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“ASPETTI PSICOLOGICI DURANTE LA GRAVIDANZA E IL PARTO” – DOTT.SSA VALENTINA MARIANETTI

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Redazione- La gravidanza è per definizione popolare iltempo dell’attesa.L’Organizzazione Mondiale della Sanità (1946) stabilisce che “la promozione della salute e del benessere in gravidanza implica il prendersi cura della donna come persona, ossia nella complessità degli aspetti biologici, psicologici e socioaffettivi”.

Alla luce di ciò si rileva come le dinamiche

psicologiche ed emotive in gravidanza debbano

necessariamente essere considerate per il

benessere della futura mamma, del nascituro e

non solo.

La maternità e la genitorialità sono processi ai quali si dovrebbe accedere gradualmente, iniziano prima della nascita e non si esauriscono con essa in quanto divengono pervasivi e identitari.

Le antiche culture consideravano la gravidanza come un fatto fisico quindi solo riguardante la donna; la genitorialità coinvolge sempre più anche l’uomo.

Il periodo della gravidanza è fondamentale per

preparare la madre e il padre a sviluppare nel

loro mondo mentale uno spazio adatto per

riflettere sul bambino non ancora nato; si

preparano ad accogliere il bambino

ADATTAMENTO.

La gravidanza è un evento fondamentale del

processo maturativo della donna. La

modificazione dello schema corporeo, i

cambiamenti della propria femminilità, la

ridefinizione delle posizioni all’interno del

sistema familiare comportano una

destrutturazione e ridefinizione del senso di

identità.

Se da un lato oggi la decisione di diventare

madre è passata da destino ineludibile di un

tempo, dove la capacità generativa

rappresentava l’essenza della femminilità,

nonché l’unica via per la realizzazione

femminile, a progetto desiderante; dall’altro

porta la donna a dover imparare a destreggiarsi

nei diversi ruoli con delle conseguenti nuove

difficoltà.

Quando nasce la mente della madre

All’inizio della gravidanza avvengono nuovi eventi mentali e modificazioni del sé definiti Maternità Interiore (Bydlowski 2000).

La maternità interiore è il luogo delle fantasie, emozioni, sogni; è il contenitore di quel bambino desiderato che diventerà bambino reale.

Costituisce una mappa utile per definire la relazione della madre con il figlio dal concepimento, a quando lo sente dentro fino alla nascitae alla quotidianità.

Se questo stato mentale non si presenta è un

segno negativo per lo sviluppo genitoriale.

Lo stato psichico della maternità spesso resta nascosto a causa di un eccessivo monitoraggio sanitario (ecografie, esami particolari…) che focalizzano l’attenzione sullo sviluppo morfologico del feto facendo passare in secondo piano l’aspetto psicologico.

Secondo la Psicoanalista Therese Benedek

(1956) la gravidanza si può considerare un

evento di origine psicosomatica durante il quale

è importante la modulazione psicologica ed

emozionale sugli eventi somatici.

• Nel 1959 sempre Benedec descrive le caratteristiche del mondo mentale materno scansionando temporalmente i trimestri della

gravidanza.

il primo trimestre è caratterizzato da vissuti di ambivalenza verso la gravidanza, fantasie regressive, conflitti nei confronti della figura materna, seguiti anche dall’assenza mentale

del bambino.

Il secondo trimestre è incentrato dall’emergere di

fantasie persecutorie sul bambino attivate dalla

percezione del feto che si muove all’interno del

corpo.

Il terzo trimestre è caratterizzato dall’ansia di separazione e angosce per il parto e la salute del bambino. Proprio l’alternarsi di momenti gioiosi e angoscianti aumenta l’ambivalenza materna e rende la madre bisognosa di sostegno.

Diverse ricerche (Raphael-Leff, 2014) hanno

dimostrato che le donne durante la gravidanza

sviluppano uno stile materno che influenza le

aspettative, fantasie e rappresentazioni della

donna gravida e la relazione tra madre e

bambino. Raphael-Leff ha definito 3 stili

materni: la madre “facilitante” e la madre

“regolatrice”, mentre nel mezzo si colloca lo

stile della “reciprocità”.

La madre “facilitante” vive la maternità come

un’esperienza positiva che le consente di rivivere

l’unione vissuta con la madre durante l’infanzia;

la donna si costruisce la propria identità di

madre, accetta la gravidanza e si prepara

adeguatamente al parto; dopo la nascita del

bambino tende a ricercare la vicinanza del

piccolo e a rimandare la ripresa dell’attività

lavorativa.

Talvolta però la madre “facilitante” può

idealizzare eccessivamente il bambino, negando

qualsiasi forma di imperfezione; la madre

“facilitante” in genere non coglie nessun difetto

o problematica nella gravidanza, la vive come

un’esperienza meravigliosa e a volte rischia di

sacrificare completamente se stessa e la sua

realizzazione personale e professionale per il

bambino.

La madre “regolatrice” , invece, non tollera le

trasformazioni corporee, considera il feto un

intruso, la gravidanza le riattiva conflitti infantili

e il parto è concepito come un’esperienza

negativa.

Tende a tornare velocemente allo svolgimento

delle sue attività quotidiane e a delegare la cura

del bambino ad altre figure significative. In una

posizione intermedia, invece, si colloca lo stile

della reciprocità: la donna è felice di aspettare

un bambino, ma presenta anche rimpianti

rispetto ai cambiamenti inevitabili che subiranno

la sua vita professionale, personale e di coppia.

Lo stato mentale della madre

Durante la gravidanza sono stati individuati differenti stadi con precise caratteristiche. BIBRING (1961) individua nella donna due fasi:

• L’accettazione dell’embrione e poi del feto come parte di se e l’adattamento man mano che percepisce movimenti fetali e comincia a riconoscere l’esistenza di un bambino dentro

sé che diventerà un essere autonomo.

La Bibring (1956, 1961) introduce il concetto di “crisi maturativa” considerando la gravidanza come un processo in cui riaffiorano conflitti infantili principalmente legati alle prime relazioni e identificazioni con la figura materna. Tali conflitti trovano in questa fase una

risoluzione, che implica una rielaborazione delle proprie esperienze fino ad arrivare all’acquisizione di un livello di integrazione più maturo.

I profondi mutamenti che avvengono in questo

importante periodo della vita di una donna

potrebbero essere paragonati alle altre due fasi

critiche dello sviluppo femminile, ossia la

pubertà e la menopausa.

Diventare madre porta la donna a paragonarsi

dal punto di vista emotivo alla propria madre.

Ne consegue che è un’esperienza strettamente

legata alla sua storia infantile ed adolescenziale.

Con la maternità si passa dal ruolo esclusivo di

figlia a quello di madre e figlia.

Tale passaggio può essere vissuto in svariati

modi in base alle esperienze passate. La mente

inevitabilmente ripercorre l’unica esperienza di

maternità vissuta, ossia quella con la propria

madre rievocando con essa emozioni, vissuti,

timori e paure.

Se, ad esempio, il rapporto con la figura

materna è stato conflittuale e caratterizzato da

emozioni negative, la donna tenderà a volersi

differenziare “non sarò mai come lei” oppure a

esperire timori di inadeguatezza.

Tali vissuti, se non elaborati, potrebbero portare

la gestante a vivere una crisi scatenata dalla

gravidanza che potrebbe sfociare in un vero e

proprio disturbo emotivo.

Molte ricerche hanno rilevato, infatti, che un

alto grado di stress emotivo e disturbi di ansia

possono fungere da fattori di rischio per

l’insorgenza della depressione post-partum.

Durante la gravidanza hanno luogo molteplici

cambiamenti, alcuni visibili ad occhio nudo ed

altri meno tangibili, ma spesso rilevabili negli

occhi di chi li vive. Tra i più evidenti ci sono

sicuramente le trasformazioni corporee, che

possono essere vissute con emozioni

contrastanti.

Se da un lato si teme di perdere il controllo su di

un processo che segue il proprio corso senza

poter fare nulla, dall’altra è proprio attraverso

questi mutamenti che si attesta la presenza della

vita che cresce nel grembo materno. Ciò che

avviene nel corpo ha una sua controparte nella

mente

La donna ha la tendenza a ripiegarsi su di sé e a

ritirarsi in una sorta di fusione mentale con il

feto. Mentre il corpo della futura mamma

cambia per accogliere e contenere il bambino, la

mente inizia a fantasticare sul bambino, su se

stessa nel ruolo di madre e sulla relazione che si

verrà a creare tra loro.

Ammaniti (1990) attraverso un questionario

studiò le rappresentazioni materne nel periodo

gestazionale.

Prima del concepimento le preoccupazioni della donna riguardano la capacità di rimanere incinta.

Nei primi mesi il timore è di aver concepito un

bambino portatore di una malformazione fisica.

Negli ultimi mesi, quando la presenza del feto diventa «ingombrante» i pensieri riguardano la paura del parto, e la minaccia dell’incolumità fisica.

Questo sta a significare che ancor prima del concepimento e durante tutta la gestazione, la relazione madre-bambino è caratterizzata da sentimenti di ambivalenza che indicano l’esistenza di un conflitto.

Lo psicoanalista Daniel Stern evidenzia come

“l’assetto materno” scaturisce dal lavoro

intrapsichico della donna durante tutto l’arco

della gravidanza, non si forma nel momento del

parto, ma affiora a poco a poco durante la

gestazione e nei mesi successivi alla nascita.

Assetto Materno

Secondo Daniel Stern,

psicoanalista contemporaneo,

la nascita di una madre è un

lungo processo, che comincia

con la gravidanza e il parto e

si completa “solo quando la

madre è tornata a casa e si è

dedicata al compito di nutrire,

accudire e far crescere il

neonato”.

Stern è stato il primo a dire una cosa quasi banale: la maternità trasforma la donna e le dà una nuova identità, che ha chiamato “Assetto Materno”, unico per ogni donna, condiviso da tutte le donne, che rende la donna-madre intrinsecamente diversa dalle altre donne.

La vita mentale che caratterizzava prima la persona viene, non cancellata, ma arretrata e l’assetto materno prende il sopravvento.

Tutte le madri cercano conferme della loro

nuova identità, anche attraverso la creazione di

una rete di sostegno, fatta di persone che sanno

cosa vuol dire aver a che fare con i neonati: è il

modo migliore per “esplorare con sicurezza le

proprie paure e di cominciare a distinguere più

chiaramente i propri istinti e le proprie funzioni

genitoriali”

L’assetto materno, la nuova identità, ci

accompagnerà per tutta la vita, ma non sarà in

primo piano per sempre: man mano che la vita

pratica (ad esempio la necessità di rientrare al

lavoro) richiederà attenzione maggiore e la

crescita del bambino, con sempre maggiori

autonomie, richiederà meno della nostra

presenza, l’assetto materno arretrerà e

occorrerà integrarlo con il resto della nostra vita.

Dopo aver fatto una prima panoramica e

differenziazione tra le teorie proposte, si vanno

ad evidenziare, ove possibile, le interazioni tra i

processi neurobiologici, ormonali e psichici.

“Quando si diventa madre, è sempre per la prima volta; per la donna che vive questa esperienza ciò che è davanti a lei e deve avvenire è terra sconosciuta, e lo resterà a dispetto di ogni tecnologia e sapere scientifico”.

I primi mesi di gestazione sono per la donna un

periodo di incertezza e incredulità. I

cambiamenti fisici non sono ancora visibili, ma i

mutamenti fisiologici e ormonali possono

causare stanchezza, nausea e cambiamenti

umorali.

Da subito la donna si trova a dover attuare dei

cambiamenti nelle abitudini alimentari,

lavorativi e anche nei ritmi di vita. E’ proprio

attraverso questi cambiamenti di

comportamenti in funzione di qualcuno che c’è,

ma ancora non c’è, che la donna gradualmente

si adatta ai nuovi ritmi e alle necessità della

nuova vita che sta per arrivare.

Tutto questo, unitamente al rischio di

interruzione spontanea della gravidanza,

possibile in questa fase, non consente alla

donna di gioire pienamente e possono insorgere

preoccupazioni e paure dettate dalla mancanza

di segnali corporei che indichino la vitalità del

bambino tipici delle fasi successive.

Le preoccupazioni più frequenti esperite in

questa fase sono relative alla salute del piccolo,

al fatto che cresca adeguatamente e che non

abbia malformazioni o altre patologie.

Possono anche esserci timori relativi ai

cambiamenti che avverranno nel rapporto di

coppia, che aprono il capitolo di come viene

vissuta la sessualità durante la gravidanza.

Molto spesso le donne vivono la sessualità in

opposizione alla maternità e i rapporti sessuali

tendono a diminuire anche in relazione alla

credenza che si possa nuocere all’embrione in

una fase così delicata. L’intimità della coppia,

quindi, durante la gestazione necessita di nuovi

equilibri.

Nel secondo trimestre i futuri genitori vivono un

periodo maggiormente sereno:

L’eventualità di aborto spontaneo è fortemente

ridotta, possono, quindi, iniziare a “pensarsi” nel

loro nuovo ruolo di madre e padre e predisporre

il passaggio da coppia a coppia genitoriale.

Dal momento del concepimento nella mente dei

futuri genitori si inizia a instaurare il pensiero di

sé e dell’altro nel ruolo di genitore e di come

cambierà la relazione di coppia con l’arrivo del

neonato. I rapporti diadici ormai consolidati

vengono messi in discussione e vivono un

periodo di assestamento alla ricerca di nuovi

equilibri.

Un passaggio molto importante nella coppia è

sicuramente quello relativo alla condivisione di

questi aggiustamenti attraverso una

comunicazione che non sia solo verbale ma

anche emotiva tra i due partner.

Molti conflitti e tensioni nascono proprio dalla

mancanza di comunicazione ed empatia. Inoltre

la percezione dei movimenti del feto rendono il

bambino “vivo e reale” e questo dà luogo alle

prime rappresentazioni materne del nascituro.

La costante comunicazione

intrauterina è una tappa

fondamentale per la

costruzione del rapporto tra

madre e figlio e lo diventa

anche per la figura paterna

nel momento in cui tali

movimenti divengono

percepibili anche

dall’esterno.

A tali movimenti viene attribuita una diversa

valenza affettiva, quale ad esempio la gioia, il

disagio, il gioco. E’ proprio da questi momenti

che si fonda quell’indissolubile legame affettivo

tra un figlio e i propri genitori.

Alcuni studi hanno rilevato che le

rappresentazioni materne e lo stato mentale

relativo all’attaccamento durante la gravidanza

possano prevedere la qualità di attaccamento

del bambino a un anno d’età.

L’attaccamento prenatale

Quindi le madri sviluppano molto precocemente un

legame di attaccamento prima della nascita.

Studi recenti hanno evidenziato che un buon livello di attaccamento prenatale non può essere dato per scontato; può dipendere da diversi fattori:

è meno intenso in funzione dell’età, del livello di istruzione materno, dell’assenza di supporto emotivo e della presenza di violenza nell’ambiente familiare.

Possono incidere in negativo anche problemi di

salute o complicazioni nel corso della gravidanza

o condizioni di tossicodipendenza, presenza di

disturbi della personalità nella madre e

l’appartenenza a condizioni sociali svantaggiate.

L’attaccamento risulta positivo in presenza di una stabilità della relazione con il partner e in presenza di relazioni familiari supportive.

Nell’ultima parte della

gravidanza la voglia di conoscere

il bimbo che si porta in grembo

si alterna e, in un certo senso si

scontra, con la paura del

travaglio e del parto e con la

fatica fisica data da un corpo che

diviene sempre più

“ingombrante”.

Il timore di provare dolore e di non riuscire ad

affrontarlo porta in sé anche il dolore emotivo

per la perdita del bambino interno e, quindi,

dell’unione simbiotica prenatale.

Un altro elemento estremamente importante è

che in tutto il corso della gravidanza le fantasie

fatte dai futuri genitori sul bambino si

condensano in un “bambino immaginario” che,

con la nascita, si incontreranno con il “bambino

reale”, molto spesso diverso da quello che

avevano immaginato e sognato.

Tanto più grande sarà il divario tra quanto ci si

era prospettati e la realtà, tanto più esteso sarà

il tempo di elaborazione psicologica necessario

ai due genitori per ovviare alle tensioni che ciò

ha scaturito.

Un altro punto importante da trattare è cosa

accade al nascituro quando le tensioni emotive

della gestante sono eccessive.

Si è rilevato come alti livelli di stress pre e perinatali possano influire sul feto e avere ripercussioni future.

Nell’immaginario collettivo la maternità è un

evento connotato sempre e solo in senso

positivo e la futura mamma si trova spesso in

difficoltà, ed anche un po’ in imbarazzo, a

rivelare alle persone che la circondano le

difficoltà, le preoccupazioni, i timori e le ansie

esperite.

Disturbi psicopatologici in gravidanza e

nel post partum

Nella maggior parte dei casi la gravidanza segue un percorso fisiologico che tra alti e bassi porta la futura mamma a vari adattamenti per accogliere in serenità il suo bambino. Altre volte il cambiamento può mettere la futura mamma alla prova portandola a doversi destreggiare tra nuovi equilibri mentre cerca di costruire una nuova identità in relazione con il bimbo che arriverà.

La sofferenza può derivare da diversi elementi:

una differenza sentita come eccessiva tra il

«bambino immaginario» e «bambino reale» può

portare ansie e paure; ma anche una

discordanza tra il «genitore ideale» che

immaginava di poter essere e il «genitore reale»

che si trova ad essere di fronte a tante difficoltà,

alle preoccupazioni, alla solitudine.

Tutto questo potrebbe creare molti problemi e

dare vita a sviluppi difficili proprio nei primi

momenti in cui inizia la costruzione del legame

di adattamento mamma-bambino.

In questi casi in cui il disagio non assume una

vera e propria forma di patologia si può attivare

un breve percorso di sostegno per aiutare la

mamma o la coppia genitoriale a recuperare le

risorse in un momento così delicato.

In altri casi il disagio è maggiore pertanto è necessario intervenire terapeuticamente, in particolar modo quando parliamo dei tre principali disturbi diagnosticabili subito dopo il parto.

La letteratura classifica questi disturbi in 3 categorie principali: Maternity Blues, Depressione Post- Partum e Psicosi Puerperale.

Per saperne di più: https://www.stateofmind.it/2015/04/maternita- psicologia-psicopatologia/

Il Maternity Blues rappresenta il disturbo emotivo

più comune e, allo stesso tempo, più lieve e

transitorio, che ricorre molto spesso nella prima

settimana dopo il parto. È stata rilevata una

prevalenza variabile dal 50 all’85% e questa non

sembra differire tra le culture. Questo disturbo è

caratterizzato dal seguente quadro sintomatologico:

tendenza al pianto, irritabilità, labilità dell’umore,

disturbi del sonno, tristezza. Sebbene questo

disturbo sia considerato una conseguenza

fisiologica del parto, nel 20% dei casi evolve in un

episodio depressivo maggiore nel giro di un anno.

Il Maternity Blues è provocato da più fattori:

molto importanti sono i rapidi cambiamenti

ormonali con la caduta dei livelli di estrogeni e

progesterone che avvengono dopo il parto. Si

tratta di una fase «normale» che il più delle

volte si risolve da sola. In rari casi si trasforma in

Depressione Post Partum.

La Depressione Post-Partum: l’insorgenza può avvenire anche in gravidanza: nel sesto mese, la depressione colpisce approssimativamente il 10% delle donne di età compresa tra i 25 e i 44 anni (Cooper, Murray, 1998). I sintomi più frequenti sono: tristezza, sentimenti di colpa o di

autosvalutazione eccessivi o inappropriati, difficoltà

di concentrazione, alterazioni del sonno e

dell’appetito, astenia. In molti casi, i sintomi d’ansia

possono associarsi per comorbidità a sintomi

depressivi. L’esordio della depressione è previsto

entro i primi 3 mesi dal parto e la durata media è di

alcuni mesi.

Le cause sono molteplici; i sintomi si possono ricondurre a fattori di tipo ormonale o di natura emotiva: il cambiamento fisico e della concezione di sé, la sensazione di perdita della libertà e della propria identità. Ad essi si aggiungono fattori

pratici, tra cui l’alterazione del ritmo sonno-veglia a causa dell’allattamento e variabili psicosociali, quali una relazione insoddisfacente con il partner, la mancanza di supporto sociale, difficoltà economiche, ecc. Ad essi si aggiungono anche alcuni fattori neonatali del bambino tra cui il temperamento e fattori ostetrici e perinatali.

La Psicosi Puerperale è il disturbo psichiatrico più grave e raro. I sintomi caratteristici sono: deliri, allucinazioni, brusche oscillazioni dell’umore, disturbi del comportamento. La madre manifesta un rifiuto totale del piccolo e per la maggior parte del giorno appare triste ed apatica, tanto da non dedicarsi neanche alla

cura del sé. Spesso compaiono idee paranoidi di persecuzione e si rileva un alto rischio di suicidio

e di infanticidio.

Questi disturbi hanno delle conseguenze sia a

breve che a lungo termine anche sul bambino e

sulla relazione di attaccamento tra madre e

bambino. Da questo, si comprende, quanto sia

fondamentale una precoce individuazione dei

sintomi per evitare che il disturbo si aggravi e

per poter intervenire tempestivamente.

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