LA SCOLIOSI, CON UN PARTICOLARE SGUARDO ALLA SCOLIOSI IDIOPATICA GIOVANILE: DISCUSSIONE, BIOMECCANICA, TERAPIE, PREVENZIONE E RIABILITAZIONE MOTORIA
Redazione- Il nome scoliosi deriva dal termine greco skolìosis “incurvamento” che a sua volta deriva dal graco skolìos ossia “curvo”. Già nel 300 a.c. Ippocrate , dopo aver classificato le varie deformità angolari della colona vertebrale, ideò una serie di strumenti per ridurre queste anomalie.
Oggi è noto che la scoliosi può essere definita come “deformità tridimensionale del rachide e del tronco”: essa determina una curvatura laterale sul piano frontale, una rotazione assiale sul piano orizzontale e un disturbo delle normali curvature sul piano sagittale, vale a dire cifosi e lordosi, riducendole solitamente, ma non sempre, nella direzione di una schiena piatta. (Fig. 1, v. appressso)
Essa si aggrava in corrispondenza della crisi di sviluppo struturale e si attesta nella sua evoluzione quando cessa l’attività delle cartilagini di accrescimento dei corpi vertebrali.
Tale definizione permette di differenziare la scoliosi dagli atteggiamenti scoliotici. La prima, o scoliosi organica, rappresenta un dimorfismo del rachide; i secondi o “scoliosi funzionali’’, non sono altro che paramorfismi visibili solo quando la colonna è sotto carico. Quali sono gli sport che la accentuano7AGGRAVANO E DA SCONSIGLISRE?
Le scoliosi organiche o dimorfismo del rachide si presentano con alterazioni estetiche e funzionali anche gravi. Sono strutturali e possono anche essere definite idiopatiche,congenite o neurogene.
In merito all’eziologia genetica, gli autori che la sostengono confermano una ereditarietà multifattoriale che però non può essere confermata per tutte le scoliosi. [1]
Fig. 1
Scoliosi e Atteggiamento Scoliotico
Il gibbo è l’espressione clinica della rotazione vertebrale. Come sopra detto, infatti, non basta che una colonna presenti una deviazione laterale sul piano frontale per porre la diagnosi di una scoliosi, ma deve essere presente anche la rotazione vertebrale; in assenza di gibbo si può avere un atteggiamento scoliotico ma non una scoliosi vera strutturata; quindi un atteggiamento scoliotico si caratterizza per le deviazioni della colonna del tutto riducibili per l’assenza di rotazione dei corpi vertebrali e per la mancanza di deformazioni toraciche. Inoltre il soggetto manifesta quasi sempre un atteggiamento passivo dovuto all’eccessiva ipotonia muscolare.
Grazie al test di Adams: flessione del busto in avanti con braccia rilassate da stazione eretta, possiamo determinare la presenza di una scoliosi o atteggiamento scoliotico; con la rilevazione del gibbo costale nell’emitorace con curvatura scoliotica convessa. [2] Fig. 2
Fig. 2
Biomeccanica della Scoliosi
Alla base di tutto nelle problematiche di scoliosi c’è la rotazione vertebrale, che per alcuni autori è una inclinazione vertebrale con accentuata rotazione del corpo vertebrale, per altri ancora è un movimento autonomo, intrinseco della vertebra dovuto dalla deformazione stessa.
Perdriolle definisce rotazione specifica quella che una vertebra effettua su un piano, ed è effettuata sulle apofisi articolari in rapporto a determinati assi.
Nelle vertebre toraciche l’asse di rotazione si inscrive in un arco di circonferenza il cui centro è situato nel mezzo del piatto vertebrale della vertebra inferiore; stesso meccanismo nelle vertebre lombari, ma l’asse di rotazione è localizzato sul processo spinoso che comporta un movimento oscillatorio laterale del disco intervertebrale.
La rotazione di più vertebre sulle coordinate tridimensionali dà luogo ad una torsione del rachide che, sul piano frontale, determina una curva e, sul piano sagittale, sviluppa una rettilineizzazione e successivamente altre variazioni. Durante la rotazione vertebrale sul piano orizzontale il corpo della vertebra ruota in maniera maggiore verso la convessità rispetto all’arco posteriore che, a sua volta, ruota in maniera minore verso la concavità della curva scoliotica.
Questa situazione induce ad una deformazione poiché il movimento di rotazione, non essendo un movimento libero bensì frenato dalle apofisi articolari e dall’apparato muscolo-legamentoso, superato il valore fisiologico di rotazione, conduce la vertebra ad inevitabilmente andar in corso a deformazione con conseguente perdita dei rapporti di asimmetricità sull’asse antero-posteriore fra corpo e arco posteriore. In proiezione assiale l’emiarco posteriore risulta deviato con il processo spinoso che si orienta verso la concavità della curva.
Dallo stesso lato la lamina diviene più spessa, allungandosi, le apofisi articolari che si “cuneizzano” fino a solidarizzare. Dal lato convesso le apofisi articolari perdono la loro coartazione, il processo trasverso tende ad avvicinarsi a quello spinoso. In questa situazione, la compressione che scaturisce dalla forza peso, orientata nell’arco posteriore, si localizza esclusivamente sulla colonna articolare posta dal lato concavo dove, a livello di struttura vertebrale, troviamo la parte più debole per resistere a compressione, dunque più sollecitata ad incorrere a ulteriori deformazioni.
Le travate delle vertebre, infatti, si orientano in tre direzioni che formano un sistema principale e un sistema accessorio. Le travate del sistema principale, con orientamento verticale, sono localizzate sul corpo vertebrale, in maniera tale che la loro direzione continua da una vertebra all’altra. Queste travate hanno la capacità di sostenere le varie <<sollecitazioni a compressione>> date dalla forza peso e dai carichi aggiunti.
Quelle del sistema accessorio,invece, localizzate sulle apofisi con orientamento obliquo e orizzontale, sono deputate prevalentemente ad opporsi al movimento di torsione. Quindi nell’arco posteriore deputato ad opporsi ai movimenti di torsione,si aggiungono forze di compressione.
Il meccanismo descritto determina un rapido crollo della colonna posteriore, sottoposta a carico assiale, con conseguente aumento della curva scoliotica. Il corpo diminuisce il suo spessore dal lato concavo della curva scoliotica, la vertebra apicale devia moltissimo dalla verticale con inclinazioni dei piatti vertebrali sia sul piano frontale che su quello sagittale. Le forze verticali, sommate alle forze di rotazione, tendono a spostare i corpi vertebrali verso la convessità in rapporto direttamente proporzionale al grado della curva. Maggiore è la curva, maggiore è lo spostamento del corpo dal piano sagittale.
La forza-peso, gravando eccentricamente, non permette lo sviluppo simmetrico del corpo vertebrale, interessando sia il piatto superiore della vertebra inferiore sia il piatto inferiore della vertebra superiore. La pressione, che tende a cuneizzare la vertebra sul lato concavo della curva scoliotica, provoca il cosiddetto abbassamento trapezoidale di Delpech che continua fino al termine della crescita. Fig.3 Nelle scoliosi con curve accentuate, sul tratto che si pone in estensione, la forza peso, trasferendosi posteriormente, agisce in massima parte sulle articolazioni del lato concavo della curva. In questo nuovo assetto, il disco intervertebrale, già deficitario nella sua funzione, aumenta la sua cuneizzazione e perde completamente la funzione di cuscinetto elastico fra una vertebra e l’altra. Ciò fa sì che la forza di compressione non più ammortizzata e distribuita sulla superficie del corpo vertebrale si carichi direttamente sullo stesso, deformandolo.
Fig. 3 Nelle scoliosi irriducibili le alterazioni divengono permanenti e fanno degenerare il disco intervertebrale cui viene meno la capacità di nutrirsi.
Perdute le sue caratteristiche idrodinamiche, il disco agevola il carico assiale ad applicarsi su un punto della vertebra e a trasferirsi direttamente sulla parte della vertebra del lato concavo della curva. A livello toracico, la rotazione vertebrale, associata alla inclinazione laterale, coinvolge le coste che perdono la loro stabilità. Infatti, la rotazione dell’arco posteriore, a causa della conseguente deformazione dell’articolazione costo-trasversaria, deputata in gran parte alla stabilità e alla mobilità segmentaria del rachide, nonché alla stabilizzazione della gabbia toracica, induce le coste della concavità a chiudersi fino a risalire una sull’altra e quelle della convessità ad aprirsi, allontanandosi una dall’altra.
Le coste dal lato convesso,sostenute dalla forza di rotazione, sono costrette ad una spinta di orientamento antero-posteriore per cui si deformano, diminuiscono il loro raggio di curvatura posteriore e creano una salienza costale propriamente della “gibbo”.
Il gibbo aumenta in maniera direttamente proporzionale all’aumento dell’angolo di torsione del tratto toracico.
Le coste del lato concavo vengono sospinte in avanti da una forza rotatoria postero-anteriore che tende a ravvicinarle e a farle risalire una sull’altra e in molti casi a costituire una salienza ventrale. Questa azione porta il torace ad assumere una conformazione asimmetrica con un gibbo costale ed uno ventrale contro laterale e con lo sterno che si abbassa e si inclina. [3] Fig. 4 (a seguire)
Nella dinamica generale, il rachide ha possibilità di <<muoversi>> in flessione antero-posteriore, in flessione laterale e in torsione. Nella flessione del rachide in avanti e cioè estensione del rachide cervicale, flessione del rachide toracico, estensione del rachide lombare; in una colonna fisiologica, sul dorso della persona, si evidenziano solo salienze dei processi spinosi allineati in successione rettilinea, mentre in rachide scoliotico i processi spinosi, pur risultando allineati, evidenziano un allineamento curvo in rapporto alla scoliosi. Il movimento di flessione del busto sul piano antero-posteriore, nel portatore di scoliosi, provoca un aumento della rotazione delle vertebre con l’evidenza dorsale di un gibbo. Nella flessione del busto sul piano frontale, la colonna fisiologica mostra una certa flessibilità e regolarità ma senza rotazione dei corpi vertebrali, che può venir meno nel portatore di scoliosi. Nella corso della flessione sul piano frontale di un soggetto scoliotico, le forze vettoriali dei muscoli, dal lato convesso della curva, a causa di una variazione di corrispondenza inserzionale, possono agire come motori che peggiorano l’entità della curva.
Anche i muscoli superficiale della regione dorsale della concavità della curva: trapezio, romboide, gran dorsale; hanno una condizione di vantaggio meccanico per generare un’azione aggravante.
Quindi i muscoli dai due lati perdono la loro funzione e divengono agonisti nella rotazione.
Ad esempio nella teoria A. Michele si spiega che considerando il muscolo psoas iliaco e le sue eventuali alterazioni, risulta evidente come la sua azione unilaterale possa influire sull’equilibrio del rachide lombare e conseguentemente su quello del segmento sovrastante. Quindi l’eccessiva contrattura di uno psoas determina scoliosi.
Scoliosi Funzionali o Atteggiamenti Scoliotici
Le scoliosi funzionali sono quelle dovute ad alterazioni posturali, dismetria degli arti inferiori, fattori antalgici, altre incidenze, e vengono qualificate come atteggiamenti scoliotici in cui si rileva un disallineamento del rachide senza modificazioni delle componenti vertebrali. Questa flessione laterale del rachide qualificata come instabilità rachidea posturale, è talvolta di origine psicomotoria, cioè dovuta a una cattiva rappresentazione mentale delle proprie immagini corporee. Negli atteggiamenti scoliotici con origine monolaterale nel caso di correzione con un alzatacco la curva non sparisce immediatamente. Inoltre anche le retrazione muscolari e le affezioni vertebrali, lombalgie o altro, generano atteggiamenti scoliotici.
Le Scoliosi organiche o strutturali
Le scoliosi organiche o strutturali vengono distinte in:
- 80% dei casi sono Scoliosi idiopatiche: ad eziologia sconosciuta.
- 10% sono Scoliosi congenite: errori di “costruzione” o anomalie di formazione delle vertebre.
- 10% sono acquisite o secondarie a una patologia neuromuscolare: poliomielite, distrofie muscolari, ecc.
In questo studio verrà trattata esclusivamente la Scoliosi Idiopatica.
LA SCOLIOSI IDIOPATICA
Classificazione
La “scoliosi idiopatica” rappresenta il gruppo più cospicuo, circa l’80- 85% di tutte le scoliosi. Il termine è stato introdotto da Kleinberg (1922) e viene utilizzato per descrivere tutti i pazienti nei quali non è possibile identificare una patologia specifica e probabilmente nemmeno una causa unica, che dà origine alla deformità; infatti, essa compare in bambini apparentemente sani e può progredire in relazione a svariati fattori durante qualsiasi periodo di rapida crescita.
Grazie alla ricerca scientifica realizzata in quest’ultimo quarto di secolo, infatti, la deformazione vertebrale provocata dalla scoliosi appare sempre più come la punta di un iceberg, segno di una sindrome complessa ad eziologia multifattoriale, vero e proprio epifenomeno quindi di una patologia che ha origine lontano dalla colonna.
Possiamo classificarla:
1) In rapporto all’età di comparsa: età che può essere più o meno lontana da quella nella quale la malattia si è costituita. Si differenziano le scoliosi neonatali, infantili, giovanili, adolescenziali.
2) In rapporto alla sede della curva primaria: topografica. Si differenziano le scoliosi lombare, dorso-lombari, combinate dorsali e lombari, dorsali, cervico-dorsali.
3) In rapporto alla gravità, cioè all’entità della deviazione angolare della curvatura: angolare. Si differenziano scoliosi < 25°Cobb, tra i 25° e i 45° Cobb, >45°. Inoltre si afferma che non esiste un accordo su alcune soglie:
– scoliosi inferiore ai 10°: la diagnosi di scoliosi non andrebbe formulata;
– scoliosi superiore ai 30°: il rischio di progressione nell’età adulta aumenta, così come il rischio di problemi di salute e di una riduzione della qualità di vita;
– scoliosi superiore ai 50°: vi è un consenso circa il fatto che sia quasi certo che la scoliosi progredirà in età adulta e determinerà problemi di salute e una riduzione della qualità di vita. Sulla base di queste soglie, e prendendo in considerazione il fatto che l’errore di misurazione riconosciuto nella misurazione dell’angolo di Cobb è pari a 5°, vengono prese decisioni importanti. Queste includono la soglia generalmente riconosciuta per l’intervento chirurgico e cioè 45-50°. [4]
Anatomia patologica
Ogni localizzazione della scoliosi presenta caratteristiche anatomopatologiche elementari definibili attraverso i seguenti elementi:
– Curvatura principale o primitiva: è quella prodotta direttamente dall’agente eziologico responsabile della scoliosi. Essa può interessare ognuno dei tre distretti rachidei oppure ognuno dei loro tratti di passaggio. Presenta le maggiori alterazioni strutturali delle vertebre per cui è relativamente facile distinguerla dalle curve secondarie.
– La Curvatura secondaria o di compenso: è quella curvatura che si sviluppa nei tratti sopra e sottostante alla curva primitiva, al fine di compensare lo ‘‘strapiombo’’ vertebrale provocato da essa.
– Ogni curvatura presenta un vertebra apicale e due vertebre estreme. La vertebra apicale è la vertebra posta all’apice della curva, quella cioè che nel piano frontale è più distante dal normale asse rachideo. Essa presenta le maggiori alterazioni strutturali in quanto sottoposta a maggiori sollecitazioni.
– Sono dette vertebre estreme le vertebre poste ai limiti della curva. Ognuna delle due non rappresenta altro che la vertebra di transizione o vertebra neutra fra le due curve dirette in senso opposto.
– E’ poi presente la rotazione di tutto il tratto vertebrale interessato alla curvatura intorno all’asse longitudinale del rachide con torsione delle singole vertebre su se stesse: pertanto i corpi vertebrali si portano verso il lato convesso della curvatura mentre le spinose si portano verso il lato concavo.
– La Deformazione dei singoli corpi vertebrali si sviluppa per un danno prodotto sullo sviluppo endocondrale dalle sollecitazioni del carico che hanno agito asimmetricamente.
– Deformazioni del torace. Consistono nel gibbo costale posteriore che si sviluppa dal lato della convessità della curvatura dorsale per spinta, sulle coste, da parte delle apofisi trasverse delle vertebre dorsali che ruotano su se stesse. Al gibbo posteriore si accompagna, con uguale meccanismo, un gibbo anteriore che si sviluppa dal lato della concavità della curva dorsale.
– Modificazione degli organi endocavitari e quindi ipertrofia del cuore destro o stasi nel piccolo circolo; che si instaurano , nei casi più gravi , secondariamente alle descritte asimmetrie toraciche. Tutti suddetti reperti sono variamente presenti nelle diverse localizzazioni della curva primitiva, di quella curva cioè che dà il nome alla scoliosi in esame.
Nelle scoliosi lombari, si ha una curva principale estesa da D11 a L3 e con apice su L1 o L2; le curve di compenso, a grande raggio, si sviluppano nel tratto dorsale e, distalmente, a livello lombosacrale.
Nelle scoliosi dorso-lombari, di solito, c’è una curva molto ampia, estesa da D6-D7 a L2-L3, la vertebra apicale è rappresentata per lo più da D11 o D12, è frequente uno “strapiombo’’.
Nelle scoliosi combinate dorsali e lombari, si hanno due curve principali, disposte ad “S italica’’: quella dorsale si estende da D5 a D10, quella lombare da D11 a L3 con apice su L1-L2.
Nelle scoliosi dorsali la curva primitiva interessa in genere le vertebre dalla D4-D6 alla D11-D12; la vertebra apicale è la D8 e D9; si hanno due curve di compenso, una cervico-dorsale e una lombare.
Nelle scoliosi cervico-dorsali, molto rare, si ha una curva primitiva, a raggio piuttosto piccolo, estesa per cinque-sei vertebre e con apice sulla D1 o D2. [5] Fig. 5
Fig. 5
Progressione
La scoliosi idiopatica può svilupparsi in qualsiasi momento durante l’infanzia e l’adolescenza. Risulta essere più comune nei periodi di forte crescita: fra i 6 e i 24 mesi, fra i 5 e gli 8 anni, e fra gli 11 e i 14 anni di vita . Il tasso di sviluppo della curva vertebrale cambia più rapidamente all’inizio della pubertà. Tab. 6 (a seguire)
Lo scatto di crescita durante la pubertà inizia con un’accelerata crescita longitudinale degli arti, la quale provoca una sproporzione temporanea del corpo: arti lunghi e tronco corto. Successivamente, la crescita longitudinale si osserva anche nello scheletro assiale. Si tratta del periodo di più marcata progressione della AIS.
A circa due terzi del periodo che vede questo scatto di crescita puberale, le ragazze presentano il menarca, il quale indica una riduzione lenta e graduale del rischio di progressione della scoliosi.
Dopo il completamento della crescita vertebrale, il potenziale di progressione della scoliosi idiopatica è molto più basso. In età adulta, la scoliosi idiopatica può intensificarsi come risultato di deformità ossee progressive e di un cedimento del rachide. Questo fenomeno è riferito specialmente nella scoliosi superiore ai 50° Cobb, mentre il rischio di progressione inizia ad aumentare quando la curva supera i 30°; le curve della scoliosi idiopatica meno gravi spesso rimangono stabili. Nondimeno, il decorso naturale della scoliosi nell’adulto a oggi non è ben conosciuto ed è ancora possibile che la progressione possa presentare alcuni periodi di picco. [6]
Tab. 6
SCOLIOSI,SPORT E BENEFICI
Uno dei dubbi più frequenti riguarda la pratica di attività sportiva da parte degli adolescenti in relazione alla possibile insorgenza o al possibile aggravamento della scoliosi. Non abbiamo alcun motivo per vietare l’attività sportiva agli adolescenti con deformità vertebrali, stiano loro seguendo un trattamento conservativo o meno; ma lo sport non può essere considerato un trattamento. Nel momento in cui, quindi, viene accertata e diagnosticata una deformità vertebrale e si ritiene necessario procedere con un trattamento riabilitativo, non è corretto prescrivere solo la pratica di uno sport, qualunque esso sia, ma deve essere prescritto un trattamento specifico composto da esercizi e/o corsetto, in associazione alla pratica di uno sport, meglio se si tratti di pallavolo, basket e nuoto (allungamento), e non di impatto come rugby o bodybuilding. Meglio ancora programmi di stretching. L’importanza di questa combinazione è talmente importante a tal punto che sono stati messi a confronto un gruppo di pazienti con scoliosi idiopatica trattati con un protocollo conservativo (esercizi e/o corsetto) e un gruppo di pazienti che ha aggiunto l’esecuzione di uno sport allo stesso protocollo conservativo. I risultati migliori sono stati registrati nel secondo gruppo, soprattutto per i pazienti che indossavano un corsetto.
Quello che è stato dimostrato essere importante non riguarda tanto la scelta tra una disciplina sportiva e l’altra, ma la loro modalità di esecuzione in termini di qualità e quantità, naturalmente monitorati da personal training ben formati (vedesi specialisti in scienze motorie preventive e adattative). Troppo frequentemente ci si approccia all’attività fisica con carichi molto intensi, che possono innescare meccanismi di degenerazione articolare e quindi dolore, non solo a carico della colonna vertebrale ma anche delle altre articolazioni. Proprio il dolore è un importante campanello di allarme che ci avvisa che abbiamo superato il limite di carico, ma spesso i giovani atleti si trascurano o nascondono i propri disturbi a scopo agonistico, erroneamente convinti che un periodo di riposo o di riduzione dei carichi possa nuocere alle loro performance competitive. [7]
Di seguito è un articolo tratto da Pubmed, free , libero accesso (The National Center for Biotechnology Information advances science and health by providing access to biomedical and genomic information)
Physiotherapeutic Scoliosis-Specific Exercises for Adolescents With Idiopathic Scoliosis
J Bettany-Saltikov 1 , E Parent, M Romano, M Villagrasa, S Negrini
Affiliations Expand
- PMID: 24525556
Free article
Abstract : The use of exercises for the treatment of Adolescents with Idiopathic Scoliosis is controversial. Whilst exercises are routinely used in a number of central and southern European countries, most centres in the rest of the world (mainly in Anglo-Saxon countries), do not advocate its use. One of the reasons for this is that many health care professionals are usually not conversant with the differences between generalised physiotherapy exercises and physiotherapeutic scoliosis-specific exercises (PSSE): while the former are generic exercises usually consisting of low-impact stretching and strengthening activities like yoga, Pilates and the Alexander technique, PSSE consist of a program of curve-specific exercise protocols which are individually adapted to a patients’ curve site, magnitude and clinical characteristics. PSSEs are performed with the therapeutic aim of reducing the deformity and preventing its progression. It also aims to stabilise the improvements achieved with the ultimate goal of limiting the need for corrective braces or the necessity of surgery. This paper introduces the different ‘Schools’ and approaches of PSSE currently practiced (Scientific Exercise Approach to Scoliosis – SEAS, Schroth, Barcelona Scoliosis Physical Therapy School – BSPTS, Dobomed, Side Shift, Functional Individual Therapy of Scoliosis – FITS and Lyon) and discusses their commonalities and differences.
Riportiamo in questa sede altri articoli tratti da Pubmed e scaricabili per consultazione ed aprofondimento.
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Berdishevsky H, Lebel VA, Bettany-Saltikov J, Rigo M, Lebel A, Hennes A, Romano M, Białek M, M’hango A, Betts T, de Mauroy JC, Durmala J. Scoliosis Spinal Disord. 2016 Aug 4;11:20. doi: 10.1186/s13013-016-0076-9. eCollection 2016. PMID: 27525315 Free PMC article. Review.
Ng SY, Nan XF, Lee SG, Tournavitis N. Open Orthop J. 2017 Dec 29;11:1548-1557. doi: 10.2174/1874325001711011548. eCollection 2017. PMID: 29399228 Free PMC article. Review.
Negrini S, Zaina F, Romano M, Negrini A, Parzini S. J Rehabil Med. 2008 Jun;40(6):451-5. doi: 10.2340/16501977-0195. PMID: 18509560 Clinical Trial.
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Pugacheva N.
PREVENZIONE E RIEDUCAZIONE MOTORIA
Tralasciando tutto quello che non ci compete, come la diagnosi completa e gli esercizi per il trattamento di una Scoliosi Idiopatica, ci soffermiamo principalmente sul trattamento preventivo, che maggiormente ci interessa e sugli obiettivi della rieducazione motoria.
Il trattamento della scoliosi ripercorre tutte la fasi tipiche della prevenzione.
La prevenzione primaria: il “trattamento libero”
Quando la patologia è lieve, il trattamento è una forma di prevenzione primaria: il paziente, infatti, in realtà non è ancora tale, ma è solo portatore di un rischio di patologia.
Se infatti la maggior parte degli AA autorevoli nel campo ritiene che il danno anatomico, ossia una scoliosi superiore a 10°, sia il problema; noi riteniamo che la soglia di normalità vada spostata di molto in alto, vale a dire che quando compare il danno funzionale, quindi una conseguenza tangibile nella vita del paziente, il danno anatomico non viene infatti percepito e, peggio ancora, senza precrizione di radiografia; in tal modo non sarebbe neanche identificabile in tempo, sì da iniziare ginnastica posturale correttiva. Il danno funzionale, coincide con i 30° e quindi, dato l’errore insito nella misura, sino ai 25° il trattamento della scoliosi è di fatto il trattamento di un fattore di rischio di patologia, che si concretizza solo al superamento di questa seconda soglia, di 25°: danno funzionale, e non della prima, 10°: danno anatomico.
Questa fase terapeutica è stata definita come “trattamento libero” e riguarda la cosiddetta
scoliosi minore, dove comunque un dimorfismo vero esiste ed è a rischio tra 1 e 3% della popolazione. Essa non riguarda invece i paramorfismi, fino al 50% della popolazione, che nel
99% dei casi si risolvono semplicemente facendo sport.
La prevenzione primaria diviene poi terapia perché, si cura in questo caso un importante fattore di rischio primario: la scoliosi minore che in più del 15% dei casi diventa scoliosi maggiore. Questo momento è di pertinenza selettivamente educativa e storicamente ha sempre visto una sovrapposizione fra le figure professionali che se ne sono occupate: i terapisti e gli insegnanti di educazione fisica. Senza voler entrare in diatribe di ruolo va rilevato da un lato come si tratti di prevenzione primaria, dall’altro come sia anche un momento terapeutico.
Secondo noi di fatto entrambe le figure professionali possono e devono svolgere un ruolo, anche perché questo momento preventivo può e deve essere condotto in un piccolo
gruppo terapeutico: in questo caso spesso l’insegnante di educazione fisica ha maggiore capacità di gestione, mentre il terapista ha maggiore attenzione nei confronti del trattamento dell’aspetto patologico conclamato.
La prevenzione secondaria: il “trattamento ortopedico”
Un secondo aspetto è quello della prevenzione secondaria, vale a dire del trattamento per evitare i danni conseguenti alla presenza della patologia conclamata.
I confini possono essere fatti coincidere con un livello di patologia che comincia a far pensare
alla necessità di intervenire con un corsetto ortopedico.
È una fase terapeutica tipicamente a cavallo tra più competenze professionali mediche, anche
se classicamente è stata considerata di pertinenza ortopedica/fisiatrica, al punto che la definizione di “fase ortopedica” viene spesso ascritta più che al medico che se ne occupa che
all’ortesi che si deve utilizzare. Lo scopo primario in questa fase è quello di evitare l’aggravamento della scoliosi, quindi di curare la malattia, ma anche, purtroppo a volte dimenticato, di trattare le menomazioni, di evitare la disabilità e di prevenire così l’handicap.
Quindi, se l’elemento principe è l’ortesi, il trattamento delle menomazioni e delle disabilità sono tipiche dell’intervento riabilitativo, sia cinesiterapico che psicologico ed anche educativo.
La prevenzione terziaria: la riabilitazione del disabile
Infine, va considerata la prevenzione terziaria, spesso fatta direttamente coincidere “tout court” con la riabilitazione. Questo momento è tipico del recupero post-intervento e/o del superamento dei danni iatrogeni in età dell’accrescimento, nonché del trattamento della scoliosi dell’adulto.
Gli obiettivi fondamentali della rieducazione motoria si perseguono attraverso modalità terapeutiche, la cui realizzazione graduale e progressiva concorre ad ottenere i migliori risultati.
Nelle scoliosi minori a livello neuromotorio e biomeccanico si ricercano i seguenti obiettivi: – Sviluppo del controllo posturale – Sviluppo della stabilità vertebrale
Le modalità terapeutiche:
– La rieducazione posturale
Comprende la presa di coscienza del corpo, dei difetti e l’autocorrezione.
Scopo: far acquisire al soggetto una postura più corretta ed equilibrata del rachide.
– Il rafforzamento muscolare
Mira a sviluppare le fibre toniche dei muscoli antigravitari, a costruire il cosiddetto “corsetto muscolare” per stabilizzare la colonna.
– Lo sviluppo della reazioni di equilibrio
È rivolto a migliorare l’equilibrio assiale del tronco, statico e dinamico, con il rachide in postura corretta.
– La mobilizzazione
Si attua solo quanto è necessaria allo scopo di recuperare una mobilità articolare ridotta delle cinture, anca e cingolo scapolo omerale; è invece controindicata a livello del rachide, contemplata solo in preparazione all’ortesi o all’artrodesi.
– L’integrazione posturale
Comprende l’integrazione neuromotoria e l’educazione ergonomica.
Scopi: usufruire di un’immagine più corretta ed equilibrata del rachide; sviluppare la capacità
di rispondere con atteggiamenti funzionali corretti alle differenti richieste della vita di relazione.
A livello organico e psicologico gli obiettivi preposti consistono in:
– Sviluppo della funzione respiratoria: miglioramento della capacità vitale;
– Attivazione del metabolismo: sviluppo della capacità di sforzo;
– Sviluppo di un’immagine positiva del corpo.
Tali obiettivi si raggiungono sollecitando la pratica di attività motorie globali, anche di tipo
sportivo.
Nella scoliosi evolutiva gli obiettivi della correzione posturale e nella stabilità vertebrale sono qui realizzati dall’apparecchio o dall’artrodesi. Gli obiettivi sono:
– Eliminazione o riduzione dei danni da immobilità: ipotrofia muscolare;
– Riduzione dei danni dell’apparecchio: riduzione delle curve sagittali, deficit respiratori;
– Accentuazione delle spinte correttive dell’apparecchio.
Tali obiettivi si perseguono attraverso modalità terapeutiche specifiche, così suddivise nelle varie fasi del trattamento:
– In preparazione all’ortesi e all’artrodesi: la mobilizzazione vertebrale;
– In corsetto: lo sviluppo del trofismo muscolare, lo sviluppo respiratorio, l’accentuazione delle correzioni dell’apparecchio, la conservazione delle curve fisiologiche sagittali;
– In fase di liberazione: la riarmonizzazione posturale statica e dinamica.
Vi sono infine degli obiettivi generali che devono essere ricercati nel corso dell’intero periodo del trattamento ortopedico e chirurgico. Ci riferiamo, in particolare, all’attivazione delle funzioni organiche attraverso attività globali, anche di tipo sportivo, e alla sollecitazione psicologica del paziente e della famiglia a offrire la massima collaborazione durante la cura. [8]
IN CONCLUSIONE
Lo studio del fenomeno della deformità scoliotica idiopatica costituisce ancora oggi una delle grandi sfide che deve affrontare la biomeccanica ortopedica. Col procedere della ricerca, la comprensione della meccanica del fenomeno ha raggiunto un livello avanzato, anche se ci sfuggono ancora i veri motivi che portano all’innesco del prodursi di tale deformazione evolutiva.
Nel corso delle mie letture e delle informazioni ricercate nel campo della prevenzione, riabilitazione e rieducazione si è sempre riscontrato un problema comune con tutti i soggetti, a prescindere dall’età, ovvero la personalizzazione, non intesa come modifica esecutiva dell’esercizio in sé ma intesa come la scelta sul quale possa essere il miglior trattamento in quel caso specifico.
Tutti i metodi trattati hanno dei principi, alcuni sono revisioni di altri, ma si prefiggono tutti lo stesso obiettivo, ovvero trattare e curare una patologia ad eziologia sconosciuta che ha causato, può causare e tutt’ora causa deformità del tronco che portano disagio e problemi sociali.
Questo obiettivo può essere raggiunto anche mediante l’utilizzo di più tecniche, e si può dire anche che dal punto di vista del soggetto scoliotico, questa tipologia di lavoro potrebbe essere, o è sicuramente, più appagante e gratificante poiché offre maggiore libertà di movimento sul trattamento da eseguire.
Bibliografia
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“Noncontact sports participation in adolescent idiopathic scoliosis: effects on parent-reported and patient-reported outcomes”
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- () “Teoria, Metodologia e Didattica del Movimento Umano” (2016). ↑
- 2= (1) “Teoria, Metodologia e Didattica del Movimento Umano” (2016). ↑
- = (1) “Teoria, Metodologia e Didattica del Movimento Umano” (2016). ↑
- = (2) “La Scoliosi in età evolutiva: attualità e tecniche di trattamento a confronto” (1991). ↑
- = (3) “Linee guida SOSORT 2011: Trattamento ortopedico e riabilitativo per la Scoliosi Idiopatica durante la crescita” ↑
- = (3) “Linee guida SOSORT 2011: Trattamento ortopedico e riabilitativo per la Scoliosi Idiopatica durante la crescita” ↑
- = (4) “Noncontact sports participation in adolescent idiopathic scoliosis: effects on parent-reported and patient-reported outcomes” (2018) ↑
- = (3) ” Linee guida SOSORT 2011: Trattamento ortopedico e riabilitativo per la scoliosi idiopatica durante la crescita” ↑