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QUINTO : “NON UCCIDERE “ -DI VALTER MARCONE

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Redazione- “ Non uccidere “ è il comandamento che troviamo come titolo nell’omonimo libro di Hermann Hesse o nella storia di Bertand Russell, lo scienziato che nel 1916 – nel pieno della Prima guerra mondiale – fu allontanato dall’insegnamento presso il College di Oxford e successivamente arrestato per propaganda pacifista e per il suo impegno a favore all’obiezione di coscienza antimilitarista .

Due storie lontane da noi ormai un secolo e più che restano significative perchè ci aiutano a ripercorrere in questo secolo , definito dalla Storia “breve “ per il peso di ben due guerre mondiali senza contare della guerra fredda e di tutta un altro insieme di fenomeni economici e socio culturali,appunto una “storia” che dovrebbe insegnarci qualcosa.Una Storia all’insegna di una terribile spada di Damocle sulla testa : la morte, uccidere per uccidere non solo i corpi ma anche le anime . Le armi uccidono il corpo ma la violenza del potere esercitata con la privazione della libertà, la restrizione l’annullamento dei diritti fondamentali dell’uomo come sono capaci di fare le dittature, uccide l’anima.

Il comandamento non uccidere è presente nelle tre religioni monoteiste, figlie di Abramo: ebraismo, cristianesimo e Islam.

Non uccidere per la religione cattolica è un imperativo categorico che si trova dai tempi antichissimi sulle tavole della legge del racconto dell’antico testamento della Bibbia. Il quinto comandamento prescrive di non uccidere. Il verbo ebraico vieta l’uccisione arbitraria e violenta di un innocente, chiunque egli sia, schiavo o libero. La vita umana viene dunque protetta da ogni violenza arbitraria. Proibisce anche di ferire o arrecare un qualsiasi danno fisico ingiusto a se e al prossimo, sia direttamente che per mezzo di altri. Proibisce anche di offendere con parole ingiuriose e di volere il male degli altri. In questo comandamento è inclusa anche la proibizione di togliersi la vita.

Il Catechismo della Chiesa cattolica al n. 2258 afferma : “La vita umana è sacra perché, fin dal suo inizio, comporta l’azione creatrice di Dio e rimane per sempre in una relazione speciale con il Creatore, suo unico fine […]. Nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare a sé il diritto di distruggere direttamente un essere umano innocente”.

Secondo la Genesi (1,26-27) l’uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio . Il Concilio Vaticano II nella Gaudium et spesa (n.24 ) afferma che l’uomo è amato Da Dio per se stesso . È destinato a conoscere e amare Dio in eterno. Quindi la sacralità dell’uomo diventa una verità fondamentale e la dignità umana assurge ad un valore irrinunciabile. Sacralità e dignità giustificano dunque dal punto di vista morale il comandamento “ non uccidere”.La stessa Gaudium et spes ( n. 40) afferma che Dio stesso spiega che «dalla sacralità della vita deriva il suo carattere inviolabile»

Sebbene questo comandamento si riferisca specificamente agli esseri umani, esso ci ricorda la necessità di prenderci cura delle altre creature viventi e della nostra casa comune. Nell’enciclica Laudato Si’ (2015) di Papa Francesco leggiamo: “Quando il cuore è autenticamente aperto a una comunione universale, niente e nessuno è escluso da questa fraternità. È anche vero, quindi, che l’indifferenza o la crudeltà verso le altre creature di questo mondo finiscono sempre per trasferirsi in qualche modo al nostro trattamento degli altri esseri umani. Il cuore è uno solo, e la stessa infelicità che porta a maltrattare un animale si manifesta presto nel rapporto con le altre persone. Ogni crudeltà verso qualsiasi creatura “è contraria alla dignità umana”

Questo comandamento, come gli altri, acquista il suo pieno significato in Gesù Cristo e in particolare nel Discorso della Montagna: “Avete udito che fu detto a quelli di un tempo: “Non ucciderai”, e chiunque uccida sarà passibile di giudizio”. Ma io vi dico: chi si adira con il proprio fratello sarà passibile di giudizio, chi insulta il proprio fratello sarà passibile di giudizio davanti al Sinedrio e chi lo maledice sarà passibile del fuoco dell’inferno. Se dunque, mentre porti il tuo dono all’altare, ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con tuo fratello e poi torna a presentare il tuo dono” (Mt 5,21-24). Il comandamento di salvaguardare la vita dell’uomo “ha il suo aspetto più profondo nell’esigenza di venerazione e amore per la persona e la sua vita”.

Odio e distruzione fomentano le guerre che sono state e sono nella storia dell’umanità un male indescrivibile . Anche se spesso si parla e si è parlato di guerra giusta, di guerra di difesa, di guerra inevitabile che ,l’esperienza insegna ,hanno anch’esse aggiunto distruzione e morte nella società mondiale .

Il Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, nn. 81,4 afferma .«A causa dei mali e delle ingiustizie che ogni guerra provoca, la Chiesa con insistenza esorta tutti a pregare e ad operare perché la bontà divina ci liberi dall’antica schiavitù della guerra” mentre il Catechismo (2307) spiega che esiste una “legittima autodifesa con la forza militare”. Però «tale decisione, per la sua gravità, è sottomessa a rigorose condizioni di legittimità morale»(2309). E segnala per quanto riguarda la cosiddetta “ guerra giusta”: “che il danno causato dall’aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo; che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci; che ci siano fondate condizioni di successo; che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare. Nella valutazione di questa condizione ha un grandissimo peso la potenza dei moderni mezzi di distruzione”.La valutazione di tali condizioni di legittimità morale spetta al giudizio prudente di coloro che hanno la responsabilità del bene comune” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2309). “Si è moralmente in obbligo di far resistenza agli ordini che comandano un «genocidio»” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2313).

La corsa agli armamenti,(2315) «lungi dall’eliminare le cause di guerra, rischia di aggravarle. L’impiego di ricchezze enormi nella preparazione di armi sempre nuove impedisce di soccorrere le popolazioni indigenti; ostacola lo sviluppo dei popoli- “La corsa agli armamenti «è un gravissimo flagello dell’umanità e danneggia i poveri in modo intollerabile» Gaudium et spes «Le autorità pubbliche hanno pertanto il diritto e il dovere di regolamentarli».

La trattazione completa del quinto comandamento, anche se in forma sintetica seppure completa di tutti gli elementi essenziali ,si può leggere nel testo “Tema 31. Il quinto comandamento: Non uccidere” a cura di Pablo Requena / Pau Agulles su opusdei.org ( 1)

Il nostro compito quali esseri umani consiste nel compiere, all’interno della nostra propria, unica, personale esistenza, un passo in avanti sulla strada che dalla bestia porta all’uomo. “ afferma Hermann Hesse ( 2) dunque nel volume di saggi “Non uccidere”.

Questo libro pubblicato in Italia negli Oscar Mondadori contiene la posizione politica di Hermann Hesse, che in quasi nove decenni di vita, non ha mai vacillato; questi suoi scritti mostrano un uomo la cui evoluzione è stata semplicemente un continuo adeguamento alle nuove esigenze del proprio pensiero e della propria coscienza. I suoi giudizi in materia di politica e società, le sue dichiarazioni riguardo a fatti di attualità, le sue riflessioni su comunismo e socialismo, sulla Repubblica di Weimar, il Terzo Reich e l’antisemitismo, così come la sua concezione del ruolo dello scrittore in ambito politico, stupiscono e attraggono per la loro eccezionale chiaroveggenza e modernità.

Come quello che per esempio di proponeva Siddharta (3) nell’omonimo romanzo : diventare vuoto, vuoto di sete, vuoto di desideri, vuoto di sogni, vuoto di gioia e di dolore. Morire a sé stesso, non essere più lui, trovare la pace del cuore svuotato, nella spersonalizzazione del pensiero rimanere aperto al miracolo, questa era la sua meta. Un giorno verrà la pace con l’ultima stanchezza, e la terra madre mi accoglierà in sé.

Marco Toscano su storiamestre.it nell’articolo : “Avvisi per i posteri. Dalla prima guerra mondiale.” ci racconta di “ Non uccidere “ la parte che si riferisce alla prima guerra mondiale in cui Hesse dimostra il suo pacifismo . Riflessioni intense quelle dei saggi contenuti nel libro di uno scrittore che già al tempo della prima guerra mondiale è costretto a vivere in Svizzera , dove prende la cittadinanza e dove muore dopo una lunga vita. Un quadro intenso quello riferito alla sua attività durante la prima guerra mondiale che appunto Marco Toscano ci racconta e che sta alla pari con la vicenda di Bertrand Russell che si volge anch’essa durante la prima guerra mondiale e da cui ho tratto il parallelismo oggetto di questa mia riflessione .(4)

Dice Marco Toscano : “Quando il governo tedesco dichiarò guerra alla Francia, ai primi di agosto 1914, Hermann Hesse (1877-1962) aveva quasi quarant’anni e viveva con la moglie e i tre figli in una casa di campagna vicino a Berna, in Svizzera. Nato nel Württemberg da padre russo di origine baltica e madre svizzera francese nata in India, aveva la nazionalità tedesca, così come due delle sue sorelle; un fratello e una sorella, invece avevano quella svizzera. Hermann si era trasferito dopo il matrimonio con la moglie in un villaggio sul lago di Costanza, vicino al confine con la Svizzera. Nel 1913 aveva compiuto un viaggio in Oriente ed era rientrato in Europa da pochi mesi quando scoppiò la guerra. Trovandosi, come si è detto, in Svizzera, Hesse si presentò al consolato tedesco a Berna per mettersi a disposizione: era riservista inabile, un suo richiamo era molto improbabile. Nel suo diario scrisse che l’idea di combattere lo inorridiva. “

Marco Toscano usa anche altri articoli di Hesse per illustrare la posizione dello scrittore, alcuni brani da Guerra e pace (terza edizione ampliata 1962, la prima è del 1946), Non questi toni amici!, pp. 13-18 (“Neue Zürcher Zeitung”, 3 novembre 1914); A un ministro, pp. 19-23 (“Neue Zürcher Zeitung”, 12 agosto 1917); Ci sarà la pace?, pp. 31-36 (“Neue Zürcher Zeitung”, 30 dicembre 1917); Se la guerra dura ancora due anni, firmato Emil Sinclair, pp. 37-44 (da cui il brano riportato; “Neue Zürcher Zeitung”, 15 e 16 novembre 1917). Notizie su Hermann Hesse nel 1914 in Alois Prinz, Vita di Hermann Hesse, Donzelli, Roma 2003, pp. 97-100. Le annotazioni di Rolland sull’articolo di Hesse del novembre 1914 in Romain Rolland, Diario degli anni di guerra 1914-1919, trad. di Giovanna Bonchio e Michele Rago, I, Parenti editore, Firenze 1960, p. 81, che traduce il titolo dell’articolo di Hesse con Amici, cambiate musica!; la visita di Rolland a Hesse, 12 agosto 1915, ibidem, pp. 378-380.

Ecco un brano dall’articolo Se la guerra dura ancora due anni, pubblicato a metà novembre 1917, in cui Hesse, che si firmava con lo pseudonimo di Emil Sinclair, immaginava di scomparire e di tornare sulla terra nel 1920, scoprendo in tal modo quello i danni che la guerra avrebbe lasciato all’umanità: in primo luogo la noncuranza con cui i bombardamenti arei, una novità della prima guerra mondiale, facevano stragi di civili.

“Tornai che era il 1920, e con mia grande delusione i popoli ovunque erano impegnati a farsi guerra a vicenda sempre con la stessa, insensata, caparbietà. Alcune frontiere erano state spostate, certe regioni di cultura raffinata, antica ed elevata, erano state meticolosamente distrutte, ma a conti fatti ben poco era mutato, almeno esteriormente, sulla terra. Grandi passi avanti si erano compiuti in fatto di uguaglianza. Per lo meno nelle nazioni d’Europa, a quel che udivo dire la situazione era ovunque la stessa, e la differenza tra belligeranti e neutrali era quasi completamente scomparsa. Dacché lo sterminio della popolazione civile veniva meccanicamente mediante dirigibili che da un’altezza di quindici o ventimila metri lasciavano cadere le loro bombe, i confini tra le nazioni, sebbene come prima attentamente vigilati, erano divenuti alquanto illusori. L’impressione di queste casuali incursioni aeree era tale che chi inviava i dirigibili poteva dirsi soddisfatto se non colpivano il proprio territorio, e non si preoccupava certo del numero di bombe che cadevano su paesi neutrali o magari sul territorio di alleati.Era questo in effetti l’unico progresso compiuto dalla guerra in quanto tale: e in esso in fin dei conti il senso della guerra trovava chiara espressione. Il mondo era diviso in due partiti, ciascuno dei quali cercava di distruggere l’altro, e ciò perché entrambi aspiravano alla stessa cosa, vale a dire alla liberazione degli oppressi, la soppressione della violenza e l’instaurazione di una pace duratura. Nei confronti di una pace che non potesse durare in eterno, tutti si mostravano assai differenti; e, visto che la pace eterna era impossibile, si continuava con decisione l’eterna guerra, e la noncuranza con cui i dirigibili facevano piovere da incredibili altezze la loro benedizione su giusti e ingiusti, corrispondeva come ho detto al senso di quella guerra. Quanto al resto, essa veniva condotta alla maniera antica, con mezzi cospicui ma insufficienti. La scarsa fantasia di militari e tecnici aveva prodotto solo scarsi mezzi di distruzione, e quel visionario che aveva inventato il dirigibile bombardiere era stato l’ultimo della sua razza, perché poi scienziati, visionari, poeti e sognatori avevano sempre più perduto interesse per la guerra la quale, come s’è detto, era ormai demandata a militari e tecnici, ragion per cui faceva pochi progressi. Ovunque gli eserciti si fronteggiavano immobili con straordinaria tenacia […].”

La storia parallela a quella di Herman Hesse con particolare riferimento alle vicende della prima guerra mondiale che mi sono prefisso di raccontare qui è quella di Bertand Russell,(5 ) lo scienziato anche lui Premio Nobel che nel 1916 – nel pieno della Prima guerra mondiale – fu allontanato dall’insegnamento presso il College di Oxford e successivamente arrestato per propaganda pacifista e per il suo impegno a favore all’obiezione di coscienza antimilitarista .

A Bertrand Russell Albert Einstein volle affidare il proprio testamento spirituale nel quale si denunciava oòrischio di una irreparabile guerra nucleare . L’attività scientifica del filosofo inglese si è fusa nel corso degli anni con l’attività filantropica spesso non esente da una vena di polemista. Una figura di scettico fuori da ogni conformismo culturale e dogmatismo, sempre alla ricerca della verità ( che riteneva inesistente o introvabile) e sempre pronto ad una mordace critica della religione.

Secondo Alan Wood: “Bertrand Russell è un filosofo senza una filosofia. La stessa cosa potrebbe essere detta dicendo che egli è un filosofo di tutte le filosofie. È difficile che ci sia oggi un punto di vista filosofico di una certa importanza che non possa trovarsi riflesso nei suoi scritti di un qualche periodo […]. Nonostante tutti gli enunciati visibilmente in conflitto che si trovano nel totale degli scritti filosofici di Russell e nonostante il numero dei casi in cui egli sostiene opinioni diverse in tempi diversi, c’è dal principio alla fine una coerenza d’intenti e di direzione e una coerenza di metodo. “Volevo la certezza – scrisse Russell in un esame retrospettivo – allo stesso modo in cui la gente vuole la fede religiosa”. Credo che lo scopo latente di tutta l’opera di Russell sia stata una passione quasi religiosa per una qualche verità che fosse più che umana, indipendente dalla mente degli uomini ed anche dalla loro esistenza». (A. Wood, Russell’s Philosophy, Appendice a B. Russell, My Philosophical Development, G. Allen and Unwin, London 1959, p. 260)

Quando, nel 1898, iniziò la sua carriera di docente, dedicò i primi corsi ai grandi protagonisti della storia della matematica e della logica. Poi i suoi sforzi si orientarono verso la costruzione di una logica delle relazioni, dalla quale poter dedurre le basi stesse della matematica: il risultato più importante di questo impegno è rappresentato dai Principia matematica, un’opera molto complessa scritta insieme a Whitehead negli anni 1910-13. Nel frattempo si consolidarono anche le sue idee politiche improntate al pacifismo, al progressismo e al laburismo ( 6 )

Durante la prima guerra mondiale Russell svolse un’energica attività nel movimento contro la leva obbligatoria, attività per cui fu multato (e gli fu pignorata la biblioteca per il pagamento della multa), imprigionato e sospeso dal lettorato presso l’Università di Cambridge. Dopo che gli fu offerto un posto di insegnante ad Harvard, gli ritirarono il passaporto. Egli rifiutò il ruolo di commentatore distaccato e accademico e spesso fu in prima linea, prendendo posizione nei dibattiti politici sul tappeto, accettando dei rischi per difendere le proprie convinzioni e in particolare la causa della pace.

Dunque nel 1918, per aver scritto un articolo a favore del pacifismo, dovette scontare sei mesi di carcere dove scrisse la sua “Introduzione alla filosofia matematica“.

In un articolo intitolato “L’etica della guerra” (gennaio 1915), il filosofo inglese , convinto oppositore dell’entrata in guerra dell’Impero Britannico nella Prima Guerra Mondiale, dà una risposta alla domanda se esistano conflitti giustificabili. Secondo Russell, esistono quattro tipi di guerra: 1) Guerre di colonizzazione; 2) Guerre di principio; 3) Guerre di “autodifesa” e 4) Guerre di prestigio. Mentre i primi due tipi di guerra possono essere giustificabili, il terzo tipo lo è raramente “tranne che contro un avversario di civiltà inferiore” e il quarto tipo è assolutamente ingiustificabile.

Due storie dunque di uomini che lottarono contro la violenza della guerra contraria alle loro convinzioni etiche e religiose. Una disobbedienza , attraverso i loro scritti , che nei decenni successivi e fino al riconoscimento dell’obiezione di coscienza e della disobbedienza civile, fino alla resistenza all’oppressione proclamato nella Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino all’inizio della rivoluzione francese (1789). molti altri hanno messo in pratica . Una pratica che si trasformerà in antimilitarismo che significa opposizione all’aumento delle spese militari, l’autoritarismo nelle caserme, l’impiego delle truppe per reprimere le manifestazioni popolari .

In Italia la prima deliberazione specifica contro di esse risale al congresso convocato a Milano nel 1891 dove esponenti di tutte le correnti dai socialisti agli anarchici ai radicali e repubblicani individuano nel militarismo lo strumento per la difesa e conservazione delle classi e delle istituzioni più privilegiate e l’ostacolo principale e cinico al libero e logico svolgimento dell’umano progresso. ( 7)

Giorgio Rochat nella sua breve storia dell’esercito italiano parla di tre filoni fondamentali dell’antimilitarismo: l’antimilitarismo patriottico della sinistra democratica con garibaldini, mazziniani, repubblicani, democratici e anche liberali angosciati dall’aumento delle spese militari ; l’antimilitarismo istintivo delle masse popolari; l’antimilitarismo del movimento operaio. Tra i suoi temi: le spese militari , l’autoritarismo nelle caserme, l’impiego delle truppe per reprimere le manifestazioni popolari.

Un antimilitarismo che si volge al pacifismo come racconta Pietro Pastena nel suo libro “Breve storia del pacifismo in Italia” . Un libro di 175 pagine piu’ una quindicina con gli utili indici delle associazioni e dei nomi citati. L’autore e’ Pietro Pastena, gia’ obiettore di coscienza. La casa editrice e’ Bonanno (www.bonannoedizioni.it).
Il libro parte dal 1700 e giunge al 1991, concludendosi con la prima guerra del Golfo. A dispetto di quanto possa far intendere il titolo, l’analisi non si limita al pacifismo italiano ma si avvale di ampi riferimenti storici internazionali. E, nonostante la modestia del titolo (“breve storia”), cio’ che si trova e’ veramente tanto, considerando le molteplici note a pie’ di pagina.
Un’analisi ben articolata del contesto europeo permette di comprendere come i pacifisti italiani non si siano formati dal nulla ma siano stati influenzati dalle idee di personaggi e filosofi ben precisi. Nomi come Saint-Simon, Spencer o Tolstoj, solo per fare degli esempi, ricorrono nel testo. Sono ben descritte, con tanti particolari ed una narrazione scorrevole, le interrelazioni fra il pacifismo italiano e i congressi europei che, fra fine Ottocento e inizio Novecento, hanno dato impulso al
movimento per la pace.
La caratteristica che balza subito agli occhi e’ il carattere di particolare cura nella documentazione, davvero ricca, che rende non solo utile ma veramente prezioso il libro. Infatti dai tanti nomi e riferimenti bibliografici citati si puo’ partire per un ulteriore approfondimento, ricorrendo ai motori di ricerca su Internet e alle biblioteche specializzate.
Il testo e’ asciutto e doverosamente critico verso le carenze storiche del pacifismo e le furberie di chi ha voluto cavalcarlo. L’impostazione e’ laica ma prende in considerazione con interessante prcisione filologica il primissimi passi del “pacifismo” cattolico, ben prima di don Mazzolari e don Milani, frutto di un lavoro certosino su archivi e documenti storici in gran parte poco conosciuti e su una vasta gamma di testi molto mirati. In conclusione lo si puo’ considerare un libro di livello elevato, utile a chi compia studi universitari in ambito storico, che completa e approfondisce conoscenze di base gia’ acquisite. Ciononostante l’autore di volta in volta illustra i personaggi citati, senza dare per scontato nulla.
Non e’ un libro fatto di ragionamenti ma di fatti, e se vi sono delle considerazioni esse vengono dopo i fatti. Importante: assenza totale di paroloni difficili. Al contrario il libro “si fa leggere” per il suo stile in buona parte narrativo basato su riscontri oggettivi e fatti documentati.
L’arco di tempo considerato, ben tre secoli, offre una profondita’ storica per superare una visione del pacifismo tutta schiacciata sul presente. Il libro e’ stato scritto in particolare per tutti coloro che si considerano pacifisti ma non conoscono la storia del pacifismo. Cosi’ spiega l’autore
nell’introduzione. Ci auguriamo che possa essere letto proprio per colmare questa lacuna che, chi piu’ chi meno, un po’ tutti noi che siamo impegnati nel movimento per la pace, ci portiamo dietro.

Pietro Pastena, gia’ obiettore di coscienza, vive a Palermo, dove insegna e si occupa di criminalistica particolarmente come esperto di perizie giudiziarie nel campo dell’identificazione delle scritture. Tra le opere di Pietro Pastena: Giallo tricolore, Dharba, 1990; La scienza delle tracce. L’identificazione scientifica dell’autore di un crimine, Bonanno, 2003;
Breve storia del pacifismo in Italia. Dal Settecento alla guerra del Golfo,
Bonanno, 2005.

Dunque due vicende di antimilitarismo e sulla storia del pacifismo che voglio concludere con queste considerazioni sulla Pacem in terris.Su confronti 3/2013 Enrico Peyretti scrive : “ Rileggendo oggi la Pacem in terris si sente che sono passati cinquant’anni. C’era la Guerra Fredda, la coscienza atomica, e nell’immediato la crisi di Cuba, pericolosissima, che probabilmente spinse il papa a questo intervento. Difficile dire se oggi stiamo meglio o peggio: all’equilibrio del terrore è seguita, dagli anni novanta, la guerra continua al nuovo nemico, che di questa guerra si alimenta.
Terrorismo e guerra si causano a vicenda. La guerra economica di pochi ricchi contro il resto del mondo si è potenziata e inferocita. Ogni guerra ne genera un’altra, per forza. Il rischio atomico è dimenticato, ma non diminuito. Al cattivo Iran si vieta giustamente l’atomica, ma gli stati nucleari – ingiustamente – non si disarmano, perciò perdono il diritto di vietare.
Papa Giovanni incoraggiava la pace sulla terra. La coscienza religiosa scendeva sulle terre (plurale) e, credendo anche nella pace piena escatologica, dichiarava di credere nella possibilità umana di pace nella storia, tra i popoli, nell’umanità come è ora, con le sue imperfezioni. La religione cristiana poteva così apparire non alienante, non traslocata in una soffitta ultraterrena, ma si dimostrava amante del mondo umano, impegnata a salvare le vite e le civiltà. Certo, contribuiva la simpatia umana dell’uomo Roncalli, la sua serenità consapevole del male e fiduciosa nel bene. Ma la sostanza della sua parola era l’amore divino per il mondo umano: la fedeltà alla terra non era più atea.

( 1 )https://opusdei.org/it-it/article/tema-31-il-quinto-comandamento-non-uccidere/

( 2) Hermann Hesse (Calw, Württemberg, 1877 – Montagnola, Canton Ticino, 1962), autore poliedrico, soggiornò a lungo in Oriente dove acquisì familiarità con le religioni, le filosofie e le letterature di India e Cina, che hanno ispirato alcuni tra i suoi più celebri romanzi tra cui Siddharta. Nel 1946 ricevette il premio Nobel per la letteratura. Tra le sue opere principali: Demian (1919), Il lupo della steppa (1927), Narciso e Boccadoro (1939) e Il giuoco delle perle di vetro (1943)

( 3) Siddhartha è forse il più famoso romanzo di Herman Hesse (1877-1962), lo scrittore tedesco Premio Nobel per la Letteratura. Siddhartha fu pubblicato per la prima volta nel 1922 (in Italia nel ‘45). La storia è assai liberamente e vagamente ispirata alla figura di un personaggio storico realmente esistito: Siddharta Gautama, cioè Buddha (VI-V secolo d. C.). Il libro di Hesse narra comunque le vicende di un giovane indiano che vive alla ricerca della via verso la realtà più profonda della felicità. Grazie allo stile inconfondibile che tesse sapientemente prosa e lirismo, questo romanzo è diventato un classico della letteratura nonché il titolo di Hesse più apprezzato dal pubblico giovanile. I temi trattati – come la ricerca di sé, il rifiuto dei beni materiali, l’inquietudine spirituale – invitano infatti il giovane lettore a cercare la propria strada verso la saggezza. Le suggestioni della religiosità indiana si mescolano alla sensibilità culturale europea (in particolare a quella dei libri di Arthur Schopenhauer , il primo pensatore occidentale a portare l’attenzione sulle dottrine orientali). Partendo da questa combinazione, Hesse scrive un’opera insuperata, semplice nella lingua ma ricchissima di spunti di riflessione. Molte delle idee presenti in Siddhartha ritornano poi nelle opere di Hermann Hesse.

( 4)https://storiamestre.it/2014/11/avvisiperiposteri-23/

( 5) Bertrand Russel uno degli intellettuali più famosi, popolari e influenti del XX secolo, premio Nobel per la letteratura nel 1950. I suoi studi spaziarono in vari campi e molto significativa fu anche la sua attività di polemista. Nato aTrellech il 18 maggio del 1872 e morto a Penrhyndeudraeth il 2 febbraio del 1970, ha dato al pensiero moderno uno dei più grandi contributi, ovvero quello della logica, così come le sue due opere principali: “I principi della matematica” e i “Principia matematica“che sono ancora oggi considerati i classici della filosofia, al pari con quelli dell’antichità e del Medioevo. Fu, per un breve periodo, hegeliano e seguì la filosofia di Bradley, ma intorno al 1898 sotto l’influenza di G. E. Moore si liberò dell’idealismo e rientrò nell’empirismo, dottrina tradizionale della filosofia inglese. Molti e importanti sono i suoi contributi a questa concezione empirica e realista del pensiero, tra cui rimangono a imperitura memoria: “I problemi della filosofia” (1912), “La conoscenza del mondo esterno” (1914), “Misticismo e logica” (1918), “L’analisi della mente” (1921) e “L’analisi della materia” (1927). Nel 1918, per aver scritto un articolo a favore del pacifismo, dovette scontare sei mesi di carcere dove scrisse la sua “Introduzione alla filosofia matematica“.

( 6 )https://disf.org/editoriali/2020-02Bertrand Russell: ricordo di uno scettico appassionato di Maurizio Schoepflin Docente di filosofia e saggista

( 7)https://www.peacelink.it/pace/a/48794.html

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