URSS, A CENTO ANNI DALLA RIVOLUZIONE SOVIETICA: I PERCHE’ DELLA CADUTA
Redazione-URSS – A 100 anni dalla Rivoluzione Sovietica, i perché della caduta Una ricerca legata alla strategia dei comunisti oggi, che vedono nei limiti strutturali del capitalismo una conferma della necessità e dell’attualità del socialismo come unica alternativa al potere della finanza e delle istituzioni internazionali, in grado di porre al centro gli interessi dei lavoratori e delle classi popolari, di risolvere i problemi connessi con l’ineguale sviluppo e ripartizione della ricchezza a livello globale. La rivoluzione sovietica, secondo il Partito Comunista, ha inaugurato un’era di rivoluzioni che ancora non si è conclusa e che traccia la via maestra per l’emancipazione dei popoli.
MARCO RIZZO
con Alberto Lombardo
URSS
A 100 anni dalla Rivoluzione Sovietica, i perché della caduta
«Le fortezze si conquistano dall’interno»
(Joseph Stalin)
«Il krusciovismo è lo spirito borghese»
(Viaceslav Molotov)
«Se Andropov avesse avuto quindici anni di meno, oggi l’Unione Sovietica ci sarebbe ancora»
(fonte riservata Cia)
«Quel cane rognoso (il partito), non può essere lasciato senza guinzaglio»
(Michail Gorbaciov)
«Nel corso degli anni alcuni elementi corrotti hanno infestato il corpo del partito e della società in generale ma, dopo l’avvento di Gorbaciov nel 1985, nel giro di un anno o due, sono sopraggiunte forze ancora più orribili e assolutamente più corrotte che hanno soffocato qualsiasi possibile rigenerazione avviata nel partito e nel Paese»
(Egor Ligaciov)
«Non è fallito il Socialismo, da Krusciov a Gorbaciov, è fallita la sua revisione»
(Marco Rizzo)
Da l’Introduzione
Il 7 novembre del 1917 milioni di operai, contadini e soldati, guidati da Lenin, capo del Partito Bolscevico, compirono per la prima volta nella storia dell’umanità la più grande rivoluzione in grado di scalzare dal potere la borghesia, instaurando un nuovo potere operaio e popolare fondato sui Soviet come base del nuovo Stato Socialista.
Ciò avvenne per il concentrarsi in quel paese di alcune contraddizioni del capitalismo che lo portarono ad essere l’anello debole della catena imperialista, ma anche per la costruzione nel corso di lunghi anni di una forte direzione politica rivoluzionaria, che seppe coniugare, in ogni fase di sviluppo degli avvenimenti, una giusta analisi di classe del capitalismo e dell’imperialismo con una audace e tempestiva determinazione dei compiti dell’avanguardia organizzata della classe operaia e del popolo: il Partito Comunista. Solo così si poté, nel breve volgere di pochi giorni, spostare i rapporti di forza a favore delle forze proletarie ed instaurare il potere dei soviet, sconfiggere la reazione interna dei capitalisti e dei proprietari terrieri e successivamente, nel corso di una lunga guerra civile, respingere l’attacco di 15 eserciti stranieri, che si scatenarono, nell’interesse del capitale finanziario internazionale, nel primo feroce attacco contro la Russia Sovietica per uccidere nella culla la giovane rivoluzione.
La storia dello stato che, dopo la vittoria contro l’invasione straniera si chiamerà Unione Sovietica, è la storia della costruzione del primo stato socialista del mondo e che diventerà la seconda potenza industriale del mondo e saprà respingere il secondo proditorio attacco delle forze imperialiste europee e mondiali nel 1941, questa volta nella forma delle armate nazi-fasciste, inseguendo il nemico fino alla sua capitale, Berlino, issando sulla sede del Reichstag la bandiera rossa dell’Unione Sovietica e della rivoluzione proletaria.
La storia del primo stato socialista terminerà nel 1991 con la restaurazione del capitalismo e la vanificazione delle grandi conquiste sociali che in quell’esperimento si realizzarono. Restaurazione che si verificò certo a causa delle pressioni internazionali, ma soprattutto dell’avvento nella sua direzione politica di forze che – realizzando una profonda revisione prima, e abbandonando poi, i principi e i valori del marxismo-leninismo – cominciarono a perseguire in teoria il progetto della impossibile convivenza della pianificazione statale centralizzata col mercato, nei fatti a inseguire il modello capitalistico, subendone la profonda influenza economica, politica e in ultimo anche ideologica, fino a diventarne subalterni, abbandonando la competizione internazionale ed essendone alla fine sconfitti.
Perché, a cento anni dall’inizio del primo stato socialista, ci interroghiamo invece sul suo crollo? La domanda è semplice e la risposta quasi banale: se non comprendessimo i motivi di quel crollo – o peggio, se arrivassimo alla conclusione che quel crollo era “inevitabile”, ossia dovuto a difetti intrinseci e ineliminabili della costruzione – sarebbe alquanto velleitario riproporre a un secolo di distanza soluzioni che si richiamano a quell’esperienza. Invece questo libro vuole proprio fare il punto sulle nostre riflessioni, certamente non conclusive, che ci portano a ritenere ancora oggi che l’unica alternativa alla barbarie capitalista, del cui fallimento siamo tutti testimoni oculari, sia il socialismo scientifico, basato sulla pianificazione centralizzata diretta dalla classe operaia e dai lavoratori, ossia quello che, secondo le nostre ricerche e riflessioni, c’è stato in URSS e, per un brevissimo periodo, nei paesi dell’Est a democrazia popolare fino al 1953/1956.
Perché poniamo questa doppia data di cesura? Nel 1953 è avvenuta la morte di Stalin, con gli sconvolgimenti verificatisi già nei primissimi tempi dopo quell’evento; nel 1956 tali mutamenti hanno messo capo al congresso cruciale, il XX del PCUS a livello globale (e l’VIII del PCI in Italia), che ha sancito quella svolta. Ma quegli avvenimenti cosa hanno prodotto? Hanno mutato dall’oggi al domani la natura dei partiti comunisti che ne hanno seguito la linea? Hanno mutato dall’oggi al domani la natura degli stati a direzione operaia trasformandoli in stati a direzione borghese? Oppure questi partiti e questi stati sono rimasti nel solco del socialismo fino all’ultimo atto di scioglimento nel 1989/91? Le due opposte risposte porterebbero o a rigettare quelle esperienze già dal momento della loro modifica o a sostenerne la validità, pur riconoscendone i limiti, fino all’ultimo istante. Col sentimento non riusciamo a collocarci né da un lato né dall’altro dei due estremi: possiamo rinnegare la società colta, solidale, economicamente e scientificamente sviluppata che i paesi socialisti e a democrazia popolare erano riusciti a costruire? Possiamo rinnegare il sostegno ai movimenti di liberazione e anticoloniali nel mondo? Il baluardo contro l’imperialismo guerrafondaio della NATO? E in Italia, possiamo dimenticare quella grande forza che fu il Partito Comunista Italiano, le sue sezioni maestre di vita per tanti compagni? E le lotte che portarono alla difesa e all’affermazione dei diritti di milioni di lavoratori? Dall’altro lato non possiamo neanche dimenticare che si permise di avvelenare la pianta della società socialista e dei partiti comunisti e operai con un germe che studiamo in questo libro e che fu veicolato da Krusciov, ancora prima dei Gorbaciov e, in Italia, dei Berlinguer e degli Occhetto.
Come discepoli di Marx, invece, armati della bussola del materialismo storico, dobbiamo far discendere i processi politici e ideologici dalle relazioni di classe che si instaurano nella società, ossia dai rapporti di produzione: quelli principali, ma anche quelli secondari, che poi possono anche prevalere sui primi.
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