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” FILOLOGIA CINESE E COREANA ” – DOTT.RE MARCO CALZOLI

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Redazione- Il cinese è un variegato numero di lingue appartenenti alla famiglia sino-tibetana, alla quale secondo alcuni appartiene anche il coreano.

Il cinese ha queste caratteristiche:

  • Non ha un alfabeto, ma un tipo di scrittura ideografica
  • Lingua isolante
  • Ordine delle parole nella frase: Soggetto-Verbo-Oggetto (SVO)
  • Caratteristica principale: grafemi (ogni sillaba è un grafema: una parola può avere una sola sillaba o essere formata da più sillabe)
  • Sillaba in due posizioni (iniziale e finale) + tonalità.

Invece il coreano ha questi tratti:

  • Ha un alfabeto (detto hangul)
  • Lingua agglutinante
  • Ordine delle parole nella frase: SOV
  • Caratteristica principale: particelle e desinenze verbali
  • Sillaba in tre posizioni (iniziale, mediana, finale).

I primi esempi di scrittura cinese li abbiamo durante la dinastia Shang (1751-1046 a.C.) dapprima su scapole di bovini e gusci di tartaruga e in seguito anche su bronzi. In seguito i cinesi adottarono listelle di legno e fogli di seta, mentre la carta era rara in quanto costosa.

Invece in Corea gli studiosi coreani hanno tradizionalmente adoperato i caratteri cinesi per la redazione di testi scritti adattandoli con vari sistemi (hyangch’al, idu, kugyol) alla grammatica, alla semantica e alla fonetica del coreano, una lingua polisillabica, agglutinante e quindi con molti suffissi. Non ci sorprende se i metodi applicati si sono rivelati simili a quelli adoperati nei primi poemi giapponesi, dal momento che le strutture sintattiche del giapponese sono assai simili a quelle del coreano e hanno indotto evidentemente a simili intuizioni linguistiche necessarie per ovviare alle incompatibilità del sistema di scrittura cinese. A partire dal 1443 la Corea si è dotata di un sistema alfabetico.

Una delle difficoltà i coreani hanno affrontato nel lungo processo di adattamento della scrittura cinese alla struttura coreana è sicuramente la trascrizione della lingua parlata (es. come faccio a trascrivere in cinese una sillaba doppia del parlato in coreano?). L’alfabeto serve proprio a questo, è un elemento contenente un insieme di lettere che graficamente permettono di trascrivere il parlato, crea un rapporto univoco tra parlato e scritto, tra fonema e grafema.

Inizialmente in Corea i supporti scrittori erano molto variegati, dalle tavolette di legno alla seta e altri ancora. Nella Corea antica non abbiamo testimonianze scritte su carta. Non solo era rara e costosa, ma anche particolarmente fragile e poco resistente all’usura del tempo.

Le mokkan (tavolette di legno) venivano usate per scopi amministrativi e statistici al posto della carta. Quelle ritrovate negli scavi di Ham’an (zona di Silla) superano le 300 unità, ricoprendo in questo modo quasi il 50% delle tavolette totali rinvenute. Sono una tra le testimonianze più antiche della pratica della scrittura in Corea, infatti sono rimaste delle tracce della scrittura con l’inchiostro su questi oggetti. Non sono tipiche della Corea, infatti ci sono anche in Giappone.

La storia della scrittura in Corea racconta la storia di una conquista culturale senza precedenti, e la storia della graduale ma definitiva affermazione dell’alfabeto su tutti gli altri sistemi scrittori adottati nella penisola coreana sia prima dell’invenzione dell’alfabeto coreano sia dopo. Racconta anche la storia di una prolungata fase di digrafia e/o poligrafia, che vede l’uso dei sinogrammi (caratteri cinesi) secondo varie modalità.

Tutto ha inizio in tempi remoti, non precisamente definiti da studi archeologici, ma che certamente corrispondono ai primi contatti che gruppi cinesi ebbero con i coreani quando alcune comanderie Han si stabilirono nel nord della penisola, intorno al II-III secolo prima dell’era cristiana. E tutto evolve e si sviluppa intorno ad alcuni importanti assiomi che rendono maggiormente significativa l’impresa svolta dai coreani verso la conquista della propria scrittura, la costruzione di un sistema scrittorio disegnato sulle necessità della lingua coreana, intesa non solo come sistema di suoni, ma anche di tutte le complesse regole morfosintattiche che ogni sistema linguistico possiede, e che lo contraddistingue da altri sistemi linguistici.

In tutto il periodo pre-alfabetico, che dura almeno quindici lunghi secoli – l’alfabeto viene promulgato da re Sejong, quarto sovrano della dinastia Chosŏn, nel 1446 – i coreani scrivono la loro lingua utilizzando i sinogrammi, come abbiamo accennato. Ma è chiaro fin dall’inizio ai coreani, che il sistema scrittorio preso in prestito non è sufficiente per esprimere integralmente le caratteristiche del vernacolare (coreano).

Va qui precisato che i coreani non sono l’unico popolo a utilizzare i sinogrammi per trascrivere la loro lingua, perché lo stesso fenomeno si riscontra anche in Giappone e in Vietnam, creando in questo modo ciò che viene definito dagli studiosi la sfera del Sinitico Letterario. Tale definizione vuole descrivere un “ecosistema” che assiste all’applicazione – e successivi vari adattamenti – dei sinogrammi ai diversi sistemi linguistici nazionali, e la formazione di sistemi paralleli che (pre)vedono contemporaneamente la presenza di due diversi sistemi scrittori (digrafia), di cui l’uno, superimposto (superimposed), che utilizza solo ed esclusivamente il Sinitico Letterario, l’altro vari sistemi di trascrizione in cui la natura dei sinogrammi viene modificata per essere adattata di volta in volta alle esigenze dei vernacolari da trascrivere.

Bisogna sottolineare subito anche l’immediata posizione di prestigio che assume il Sinitico Letterario in Corea, il quale finisce per identificarsi con la “scrittura vera” (chinmun), quella utilizzata, studiata, praticata e preferita dalle classi dominanti. Non solo ma in Corea fino al XV secolo (quando si introdusse l’alfabeto hangul) non vi era altra scrittura se non quella formata da sinogrammi.

L’impatto con la scrittura cinese presentò due direzioni per i coreani:

  • la produzione dei testi in sino-coreano, detto anche Sinitico Letterario (forma cristallizzata del cinese scritto che rimane fedele in tutte le epoche, diversamente del cinese parlato);
  • la trascrizione dei caratteri cinesi per il parlato in coreano, basato su elementi e principi di funzionamento diversi da quelli del cinese.

Per quanto riguarda la lingua coreana, secondo quanto attesta il Samguk sagi, nella Corea antica si parla di Chin’ŏn, (la lingua di Chin[han]), Kayaŏ (la lingua di Kaya) e Puyŏsogŏ (la lingua di Puyo), dove forse “sogŏ” sta a sottolineare proprio la dimensione del vernacolare. Tutte queste definizioni vedono la combinazione di -ŏn (lingua parlata), -ŏ (lingua) e -sogŏ (lingua parlata/vernacolare) alla definizione dello stato/regno cui si riferisce tale denominazione.

Nella storia della scrittura in Corea si identificano tre principali filoni:

  • Uso “proprio” degli hanja e dello hanmun. Hanja: parole, concetti. Riguardano il lessico (come le parole sul dizionario), non hanno alcun collegamento tra di loro. Hanmun: è l’insieme di questi hanja. Sistema che corrisponde ad un testo organizzato secondo regole sintattiche e morfologiche cinesi. Si tratta della produzione di testi in Sinitico Letterario.
  • Uso modificato degli hanja per rendere il coreano
  • Invenzione di una scrittura costruita sulla lingua autoctona (hyangch’al, idu, kugyol, alfabeto hangul). Queste tre modalità presentano alcune varianti, ma in linea di principio sono costanti e nei secoli appaiono anche in combinazione tra loro e alcune nello stesso periodo.

La scrittura cinese giunge sulla penisola coreana in epoca molto antica, si suppone tra i 2000 e i 2500 anni fa, e va a riempire un vuoto (secondo alcuni a soppiantare un sistema scrittorio preesistente, che però non è mai stato attestato attraverso fonti documentarie). I coreani ebbero a disposizione fin dall’inizio due modalità d’uso dei caratteri cinesi (sinogrammi) per scrivere in coreano prendendo i caratteri in prestito ma usandoli scegliendone:

  • il valore fonetico (p’yoŭmjŏk kinŭng)
  • il valore semantico (p’yoŭijŏk kinŭng).

Si tratta dell’uso modificato dei sinogrammi per rendere parole coreane. Facciamo un esempio dell’uso del valore semantico. Per trascrivere il morfema coreano mŭl viene usato il sinogramma (letto /su/), ma in questo caso non viene preso in considerazione il valore fonetico del sinogramma bensì il solo valore semantico per trascrivere la parola coreana per “acqua”.

Esistono anche altri esempi che illustrano i primi tentativi di andare oltre la semplice trascrizione di nomi, titoli o toponomastica, cercando di rendere in hanja intere frasi coreane. Il caso più famoso è quello della Stele della Promessa. Presenta 74 caratteri su cinque file, su una sola facciata. Lunghezza della stele circa 34cm, larghezza 12.5cm, la stele va restringendosi verso il basso. Scoperta nel maggio 1934 nei dintorni della città di Kyongju. A partire da questa stele si parla di avanzamento dei sistemi di trascrizione tramite l’uso di caratteri. Qual è il salto di qualità nel contenuto di questa stele dal punto di vista della toponomastica? Sono due:

  • Presenza di elementi grammaticali coreani
  • Ordine SOV del coreano e non più SVO del cinese.

La stele venne scoperta da un giapponese, Osaka Kintaro, che lavorava presso la sede di Kyŏngju del Museo del Protettorato Generale, e studiata l’anno dopo da Suematsu Yasukazu, docente di storia presso l’Università Imperiale Kyŏngsǒng (odierna Seoul), che pubblicò nel 1936 un articolo, il primo, sulla stele, contenente anche il testo originale, ottenuto con la tecnica del rubbing (t’akbon). Dalla stele emergono anche vari bisillabi in Sinitico, a dimostrazione che il cinese già all’epoca aveva messo radici profonde nella lingua coreana. Sulla datazione esistono varie teorie. Finora l’anno imsin (che compare nella stele) è stato considerato compreso tra il 552, il 612, il 672 e il 732. Nel periodo coloniale Suematsu sostenne che in base a quanto riferito nella stele doveva essere stata scolpita dopo l’avvio della Kukhak (la Scuola confuciana) a Silla (dunque dopo il regno di Sinmunwang). Pertanto la stele secondo lui doveva risalire o al 672 o al 732. La seconda era per lui la data più probabile, in quanto lo studioso suppose che il contenuto della stele lasciava presupporre un periodo di prosperità e stabilità che il regno conobbe solo al tempo di re Songdok.

Dopo la Liberazione, Yi Pyŏngdo sostenne in un altro articolo che la stele era di epoca assai precedente: 552 oppure 612. Secondo lo studioso i testi citati nella stele erano diffusi e letti tra le classi nobili molto prima della fondazione dell’Accademia Confuciana (Kukhak), l’ideologia che permeava la promessa della stele era tipica del sistema degli hwarang. Oggi, grazie a maggiori conoscenze sulle tecniche usate per incidere la pietra, è stato possibile dimostrare che la stele risale al 552.

In seguito venne introdotto il sistema hyangch’al. Sull’uso dei sinogrammi nel sistema hyangch’al bisogna dire questo: gli elementi semanticamente “portanti” sono posti in quella che nel coreano contemporaneo corrisponderebbe alla posizione della radice nominale o verbale, mentre gli elementi foneticamente significativi vengono post-posizionati rispetto ad essi. Questa è la prova di come il sistema sia il frutto di una importante riflessione sulla struttura della lingua coreana, sulle differenze dalla lingua cinese, e su quali strategie adottare per giungere a una trascrizione quanto possibile accurata del vernacolare, attraverso un sistema scrittorio completamente inadatto alle necessità della lingua coreana.

È possibile affermare che con lo hyangch’al ci troviamo in presenza di un sistema di trascrizione sia sillabico sia primordialmente alfabetico, in quella che si è rivelata essere una vera e propria rivoluzione nella strategia scrittoria della lingua vernacolare da parte dei coreani di epoca Silla ed epoche seguenti.

Ciò che purtroppo non è possibile valutare – a causa della forte limitazione delle fonti primarie in hyangch’al – è il grado di diffusione raggiunto dal sistema scrittorio in epoca Silla, anche se è plausibile pensare che fosse molto diffuso, grazie alla conoscenza che abbiamo – attraverso fonti secondarie – dell’esistenza di una grande antologia di hyangga, centinaia di poesie non solo di Silla, ma anche dei regni di Paekche e Koguryŏ, intitolata Samdaemok (Raccolta dalle Tre Epoche) compilata nel 888 dal monaco buddhista Wuihong e da Taegu Hwasang per ordine reale. Ne riferisce il Samguk sagi. L’antologia non è pervenuta fino a noi (sarebbe stata una splendida fonte di informazioni linguistiche e letterarie su un periodo storico della Corea segnato purtroppo da una grave mancanza di fonti primarie).

I motivi principali per cui l’alfabeto coreano è stato sottovalutato sono due:

  • Funzione conservatrice o “immobilista” del sistema burocratico, quindi mancato adeguamento al nuovo sistema di scrittura
  • Questione elitaria, volontà di mantenere il proprio status e immobilità sociale.

In questo contesto, l’Idu è una delle strategie scrittorie più interessanti, nonché importanti in quanto non si limita soltanto ad essere una trascrizione dal vernacolare ma una vera e propria costruzione di un sistema linguistico.

Il sistema idu venne usato in maniera assai diffusa fino alla fine del XIX secolo, quando entrò in uso il sistema misto kukhanmun (alfabeto+hanja/hanmun), e trovò applicazione nel caso di testi legali, amministrativi, di rapporti al re, di vendite di schiavi tra privati. Noti documenti in idu sono le transazioni di schiavi del Tempio Songgwang, di epoca Koryŏ, oppure le lettere che il principe Sohyŏn scrisse tra il 1637 e il 1644, indirizzate alla corte Chosŏn, durante la sua prigionia in Cina, all’epoca delle invasioni mancesi (fu preso ostaggio dai mancesi a metà del XVII secolo). Il carteggio risponde al nome di “Simyang changgye (10 libri in 10 volumi).

La definizione più antica viene dunque attestata nel Chewang un’gi, fonte di tarda epoca Koryŏ, ma gli studiosi ritengono che l’idu si sia venuto a creare in seno al ceto dei sori, ossia dei piccoli funzionari governativi, appartenenti alla classe sociale dei chungin. Secondo alcuni studiosi non esiste nel periodo precedente, dai tempi antichi a Silla Unificato, ma nasce da Koryo in poi, e l’intero processo di trascrizione del vernacolare in epoca Silla viene indicato col termine hyangch’al.

In realtà molti studiosi concordano sull’ipotesi che il sistema scrittorio idu cominci già a svilupparsi all’epoca dei Tre Regni, si rafforzi durante Silla Unificato e continui ad esistere ininterrottamente fino alla fine del XIX secolo. Hyangch’al e idu sarebbero dunque da considerarsi due sistemi diversi di trascrizione del coreano mediante l’uso di sinogrammi (ch’ajap’yogi), ma non due sistemi appartenenti a epoche diverse. Lo hyangch’al esiste e si sviluppa in epoca Silla, contemporaneamente al sistema idu, che però corre su binari diversi di applicazione. La notevole scarsità di fonti in hyangch’al non permette una piena valutazione delle possibilità di applicazione di tale sistema, ma in base alle fonti che ci sono pervenute è plausibile sostenere che fosse inteso esclusivamente come sistema di trascrizione di testi a valenza letteraria (i 25 hyangga pervenutici lo testimoniano). Il sistema idu si comporta in maniera diversa: pur rappresentando moltissimi elementi della lingua coreana e rispondendo a un ordine della frase coreano, si basa su un sistema misto di integrazione tra grammatica coreana e cinese, e per questo appare molto più legato alla lingua scritta, allo ‘stile della lingua dei documenti’ (munsŏch’e) che non a quella parlata, caratteristica che non lo rende particolarmente adatto alla trascrizione di testi dal vernacolare, né gli dona versatilità e leggerezza necessarie per la trascrizione di testi poetici della tradizione orale, come gli hyangga. La forte presenza di forme tipiche della lingua scritta e della microlingua che oggi definiremmo ‘burocratese’, fanno dell’idu anche il più longevo dei sistemi di ch’aja p’yogi, ma lo allontanano inesorabilmente dal patrimonio della lingua realmente parlata sulla penisola coreana.

L’idu è un’ottima fonte di informazioni anche per il coreano antico. Le caratteristiche dell’idu sono simili a quelle dello hyangch’al, ma mentre quest’ultimo veniva utilizzato per la trascrizione di testi poetici, l’idu ha trovato applicazione soprattutto in testi di prosa (intesa in senso lato). L’idu si serve dunque di morfemi composti da hanja letti secondo i rispettivi ŭm (lettura fonetica) e che conservano il loro significato, mentre tutte le particelle e le desinenze verbali sono trascritte allo stesso modo dello hyangch’al. Quindi, a parte questo modo di trattare i morfemi, si può affermare che il sistema idu è fondamentalmente simile al sistema hyangch’al. Inoltre, nel sistema idu non capita spesso, come nel caso dello hyangch’al, di assistere all’uso di complementi fonetici. In aggiunta, per trascrivere i morfemi con valore sintattico/grammaticale, l’idu usa i sinogrammi come se fossero simboli di un alfabeto sillabico. Anche questa è una novità nell’uso dei sinogrammi, è un’altra svolta rivoluzionaria nel cammino dei coreani verso la costruzione di una scrittura che soddisfi a pieno le necessità e le caratteristiche della loro lingua.

Con il termine kugyǒl si intende fare riferimento a un sistema grafico di abbreviazioni indicanti posposizioni nominali o desinenze verbali di tipo finale o prefinale. Tali grafemi sono semplificazioni di sinogrammi aggiunti a un testo interamente in hanmun, organizzato anche in ordine sintattico dello hanmun, che il kugyǒl non va a intaccare/modificare. La presenza delle abbreviazioni mira a permettere una più agile lettura di testi di difficile approccio, come i testi buddhisti e confuciani, e il suo uso sia iniziato già in epoca Koryǒ. Il kugyol è un ausilio alla lettura. Il testo rimane in hanmun ma accanto vengono messo queste glosse che stanno a indicare a chi legge l’ordine di lettura. Partendo da questa distinzione, noi abbiamo l’ordine coreano (hyangchal, idu e hangul) e non coreano che è il kugyol (cinese).

Nel nostro caso specifico, la nascita del sistema kugyŏl è attestata in ambienti buddhisti, e il legame buddhista esiste anche – inequivocabilmente – nella pratica e, molto probabilmente, nell’ideazione dello hyangch’al: tutti i testi fino a noi pervenuti sono attestati in fonti legate al buddhismo, sia nel caso in cui sono state scritte da un monaco buddhista (il Samguk yusa dal monaco Iryǒn) sia nel caso in cui sono di argomento buddhista – il Kyunyǒjǒn, Vita del monaco Kyunyǒ. Entrambi i testi citati contengono gli unici 25 esemplari di hyangga (poesie in hyangch’al) a noi pervenuti.

Comprendere il funzionamento del sistema scrittorio kugyǒl – come del resto degli altri sistemi prealfabetici – permette di comprendere e dimostrare il lungo percorso fatto da una nazione verso la conquista di un sistema scrittorio unico e accessibile a tutti. Il sistema kugyǒl è generalmente descritto come un sistema che prevede l’inserzione – in un testo interamente in hanmun – di particelle con funzione grammaticale, ma ulteriori conoscenze, susseguite a scoperte di nuovi testi dal 1990 in poi, hanno permesso di aggiungere nuovi dettagli allo studio di questo particolare sistema di scrittura, tanto da arrivare a individuare diverse modalità di annotazione nei testi (terminologia Lee Yong):

  • ŭmdok kugyŏl (=transliteration kugyŏl)
  • sǒkdok kugyǒl (=translation kugyŏl).

Il secondo è più antico rispetto al primo. Inoltre, esiste anche il cosiddetto chŏmto sŏkdok kugyŏl (translation kugyŏl mediante l’aggiunta di punti e segni fatti con uno stilo, si pensa di legno o di bambù).

Il termine kugyŏl ha due significati. Uno si riferisce ai grafemi usati nei testi kugyŏl, l’altro ai testi con annotazioni kugyŏl. Nel primo caso si intende per kugyŏl i marcatori aggiunti a testi in hanmun (Chung, 2003). In Corea, nel leggere testi in Sinitico letterario, tali marcatori rappresentavano un ausilio di lettura, in quanto indicavano l’ordine di lettura e il ruolo delle diverse parti della frase relative a ogni specifico marcatore. Tramite i marcatori kugyŏl il lettore sapeva dunque in che ordine leggere il testo, e gli venivano forniti elementi per poterlo comprendere (tradurre). Questo tipo di kugyŏl serviva dunque per leggere e comprendere i testi in hanmun (Kim, 2001). Solitamente un segno in kugyŏl derivava da un sinogramma, ne diventava, graficamente, la semplificazione nella forma.

Come abbiamo detto l’alfabeto coreano viene ideato a partire dal 1443, nel corso del regno di Sejong, re e illustre mecenate del periodo Choson. Inizialmente l’alfabeto era detto hunmin ching’um (Suoni corretti per istruire il popolo) che dava anche il titolo al testo della sua promulgazione. Era corredato da un libro esegetico, lo Hunmin chong’um haerye (Spiegazioni ed esempi dei suoni corretti per istruire il popolo), rinvenuto solo a partire dal 1940.

Al momento della sua invenzione l’alfabeto aveva 28 lettere, poi ridotte a 24 come conseguenza del disuso di alcuni suoni della lingua. Esso è meglio conosciuto con l’espressione hangul, attribuitogli nel 1910 dal linguista Chu Sigyong.

Nel libro esegetico compare il concetto di Eum, che noi traduciamo come “suono”, in realtà in questo piccolo trattato di fonetica che Sejong scrive c’è la contrapposizione tra il Ja che corrisponde al grafema e il concetto di Eum che rappresenta il livello fonetico ma anche grafico, nel senso che comprende l’intera sillaba. Noi non possiamo tradurre il termine Ja come “sillaba” bensì come “grafema” che però in cinese corrisponde anche al Ja del carattere, quindi è un grafema indipendente. Ma questi Ja non possono stare isolati, hanno cioè bisogno di essere combinati. Allora si combinano in senso orizzontale o verticale e necessariamente per formare un Eum e questo Eum è il significato complessivo sia grafico che fonetico della sillaba.

Poi c’è il riferimento ai toni. Nel coreano medievale, quello che parlava Sejong, i toni esistevano in tutto il paese, il middle korean era una lingua anche tonale. Questi toni adesso non esistono più, se non in alcune realtà dialettali sia a Nord nella zona smilitarizzata sia a Sud nel Kyongsan-do. A parte questi casi, i toni sono completamente scomparsi nella lingua coreana attuale.

Circa la creazione dell’alfabeto coreano esistono tre teorie:

  • Re Sejong come unico inventore dell’alfabeto (con l’aiuto del figlio Munjong);
  • Il sovrano coopera con gli studiosi per inventarlo;
  • Gli studiosi sono gli unici creatori dell’alfabeto dietro comando del sovrano.

L’articolo di Jaehoon Yeon (Was the Korean alphabet a sole invention of King Sejong?) raccoglie tutte le testimonianze a favore di una o l’altra teoria e conclude con la sua tesi (sostenuta da tanti studiosi): lo studioso è convinto sia stato proprio il re Sejong, massimo studioso, ad inventare l’alfabeto.

La parte d’introduzione dell’articolo indica che la coniazione della parola Hangeul sia stata nel 1912 (nonostante molti articoli riportino altre date di coniazione). La definizione di “most scientific system of writing in the world” deriva da Reishauer e Fairbank ed è una dichiarazione del 1960, invece Fritz Vos (un importante coreanista e nipponista) nel 1963 lo descrive come “the world’s best alphabet” (questi sono gli anni nei quali prende abbastanza piede lo studio del coreano in Europa).

In base alle diverse prove contrastanti, è difficile capire quale sia la teoria migliore. Sappiamo però che Choe Malli, a corte quando Re Sejong promulga l’alfabeto, si oppone alla creazione dell’alfabeto. Choe Malli, il vice direttore del Chipyonjeon, ricopriva una posizione abbastanza alta in questa assemblea dei virtuosi. Eppure lui non sapeva nulla fino a che non fu annunciata nel 1443. Il fatto che nessuno sapesse nulla, nemmeno Choe Malli, ci fa capire che il re abbia lavorato nella massima segretezza. Ed è lecito chiedersi: perché il re ha lavorato segretamente se era assistito da un gruppo di studiosi? È probabile quindi che il re abbia lavorato segretamente perché ha lavorato individualmente, senza l’ausilio degli studiosi. Inoltre, se la conoscenza di questo alfabeto fosse avvenuta prima, Malli non avrebbe aspettato il 1443, che è la data di promulgazione dell’alfabeto, per opporsi.

Bibliografia

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Marco Calzoli è nato a Todi (Pg) il 26.06.1983. Ha conseguito la laurea in Lettere, indirizzo classico, all’Università degli Studi di Perugia nel 2006. Conosce molte lingue antiche e moderne, tra le quali lingue classiche, sanscrito, ittita, lingue semitiche, egiziano antico, cinese. Cultore della psicologia e delle neuroscienze, è esperto in criminologia. Ideatore di un interessante approccio psicologico denominato Dimensione Depressiva (sperimentato per opera di un Istituto di psicologia applicata dell’Umbria nel 2011). Ha conseguito il Master in Scienze Integrative Applicate (Edizione 2020) presso Real Way of Life – Association for Integrative Sciences. Ha conseguito il Diploma Superiore biennale di Filosofia Orientale e Interculturale presso la Scuola Superiore di Filosofia Orientale e Comparativa – Istituto di Scienze dell’Uomo nel 2022. Ha dato alle stampe 43 libri di poesie, di filosofia, di psicologia, di scienze umane, di antropologia. Ha pubblicato anche molti articoli.

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