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TERREMOTO E PANDEMIA| L’ADOLESCENZA A RISCHIO

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Redazione- L’adolescenza al tempo del covid . Ma anche al tempo del terremoto. Tanto per parafrasare il titolo di un famoso romanzo che si riferisce sempre ad una pandemia. La riflessione che propongo oscilla tra due termini temporali il  sisma del 2009  e l’attuale pandemia da Sars Cov 2 e su una domanda  interessante  : può il comportamento dei gruppi adolescenziali  in condizioni di difficoltà disagio e rischio come sono quelle  instaurate da un terremoto o da una pandemia, essere definito un comportamento da bande . Ove per bande si intende la definizione classica che gli studi di sociologia e di psicologia  ne hanno dato.  Lo scenario quello di una città L’Aquila  . Protagonisti i giovani  che  è bene dirlo fin da subito sono quelli che in entrambe le evenienze hanno pagato il prezzo più alto. Tanto che spesso abbiamo parlato e letto di adolescenza a rischio, storie di ordinario disordine , follie, trasgressioni, aggressioni,  e ancora di più. Bande , risse , movida fastidiosa .Ma anche per fortuna comportamenti esemplari, recuperi prodigiosi ,insomma la confusione di una realtà pieno di “realtà” non esente da qualche venatura di sogno e da una spesso misconosciuta trasformazione della realtà stessa  .A cominciare dalla stessa visione della città, dalle sue rinate architetture , dalla funzione dei suoi luoghi,dall’uso che se ne faceva, se ne fa e se ne farà . Insomma tutto il possibile e l’immaginario con-fusi e fusi tra loro .

Parto da una testimonianza  riportata da Il Capoluogo ,it su episodi di movida fastidiosa nel centro storico di L’Aquila da parte di gruppi di adolescenti   nel momento delle riaperture dopo il lungo periodo di  limitazioni  a causa  della pandemia  per il Covid 19.  Il centro storico di L’Aquila già nelle condizioni in cui lo aveva lasciato il sisma  del 2009  è stato  sempre punto di attrazione  di giovani che, al sabato pomeriggio  preferibilmente, hanno continuato ad occupare  i luoghi  che frequentavano prima del terremoto. Al sabato pomeriggio  in processione ,a gruppi, gli   adolescenti hanno continuato ad invadere il centro storico , specialmente al sabato pomeriggio , a cominciare da  quel pezzo di corso ancora  agibile, in quelle piazze appena sgombrate dalle macerie E poi man mano che la zona rossa si restringeva anche in altri luoghi . .Punto di incontro proprio  i luoghi  del centro storico per “scorazzare” stando insieme, rafforzando a vicenda le identità,  raccontandosi  dolori e speranze , ansie e affanni ; padroni indisturbati di una situazione da cratere lunare

 Un’abitudine che di generazione in generazione è andata avanti mentre la ricostruzione progrediva e il centro storico assumeva nuovamente il suo volto  pre sisma e  la sua funzione.  In sostanza quella  di vetrina e di  luogo della cosiddetta moderna movida.  Pre sisma  era il passeggio per il corso lungo e il corso breve degli anziani , delle famiglie,dei gruppi di ragazzi . Anche se il centro storico si riempiva ad orario  delle varie tipologie di cosiddetti utenti , si fa per dire, durante i giorni della settimana . Al mattino plotoni di studenti  per il liceo , le scuole medie ed elementari, genitori che li accompagnavano ,insegnanti , impiegati  dei vari uffici. Poi  a mezza mattinata ondate di persone che si riversavano su Piazza Duomo per gli acquisti al mercato. Poi all’ora dell’aperitivo e della pausa pranzo, gli impiegati che affollavano i bar  e i punti di ristoro. La Standa e l’Upim mete preferite per  ricognizioni e acquisti. Dopo pranzo  gli anziani, i pensionati , gli sfaccendati  e dall’ora del te pomeridiano di nuovo  appunto scolari che uscivano dal tempo pieno , studenti , famiglie e quindi la movida  fino all’ ora di “carosello” che segnava  la chiusura  dei negozi e il progressivo spopolamento del centro storico fino all’indomani  . Con alcune appendici dei locali per l’intrattenimento  degli studenti  universitarie le loro feste , le allegre compagnie  per occasioni particolari : insomma una vita notturna seppure discreta e da club privati. Il sabato pomeriggio i gruppi  che frequentavano il centro storico cambiavano  consistenza  numerica e  per così dire tipologica. La domenica mattina  il vuoto , mentre il passeggio riprendeva  al tardo  pomeriggio .

Mi sono dilungato su questa descrizione  quasi antropologica di quella che oggi chiamiamo movida  perché  così come l’abbiamo vissuta  non ha nulla a che vedere con  la movida odierna, quando  la ricostruzione va restituendo gran parte del centro storico e la pandemia va allentando  i freni. Quella di oggi è una movida fastidiosa, chiassosa, forse sfrenata perché ha sofferto limitazioni ( terremoto e pandemia ) e deve rifarsi , concentrata in alcune ore della giornata e fino a pochi mesi fa solo di notte e  solo attorno ad alcuni locali . Con un grande disturbo  dei residenti che si sono visti  costretti  a reclamare da ultimo , con la minaccia di adire anche la via legale , l’attuazione di alcune norme di legge  per esempio sulla limitazione dei rumori,(1) cosa che l’amministrazione comunale non ha finora  eseguita arrivando fino a minacciare la stessa amministrazione  di citarla  in giudizio per un risarcimento  cosa già avvenuta, secondo la giurisprudenza corrente  a favore dei cittadini di  un quartiere di Torino. ( 2)

Un  tema dunque  che  tra  alterni dibattiti  e discussioni  sulla nuova o vecchia funzione del centro storico e  sull’esasperato uso di certi luoghi e sulle lamentele dei residenti ,tocca incidentalmente  l’argomento di questa riflessione  che  parte si  da una testimonianza su  episodi di movida fastidiosa  da parte di  gruppi di adolescenti  ma  introduce un tema  ben più importante della movida fastidiosa o della perdita storica di una abitudine di provincia.  Mette in discussione  la condizione giovanile  post  sisma  che  nelle sue  deprivazioni, limitazioni e  disagi arriva  fino alla pandemia .. Una condizione che da anni  paga un prezzo altissimo in  tema di evasione scolastica, disuguaglianze ,povertà educativa,  difficoltà nella formazione , difficoltà nella ricerca del lavoro , perdita di identità .

Lo aveva detto già immediatamente dopo il sisma Save di Children  nel mettere a punto un progetto di intervento mirato alle necessità e ai bisogni dei giovani colpiti dal  terremoto  : “Il progetto offre un pacchetto di percorsi formativi per l’anno scolastico 2009-2010, con indicazioni metodologiche e strumenti didattici funzionali a sviluppare un progetto centrato sulla rielaborazione e la narrazione di quanto vissuto durante e dopo il terremoto. Il fine è dare ai giovani coinvolti nelle attività progettuali la possibilità di apprendere, confrontarsi ed esprimersi secondo modalità e linguaggi diversi”, spiegava Francesca Bilotta, responsabile dell’Area Educazione e Scuola di Save the Children Italia. “Nel progetto lavorerà un team di operatori di Save the Children e una nuova équipe locale. Fra le attività progettuali è prevista la realizzazione di un cortometraggio (in collaborazione con l’Università Roma Tre); la realizzazione di percorsi giornalistici a supporto della gestione della Radio “Good morning, L’Aquila”; laboratori di scrittura creativa; l’attivazione di gemellaggi con dieci scuole delle province di Milano e di Roma.”

Ma arrivo  proprio dalla testimonianza che  mi  ha dato lo spunto per  ricordare le difficoltà  attuali di una adolescenza a rischio  che il Capoluogo  riferisce nel modo che segue perché  vuole essere proprio  non solo l’incipit del  mio  discorso ma anche il cuore della riflessione . Attorno a questa testimonianza  ho cercato di articolare  l’esame come dicevo di una condizione  adolescenziale che   esprime alcuni segnali  tra cui  , non solo  movida fastidiosa o il comportamento da bande come vengono definiti i comportamenti di gruppo   , ma anche  per esempio l’abuso di sostanze che è una fuga dalla realtà  per riuscire a conservare ,per assurdo, qualcosa di se stessi che inesorabilmente poi, per l’uso di sostanze si perde forse irrimediabilmente.. Un modo di testimoniare una ricerca  adolescenziale  che  disturbata e interrotta  produce guasti non solo personali ma per l’intera comunità , difficilmente quantificabili non solo nell’oggi ma soprattutto nel futuro prossimo.

Questa la testimonianza letta su il  Capoluogo : “Questa non è movida, magari lo fosse: siamo davvero preda di bande di piccoli delinquenti, per la maggior parte minorenni che trattano questa zona del centro storico come fosse una vera fogna”, spiega esasperato al Capoluogo il titolare di un locale che si trova intorno Piazza Palazzo. “Sono arrivato in centro solo un anno fa e da quando abbiamo riaperto devo combattere ogni giorno con delle difficoltà ben peggiori della crisi causata dalla pandemia”, continua il gestore del locale a Piazza Palazzo. “Praticamente, da quando abbiamo riaperto, passiamo le nostre giornate a pulire le loro schifezze e a stare attenti che non succeda qualcosa. Girano i gruppi senza mascherine, senza distanziamenti, bevendo anche in 10 dallo stesso bicchiere o dalla stessa bottiglia. Disturbano i clienti, si ubriacano con alcolici che portano da casa o nelle buste del supermercato e poi vomitano, urinano per strada… Se provi a dirgli qualcosa o ti ridono in faccia oppure ti minacciano e quando giri gli occhi ti fanno anche sparire qualcosa”.“Questa non è movida, non è divertimento, siamo di fronte a una situazione degenerata e degenerante in cui Piazza Palazzo si trova praticamente abbandonata a se stessa”. “Dal venerdì alla domenica entriamo in un vero e proprio girone dantesco. Io non me lo spiego, non capisco, sono stato giovane anche io, e poco tempo fa. Mi sono divertito, in maniera sana, avevo dietro la mia famiglia che badava molto anche alla forma e all’educazione. Come si comportano questi ragazzi dentro casa se fuori fanno questo schifo?”.“Il sabato pomeriggio non ne parliamo: sembrano davvero usciti dalle gabbie. Si picchiano, si insultano, coinvolti e divisi in vere e proprie bande rivali tra chi vive in centro e chi viene dalla periferia, in una scia di violenza insensata e immotivata”. “Ho visto anche situazioni molto gravi che spesso inducono i giovani a commettere atti avulsi alla pubblica morale. In questi vicoli si spaccia e si consuma anche droga. Un giorno ho dovuto bloccare 3 giovanissimi che stavano consumando un rapporto sessuale a 3 nel mio bagno, ho fatto appena in tempo a fermarli: erano già tutti e 3 semi nudi. Avranno avuto 15 anni, non di più: non voglio fare il moralizzatore o puntare il dito, ma queste situazioni mettono tanta tristezza”.“Anche perché non ti ascoltano: quando li riprendi o fai notare che stanno esagerando ti minacciano, è successo sia a me che alla mia compagna e ad altri colleghi nelle vie qui intorno”.“Abbiamo segnalato ripetutamente alle forze dell’ordine la situazione in questa zona: adesso siamo davvero preoccupati. Con la chiusura delle scuole e l’arrivo della zona bianca ho quasi paura che la situazione possa davvero sfuggire dal controllo con il rischio concreto di dover chiudere la mia attività dopo solo un anno dall’apertura”.

Leggendo questa testimonianza  sembra di vivere e rivivere  in uno sceneggiato che qualche mese fa la Rai  ha mandato in onda, Una fiction su L’Aquila del dopo terremoto e sui comportamenti di alcuni  adolescenti . Mossi,  nella storia che lo sceneggiato racconta,  dal disagio di aver perso i luoghi della loro infanzia , il senso del loro stare insieme, le difficoltà di rapporto con gli adulti, insomma una navigazione disperata all’interno di un arcipelago di difficoltà causate appunto da un evento traumatico qual’è un terremoto.  Probabilmente è la stessa cosa  per gli adolescenti di cui si parla nella testimonianza riferita dal Capoluogo . Anche questa generazione di adolescenti,  già limitata nella sua ricerca  esistenziale  a causa delle difficoltà della ricostruzione ma che comunque si avviava ad una normalità  faticosa,  ha visto di botto crollare tutto a causa della pandemia e  si è trovata  daccapo . Sono saltate le regole, sono saltati  tutti i riferimenti che non siano quelli  immediatamente legati al dover essere , al doversi sentirsi adolescenti  che nella loro naturale ricerca tentano di  conquistare un sé significativo .Ma vedono tutte  le strade sbarrate e danno retta  alle sirene dei cattivi maestri come  certa tv , certi social  e la legge del branco . Ci sono anche altri  film  o  romanzi che raccontano  storie di bande di adolescenti ,dal Signore delle mosche  fino al racconto che ne fa Roberto Saviano .

Un universo di  storie che  raccontano  fenomeni all’attenzione di  psicologi e  sociologi . Storie singole, di gruppo e per bande  come si usa chiamarle  .  Uno scenario che spesso pensiamo essere di altre realtà ed altri paesi come per esempio gli Stati Uniti d’America o delle periferie di Parigi e Londra  ma che in realtà ci toccano da vicino . Per esempio in tempi di pandemia quando gruppi di ragazzi e adolescenti , attraverso i social ,si sono dati appuntamento per ingaggiare battaglia tra gruppi per futili motivi o per controllare  il territorio .Episodi che si sono ripetuti più volte ed hanno interessato  regioni del nord e del sud Italia.

Certo il fenomeno  non è una vera e propria emergenza come in altri paesi ma  rappresenta una realtà nuova che va delineandosi e che ha bisogno di tutta l’attenzione  non solo possibile ma vera, immediata, interessata. Un’attenzione pronta ad ascoltare la voce dei più giovani ,quelli che hanno pagato , stanno pagando e pagheranno il prezzo più alto di questi due anni di emergenza sanitaria ed economica. Giovani che non hanno potuto frequentare la scuola che molte volte era l’unico strumento di socializzazione e di possibilità di riscatto dalla loro condizione sociale. Giovani che non hanno avuto accesso agli strumenti alternativi ( tablet, connessioni ecc. ) per la loro formazione. Deprivati affettivamente delle loro amicizie,dei loro contatti, insomma della loro vita relazionale, che a quell’età diventa importantissima perché permette di esperire quella ricerca adolescenziale, che  fa fare progressi e , in sostanza, fa crescere .

Lo sceneggiato trasmesso dalla Rai dal titolo “Grandi speranze”  racconta  una città ridotta in macerie:  l’Aquila dopo il terremoto del 2009. Un anno e mezzo più tardi i suoi abitanti provano a riprendere in mano le loro vite spezzate cercando, ognuno a modo suo, di tornare a sperare. Con  la regia di Marco Risi. Interpreti: Donatella Finocchiaro, Giorgio Tirabassi, Giorgio Marchesi, Luca Barbareschi, Valentina Lodovini, Francesca Inaudi

Molti hanno criticato quella storia e hanno aspramente contrastato  il senso di quello che la storia e le immagini volevano  evidenziare. Insomma molti hanno voluto chiudere gli occhi di fronte ad una evidenza  difficile da  comprendere ma che aveva assolutamente bisogno di essere capita   fin da allora (  in realtà lo sceneggiato proponeva una prospettiva , indicava un senso di marcia ) e che oggi, aggravata dalla pandemia e da dieci anni  di difficoltà  per i giovani rischia di  rivelarsi premonitrice  e di diventare in concreto  incontrollabile :

Una critica  quella che allora fu mossa e che il  Fatto quotidiano riferisce così : “Terremoto L’Aquila, proteste dei cittadini per la fiction di Rai 1: “Improbabili gang, razzie e bullismo. Tutto falso” .” Nell’occhio del ciclone è finita soprattutto la rappresentazione dei giovanissimi protagonisti, dipinti in parte come bulli dediti a scorribande e razzie tra i ponteggi e i calcinacci del centro storico. Veri e propri sciacalli in azione a cavallo di biciclette stravaganti. Eppure le cronache di questi ultimi dieci anni non hanno mai riportato casi del genere tra le case e i locali abbandonati della zona rossa, per giunta a opera di ragazzini. Più che “grandi speranze”, per alcuni questa fiction propone insomma “grandi bugie”. “Ma perché rappresentare i nostri ragazzi come dei deficienti mezzi scemi?” protesta su Twitter Gianluca. “Questa fiction una vergogna immane. Ciò che state guardando non ha riscontro. Lo stato di abbandono sì, ma l’inciviltà di studenti, improbabili gang, collera e dolore sfogati in bullismo, corse e arrampicate in zona rossa non esistono assolutamente” aggiunge Verdiana. E Massimiliano: “Mi sembra irriguardoso tratteggiare i giovani in quella maniera, quando erano proprio loro l’orgoglio di un popolo che voleva rialzarsi presto”.

Una critica legittima  su un’opera di fiction  che comunque osservava l’evolversi di una situazione. Ma al di là di quello che si può pensare di questo sceneggiato il fatto che conta  è uno . Anche in quell’occasione del terremoto come in questa della pandemia sono stati gli adolescenti a pagare il prezzo più alto . Un prezzo che coincide immediatamente con comportamenti che la sociologia del post terremoto ha a lungo già esaminato. Tra questi per esempio quello dell’abuso di sostanze da parte degli adolescenti  di allora a causa delle difficoltà  procurate dal terremoto .Insieme per esempio a problemi oggi  emergenti  di   malattia mentale di molti troppi adolescenti  per la pandemia che stiamo vivendo.

E qui  voglio ancora prendendola dal Capoluogo riferire quanto scrive Maria Scarsella  in un articolo dal titolo . “Adolescenti e droghe. C’è una strada per risolvere il problema?  La riflessione di Scarsella  inizia così : “ C’è voluto un bel po’ di tempo perché i miei pensieri prendessero forma su un problema che nessuno desidera risolvere: parlo dell’assunzione di droghe e alcolici da parte dei giovanissimi.A volte mi capita di incontrare adolescenti che trascinano lentamente i piedi, quasi barcollando. Quei passi non fanno rumore e si trascurano; se pur traballanti, però, mandano loquaci messaggi anche se per la maggior parte delle persone sono trasparenti e muti. Quanto dolore racconta l’incertezza di quel procedere, ma la strada calpestata non sa dare voce a quelle sofferenze. Decido, così, di tentare un’analisi facendo mie quelle tribolazioni.

Dopo questa introduzione  Scarsella passa a raccontare la discesa sul terreno : “  Mi fermo vicino a due giovanissimi non sobri; cerco un contatto ed inizio a dire parole. M’ignorano completamente. Non sentono la mia voce, poi, cominciano a mandarmi piccoli segnali d’accoglienza ed io ritento.

«Non voglio che voi mi raccontiate le vostre vicende. Desidero solo descrivervi la mia vita quando avevo la vostra stessa età». Tacciono ma non s’infastidiscono, così, incoraggiata, continuo.«Sono nata in un piccolo angolo di paradiso fatto di praterie, boschi, ruscelli e colline. Le mie libere uscite arrivavano dopo aver adempiuto agli obblighi scolastici e familiari, poi, di corsa nei prati a trovare gli amici. Spesso salivamo su una delle tante colline del nostro territorio e da lì osservavamo il vento che giocava con i fili d’erba. Le farfalle colorate e numerose sfioravano appena i tanti fiori e poi di nuovo riprendevano il volo. Sentivamo il frinire dei grilli unirsi al canto delle cicale. Ci ponevamo anche domande difficili: come l’origine della nostra specie, dove finivano i confini dell’universo, il significato della vita, come affrontare le preoccupazioni e come aiutare il prossimo in difficoltà. Spesso, quando non riuscivamo a trovare risposte, ci assalivano improvvise vertigini ma il nostro desiderio era sempre quello di indagare. Quanti canti sotto le stelle e quante corse anche sotto la pioggia per non fare tardi, avendo orari da rispettare. Nutrivamo i nostri sogni con i colori dell’arcobaleno, con lo sguardo incollato al cielo quando le nubi trasportate dal vento formavano disegni incredibili e il sole spargeva meravigliose sfumature. E che dirvi dell’estasi provata quando al tramonto le nubi si accendevano di un rosso infuocato!
Tutte quelle emozioni si cristallizzavano in quei precisi momenti ed il tempo si fermava: non è forse questa la felicità?» Mi blocco. Ho paura di stancarli, ma:
«Portaci nel tuo mondo» mi dicono ed io vorrei abbracciarli ma non oso. Perché quel dolore non è divenuto corale? “

E’ il cuore di una testimonianza se vogliamo anche  romantica e piena di speranza ma che  arriva bruscamente al nocciolo della questione : “ Perché li abbiamo lasciati soli per tutto questo lungo tempo?Eppure bastava solo ascoltarli e dare le giuste regole, necessarie per una sana crescita. Bastava dare loro fiducia e incoraggiarli nel momento del disagio. Ascoltare le loro paure: perché l’adolescenza è l’età dei sogni, ma anche quella dei tormenti.”  (3)

Dunque bastava solo ascoltarli .

Bastava  solo ascoltarli sui loro bisogni. Su un solo bisogno fondamentale :Uno dei bisogni che maggiormente caratterizza questo periodo della vita è quello relativo  alla definizione  della  relazione  con  alcune  entità  sociali;  in  primo  luogo  la  famiglia. Conseguentemente si verifica la necessità d’intensificare il rapporto con altre entità sociali; tra cui il gruppo dei coetanei. Proprio il gruppo amicale diventa, infatti, in adolescenza,   il   più   importante   oggetto   di   confronto   sociale   nella   costruzione   dell’identità dell’individuo. (4 )  È nel gruppo che l’adolescente fa esperienza  del vivere sociale, dei ruoli e delle  relazioni: nel gruppo mette in gioco i diversi aspetti di sé e osserva come gli altri vi reagiscono .(…) Ma il rapporto e il confronto con i propri  coetanei, oltre a rappresentare una valida possibilità per l’adolescente di esplorare nuovi spazi e di valutare in modo autonomo il proprio comportamento e le proprie scelte , rappresenta anche un importante strumento di sostegno emotivo e psicologico di cui il ragazzo si può avvalere nella costruzione della propria reputazione e della propria visibilità sociale. Se il gruppo rappresenta un buon oggetto d’identificazione allora è in grado di offrire un sostegno significativo nei momenti di difficoltà, aiutando l’adolescente ad affrontare i problemi in modo attivo e a compiere delle scelte coerenti con il concetto di sé che sta progressivamente mettendo a punto “

Franco Prina, docente di sociologia giuridica e della devianza all’Università di Torino e autore del saggio Gang giovanili (Il Mulino, 2019, Euro 11,00, pp. 136. Anche Ebook)dice : “”È necessario fare una piccola premessa. Per gang si intende una banda di strada di tipo criminale che è storicamente caratteristica degli Stati Uniti dove queste tipologie di formazioni esistono fin dall’Ottocento. Si tratta di strutture che hanno caratteristiche peculiari, che si identificano attraverso simboli, nomi, collocazione territoriale e che esistono in alcuni casi da molto tempo. In Italia, invece, dobbiamo far fronte a bande giovanili, bande di strada che si formano in maniera spesso estemporanea e che poi si dissolvono, salvo in alcuni casi essere assorbite dalla criminalità organizzata oppure organizzarsi in maniera più strutturata e stabile”.(…)”Si tratta, il più delle volte, di organizzazioni di ragazzi che vogliono affermare la loro identità, stabilire relazioni tra loro, essere riconoscibili, farsi notare nel territorio in cui vivono. Sentono di dover affermare e difendere il loro onore quando sono attaccati. In alcuni casi cercano anche di ottenere con mezzi illeciti quello che non possono avere lecitamente, perché vivono situazioni in cui non ci sono possibilità di lavoro e guadagno”. (…)”Nel libro pongo attenzione proprio al fatto che si tratta di giovani con bisogni simili a tutti gli altri ragazzi. Quando però si vive in un ambiente in cui vi sono poche possibilità oppure si è emarginati non sempre l’aggregazione si ferma al fatto di stare assieme ai giardinetti a scherzare. Facilmente queste aggregazioni diventano un modo per controllare il territorio e per fare piccoli traffici illeciti”.

La domanda  allora diventa  di fronte agli avvenimenti che abbiamo  riferito questa  : “chiedersi  cosa  differenzia  le  bande  minorili  dai  normali  gruppi  adolescenziali, dal momento che proprio in adolescenza l’appartenenza ad un nucleo di coetanei  rappresenta  un  elemento  indispensabile  per  lo  sviluppo  della  propria  identità,  per la crescita personale e per l’assunzione delle responsabilità d’adulto.”  Con una possibile risposta  che probabilmente ci troviamo di fronte  ad una normale dinamica adolescenziale in cui  la formazione dei gruppi rappresenta un  elemento indispensabile utile agli aderenti anche se  disturbata da avvenimenti più grandi di tutti noi  che appunto sono stati il terremoto del 2009 e l’attuale pandemia .Una ricerca dunque  che  rappresenta un percorso normale  stando a quanto  affermano sociologia, psicologia e pedagogia. Ma che proprio perché  percorso di normalità ha bisogno  per essere legittimata  dal concorso di più contributi, della famiglia, della scuola, delle agenzie culturali, delle associazioni di formazione  come i gruppi sportivi e di tutte quelle forze della nostra società che guardano ai giovani come  speranza per un futuro .E per evitare dunque  che quei comportamenti che possono essere“normali” possano appannarsi di  presunta devianza e antisocialità.

( 1)  “La legge quadro sull’inquinamento acustico n. 447 dell’ottobre 1995 – si legge nella diffida – ha demandato alle Regioni la definizione dei criteri per la classificazione acustica del territorio e per la predisposizione e l’adozione dei piani di risanamento acustico da parte dei Comuni. In particolare, la norma impone ai Comuni l’obbligo di effettuare la zonizzazione acustica del proprio territorio e di suddividerlo in zone acustiche omogenee nel rispetto dei limiti di classificazione stabiliti dal DPCM del 14 novembre 1997″.

(2)…  nel marzo 2021, infatti, con sentenza 1261, il Comune di Torino è stato condannato dal Tribunale a pagare un risarcimento di quasi 1,2 milioni di euro a 29 residenti di San Salvario che, nel 2018, fecero fatto causa alla città “per non aver assunto le misure necessarie a contenere entro i limiti di legge i rumori notturni provocati dalla movida”. Secondo il giudice, che ha basato il suo convincimento su rilevazioni eseguite in loco e sulle relazioni dell’Arpa, nel periodo tra il 2013 e il 2020 il Comune ha omesso di adottare provvedimenti idonei a contenere il fenomeno della movida, “violando così il diritto alla salute, al riposo e alla tranquillità notturna dei residenti”. https://news-town.it/cronaca/35819-corti.html

( 3)  https://www.ilcapoluogo.it/2021/06/06/adolescenti-tra-alcol-e-droghe-perche-non-li-abbiamo-ascoltati/

(4  )  https://aipgitalia.org/wp-content/uploads/2008/07/massimilianogangs.pdfASSOCIAZIONE ITALIANA  DI PSICOLOGIA GIURIDICA CORSO DI FORMAZIONE in PSICOLOGIA GIURIDICA, PSICOPATOLOGIA E PSICODIAGNOSTICA FORENSE TEORIA E TECNICA DELLA PERIZIA E DELLA CONSULENZA TECNICA IN AMBITO CIVILE E PENALE, ADULTI E MINORILE ANNO 2005 LA DEVIANZA DI GRUPPO TRA I MINORI: IL FENOMENO DELLE BABY GANGS di Massimiliano Ferrario

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