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VECCHIAIA E INVECCHIAMENTO TRA OPPORTUNITA’, PATOLOGIE E TESTIMONIANZA (PRIMA PARTE)

Una età da non cancellare

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Redazione- Osservare la vecchiaia da un punto di vista diverso rispetto a quello convenzionale, proiettando una nuova luce su questa stagione della vita mi ha indotto a rileggere alcune pagine  di  quattro  autori antichi e moderni  che si sono occupati di questa  età della vita . Riscoprire con occhi diversi l’autunno della vita significa  guardare all’allungamento della vita, alla crisi della natalità  nel nostro paese, condizione ormai sotto gli occhi di tutti ,  come una grande opportunità  per gli anziani che  diventano testimoni, custodi della memoria e continuità con il passato.

Non sempre l’anzianità è stata considerata allo stesso modo  nella storia  dell’uomo. Per esempio può essere una malattia  come per il mondo greco ma può essere anche ,nel mondo di oggi  , secondo il professor Ammaniti,  che ne parlerà  in un  incontro durante il Festival  della letteratura che si terrà a Mantova dal 13 al 20 settembre 2020 ritenendo  che   : “  il dialogo con sé stessi è proficuo perchè il rumore di sottofondo tipico della giovane età è stato azzerato e la spinta permette di acquisire una nuova consapevolezza, più profonda e completa: la vecchiaia può essere il momento in cui si sciolgono nodi del passato, perdonare, dimenticare la rabbia e talvolta anche innamorarsi di nuovo. Durante la vecchiaia è possibile ripercorrere le pagine della propria vita e provare a rileggerla sulla base di tutti quei «e se» che magari non si ha mai avuto il coraggio di interrogare. La personalità non matura nell’adolescenza, bensì nella vecchiaia perchè ha acquisito gli strumenti per rielaborare le esperienze e confrontarsi con il passato.”

Dice la  professoressa Raffaella Tabacco, Direttore del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università del Piemonte Orientale :” Già nel VII-VI secolo, con Saffo e Mimnermo, la lirica greca sente la vecchiaia come una malattia incurabile. Ne vengono individuati i sintomi: inaridimento della pelle, imbiancamento dei capelli, dolori articolari e debolezza delle gambe, problemi di vista, depressione e desiderio di morte.  Anche nella Retorica di Aristotele si offre un quadro del tutto negativo del vecchio, attribuendogli cattivo carattere e egoismo. Se passiamo al mondo latino del II secolo a.C., Terenzio fa pronunciare a un personaggio della sua commedia Phormio la frase che abbiamo posto come titolo a questa conversazione, ma senza il punto interrogativo: a Demifone che gli chiede come mai si è trattenuto tanto tempo a Lesbo, il vecchio Cremete risponde: “mi ha trattenuto una malattia” e aggiunge “mi chiedi quale malattia? La vecchiaia stessa è una malattia”. Invece negli  autori latini – afferma sempre  Raffaella Tabacco – troviamo consigli su come gestire nel modo migliore l’età avanzata e come arrivare bene ad essa. Plinio il Giovane (I-II sec. d.C.) in una lettera elogia lo stile di vita del dell’anziano Spurinna: a settantasette anni egli fa attività fisica con due passeggiate al giorno, una più lunga, di tre miglia, e una più breve di un miglio (circa 6 km totali) intervallate da riposo; poi bagno, ancora passeggiata al sole e gioco a palla. Fa anche ginnastica mentale: legge, conversa, scrive, si occupa di attualità e di letteratura. Segue un regime alimentare «fine e semplice».Riflettiamo sull’aspetto dell’inserimento attivo dell’anziano nella vita sociale. Spurinna si circonda di amici con cui ha un rapporto intenso e positivo di condivisione, sia fisica sia intellettuale. È implicita qui l’idea che la vecchiaia deve essere significativa, per se stessi e per chi ci sta intorno, e non una presenza che sia di peso o inutile, sia affettivamente sia praticamente.”

C’è tutta la saggezza e la dignità della  vecchiaia in “Cato maior de senectute”  che è anche uno dei testi più importanti dell’antichità. Si tratta  di un ammonimento ad  un’epoca che non sa più invecchiare. E’  il breve testo che  Cicerone  scrive appena prima dell’uccisione di Cesare, in un periodo per lui pieno di amarezze. Sceglie a portavoce Catone, ottantaquattrenne protagonista del dialogo, figura di intatta autorevolezza e di forte prestigio politico. “La vecchiaia” poi come una specie di reportage  si avvale  di una serie di  exempla scelti tra i grandi personaggi del mondo greco e, soprattutto, dell’eroico passato romano, andando così oltre il “semplice” trattato teorico sulla vecchiaia, arrivando a essere un concreto strumento di propaganda politica.

Quest’opera  è la riproposizione della moralita antica, il recupero dei valori positivi della vecchiaia e la creazione di un supporto filosofico per la sempre piu contestata e minata egemonia aristocratica sono più evidenti nel CatoMaior, la testimonianza piu preziosa del dibattito sulla vecchiaia nella seconda meta del I sec. a.C.

Inoltre  in quest’opera Cicerone attingendo alla letteratura greca recupera la concezione omerica della vecchiaia che per il grande poeta era  una normale fase del ciclo dell’esistenza .La «buona vecchiaia» è una concessione degli dei  ed è quasi un compenso alla “ buona “ vita vissuta perché in quel caso  apporta vantaggi  sociali,  rispetto e riverenza, la decadenza fisica e compensata dalle virtù acquisite (esperienza, saggezza, eloquenza). Ed è quasi una consolazione per se stesso in quanto Cicerone al pari di Nestore, si immedesima in Catone che è un paradigma di vecchio saggio e lucido.

Cicerone mette sulla bocca di Catone affermazioni  come quelle che la  vecchiaia, essendo un’inevitabile tappa della vita non va vista in modo negativo ma accettata con serenità. La vecchiaia è un’età  che sembra disarmata ma in realtà ha dalla sua parte  eccezionali qualità come la conoscenza e la virtù. Ed è soprattutto ormai libera da ogni incombenza come per esempio quella della lotta politica  che a quell’età non ha più senso.  Ci sono però infondate opinioni secondo  Catone che la vecchiaia soffra di problemi  del tipo : “    la vecchiaia allontana dalle occupazioni ; rende debole il corpo; priva quasi di ogni piacere;non è molto lontana dalla morte “ A queste problematiche Catone risponde affermando  che  “anche se la vecchiezza indebolisce il corpo, esistono anche attività per l’anima. Le cose grandi non si fanno con l’agilità del corpo ma col senno, l’autorità, col far valere le proprie opinioni. È vero che diminuisce la memoria, ma solo se non viene esercitata, inoltre le cose che stanno a cuore in genere vengono ricordate. Viene preso come esempio Sofocle che diventato vecchio ha continuato a scrivere tragedie come l’Edipo a Colono,e a questi aggiunge i nomi di Platone, Pitagora, Isocrate e tanti altri che hanno continuato le loro attività anche da vecchi.”

Fausto Pagnotta nella pagina del sito ufficiale della Società Internazionale degli Amici di Cicerone  legge l’opera di Cicerone sulla vecchiaia  richiamandone alcuni punti  essenziali capitolo per capitolo in questo modo : “Opera filosofica in forma di dialogo, dedicata a Tito Pomponio Attico (Cato 1-3; Att. 14,21,3; 16,3,1; 16,11,3), si considera in genere composta nei primi mesi del 44 a.C., di certo il terminus ante quem è l’11 maggio del 44 a.C. data di Att. 14,21,3 dove Cicerone scrive Legendus mihi saepius est “Cato maior” ad te missus. Il dialogo è ambientato nella casa di M. Porcio Catone il Censore, nell’anno 150 a.C., dove Catone, ottantaquattrenne, tiene una conversazione sulla vecchiaia alla presenza dei giovani P. Cornelio Scipione Emiliano e C. Lelio. Nella dedica ad Attico (Cato 1-3) Cicerone attribuisce al dialogo una funzione consolatoria, di sollievo dal comune peso degli anni e dalle angosce della vita. Nell’idealizzazione dell’immagine di un Catone cultore dei valori dell’humanitas Cicerone rappresenta tratti della propria personalità. Fin da subito Catone afferma che lamentarsi della vecchiaia è da stolti poiché essa dipende dalla natura e l’uomo non può naturae repugnare (Cato 5). La conoscenza e l’esercizio delle virtù in ogni età, insieme alla consapevolezza di una vita ben spesa, sono i rimedi più efficaci per una buona vecchiaia (Cato 9). La vecchiaia appare ai più portatrice di infelicità perché allontana dalle occupazioni pubbliche, perché rende più debole il corpo, perché toglie ogni piacere, ed infine perché porta alla morte (Cato 15). Per ognuna di queste motivazioni Catone sviluppa una confutazione. Prima di tutto egli afferma che non è vero che da vecchi non si hanno più occupazioni, poiché ci si deve dedicare con il proprio consilium ai concittadini e in particolare all’educazione dei giovani (Cato 16-26, 28-29). Per quanto riguarda le forze fisiche, esse sono soggette alla natura, è quindi inutile lamentarsi, tuttavia grazie ad un moderato esercizio fisico e alla temperanza nei costumi si possono preservare (Cato 34). Nella vecchiaia restano invece in buone condizioni, se esercitate, le facoltà dell’ingegno (Cato 38). Il fatto che la vecchiaia tolga i piaceri, per Catone rappresenta un praeclarum munus aetatis poiché libera dagli affanni giovanili causati dalle voluptatis avidae libidines (Cato 39) pericolose per sé e per la patria. Bisogna dedicarsi piuttosto a quei piaceri da cui si trae utilità unita al beneficio per l’animo, di qui l’elogio dell’agricoltura nella contemplazione del ciclo di semina, nascita e crescita della vite che dona poi preziosi frutti (Cato 52-53). Tutto questo nel ricordo di eminenti personalità della storia di Roma quali ad esempio L. Quinzio Cincinnato e M. Curio Dentato che alternavano attività politica e agricoltura (Cato 55-61). Una chiara analogia tra la sapientia necessaria a coltivare gli affari dello Stato e quella necessaria a coltivare i campi, entrambe bisognose di prudentia e di temperantia. Catone infine confuta la paura della morte (Cato 66-85) argomentando che essa, comune ad ogni età, è naturale nella vecchiaia, mentre è evento violento nella giovinezza (Cato 71). Egli si dice contrario al suicidio citando l’autorità di Pitagora, poiché è contro natura e contro gli Dei (Cato 73). Infine Catone esprime la sua adesione alla concezione dell’immortalità dell’anima come premio riservato a coloro che hanno trascorso una vita virtuosa per sé e per la patria (Cato 77-85), portando beneficio all’umanità, un chiaro richiamo di Cicerone al Somnium Scipionis.

Certo la vecchiaia di Cicerone era una vecchiaia di elite di fronte ad una mortalità  nel mondo greco romano . nell’antica Roma era di circa 40 anni, sebbene siano numerose le fonti letterarie che tramandano i nomi di “venerabili vecchi” come il centenario Quinto Fabio Massimo o Terenzia, prima moglie di Cicerone, morta a 103 anni.

Anche se è difficile fare stime attendibili, sulla base di iscrizioni sepolcrali e di papiri, possiamo dire che in età imperiale i Romani ultraquarantenni costituivano il 25% della popolazione, mentre oltre un terzo era formato da giovani di età inferiore ai 15 anni. Sembra, infine, che gli ultrasessantenni non raggiungessero il 6% della popolazione.

Giuseppe De Rita nel commentare quest’opera di Cicerone  conia il termine “vecchiaia di massa” in quanto evocativo di quello che avviene nella società odierna dove c’è un grande affollamento di persone anziane che una volta erano quelli che avevano superato i 65 anni (la terza età) mentre oggi, grazie all’allungamento della vita, abbiamo anche una quarta e persino una quinta età. Proseguendo così :” De Rita prosegue: “Nella nostra società iperindividualista tentata dal giovanilismo la vecchiaia è socialmente rifiutata e individualmente rimossa. I vecchi vengono lasciati nella solitudine in quanto la vecchiaia è diventata una “transizione personale” con una continua discesa di gradini inavvertiti di declino. L’effetto principale della transizione è che l’anziano diventa giorno dopo giorno “altro da noi”, perde cioè occasioni di sodalità e quote di relazionalità a piccolo e medio raggio. La perdita della relazione, causa ed effetto della solitudine, produce allora una alterità dell’anziano: lui si sente diverso da chi lo circonda e tutti lo sentono dentro un mood psicologico poco comprensibile alla comunità.”(…) concludendo che “la pienezza della vita si realizza solo nella continua fedeltà non a se stessi, come talvolta retoricamente si dice, ma all’oggetto della nostra vita: e l’oggetto è ciò in cui siamo stati chiamati a fare vicenda umana. Quindi fedeltà alle scelte culturali e professionali, al proprio lavoro, alle proprie relazioni umane.” … “legarsi alla fedeltà all’oggetto significa assolvere al mandato di portare avanti un pezzo del processo evolutivo di tutta la società. Non è un cattivo modo di invecchiare, è anzi una coerente preparazione al finale ‘tutto è compiuto’ dove non si evoca il dissolvimento nel nulla ma il compimento di una vita piena, degna, portatrice di frutti.”

Di opinione opposta era  Giacomo Leopardi che nei Pensieri scrive : “«La morte non e un male: perche libera l’uomo da tutti i mali, e insieme coi beni gli toglie i desideri. La vecchiezza e male sommo: perche priva l’uomo di tutti i piaceri, lasciandogliene gli appetiti, e porta seco tutti i dolori. Nondimeno gli uomini temono la morte, e desiderano la vecchiezza» anche se Il topos dell’odio della vecchiaia prima desiderata e frequente nella letteratura greca e latina (cf. ad esempio Cic. sen. 4, quam [scil. senectutem], ut adipiscantur omnes optant, eandem accusant adeptam; tanta est stultitiae inconstantia atque perversitas).Ma  torniamo   su questi temi  nella seconda parte senza dimenticare un altro contributo che è quello  sulla

bellezza della vecchiaia tratta da  un brano di un’opera di Seneca  Epistulae Lucilium  12 .

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