” BAMBINI IN CARCERE | STORIA DI UNA LEGGE E ATTESA DI UNA SOLUZIONE DI CIVILTA’ ” – DI VALTER MARCONE
Redazione- Storia di una legge che non riesce a realizzare una condizione di civiltà evitando di tenere bambini in cella con le loro madri che scontano una pena in carcere . Nascono e crescono in cella. Si parla di 21 donne con 24 figli al seguito. Sono i numeri che il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia rende noti in merito alla questione delle donne madri detenute che scontano una pena potendo avere in cella con loro i figli fino all’età di due anni. Erano ancora 80 qualche anno fa: il numero si è progressivamente assottigliato fino a divenire forse insignificante , sempre dal punto di vista statistico.
Di fronte ad una popolazione carceraria che conta. sempre secondo i numeri del Dipartimento al 30 novembre 2022 , 56.524 detenuti ristretti in 189 istituti di cui 2.389 sono donne ( rappresentano il 4,23% del totale) e 17.882 stranieri ( che rappresentano il 31,64% del totale), il numero delle donne madri detenute , 21 in tutto, è un numero insignificante ma che ha un grande peso proprio per la condizione umana di queste detenute. I 24 bambini che vivono con loro in cella sembrano scontare la loro stessa pena e dimostrano ancora una volta l’incapacità della politica di risolvere problemi che riguardano proprio l’essenza della persona. Un problema questo che da decenni ormai viene preso in considerazione e che ogni volta non riesce a trovare una soluzione adeguata. La cronaca di questi giorni racconta che un provvedimento di soluzione ovvero la disposizione di scarcerare queste donne e affidarle per il residuo pena ad una comunità in regime di alternativa alla detenzione e non una amnistia per tutte le donne detenute , è stato bocciato l’altro giorno al Senato, anzi per l’esattezza è stato ritirato dai proponenti perchè gli emendamenti rischiavano di snaturarne il contenuto ma soprattutto l’obiettivo.
Al 31 gennaio 2021 erano 29 i bambini, 13 dei quali stranieri, in carcere con le proprie madri. Erano alloggiati nell’ICAM di Lauro (8), nell’ICAM affiliato al carcere di Torino (6), nel carcere femminile di Rebibbia (5), nelle carceri di Salerno e Venezia (3), nel carcere di Milano Bollate (2), e nelle carceri di Foggia e Lecce (un unico bambino per ciascuna delle due strutture). Al 31 ottobre 2021 i bambini erano scesi ulteriormente a 22, con 19 detenute madri [2. Detenute madri con figli al seguito – 31 Ottobre 2021 – Ministero della Giustizia]. Siamo a uno dei minimi storici, se pensiamo che un anno prima i bambini in carcere erano 57. (1)
Ci sono dunque ancora In Italia, secondo i dati aggiornati al 28 febbraio 2023, 24 bambini che vivono in carcere insieme alle loro 21 madri. In particolare sono ospitati insieme alle loro madri in due tipi di strutture gestite dal Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria): gli Icam, gli istituti a custodia attenuata per detenute madri, e le sezioni femminili delle carceri. L’Amministrazione penitenziaria in alcuni istituti di pena ha allestito anche asili nido, dodici in tutto. Una permanenza di breve durata ,il tempo necessario per consentire il trasferimento in altre strutture , che a volte però diventa di diversi mesi e in alcuni casi oltre l’anno. Di notte, mamma e bambino dormono in celle singole l’una a fianco dell’altro. (2)
Nel maggio 2022 veniva approvata da un solo ramo del Parlamento, la Camera dei deputati, la “Legge Siani “ ,che prendeva il nome dal proponente, l’on Siani, che da tempo si occupa dei bambini in cella,. Una legge che a causa della fine della legislatura non veniva approvata dall’altro ramo del Parlamento e quindi decadeva . La nuova proposta di legge a firma Serracchiani in questa legislatura in discussione in Commissione apportava delle modifiche importanti al testo Siani promuovendo il modello della casa famiglia protetta: ovvero strutture gestite da enti del terzo settore, dove le donne possono finire di scontare la propria pena in detenzione domiciliare. Anche attraverso un finanziamento di queste strutture istituite nel 2011 dalla Legge 62 che però non implicava “nuovi maggiori oneri per la finanza pubblica”: in pratica, non venivano stanziati finanziamenti. La legge Serracchiani invece prevedeva la possibilità – ma non l’obbligo – dello stato di finanziare la realizzazione delle case protette.
Anche perchè in Italia le case protette in Italia sono solo due entrambe con una capienza di sei posti per ospitare madri con i figli per un periodo che non può superare i quattro anni ,Casa Leda di Roma aperta nel 2017 e Casa Ciaio di Milano . Tanto che il responsabile di quest’ultima Andrea Tollis afferma “La questione del finanziamento è centrale. Per ospitare le madri detenute e i loro bambini non riceviamo alcun contributo: il Comune paga una retta solo nel caso in cui viene nominato un assistente sociale. C’è stata una manifestazione di interesse della regione Lombardia per darci un contributo economico, sulla base dell’emendamento della legge di bilancio del 2020 (che ha istituito un fondo di 4,5 milioni di euro per l’accoglienza le case famiglia protette, ndr), ma ancora non sappiamo l’entità del finanziamento. E poi facciamo conto su donazioni, bandi, raccolte fondi, ma l’orizzonte temporale è sempre molto ravvicinato”.
Il testo della proposta Serracchiani prevedeva l’eliminazione dei nidi nelle sezioni femminili, ma lasciava ancora aperta la possibilità che i bambini venissero reclusi negli Icam insieme alle loro madri, qualora sussistessero “esigenze cautelari di particolare rilevanza”. Lo avrebbe deciso il magistrato di sorveglianza, valutando il singolo caso.
Una proposta quella della Serracchiani frutto anche di un accordo tra maggioranza e minoranza che sembrava finalmente trovare una soluzione per i bambini in carcere al seguito delle madri detenute che si sforzava di trovare alternative ma sempre nel rispetto della legge così come dice Susanna Marietti di Antigone: “ Sarebbe anticostituzionale dire che una madre che delinque ha per legge un’impunità precostituita. Così si violerebbe l’articolo 3 della Costituzione, secondo cui tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge. Bisogna però sforzarsi di trovare alternative al carcere, lavorando caso per caso sulle donne con bambini, la cui pericolosità sociale non è di solito così alta da non consentire di evitare il carcere”.
Per la cronaca però va detto che l’8 marzo il testo è stato bloccato da una serie di emendamenti avanzati dalla maggioranza di Fratelli d’Italia, e il 23 marzo, è stata ritirata. Il Pd da tempo aveva proposto una legge per tutelare i bambini e non permettere a nessun minore di vivere l’infanzia in prigione. Solo l’anno scorso l’allora Ministro della Giustizia Marta Cartabia aveva detto «mai più bambini in carcere», affermando che «anche solo un bambino ristretto è di troppo».
Alle contestazione della minoranza rispetto agli emendamenti proposti da Fratelli d’Italia è stato ribadito che la questione dei bambini in carcere è una battaglia di retroguardia, ovvero si tratta di un provvedimento per poche madri e pochi bambini .
“C’era un accordo che ora sembra essere venuto meno”, afferma la parlamentare del Pd Debora Serracchiani, che ha portato avanti la proposta. “Avevamo pensato di poter festeggiare l’8 marzo con un segno di civiltà: la legge sulle detenute madri. L’obiettivo di questo provvedimento non era certo quello di un’amnistia per tutte, ma far sì che le mamme e i minori potessero vivere, nel momento più delicato per i bambini, non in un carcere ma in una casa protetta, […] con tutte le attenzioni del caso secondo quell’articolo 27 della Costituzione che ci invita alla rieducazione”.“L’obiettivo di questo provvedimento non era certo quello di un’amnistia per tutte le madri detenute, ma far sì che le mamme e i minori potessero vivere nel momento più delicato per i bambini, non in un carcere ma in una casa protetta e quindi con le madri sotto controllo, come qualcuno desiderava, e comunque con tutte le attenzioni del caso secondo quell’articolo 27 della Costituzione che ci invita alla rieducazione. Oggi purtroppo ci troviamo di fronte a una situazione che sta cambiando – conclude Serracchiani – soprattutto per gli emendamenti di Fratelli d’Italia e abbiamo voluto dirlo con forza perché pensiamo che proprio l’8 marzo non sia questo il segnale che debba essere dato”.
Il provvedimento in discussione alla Commissione è stato ritirato perchè le proposte di modifica avanzate da Fratelli d’Italia , spiegano Pd, Avs e Terzo Polo, rischierebbero di togliere al giudice la discrezionalità sui singoli casi introducendo automatismi che tolgono, per esempio, alle madri detenute che sono recidive la possibilità di accedere con i loro bambini alle case famiglia. Per questo i firmatari della legge hanno deciso di ritirarla. “Gli emendamenti depositati avrebbero depotenziato l’intero impianto della proposta di legge, contraddicendone finalità e motivazioni”, commenta Laura Liberto, coordinatrice nazionale Giustizia per i diritti di Cittadinanzattiva. “Le forze politiche che hanno determinato l’affossamento dell’intera proposta di legge si sono assunte la responsabilità di aver arrestato un percorso di civiltà, che mirava unicamente a superare il problema dell’incarcerazione dell’infanzia e affermare la tutela della salute psicofisica dei bambini su ogni altra ragione o interesse pubblico e politico”.
Nella condizione attuale l’ordinamento penitenziario (L.354/1975) ed il Regolamento di esecuzione (D.P.R. 431/1976) hanno una particolare attenzione alla condizione della gestante e della puerpera; l’art. 11 della L. 354/1975 prevede che “…in ogni istituto penitenziario per donne sono in funzione servizi speciali per l’assistenza sanitaria alle gestanti e alle puerpere. Alle madri è consentito tenere presso di sé i figli fino all’età di tre anni. Per la cura e l’assistenza dei bambini sono organizzati appositi asili nido”.
L’art. 18 del Regolamento di esecuzione (Assistenza particolare alle gestanti e alle puerpere. Asili nido) regola in modo dettagliato la questione : “Le gestanti e le puerpere sono assistite da specialisti in ostetrica e ginecologia, incaricati o professionisti esterni, È prestata, altresì, assistenza da parte di personale paramedico ostetrico”.
Ancora, la normativa penitenziaria prevedeva che l’assistenza sanitaria ai bambini delle madri detenute o internate che decidevano di tenere accanto a sé il figlio fosse curata da professionisti specialisti in pediatria. Gli specialisti in ostetrica e ginecologia e i pediatri, nonché il personale paramedico, venivano compensati con onorari proporzionati alle singole prestazioni effettuate. Presso gli Istituti o Sezioni dove vi era una esigenza continuativa di assistenza alle madri e ai bambini, venivano organizzati appositi reparti ostetrici e asili nido.
Nel secolo scorso nelle prime case penali femminili non era permesso tenere bambini. Se una detenuta dava alla luce un figlio in carcere, si affidava immediatamente il piccolo ad un istituto. La madre non aveva più alcuna possibilità di vederlo né di avere qualsiasi forma di contatto col figlio. Si è passati poi, quarant’anni fa, alla frequentissima pratica dell’affido familiare: in quegli anni l’ideologia sociale era imperniata sul concetto di famiglia, vista come elemento fondamentale della struttura basilare della società, e sulla sua rispettabilità. In quegli anni ci si preoccupava di punire genitori “cattivi” e non di proteggere i bambini, oggi, nella maggior parte delle situazioni, invece di interessarsi solo alle reali condizioni di vita dei bambini, ci si sforza, giustamente, di aiutare anche i genitori; proteggere i bambini, infatti, in molte occasioni vuol dire proteggerli dalle separazioni. (3)
Nel 1997 il Ministro per le pari opportunità di allora , Anna Finocchiaro, presentò il disegno di legge n° 4426 che, dopo 4 anni di lavori, divenne la legge 40/2001 sulle detenute madri.
Il sistema vigente prima di tale legge prevedeva la detenzione domiciliare solo per le condannate fino a quattro anni (anche se costituenti residuo di maggior pena), se il figlio non aveva superato i dieci anni, altrimenti, se non c’erano tali condizioni, il figlio poteva seguire la madre in carcere fino ai tre anni di età. “La rottura della relazione madre-figlio – si legge nella relazione che ha accompagnato il disegno di legge del ministro Finocchiaro prima di essere varato dal Consiglio dei Ministri – è sempre drammatica e si rivela particolarmente dannosa nei casi di pene lunghe, quando l’eventuale ripristino di un rapporto significativo è necessariamente rimandato a un momento assai lontano nel tempo”.
Proprio nel tempo Associazioni di volontari, istituzioni giudiziarie e politiche si sono mossi per trovare delle soluzioni alternative alla carcerazione di bambini senza interrompere i rapporti con i loro genitori, bambini innocenti che si trovano costretti a scontare in carcere pene mai commesse. Questa materia non poteva attendere troppo tempo per essere affrontata e corretta, in quanto strettamente attinente ai diritti umani fondamentali: il diritto del bambino – o della bambina – a non essere incarcerato ingiustamente, il diritto a stare con la propria madre e a non subire restrizione alcuna nelle relazioni affettive, il diritto della madre a crescere i propri figli in un ambiente sano.
Eppure, malgrado la presenza nel nostro ordinamento di norme che garantiscono una tutela “formale” dei diritti dei bambini, prima dell’approvazione della legge 40/2001, tali diritti venivano sistematicamente violati: bambini “sacrificati” in nome di una logica punitiva, incapace di superare l’effettiva colpevolezza dei genitori detenuti. A questi bambini, spesso già nati in una condizione di svantaggio, non era consentito conciliare i diritti fondamentali riconosciuti da ogni legislazione e, soprattutto, da ogni coscienza civile.
Nel 1997, ogni anno nelle carceri italiane entravano, con le madri che avevano commesso un reato, tra i 30 e i 100 bambini fino ai tre anni. Tenere in carcere un bambino in quanto figlio di una detenuta costituisce una violenza inaudita, che contraddice espressamente i contenuti della Convezione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia, oltre a essere sul filo dell’incostituzionalità: “la pena”, dice l’art. 27 della Costituzione Italiana, “non deve mai consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”. Una pena che divide traumaticamente una donna da suo figlio o li costringe all’unione solo in condizioni di restrizione, è una pena disumana non soltanto per una, ma per due persone.
Il disegno di legge è stato discusso per la prima volta alla Camera il 21 luglio 2000 per essere approvato poi il 27 luglio e passare all’esame del Senato; a quella data nelle carceri italiane i bambini “ristretti” di età inferiore a tre anni erano 58, figli di 56 detenute, e vi erano inoltre 15 donne in stato di gravidanza. “Questi bimbi innocenti – affermava l’allora sottosegretario alla Giustizia Franco Corleone, che addirittura intraprese un digiuno per indurre ad una rapida soluzione della discussione del progetto di legge sulle detenute madri – soffrono quindi un doppio trauma, quello della vita reclusa fino a tre anni, e quello della separazione traumatica dalla madre poi. A volte, se mancano persone di fiducia o parenti a cui affidarli vengono mandati in istituto, passando così dall’istituzione totale del carcere a quella dell’istituto, senza la madre. Questa è una legge che contribuisce a dare corpo al processo di riforma verso il carcere trasparente intrapreso in questi anni”.
Di seguito alcuni stralci della relazione che accompagnava la proposta di legge che ne specifica i contenuti .
L’obiettivo primario della «legge Finocchiaro» era quello di evitare che a detenute madri si aggiungessero «detenuti bambini» poiché l’ingresso del minore in carcere provoca un danno enorme al suo corretto sviluppo psico-fisico. Per questi motivi la legge n. 40 del 2001 ha voluto ampliare la possibilità per le madri detenute di assicurare ai figli un’assistenza in un vero ambiente familiare grazie agli istituti del differimento della pena e della detenzione domiciliare.
La prima modifica introdotta dalla «legge Finocchiaro» è stata quella all’articolo 146 del codice penale, sul rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena. Oggi il rinvio dell’esecuzione della pena, oltre che per la donna incinta, si applica anche per la madre fino al compimento di un anno di età del bambino. Inoltre la stessa legge ha novellato l’articolo 147 del codice penale, disponendo la possibilità del differimento della pena restrittiva della libertà personale per la madre con un figlio di età inferiore a tre anni. Il differimento, però, non può essere adottato, o se adottato può essere revocato, «se sussiste il concreto pericolo della commissione di delitti» (articolo 147, quarto comma, del codice penale).Per quanto riguarda le modifiche alla legge n. 354 del 1975, recante l’ordinamento penitenziario, la «legge Finocchiaro» ha introdotto due nuovi istituti: la detenzione domiciliare speciale e l’assistenza all’esterno dei figli minori.La prima è volta a permettere l’assistenza familiare ai figli di età non superiore a dieci anni da parte delle madri condannate quando non è possibile l’applicazione della detenzione domiciliare ordinaria (articolo 47-quinquies). Per accedere al beneficio è necessario che sia stato espiato almeno un terzo della pena (quindici anni in caso di ergastolo), che vi sia l’insussistenza di un reale pericolo di commissione di nuovi reati e che vi sia la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli.Nel caso non sia possibile applicare la detenzione domiciliare speciale, la «legge Finocchiaro» ha introdotto l’assistenza all’esterno dei figli minori che permette la cura e l’assistenza extra-carceraria dei figli di età non superiore a dieci anni.L’intervento legislativo predisposto dalla Commissione Giustizia della Camera dei deputati con il testo risultante dall’approvazione degli emendamenti presentati all’atto Camera n. 528, e discussi in ultimo il 13 dicembre 2006, mirava quindi, da una parte, a rimuovere dall’ordinamento quelle rigidità che, di fatto, hanno reso difficoltosa la concessione di benefìci nei confronti delle detenute madri, in particolare quel vincolo del concreto pericolo della commissione di delitti che ha reso impossibile, in moltissimi casi, il rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena. Le detenute madri, infatti, provengono nel maggior numero dei casi da un ambiente denso di povertà e di microcriminalità e pertanto sono donne che presentano, anche se giovani, un percorso già avanzato di condanne penali, per cui per la magistratura è stato spesso impossibile non considerare la possibile nonché probabile possibilità di reiterazione dei reati e quindi è risultato impossibile concedere i benefìci previsti dalla «legge Finocchiaro».
Dall’altra parte, il testo proposto presentava una portata normativa del tutto nuova introducendo le case-famiglia protette quali strutture alternative al carcere, destinate alla coabitazione tra madri in espiazione di pena e figli.L’articolato della presente proposta di legge, che riproduce, come già ricordato, il citato atto Camera n. 528-A della XV legislatura, è composto da otto articoli.
L’articolo 1 interviene modificando l’articolo 147 del codice penale, che, in materia di rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena, individua nel «concreto pericolo della commissione di delitti» il presupposto per la revoca del rinvio stesso, anche nei confronti di madre di minore di età inferiore a tre anni, rendendo di fatto’istituto di difficile applicazione nei confronti delle detenute madri.
L’articolo 2 interviene sulla disciplina codicistica della custodia cautelare alla luce dell’istituzione delle case-famiglia protette di cui all’articolo 5 della presente proposta di legge. In sostanza la modifica prevede che le indicate esigenze cautelari autorizzino il magistrato a disporre la custodia cautelare della madre, anziché in carcere, presso le citate case-famiglia protette.
Gli articoli 3, 4 e 5 della presente proposta di legge integrano e modificano la citata legge n. 354 del 1975, perseguendo sempre l’obiettivo di assicurare al minore l’assistenza materna ed evitando sempre e comunque la coabitazione di madre e figlio in carcere.In particolare, l’articolo 3, è importante poiché garantisce al minore l’assistenza materna anche in caso di ricovero ospedaliero. In tale caso, infatti, la madre dovrà essere autorizzata d’urgenza ad accompagnare il figlio e ad assisterlo nella disposta struttura ospedaliera.Con l’articolo 4 si vuole evitare – come già per il differimento facoltativo della pena di cui all’articolo 147, quarto comma, del codice penale – che la rigidità dei presupposti applicativi possa essere di ostacolo ad una più frequente concessione della detenzione domiciliare speciale prevista dall’articolo 47-quinquies della legge n. 354 del 1975. L’unico presupposto per la concessione della detenzione domiciliare speciale rimarrebbe, quindi, l’aver espiato almeno un terzo della pena, quindici anni in caso di ergastolo.
L’articolo 5 della presente proposta di legge introduce nella legge n. 354 del 1975 la previsione del regime di detenzione in case-famiglia protette per le madri di prole di età non superiore a dieci anni che devono espiare la propria pena, qualora non possa essere disposta una detenzione con regime più favorevole. La disposizione individua altresì le modalità di realizzazione delle case-famiglia protette.L’articolo 6 dispone che il Ministro della giustizia, d’intesa con gli enti locali interessati, entro sei mesi dalla data di emanazione del decreto di cui all’articolo 5, comma 3, individua le strutture idonee ad ospitare le case-famiglia protette nei vari comuni nonché le modalità e i criteri per individuare il personale da destinare ad esse.L’articolo 7 riguarda la copertura finanziaria del provvedimento, già individuata dal Governo nel corso del ricordato esame in sede referente nella Commissione Giustizia della Camera dei deputati, in 4.400.000 euro annui a decorrere dall’anno 2008 .
La legge Finocchiaro rappresenta un punto di svolta in una situazione che possiamo in breve riassumere come segue .
La questione è diventata rilevante dal punto di vista legislativo solo nel 1975 con la legge n. 354 “Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà” che poneva attenzione per la prima volta alla condizione della gestante e della puerpera in ambito carcerario consentendo di tenere con sé i figli fino ai tre anni di età .
Con il decreto del Presidente della Repubblica numero 431 del 1976, sono stati introdotti specialisti come pediatri, ginecologi, ostetriche nonché puericultrici e assistenti all’infanzia per tutelare la salute non solo della madre ma anche del bambino. Dieci anni dopo, nel 1986 è stata varata la legge n. 663, detta “legge Gozzini”, “Modifiche alla legge sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure private e limitative della libertà” che ha introdotto la possibilità di una detenzione domiciliare in caso di buona condotta della madre per pene non superiori ai 2 anni.
La legge n. 165 del 27 maggio 1998, “legge Simeone-Saraceni”, anche conosciuta come “legge svuota carceri”, andava ad estendere ulteriormente il numero di condannati meritevoli di misure alternative alla detenzione, al fine di realizzare una “politica di non ingresso”, evitando a priori il carcere a coloro per i quali tale esperienza sarebbe stata più dannosa e criminalizzante che rieducativa. Per le madri detenute e i loro figli, tale legge modificava le normative precedenti, aumentando da 2 a 4 anni il limite di pena che era possibile scontare presso la propria abitazione, portando a 10 anni l’età del figlio/a, purché convivente con la condannata. Per tale motivo la legge Simeoni è considerata un importante traguardo raggiunto per la tutela del bambino e per il rispetto dell’importanza del rapporto madre-figlio.
C’è poi la legge Finocchiaro di cui abbiamo parlato.
La legge n. 62 del 2011, “Modifiche al codice di procedura penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354 e altre disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori”, prevede l’innalzamento del limite di età dei bambini che possono vivere in carcere con le loro madri da 3 a 6 anni e la custodia in istituti ICAM e in Case Famiglia protette (come alternative possibili alle sezioni Nido delle carceri femminili). Gli ICAM (Istituti a Custodia Attenuata per detenute Madri) sono situati al di fuori degli istituti penitenziari e strutturati in modo tale da assomigliare il meno possibile ad un carcere: l’ambiente è più familiare, il personale di sorveglianza lavora senza uniforme e ci sono educatori specializzati che sostengono le madri nella cura dei propri figli. Altra caratteristica che li rende “a custodia attenuata” è la possibilità per i bambini di trascorrere del tempo fuori dall’istituto in compagnia di familiari o di volontari.
Per terminare questa riflessione occorre richiamare il peso umano e sociale di questo problema e il prezzo individuale che è in sostanza e in defnutiva quello che conta. Ho riferito dell’esiguo numero di donne con bambini in cella. Un numero insignificante dal punto di vista propprie delle dimensioni che per quello che riguarda la popolazione carceraria sonop m di ben altra dimensione ma la considerazione è che se si affronta davvero questa questione, badando non solo ai figli “visibili” perché in carcere, ma anche a quelli “invisibili” che stanno a casa, allora ben altre sono le cifre, e ben più complessi i problemi: tanto per cominciare la separazione, a volte addirittura con il trauma per il figlio di assistere all’arresto di uno dei genitori, e poi i colloqui, le telefonate piene di ansia, l’incertezza del dire o del non dire al bambino: tuo padre/tua madre è in carcere. Psicologi, psichiatri, psicoterapeuti per lo più non hanno dubbi: ai bambini bisogna dire la verità. Ma spesso dire questa verità per un genitore non è facile: dipende dall’età del bambino, dalle condizioni psichiche e fisiche del genitore, dall’esistenza o meno di una famiglia che dia il suo appoggio in una tale situazione, dalle persone che si prenderanno cura del bambino (se i famigliari e i parenti o un istituto), dalla presenza di un solo o entrambi i genitori. Sono tanti i fattori che influenzano tale scelta che madri e padri sono costretti a fare.
Dare una risposta a queste esigenze è importante ma soprattutto urgente. Anche alla luce di un’altra considerazione.
Non essendoci evidenza di un incremento della criminalità femminile nell’arco degli ultimi trent’anni occorre interrogarsi sul fallimento di quelle leggi nel conseguimento del loro obiettivo, tanto più alla luce dell’importante contributo che alla loro più ampia applicazione è venuto dalla Corte costituzionale: in particolare, tra le diverse decisioni che sono intervenute per assicurare che la condanna a una pena detentiva non interrompa il legame tra la madre (o il padre in sua vece) e il figlio, minore di età o bisognoso di cure particolari perché affetto da handicap grave (o “totalmente invalidante”) ( 4 ), devono essere ricordate soprattutto le due sentenze con le quali è stata dichiarata l’illegittimità della preclusione alla fruizione della misura della detenzione domiciliare (‘umanitaria’ e speciale) per le madri condannate per uno dei reati indicati nell’art. 4-bis o.p.. L’importanza di aver eliminato anche questa preclusione discende non tanto dalla numerosità di donne condannate per quei reati, quanto piuttosto per il messaggio che anche per questa via si è rivolto alla magistratura di sorveglianza, di privilegiare il più possibile l’interesse del minore a crescere fuori dal carcere con la propria madre e più in generale nel suo contesto familiare, rispetto ad esigenze di difesa sociale che, proprio di fronte alla commissione di reati inseriti nell’art. 4-bis o.p., potrebbero essere ritenute ‘necessariamente’ prevalenti.
(1)https://sip.it/2022/03/07/bambini-in-carcere-con-la-madre-il-panorama-attuale/
(2)Secondo il rapporto Space dell’ultimo Consiglio d’Europa, a gennaio 2020 c’erano in Europa 1608 bambini che convivevano con la madre in un istituto penale (dati di 37 amministrazioni), di cui 57 in Italia. Alla luce della normativa vigente nei diversi Paesi europei, il limite massimo di età per la permanenza dei bambini in carcere è variabile tra le nazioni. In Inghilterra, circa il 60% delle donne detenute ha figli minori, di cui solo il 3% ha la possibilità di tenere presso di sé il bambino. Al bambino è consentito di vivere con la madre detenuta fino ad un massimo di 18 mesi di vita, ad eccezione di specifiche circostanze in cui i due possono, oltre i 18 mesi di vita del bambino, risiedere nelle “Mother and Baby Units”. Il termine massimo di età è invece di 3 anni in Portogallo e in Spagna, mentre in Finlandia il bambino può vivere in carcere con la madre fino all’età di 2 anni. In Francia non è previsto un limite di età per il bambino, determinato sulla base dello specifico contesto. Nonostante ciò, l’età media dei bambini è inferiore ad un anno di vita. Le medesime condizioni sono rispettate in Lussemburgo, dove la richiesta di ammissione del bambino viene analizzata a seconda del caso, insieme ad un Giudice del Tribunale dei Minori.
https://sip.it/2022/03/07/bambini-in-carcere-con-la-madre-il-panorama-attuale/
(3)http://www.ristretti.it/areestudio/donne/ricerche/mattei/secondo.htm
(4 )Cfr. C. cost. 215/1990, 359/1993, 18/2020 e Cfr. C. cost. 239/2014, avente ad oggetto lo stesso art. 4-bis o.p. e C. cost. 76/2017, che ha dichiarato illegittimo il riferimento all’art. 4-bis o.p. inserito nell’art. 47-quinquies o.p. dalla legge 62/2011 per escludere le donne condannate per uno dei reati in esso indicati dall’ampliamento di operatività della misura della detenzione domiciliare speciale, contestualmente introdotto con la medesima legge.
https://www.sistemapenale.it/it/scheda/pecorella-bambini-carcere-madri-ac-2298