“TORNA INDIETRO L’OROLOGIO DELLA STORIA DELLA GIUSTIZIA MINORILE ” -DI VALTER MARCONE
Redazione- L’orologio della storia della giustizia minorile italiana è stato rimesso indietro. Sono gli effetti del decreto Caivano che in un solo colpo riportano indietro un mondo, quello della cosiddetta devianza e disadattamento minorile. Lo riportano indietro di almeno mezzo secolo e polverizzano una convinzione ormai acquisita da cinquant’anni di lavoro degli operatori della giustizia minorile, della magistratura minorile, della società in generale : ovvero che l’applicazione delle misure di privazione della libertà in un istituto penale ,la collocazione in carcere , sia l’estrema ratio in un percorso di trattamento condiviso dal minore affidato appunto alla giustizia minorile.
Punire per educare si sta rivelando una «politica perdente».E’ il grido che viene dal settimo rapporto sulla giustizia minorile di Antigone (1) che di fronte al fatto che nei primi mesi del 2024 sono già 500 i minori detenuti afferma che che con il decreto Caivano sono stati fatti dei «passi indietro» anche sul fronte della rieducazione del minore. Quel decreto «ha introdotto una serie di misure che stanno avendo e continueranno ad avere effetti distruttivi sul sistema della giustizia minorile – sottolinea così l’associazione – sia in termini di aumento del ricorso alla detenzione che di qualità dei percorsi di recupero per il giovane autore di delitto».
Un ritorno al passato, ad anni bui di sofferenza sia per i minori ristretti negli istituti penali ma anche per gli operatori ai quali quei minori erano affidati . Il “ sole a cancelli” non fu mai una prospettiva né un modo di ricostruire esistenze di ragazzi e adolescenti falcidiate dalla disattenzione degli adulti, dalla incapacità genitoriale , dalla evasione scolastica, dall’uso da parte della criminalità organizzata come manovalanza per piccolo spaccio, atti di intimidazione, dalla mancanza di risorse personali, familiari, sociali e ambientali .Spesso con una compensazione quella del rifugio nel gruppo , in un vuoto totale di altri interventi a sostegno o aiuto per difendersi dagli altri. Trovando nel gruppo una propria identità, un proprio posto, una accettazione e un riconoscimento .
Erano quelli gli anni in cui si svolse un percorso partendo dal fatto indiscutibile ma non più proponibile in cui gli istituti minorili erano fotocopia delle istituzioni carcerarie per adulti essendo regolati dalla legge e dal regolamento carcerario vigente per gli adulti . Istituti minorili che dipendevano da un ufficio della Direzione generale degli istituti di prevenzione e pena per gli adulti. Che soffrivano degli stessi problemi delle istituzioni per adulti purtroppo ancora attuali : l’inadeguatezza delle strutture a volte fatiscenti, il sovraffollamento,la carenza di personale di polizia penitenziaria ma anche di personale educativo, la separazione dalla comunità locale con un muro a volte veramente alto non solo di mattoni ma anche psicologico a isolare quella bolla del “ dentro” da un “ fuori “ che era spesso tutto un altro mondo. Una condizione di separatezza che voleva dire quasi sempre la commissione di una delega agli operatori da parte della società per nascondere appunto dietro un muro la coscienza sporca di quella stessa società che escludeva ai nastri di partenza generazioni di giovani con il timbro della “giustizia minorile”.Una delega che ancora oggi sembra riprendere a funzionare e si allarga ad altri settori come per esempio a strutture come i cto per emigranti, le rsa per gli anziani, i cim per le malattie mentali .
Un mondo quello minorile degli istituti che come diceva un direttore del tempo “aveva l’odore del piscio che avvertivi quando entravi in una sezione “ sia di una casa di rieducazione, di un riformatorio o di una prigione scuola ( chi scrive ne fa testimonianza )per trasformarsi quando ti ci eri abituato in un odore di sudore e solitudine, di cibo irrancidito e rabbia ,di adrenalina e sciacquatura di pavimento di prima mattina, di speranza e deodoranti ascellari da pochi soldi, di insonnia e zapping tra programmi televisivi di scarso interesse. Un mondo che seppure trasformato da cinquant’anni di lavoro , di interventi e di provvedimenti normativi e legislativi che ci viene raccontato con l’improbabile contesto di una fiction televisiva come Mare fuori . Un racconto molto ma molto immaginario per una serie televisiva ideata da Cristiana Farina e prodotta da Rai Fiction e Picomedia, distribuita a partire dal 2020 ,nota anche con il titolo internazionale The Sea Beyond, incentrato sulle vicende dei detenuti e del personale appunto di un immaginario istituto penale per minorenni di Napoli , liberamente ispirato al carcere di Nisida .
Un mondo che si è andato trasformando a partire dalla istituzione di un Dipartimento della Giustizia minorile e di comunità del Ministero della Giustizia che ha dato autonomia a questo settore sollecitata e voluta da due uomini eccezionali Sandro Pertini allora presidente della Repubblica e Eduardo De Filippo molto vicino ai suoi ragazzi del Istituto penale “ Filanguieri” Napoli. Separandola nettamente dall’intervento per gli adulti che fanno capo ora al Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria sempre del Ministero della Giustizia. Un cambiamento secondo un percorso che si incentra sulla approvazione del 1988 del D.P.R.488 intitolato “Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni” che stabilisce che le disposizioni in esso contenute si osservano nei procedimenti a carico di minorenni e che, per quanto in esso non previsto, si applicano quelle del codice di procedura penale (art.1).Con il codice di procedura penale si intende garantire una modalità processuale che riconosca che il processo penale minorile sia un evento delicato e importante nella vita del minore che deve essere adeguato alle esigenze di una personalità in fase evolutiva .( 2)
E sulla entrata in vigore di un Regolamento carcerario : Decreto legislativo 2 ottobre 2018 n.121 “Disciplina dell’esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni”, pubblicato sulla G.U. del 26 ottobre 2018 e in vigore dal 10 novembre 2018, realizza dopo 43 anni dall’emanazione dell’Ordinamento Penitenziario quanto previsto per i minorenni all’art. 79 Legge 26 luglio 1975 n. 354, dando vita ad un vero e proprio Ordinamento penitenziario minorile. Definisce le misure penali di comunità, introduce modifiche, in alcuni ambiti sostanziali, della disciplina dell’esecuzione penale per i minori di età ed i giovani adulti, con le relative ricadute a livello organizzativo e funzionale della vita all’interno degli Istituti penali per minorenni (IPM).
Partendo quindi dalla considerazione che alcuni comportamenti reattivi che definiamo anormali non siano altro che la rivelazione di un disagio giovanile,il compito è stato dunque nella storia della giustizia minorile quello di intervenire su tale disagio. Non attraverso strumenti di punizione, coercizione, isolamento ma interventi mirati a riconfermare l’integrità della personalità adolescenziale. Cosa che il Decreto Caivano avrebbe dovuto riproporre anche per gli interventi sul territorio, atteso che il modello della giustizia minorile italiana viene studiata in tutta Europa e che invece non fa. Negando,con la punizione implicita nelle misure contenute nel decreto, la ricerca propria di quell’età attraverso maggiori opportunità di impegno culturale, formativo, sportivo, e quindi con un maggior numero di operatori come educatori, insegnanti, allenatori sportivi, assistenti sociali, psicologi per combattere difficoltà individuali derivanti dalla inidoneità dei modelli educativi ricevuti dalla famiglia di origine, dagli impedimenti di carattere sociale, economico e culturale, oltre che dall’incapacità di relazionarsi con gli altri e di riempire di significato le proprie esperienze in modo costruttivo.
Ora il decreto Caivano che nella retorica dell’immediato doveva appunto preparare il contesto nel quale svolgere questi interventi in realtà ,per quanto riguarda il settore minorile introduce un maggior controllo e strumenti che appunto l’intervento della giustizia minorile ha inteso rendere obsoleti con i cambiamenti avvenuti in questo settore negli ultimi cinquanta anni.
Perchè il decreto Caivano in sostanza ,come già ricordato su queste pagine con il titolo :Decreto Caivano. La camorra vuole il silenzio ( Prima parte ) pone l’accento sulle misure privative della libertà del minore ricorrendo con maggiore facilità all”applicazione della misura della custodia cautelare in carcere e con uno sguardo più severo nei confronti dei giovani in età superiore ai 18 anni che fino a 25 possono permanere negli istituti penali minorili. Il comunicato del Consiglio dei ministri spiegava così queste due misure.
“Si reintroduce la possibilità di applicare la custodia cautelare al soggetto minorenne se lo stesso, in veste di imputato, si è dato alla fuga o sussiste concreto e attuale pericolo che si dia alla fuga.
Si introduce, inoltre, una nuova disposizione concernente il percorso rieducativo del minore: nel caso di reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore a cinque anni o la pena pecuniaria, il pubblico ministero notifica al minore e all’esercente la responsabilità genitoriale l’istanza di definizione anticipata del procedimento, subordinata alla condizione che il minore acceda a un percorso di reinserimento e rieducazione civica e sociale sulla base di un programma rieducativo. Tale programma deve prevedere lo svolgimento di lavori socialmente utili o la collaborazione a titolo gratuito con enti no profìt o lo svolgimento di altre attività a beneficio della comunità di appartenenza; in caso di esito positivo del percorso di reinserimento e rieducazione, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere dichiarando l’estinzione del reato; in caso di esito negativo riguardo all’attività svolta dal minore durante il programma, rimette gli atti al p.m. per la prosecuzione del procedimento.
E quindi in tema di sicurezza degli istituti penali per minorenni si dice : “ Si introduce la possibilità che il direttore dell’istituto penitenziario chieda al magistrato di sorveglianza il nulla osta al trasferimento dall’istituto minorile al carcere nei confronti del detenuto di età compresa tra 18 e 21 anni che abbia commesso il reato da minorenne, il quale con i suoi comportamenti, cumulativamente: compromette la sicurezza o turba l’ordine negli istituti; con violenza o minaccia impedisce le attività degli altri detenuti; si avvale dello stato di soggezione da lui indotto negli altri detenuti. Se il detenuto è di età compresa tra 21 e 25 anni, la richiesta di nulla osta è possibile se il detenuto stesso abbia realizzato anche una sola delle condotte sopra descritte.”
Infine il Decreto vorrebbe rafforzare l’offerta educativa : “Si rafforza l’offerta educativa nelle scuole del meridione caratterizzate da alta dispersione scolastica, attraverso il potenziamento dell’organico dei docenti delle istituzioni scolastiche statali con maggiore disagio educativo. Si incrementa di 6 milioni di euro il Fondo per il miglioramento dell’offerta formativa (MOF), al fine di incentivare la presenza dei docenti nelle zone più disagiate, anche attraverso la valorizzazione dei docenti che permangono nella stessa istituzione scolastica garantendo la continuità didattica. A tal fine, in favore dei docenti a tempo indeterminato, sono previste misure incentivanti quali l’attribuzione di una quota pari al 50% dell’incremento del Fondo, secondo criteri che tengano conto degli anni di permanenza nella stessa istituzione scolastica e l’attribuzione di un punteggio aggiuntivo di 10 punti, a conclusione del triennio effettivamente svolto, e ulteriori 2 punti per ogni anno di permanenza dopo il triennio.
Si rafforzano i meccanismi di controllo e verifica dell’adempimento dell’obbligo scolastico e si introduce una nuova fattispecie di reato per i casi di elusione. Nell’ipotesi di dispersione assoluta (il minore mai iscritto a scuola nonostante l’ammonimento), si introduce la pena fino a due anni di reclusione; nel caso di abbandono scolastico (il minore che, pur iscritto, faccia un numero di assenze tale da eludere l’obbligo scolastico), la pena prevista è fino ad un anno di reclusione. Inoltre, i soggetti che violano l’obbligo perdono il diritto di percepire l’assegno di inclusione.
Con un particolare occhio alla tutela dei minori che utilizzano dispositivi informatici “Si prevede l’obbligo, per i fornitori dei servizi di comunicazione elettronica, di assicurare la disponibilità delle applicazioni di controllo parentale nell’ambito dei contratti di fornitura di tali servizi. A regime, si prevede inoltre l’obbligo per i produttori di dispositivi di telefonia mobile (e simili) di assicurare l’installazione di default di tali applicazioni nei nuovi dispositivi immessi sul mercato.Si prevedono oneri informativi in capo ai produttori di dispositivi, i quali sono tenuti ad informare l’utenza circa la possibilità e l’importanza di installare tali applicazioni, che dovranno essere gratuite.Si introducono, inoltre, norme per favorire l’alfabetizzazione digitale e mediatica a tutela dei minori, anche con campagne informative».
Un decreto dunque che nega tutti gli interventi per i minori che sembravano doversi mettere in atto e che durante l’iter di approvazione fece segnalare due criticità da parte del Garante dell’infanzia Carla Garlatti . La prima è che si sta imboccando una strada che fa fare un passo indietro rispetto a un sistema penale minorile che considera la reclusione dei minorenni come extrema ratio. La seconda criticità riguarda il sistema italiano: “La vera emergenza non è quella di prevedere un maggior ricorso al carcere – scrive Garlatti nel parere – ma quella di potenziare le strutture, sia carcerarie che comunitarie, per renderle luoghi di efficace e reale recupero dei minorenni. È necessario chiedersi, prima di tutto, quale debba essere il fine di un periodo di carcerazione, non limitarsi al mezzo”.“È inoltre fondamentale – proseguiva Garlatti – prevedere il rafforzamento e la creazione delle comunità terapeutiche: la salute mentale degli adolescenti, soprattutto quelli appartenenti a contesti di marginalità e svantaggio sociale nonché quelli detenuti che spesso sviluppano una dipendenza agli psicofarmaci, è l’elefante nella stanza che le politiche pubbliche continuano a ignorare”.
Un intervento che è anche un insulto al lavoro di decine e decine di operatori che hanno lavorato nella giustizia minorile perchè il vero risultato di questo decreto è che nel 2023 sono stati 1.143 i ragazzi e le ragazze che hanno fatto ingresso negli Istituti penali minorili (Ipm). Mai così tanti negli ultimi quindici anni. E il ritmo delle presenze non sembra rallentare: nel mese di gennaio 2024 i giovani detenuti in misura cautelare erano 340 contro i 243 dell’anno precedente. Uno su due per reati contro il patrimonio .Il rapporto “Prospettive minori” di Antigone denuncia la crescita della presenza di minorenni, quasi il 60% del totale, soprattutto stranieri.
La criminalità minorile torna ai livelli del 2015 con 32.522 ragazzi segnalati alle autorità, in aumento rispetto ai dati bassi del 2020 ma influenzati dalle restrizioni dovute alla pandemia da Covid-19. aumenta, infatti, anche la presenza di minori stranieri, che al 15 gennaio 2024 rappresentavano oltre il 51% della popolazione detenuta. Rispetto agli altri sono più spesso in custodia cautelare (75,6% contro il 61,2% degli italiani) anche se commettono, generalmente, reati meno gravi: quasi il 64% ha commesso reati contro il patrimonio, un dato che si ferma al 47,2% per gli italiani. In generale, il sistema della giustizia minorile “funziona meglio per chi è a monte maggiormente garantito e può contare su reti sociali e familiari esterne”, come si legge nel rapporto.
A metà gennaio nei 17 istituti attivi in Italia erano presenti 496 detenuti (13 ragazze): un numero che in Italia non si raggiungeva da più di dieci anni. Secondo Antigone sarebbe causato soprattutto dagli effetti del decreto varato dal Governo Meloni a metà settembre 2023 (convertito in legge il 14 novembre) in seguito allo stupro di due ragazze al Parco Verde di Caivano a Napoli.
Scrive Antigone nel suo rapporto : “ Il cosiddetto Decreto Caivano ha introdotto una serie di misure che stanno avendo e continueranno ad avere effetti distruttivi sul sistema della giustizia minorile, sia in termini di aumento del ricorso alla detenzione che di qualità dei percorsi di recupero per il giovane autore di delitto. L’estensione delle possibilità di applicazione dell’accompagnamento a seguito di flagranza e della custodia cautelare in carcere stravolge l’impianto del codice di procedura penale minorile del 1988 e sta già determinando un’impennata degli ingressi negli IPM. L’aumento delle pene e la possibilità di disporre la custodia cautelare in particolare per i fatti di lieve entità legati alle sostanze stupefacenti – comma 5 di quell’art. 73 che costituisce in assoluto l’attore principale del nostro sistema penale – continuerà a determinare un grande afflusso di giovani in carcere anche in fase cautelare. Invece di intervenire sui servizi per la tossicodipendenza e sull’educazione nelle scuole si va a inasprire una figura di reato che porterà a maggiori arresti di minori che consumano sostanze psicotrope anche leggere e sono spesso coinvolti solo occasionalmente con lo spaccio.”
Due dati lo confermerebbero. Da un lato, come detto, l’aumento della custodia cautelare (il 68,5% è detenuto in attesa di una condanna definitiva) e di coloro che vi fanno ingresso per violazione della legge sugli stupefacenti, cresciuti di oltre il 37% tra il 2021 e il 2022.
Dall’altro, invece, il fatto che è in atto una inversione di tendenza: ovvero il trasferimento dei giovani adulti ( da 18 a 25 anni),il 57-58% ddell’intera popolazione carceraria minorile , su proposta del Direttore ,che potevano permanere negli istituti minorili per finire di scontare la pena iniziata prima dei 18 anni. “Questa inversione di tendenza è frutto delle norme del ‘decreto Caivano’ che amplia la possibilità di ricorrere alla custodia cautelare e dà il potere al direttore dell’istituto di trasferire i detenuti diventati maggiorenni subito nel carcere per adulti . Così, entrano più minorenni in custodia cautelare e per fare posto e risolvere le situazioni di conflitto più difficili da gestire, i diciottenni vengono ‘scaricati’ nella fabbrica di criminalità che oggi rappresentano i penitenziari. Interrompendo nei fatti il loro percorso di crescita”.
“Punire per educare” è diventato politica attiva. Una politica perdente: la giustizia minorile non meritava le involuzioni normative presenti nel cosiddetto decreto Caivano che ci riporta qualche decennio indietro nella storia giuridica del nostro Paese” come dice Antigone, nel suo rapporto “Prospettive minori” ,specchio di una realtà che ha altri bisogni e richiede altri mezzi per essere trattata per ottenere risultati positivi.
(1)https://www.antigone.it/upload2/uploads/docs/PROSPETTIVE%20MINORI_cartella%20stampa.pdf
(2)favorire una rapida uscita del minore dal circuito penale non interrompendo i processi educativi in atto attraverso misure quali:
- (art.32 del D.P.R. 448/88) Perdono giudiziale: quando si presume che il minorenne si asterrà dal commettere ulteriori reati. Già previsto dall’art.19 del R.D.L. 20 luglio 1934, n.1404.
- (art.27 del D.P.R. 448/88) Non luogo a procedere per irrilevanza del fatto: si applica quando il reato è tenue, occasionale e l’ulteriore corso del procedimento pregiudicherebbe le esigenze educative del minore. Il giudice, su richiesta del P.M., può applicare una misura di sicurezza.
- (art.20 del D.P.R. 448/88) Prescrizioni. Il Giudice può impartire, nell’ambito delle misure cautelari, regole di condotta inerenti attività di studio, lavoro o altre attività utili alla sua educazione, con contemporaneo affidamento del minore al controllo e all’assistenza dei Servizi minorili dell’Amministrazione della Giustizia
- (art.21 del D.P.R. 448/88) Permanenza in casa. Il giudice può prescrivere la misura cautelare non detentiva della permanenza in casa, che prevede l’obbligo per il minore di stare presso l’abitazione familiare o altro luogo di privata dimora, con ampia discrezionalità da parte del giudice in ordine alle esigenze di studio o di lavoro o altre attività utili all’educazione del minore, con compiti di vigilanza attribuiti al genitore o alle persone nella cui abitazione è disposta la permanenza.
- (art. 28 del D.P.R. 448/88) Sospensione del processo e messa alla prova. Il giudice, sentite le parti, può disporre la sospensione del processo e la messa alla prova per un periodo non superiore a tre anni quando ritiene di dover valutare la personalità del minore sulla base di un progetto di intervento elaborato dai Servizi Sociali del Dipartimento Giustizia Minorile in collaborazione con i Servizi Sociali dell’Ente locale al quale il minorenne deve dare la propria adesione e che, in genere, prevede il coinvolgimento della famiglia del minore e del contesto sociale – scuola, ente di formazione, datore di lavoro. Questo istituto giuridico si rifà all’impianto filosofico della probation inglese.