POTENZIARE L’ESECUZIONE PENALE MANTENENDO CENTRALE L’ANALISI DEI BISOGNI E L’INTERVENTO SOCIO-PEDAGOGICO
Redazione- Se il carcere non è solo un luogo di custodia e di separazione – temporanea o a vita – dalla società libera, allora ci vuole un deciso investimento nelle culture e nell’etica della risocializzazione, per il recupero alla vita sociale di persone che hanno percorsi di vita deviante, più o meno strutturati. Anzi, quelli meno strutturati in carcere non dovrebbero proprio entrare anche se, spesso, per l’assenza nei territori di una rete di prevenzione, che si dica tale, i servizi socio-psico-pedagogici-sanitari in carcere diventano la prima se non l’unica presa in carico dei bisogni e delle problematiche personali e sociali degli autori di reato. Certo, resta e va mantenuta la valutazione del rischio di reiterazione dei reati e degli altri requisiti alla base delle misure cautelari, applicate nell’immediatezza dell’arresto, così come per la scelta di misure alternative alla detenzione sia essa operata dalla magistratura di sorveglianza o da quella giudicante, come previsto dalla riforma giudiziaria in corso. Il fatto è che dovrebbe avvenire come nel codice del processo penale minorile (D.P.R. 448/88) dove la presa in carico socio-psico-pedagogica-sanitaria dell’autore di reato avviene già in fase istruttoria e non solo nella fase finale dell’esecuzione penale. Il tutto si infrange, però, sul principio costituzionale di non colpevolezza che orienta anche l’ordinamento penitenziario, lì dove prevede che la presa in carico individualizzata sia riservata solo alle persone condannate e internate. Il principio di non colpevolezza è attenuato nel settore di intervento minorile dove i servizi sociali del Ministero della Giustizia, composti sia da assistenti sociali sia, in misura davvero minima attualmente, da funzionari pedagogici, che operando in sinergia con i servizi e le strutture socio-sanitarie territoriali vengono investiti dalla magistratura giudicante di un mandato per l’analisi dei bisogni del reo e per un’eventuale mediazione penale sin dal rinvio a giudizio o, persino, a partire dalla notizia di reato. Certo, la flagranza di reato o chiari indizi di colpevolezza potrebbero far attivare anche per gli adulti il supporto e l’affiancamento socio-psicopedagogico-sanitario, che sempre e solo a partire dall’adesione volontaria della persona destinataria può essere avviato e realizzato. Tutto questo richiede un investimento epocale per l’Italia in numero e qualità di figure professionali finora mantenute veramente residuali nel sistema dell’esecuzione penale sia dei minorenni che degli adulti. Siamo pronti a tutto questo? In queste ultime settimane, sulla scia dei gravi fatti penitenziari emersi alle cronache nazionali e internazionali, si è riacceso un dibattito che speriamo duri a lungo. C’è il rischio, paradossalmente, che a forza di assicurare solo la difesa dei diritti delle persone detenute il carcere diventi campo esclusivamente di controllo e sicurezza ancora nei termini solo “polizieschi”, meramente esecutivi e agiti su divieti, e non nei termini di una relazione pedagogica fondata. Insieme ad un bel gruppo di colleghe e colleghi, funzionari pedagogici, stiamo lavorando da novembre 2020 per dare centralità alle Aree Educative Penitenziarie. Troviamo che questo sia essenziale perché rientra in pieno con la prospettiva di estendere l’esecuzione penale prevalentemente all’esterno del carcere come introdotto dalla riforma giudiziaria in votazione alle Camere, lì dove prevede una diversificazione delle pene con una riduzione della carcerazione attraverso misure alternative già disposte in sentenza. Finché il settore socio-pedagogico penitenziario non accresce la sua autorevolezza e la sua consistenza, non potrà mai lavorare sull’esterno come fanno gli uffici di esecuzione penale esterna; per la predisposizione dei progetti di intervento educativo individualizzato resterebbe, come oggi, solo la delega ai servizi sociali del territorio, messi malissimo anche loro, e al servizio sociale penale. È non più rinviabile la scelta verso un settore ben riconoscibile e professionalmente autonomo che gestisca le aree educative e di servizio sociale dell’esecuzione penale, sia essa interna o esterna, per adulti giovaniadulti e minorenni, che con i suoi interventi individualizzati rappresenta la risorsa imprescindibile, e oggi gravemente carente, nel sistema di un’esecuzione penale realmente in linea con l’art.27 della nostra Costituzione. Figuriamoci, poi, per tuffarci finalmente nella cultura della giustizia riparativa, che ci vede tra i paesi più in ritardo in Europa. Dentro le carceri, inoltre, la programmazione e organizzazione delle attività pedagogiche di comunità, la progettazione degli spazi detentivi e la regolamentazione interna dovrebbero costantemente avvalersi della visione pedagogica, per mantenere coerenza tra contenuti, contenitore e risorse da assegnare. Tutto questo è venuto meno progressivamente e sistematicamente negli ultimi trenta anni, lasciando crescere nell’amministrazione dell’esecuzione penale le carenze e le contraddizioni culturali, operative e strutturali che oggi sono sotto gli occhi di tutti.