioni si sono moltiplicate le comunicazioni, le informazioni virtuali . Grazie ai social , grazie ai talk show,grazie alle passerelle spesso disordinate di opinionisti, grazie a vere o false notizie .E’ vero i motori di ricerca consentono di accedere attraverso la rete internet ad uno sterminato numero di notizie, informazioni , storie, avvenimenti .
Controllare la fonte però non è poi tanto facile. Troppo spesso difficile se non difficilissimo perché non sempre si hanno gli strumenti . E anche perché una fake news ( che è un fenomeno emergente nel mondo della comunicazione ) sembra una notizia vera . L’enciclopedia digitale Treccani definisce le fake news come «un’informazione in parte o del tutto non corrispondente al vero, divulgata intenzionalmente o inintenzionalmente attraverso il Web, i media o le tecnologie digitali di comunicazione, e caratterizzata da un’apparente plausibilità, quest’ultima alimentata da un sistema distorto di aspettative dell’opinione pubblica e da un’amplificazione dei pregiudizi che ne sono alla base, ciò che ne agevola la condivisione e la diffusione pur in assenza di una verifica delle fonti.» Per cui le fake news sono informazioni che, pur essendo parzialmente o totalmente false, appaiono vere.
In questo momento di emergenza da coronavirus, al rischio “sanitario” si unisce pericolosamente il rischio “sociale della sfiducia” alimentato da vere e proprie pandemie informative che “infettano” uno dei più importanti fattori della gestione della crisi: la corretta comunicazione dell’emergenza. Scrive quindi Barbara Calderini il 13 marzo 2020 su Agenda Digitale ( 1) : “La disinformazione colpisce tutti ovunque. Contribuisce a rendere l’ecosistema mediatico un ambiente in cui la narrazione prende il sopravvento sull’informazione. I contenuti e la tecnica narrativa prevalgono sulla veridicità dei fatti che descrivono. Per usare una bella definizione dell’economista Leonardo Becchetti, Professore ordinario di Economia politica presso l’Università di Roma Tor Vergata, “la deformazione della realtà nel rimbombo degli echi e dei commenti della comunità globale su fatti reali o spesso inventati”, nell’attuale contesto emergenziale costituisce un problema enorme dalle conseguenze rilevanti. La creazione e la condivisione involontaria (misinformazione) o deliberata (disinformazione) di informazioni false e non dimostrate aumentano, si trasmettono più pervasivamente e molto più velocemente della verità online. Ne sono esempi i contenuti virali assurdi o le informazioni spesso complottistiche, stile QAnon, circolate in rete nell’ultimo periodo e del tutto destituite di qualsiasi elemento probatorio o fondamento scientifico e logico.”
Calderini nel lungo articolo dal quale abbiamo tratto la citazione esamina alcuni esempi di fake news riferite al Covid 19 e riferisce anche di un metodo efficace per smascherare notizie false suggerito dalla direttrice Claire Wardel di First Draft, la famosa organizzazione no profit globale che supporta giornalisti, accademici e tecnici nelle sfide relative alla fiducia e alla verità nell’era digitale.
Ci siamo lasciati convincere che la bussola in questa navigazione così faticosa,piena di rovesci e alla mercé di elementi naturali incontrollabili ,fosse la scienza, a differenza della religione, della filosofia, della letteratura, del teatro e della musica, cose relegate al tempo libero per la convinzione che non hanno valore di verità. In realtà sbagliando di grosso perché abbiamo lasciato andare quello che veramente era l’elemento costitutivo del nostro stare al mondo e che da secoli viene espresso nelle opere che poi abbiamo definite come letteratura, teatro, musica e di questo passo : la bellezza che aiuta l’anima a vivere e a sopravvivere dell’anima dentro una l’essenza della esistenza. Non vogliamo dire che la scienza non conta e non è bella (!?) ,anzi, (2) solo che ci siamo trovati di fronte ad affermazione che di volta in volta hanno sottolineato l’inattendibilità dei dati scientifici alla base delle decisioni politiche. E abbiamo sospettato che si stesse facendo una operazione di politicizzazione proprio di quei dati che per loro natura sono incontrovertibili e secondo la scienza galileiana controllabili . Lo abbiamo capito dal rimpallo delle responsabilità con l’alibi dei dati scientifici. Una situazione che ha procurato , nella persona comune, disorientamento, sconforto e poi sicuramente rabbia. Un disorientamento che alimenta in alcune persone la paura (3), in altre il risentimento per i provvedimenti adottatati per combattere l’estendersi del contagio , ritenuti coercitivi .
La parole si è corrotta in chiacchiere ,in informazione senza un pensiero. La leggerezza della chiacchiera ha invaso ogni livello di pensiero e del suo fascino godono non solo gli ascoltatori ma narcisticamente anche quelli che,per così dire , “ fanno quelle chiacchiere “ a volte in buona fede , altre meno : medici insigni, uomini di cultura , opinionisti, giornalisti , ancor man , show man ,politici.
Per arrivare allora a mettere in forse l’equazione scienza uguale verità . Un problema interessante e importante che richiede ancora spazio e riflessione. Un lungo discorso . Ma anche promessa per ritornare su questo tema. Come dice il principe Myskin di Dostoevskij ,la bellezza salverà il mondo. Essa è l’espressione degli esseri viventi perché è capace di renderli migliori. E quindi per fermarci qui contentiamoci di dire che la bellezza è anche scienza oltre che teatro, danza, musica, letteratura.
(2) Carlo Revelli nei suoi libri : “Sette brevi lezioni di fisica”e “L’ordine del tempo “ entrambi pubblicati da Adelphi racconta appunto la bellezza della scienza che ci aiuta a comprendere appunto il mondo
(3)“Bisogno di sicurezza nella società della paura.” è il sottotitolo di un libro di Vittorino Andreoli intitolato “ Homo incertus “ , edito a gennaio 2020 da Rizzoli (pp. 360, euro 18,50). Un libro che parla della incertezza di questo tempo che viviamo al presente che va al di là della pandemia che stiamo affrontando e che investe molti ambiti del nostro vivere fino ad arrivare al nostro io . In una storia che si ripete continuamente come le paure che in quella storia continuano a ripetersi .Vittorino Andreoli a conclusione di una intervista concessa a Huffpost, dice : “ Si è rotto l’uomo paralizzato dalla paura”, c’è ad un certo punto, alla domanda : “Quale è la strada per uscire da questo labirinto?” la risposta: “Bisogna riscoprire l’umanesimo… un’economia del fare bene… Ritrovare il senso dell’altro, non avere la cultura del nemico… Bisogna fare questa rivoluzione specifica dentro noi… L’uomo impaurito ha bisogno di credere nell’altro, di tornare a fidarsi…”. https://www.huffingtonpost.it/entry/vittorino- andreoli_it_5e285884c5b67d8874aa6e8f
“Del resto,scrive Enzo Biffi, su Il Dialogo di Monza. It , soccombere a questo rassegnato realismo, non ci aiuterà a capire di più, ad accettare meglio e nemmanco a cambiare nulla di questo affondamento. Certo servirà un po’ di tempo per sbrogliare le matasse degli stregoni della burocrazia, degli sciamani della finanza violenta e dei fanatici del credo digitale. Ma perché non provarci? Che vogliamo fare? Invecchiare analizzando “a salve” le manovre sbagliate che hanno condotto la nave all’inevitabile deriva? Si dice: “Che la morte ci trovi vivi” e allora avanti, che forse finalmente è ancora tempo di scoprire nuove rotte per nuove terre. Giunto a riva e scampato il pericolo, al naufrago superstite non resta che ripartire dall’inizio, con quel che resta di energia e creatività, sfruttando i pensieri e le azioni indotte dalla nuova improvvisa realtà. Viene utile un tempo nuovo e non è il Chronos degli ingegneri, dei tecnici e nemmeno degli scienziati, ma il Kairos caro ai filosofi, agli artisti, ai pensatori dell’oltre;