DISTURBO NARCISISTICO DELLA PERSONALITA’-DOTT.SSA ANTONELLA FORTUNA
Asse II
Cluster B
Criteri diagnostici (almeno 5):
- senso grandioso di importanza;
- è assorbito da fantasie di illimitato successo, potere, fascino, bellezza, amore ideale;
- crede di essere speciale ed unico, di poter frequentare o essere capito da persone altrettanto speciali ed uniche;
- richiede eccessiva ammirazione;
- ha la sensazione che tutto gli sia dovuto;
- sfruttamento interpersonale;
- mancanza empatia;
- spesso invidioso degli altri o crede che gli altri lo invidino;
- mostra comportamenti arroganti o presuntuosi.
Due tipi di disturbi narcisistici:
Redazione-Il narcisismo è una istanza psichica strettamente collegata con la formazione dell’Io e l’identità del soggetto. E se l’Io è la funzione che collega l’individuo con l’esterno, il narcisismo rappresenta l’istanza fondamentale che regola quella continua necessaria tensione del soggetto tra il desiderio-bisogno di rapportarsi con l’altro, che implica la dipendenza, ed il desiderio-bisogno di essere riconosciuto, che implica l’identità e l’autonomia.
Quindi il narcisismo attiene alla costituzione del soggetto, al rapporto di questi con l’altro e quindi implica necessariamente il desiderio.
Il narcisismo assume nel modello di Otto Kernberg un ruolo centrale per la sua stretta connessione con il tema delle relazioni oggettuali; infatti, Kernberg ipotizza uno sviluppo simultaneo e correlato del narcisismo e della relazione oggettuale, che si riflette, nei casi di disturbi narcisistici del carattere, nell’instaurarsi non solo di un narcisismo patologico ma anche di relazioni oggettuali patologiche.
Aspetto fondamentale del tema del narcisismo, così come viene definito da Kernberg, è la differenza sostanziale tra il narcisismo normale (infantile o tratto di personalità nell’individuo adulto) e il narcisismo presente nei pazienti con una personalità narcisista, in questo ultimo caso il narcisismo assume una connotazione strettamente patologica.
Egli sostiene, infatti, che il narcisismo dei pazienti affetti da disturbo narcisistico di personalità sia qualitativamente e quantitativamente diverso sia da quello presente sia negli individui sani, sia dal narcisismo primario infantile (che come ricordiamo nel modello di Kernberg prevede già la presenza di oggetti interiorizzati).
Il narcisismo patologico non riflette semplicemente l’investimento libidico sul Sé, ma l’investimento libidico su una struttura patologica del Sé (il Sé grandioso);
Il Sé grandioso patologicamente coeso è costituito dalla condensazione di immagini oggettuali idealizzate e di ideali dell’Io, che invece normalmente vengono integrati nel Super-Io. Accanto al Sé grandioso patologico si sviluppano quindi un Super-Io scarsamente integrato, dei confini tra Io e Super-Io scarsamente definiti in alcune sfere, e una svalutazione ampia e devastante degli oggetti esterni e delle loro rappresentazioni, dovuta alla dissociazione e/o rimozione degli aspetti inaccettabili del Sé reale.
Il mondo intrapsichico dei pazienti narcisisti è popolato soltanto dal loro Sé grandioso, da immagini svalutate del Sé e degli altri, dai precursori sadici del Super-Io e da immagini primitive distorte sulle quali è stato proiettato un intenso sadismo orale.
I meccanismi di difesa e le resistenze sono specifici, originati da sottostanti conflitti prodotti da collera e invidia orali, che si riflettono nella traslazione che si sviluppa nel corso del trattamento. Il sistema difensivo è la scissione, quella stessa che, fisiologica nel primo anno di vita per la congenita incapacità integrativa dell’Io, diventa, se protratta nel tempo, il meccanismo psicopatologico primario ed originario del paziente borderline, nel senso che molte delle peculiarità di questa patologia sono dirette derivazioni della scissione. La scissione è caratterizzata da una totale sconnessione emotiva tra stati contraddittori dell’Io, in particolare l’esperire in modo totalmente scisso percezioni idealizzate e persecutorie nelle relazioni oggettuali. E fin quando la scissione permane, si disinnesca l’emergenza dell’angoscia, beneficio che viene pagato con una serie di gravi problematiche relazionali.
Altri meccanismi difensivi primitivi sono l’idealizzazione, che nasconde dinamiche ostili e di invidia, la negazione, l’onnipotenza e l’identificazione proiettiva; l’identificazione proiettiva è costituita dalla tendenza inconscia a indurre, nell’altro significativo, atteggiamenti o reazioni dovute alle proiezioni di parti del Sé prevalentemente negative e aggressive, e poi a controllare l’altro che si suppone funzioni sotto il dominio di queste proiezioni.
Nella situazione terapeutica il paziente narcisista mostra un tipo di idealizzazione nei confronti dell’analista di natura totalmente diversa dai pazienti nevrotici o dai pazienti casi al limite: per i nevrotici l’idealizzazione dell’analista rappresenta l’immagine parentale buona; per i casi al limite l’idealizzazione dell’analista è di natura primitiva e rappresenta un’immagine non realistica, completamente positiva; nei pazienti narcisisti, invece, l’idealizzazione dell’analista altro non è che un’estensione della propria grandiosità: l’analista è una parte di sé, una figura autosservante, un’appendice, un satellite.
Il Narcisismo come modalità interattiva
(Mitchell)
In tale prospettiva si colloca il contributo di Stephen Mitchell, portavoce della moderna prospettiva relazionale. In questa visione il conflitto ed il blocco evolutivo non sono processi indipendenti, ma dinamiche in interazione continua: “i deficit evolutivi originari portano a desideri e fantasie che diventano conflittuali; tali conflitti, a loro volta risultano ostacoli importanti nel realizzare le esperienze evolutive necessarie e (…) producono fantasie conflittuali”.
La nuova concezione di psicopatologia risiede nel fatto che le configurazioni psicopatologiche hanno origine nella ripetizione di modelli relazionali inadeguati, appresi durante l’infanzia e perpetuati come unica modalità interattiva. Secondo Mitchell, dietro un atteggiamento apparentemente passivo si nasconde un attaccamento segreto a tali modelli, prevalentemente inconscio, ma sentito come necessario (Mitchell, 1988).
La psicopatologia riflette una profonda fedeltà nei confronti di modelli interpersonali che, sebbene in maniera deviata, hanno permesso fino a quel momento all’individuo una connessione con gli altri. All’angoscia per la perdita del Sé si preferisce rimanere incastrati in relazioni inappaganti, ma “certe”.
Mitchell sottolinea la funzione del narcisismo: quella di perpetuare modelli stereotipati di relazione, pattern relazionali ereditati dal passato. Mentre Freud spiegava il narcisismo in termini di ritiro libidico, Kernberg e Kohut in termini di deficit strutturali, per Mitchell non si tratta né di difesa, né di riparazione, ma di una messa in atto di pattern relazionali appresi, a causa della funzione psicologica adattiva dell’esperienza della “continuità”.
Le illusioni sono considerate l’unica forma di interazione nella quale il soggetto riconosce se stesso come “continuo” e le illusioni diventano il prezzo da pagare per questo. Questa modalità interattiva si è appresa nella relazione con i genitori, i quali non hanno avuto la capacità di godere delle illusioni per poi disimpegnarsi da esse. Più il genitore è dipendente dalle illusioni, più esse diventano inevitabili per il bambino, il quale avverte che l’unico modo per entrare in contatto con il genitore è partecipare alle sue illusioni (ad es. essere perfetto). In simili circostanze sostenere le illusioni genitoriali diventa la base della stabilità e del mantenimento del legame con gli altri. Le illusioni diventano il prezzo da pagare per il contatto e la relazione.
Il volo conferito da queste illusioni porta il soggetto in una situazione di “non-autenticità”, ma esso è anche l’unico modo di essere che la persona conosce e, soprattutto, nel quale si riconosce. La natura ripetitiva delle illusioni dipende, quindi, dal bisogno relazionale. Vengono quindi prese in considerazione le illusioni narcisistiche soprattutto nel loro ruolo interattivo. Questa visione considera i transfert narcisistici come strategie di legame, tentativi di entrare in contatto con la figura del terapeuta, secondo paradigmi di relazione ereditati dal passato.
Il paziente chiede di entrare in contatto nel modo consciamente e, soprattutto, inconsciamente desiderato.
Il paziente cerca qualcosa di nuovo secondo modalità antiche: proprio in questa situazione di “coinvolgimento” che il terapeuta si differenzia. Non perché non cade nella trama relazionale dell’analizzando, ma perché lo fa volontariamente, consciamente. “La partecipazione del terapeuta alla creazione dell’integrazione narcisistica, la messa in questione delle illusioni, è essenziale alla dissoluzione di questa integrazione e alla creazione di una forma più ricca di relazione”. Lo scopo è, dunque, quello di ampliare gradualmente il repertorio dei legami possibili, di trasformare le illusioni da l’unico mezzo che si consce per entrare in relazione con gli altri, ad una delle tante modalità che possono arricchire una relazione.
Comorbilità : narcisismo e tossicomania
La grandiosità, l’autosufficienza, l’immobilismo, sono le caratteristiche espresse dal mito di Narciso, chiuso in una sorta di coscienza tossica che gli impedisce il rapporto con gli altri e il superamento dei confini dell’Io tramite la ricerca del sé. Un eroe al contrario come lo descrive Hillman, che più che agire, subisce passivamente e trae valore dall’entità delle sue stesse ferite, per cui al polo depressivo si unisce l’oralità maniacale, la fretta, l’avidità, il desiderio di bruciare le tappe, l’impazienza e la velocità: “…la visione della meta da raggiungere e la meta stessa sono una cosa sola…” poiché il puer “non conosce le stagioni e l’attesa…” . In tal senso la tossicodipendenza permette l’instaurarsi di una condizione di autosufficienza, dove l’oralità si esprime nell’assunzione della sostanza psicotropa, “oggetto ideale” che elimina qualsiasi altro bisogno orale. La “pelle – prosegue Hillman – è troppo sottile per la vita reale…” e ciò impedisce di contenere e trattenere, così l’“oggetto” non è mai completamente posseduto e interiorizzato ma va continuamente assunto; nel tossicodipendente – scrive Rossi – “…la sedazione della sete è connessa al fatto di star bevendo, non al fatto di aver bevuto; non c’è serbatoio, non c’è riserva, solo l’atto del rifornimento dà garanzia di sicurezza”. Hillman descrive il puer come affetto da “emofilia psichica” senza alcun potere di coagulazione, un “vaso che perde” e Satinover sottolinea l’importanza di introiettare l’oggetto allo scopo di mantenere un senso di identità stabile. Kohut sostiene che i tossicodipendenti utilizzino la sostanza psicotropa come “sostituzione di una funzione che la struttura psichica è incapace di svolgere”.
Meltzer definisce la tossicodipendenza “un tipo di organizzazione narcisistica delle strutture infantili che indebolisce e può totalmente eliminare la parte adulta della personalità dal controllo del comportamento” (16). La struttura interna del tossicodipendente è costituita da parti “buone” del sé tenute in stato di passività (opposta a dipendenza) nei confronti di parti “cattive” del sé. Tale “asservimento a modalità ciniche di pensiero” può trovare espressione “nella perversione di qualsiasi modalità di relazione o di attività nel mondo esterno”.
La comorbilità tra disturbo narcisistico di personalità e abuso di sostanze psicostimolanti è sostenuta da numerosi studi clinici. La dipendenza da cocaina risulta più frequente tra i disturbi del cluster B soprattutto per la difficoltà di regolazione della vita emotiva-affettiva.
Il paziente narcisista si rivolge ad un terapeuta spesso solo nell’estremo tentativo di non perdere gli affetti o quando sperimenta un reale fallimento dell’onnipotenza, causato dall’incapacità di ottenere oggetti desiderati. Inizialmente egli presenta una modalità autocelebrativa, chiede cioè aiuto, ma ritiene di non averne bisogno. Il vissuto controtransferale è di noia e di inutilità e genera una situazione di stallo, che può andare avanti anche per un anno fino a che il paziente non sperimenta la sensazione, mai provata, di non avere più nulla da dire. In altre parole sperimenta per la prima volta la sensazione di un limite interno che gli provoca una profonda frustrazione. La percezione del limite rappresenta un segnale di progressione perché rompe la situazione di stallo che si era venuta a creare nella prima fase del trattamento. Dal punto di vista terapeutico è importante non spingere il paziente verso direzioni che non può ancora tollerare perché incapace di confrontarsi con lo scarto tra reale e ideale. Quindi appare necessario che il terapeuta si astenga da qualsiasi interpretazione dal momento che essa implica un rapporto di asimmetria, inaccettabile per il paziente che, al contrario, cerca di strutturare una relazione simmetrica, amicale che, da una parte “neutralizza” la professionalità del terapeuta, dall’altra rinforza la sensazione di onnipotenza del paziente. Quando il paziente conclude la fase autocelebrativa e sperimenta la frustrazione del limite, si possono avere diversi possibili esiti: la fuga, intesa come interruzione della terapia, un tentativo estremo di recuperare l’originaria onnipotenza oppure l’instaurarsi di una vera e propria depressione narcisistica, che per altro
implica problematiche totalmente differenti da quelle relative alla depressione melanconica. Infatti il trattamento del disturbo narcisistico di personalità richiede una diagnosi differenziale rispetto al disturbo depressivo. Questo infatti è caratterizzato principalmente da vissuti di colpa dal momento che la responsabilità viene introiettata, mentre la depressione narcisistica deriva dalla percezione dello scarto fra
reale e ideale quindi prevale la vergogna e la colpa viene proiettata all’esterno. Nel processo terapeutico si sviluppa il transfert che è il vero motore della terapia, e nel trattamento del paziente narcisista l’assenza di transfert è il vero e proprio transfert. Infatti, per questi pazienti, il problema è stabilire relazioni significative, perché non possono tollerare di dipendere dall’altro e, alla fine, risulta accettabile solo la possibilità di parlare di relazioni extra-transferali.
I due paradigmi cardine della letteratura psicodinamica sono quelli proposti da Kohut e Kernberg, i quali inquadrano due tipologie di Narcisismo molto differenti fra loro ma che mantengono, come elemento comune, il tentativo di evitare il fallimento dell’onnipotenza narcisistica .
Viene, infine, sottolineata la relazione fra assunzione di sostanze psicostimolanti (Cocaina ed anfetamine) e narcisismo. Tali sostanze hanno la funzione di mantenere o enfatizzare le caratteristiche della personalità narcisistica e vengono erroneamente vissute come oggetti più affidabili dei supporti narcisistici esterni impossibili da controllare. Tale convinzione implica l’incapacità di riconoscere consapevolmente la dipendenza dalle sostanze. Da ciò consegue che dal punto di vista terapeutico risulti utile considerare l’interpretazione cognitiva delle difese innalzate dal paziente come elemento fondamentale per promuovere una prima consapevolezza di sé e della propria tossicodipendenza.
Paradossalmente con questi pazienti ciò che definiremmo un punto di partenza, appare invece un’importante fase del trattamento, quasi un punto di arrivo, in quanto l’accettazione della propria condizione di dipendenza presuppone l’aver già superato la fase in cui il paziente opera infiniti tentativi per restaurare i supporti narcisistici ed aver integrato le parti generalmente scisse del sé.
In conclusione
La mancanza di sensibilità verso gli altri è una caratteristica basilare di chi soffre di questo disturbo.
Questi pazienti mancano completamente di empatia.
La convinzione che le proprie esigenze vengano prima di ogni cosa, muove tutto il mondo emotivo e cognitivo. Il portatore di dist. di pers. Narcisistica è fortemente a rischio di sviluppo di disturbi ti tipo depressivo quando , in ambito lavorativo o sentimentale, non venga rimandata quell’immagine di superiorità da lui ricercata.
Nell’ambito terapeutico, difficilmente si percepiscono come “pazienti”, anche quando accedono a specialisti per un percorso di cura. La priorità inconsapevole, appare quella di ottenere dal rapporto con l’altro riconoscimento e nutrimento per il proprio sé.
L’altro viene tollerato solo “in funzione di”, non in quanto individuo separato “per quello che è” .
La relazione tra terapeuta e paziente, oscilla tra grandi distanze e pericolose vicinanze, tra monologhi che mettono tacere l’altro e la ricerca di vicinanza fusionale, attraverso la richiesta di attenzioni particolari ed esclusive.
Il trattamento
(terapia farmacologica, la psicoterapia individuale e la psicoterapia di
Gruppo)
La terapia farmacologica per il controllo dei sintomi viene spesso disattesa dal paziente, o seguita
con discontinuità, o abbandonata al primo lieve segnale di miglioramento.
Il paziente non riconosce il ruolo del medico psichiatra e non riesce a fidarsi né ad affidarsi: può
proporre dunque modalità adesive e compiacenti, che non vengono poi tradotte in un coerente
comportamento di cura; modalità aggressive e svalutanti di sfida aperta; modalità idealizzanti, che
esaltano (temporaneamente) l’unico medico in grado di curare un caso tanto eccezionale, a
differenza dei precedenti, tutti ugualmente incompetenti.
La psicoterapia individuale risente delle medesime difficoltà.
I pazienti possono presentare caratteristiche e stili di vita anche molto differenti tra loro, ma sembrano accomunati dal portare nella stanza della psicoterapia idealizzazioni e svalutazioni intense, di sé come del terapeuta, che rendono lento, problematico e discontinuo l’instaurarsi di un’autentica alleanza terapeutica. A volte tale alleanza non può essere raggiunta.
Il Sé grandioso del paziente può quindi manifestarsi sia attraverso atteggiamenti sprezzanti, sia con
modalità richiedenti e controllanti: il comportamento del terapeuta viene costantemente interpretato
.in funzione. della propria persona. Nel vissuto del paziente, ogni gesto del terapeuta può avere un
preciso significato collegato a sé: per esempio, cercare una sistemazione più comoda sulla propria
poltrona può venire letto dal paziente come disinteresse al proprio racconto.
Tali modalità relazionali suscitano nel terapeuta un’ampia gamma di sentimenti e vissuti, che
spaziano dalla rabbia all’accudimento, dalla noia e dal rifiuto al tentativo di proporsi in qualità di
figura genitoriale riparatoria.
L’idealizzazione può inoltre offrire una via rapida, quanto ambivalente, alla soddisfazione dei tratti
narcisistici del terapeuta stesso. Per quanto riguarda invece le parti non tollerabili che il paziente
proietta su di lui e l’intensa distruttività, possono a volte essere metabolizzate e rimandate al paziente, diventando occasioni importanti per un migliore riconoscimento di sé e del terapeuta
inteso come “altro”, con bisogni, desideri, gesti separati ed indipendenti.
La psicoterapia di gruppo sembra poter offrire una buona possibilità per i pazienti con una psicoterapia individuale in corso: le dinamiche di gruppo diluiscono i transfert negativi del paziente e i vissuti controtransferali del terapeuta. I vantaggi possono essere riassunti nel confrontarsi con la difficoltà a ricoprire “un” posto nel gruppo (e non “tutto” il posto), così come nei feedback relativi alla propria distruttività, passibile anche di contenimento.
DOTT Antonella Fortuna ( psicologa clinica)