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NOTE PSICOANALITICHE SUL FILM “IL DISCORSO DEL RE”DELLA DR.SSA MARIA RITA FERRI(SECONDA PARTE)

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Redazione-Pubblichiamo la seconda ed ultima parte del commento psicoanalitico, così come preannunciato, al film : “Il Discorso del Re” di Tom Hooper della Dr.ssa Maria Rita Ferri,presentato, subito dopo la sua proiezione avvenuta l’11 maggio,presso il palazzo dell’ex ‘O.N.P.I. nel teatro interno, a l’Aquila :<<Tale elaborazione offre al piccolo Io la capacità di elaborare, e quindi superare, tutte le successive separazioni della sua vita.

Ogni evento separativo è infatti un piccolo lutto che chiede un lavoro psicologico dell’Io. La biografia di ognuno è costellata di passaggi separativi, perdita e ritrovamento di oggetti affettivi. Ogni cambiamento nel processo vitale richiede, infatti, un separarsi da qualche oggetto affettivo e un ritrovamento, dentro sé.

Ma in ogni perdita vive anche una perdita di una parte del Sé, quella parte dell’ideale di sé che, proiettata sull’oggetto, lo rende indimenticabile e necessario. Per oggetto amato e perduto noi intendiamo tutti  i legami affettivi che si sciolgono traumaticamente e che includono l’ amore, l’amicizia , lavoro ma anche ideali, la casa, il paesaggio, o eventi come un trasferimento o trasloco.

L’oggetto amato e perduto, svanendo, non porta via con sé, non cancella, il desiderio che il soggetto ebbe di lui, il desiderio che glielo fece sentire proprio, che fu il legame.

Perdendo, dunque l’Altro, “… il soggetto si trova con”( un desiderio di esso, e quindi) “con una domanda che non può più rivolgere ad alcuno…” sussurra teneramente Marie Claude Lambotte nel “Discorso Melanconico”.

L’Io perde una parte di sé, perdendo l’oggetto, (“me di me privo”, dice infatti  G. Leopardi, Aspasia, avendo perduto il sogno di essere ricambiato in amore) ma, attraverso il lavoro psicologico del lutto o,laddove questo non sia per l’Io possibile, il processo psicoanalitico, l’Io può ritrovare tale parte di sé perduta e arricchire sé riportando nel suo mondo interno l’amore che prima riservava all’oggetto e ad esso lo legava.

 Lasciando che l’oggetto svanisca in quanto idealizzato, l’Io ritrova il suo posto nel reale.

 Lasciando andare l’Altro come esterno a sé, e quindi non più a lui legato, lo ricostruisce internamente attraverso il ricordo del proprio amore. l’Io si accorge così di aver amato e quindi arricchisce il proprio mondo interno e il proprio senso di Sè. Perde l’ideale dell’oggetto ma ritrova l’Ideale di sé, e quindi l’amore per sé ed il mondo.

 Il trattamento analitico si po’ configurare, dunque, come un viaggio interiore, con la parola-dell’altro , l’Analista, che permette un lasciar andare “l’ombra  dell’oggetto perduto” ( con S. Freud in “Lutto e melanconia” del 1917) e il ritrovamento di senso, che tale oggetto, in qualità di Significante, ovvero di colui che donava un senso al vivere, assumeva in sé.

L’Analisi rende dunque possibile, per il soggetto in lutto, la rinuncia ad essere uno con il sogno:  slegamento originario, o castrazione, che permette nuovi sogni, attraverso il confine così, infine dato, tra reale e fantastico.

La parola “ambiente” viene etimologicamente da ambiens, girare intorno, ovvero circondare con l’abbraccio.Il bambino ha esperienza inizialmente, nel sentirsi non ancora distinto, con la madre-ambiente che lo avvolge e fa da filtro con l’ambiente oggettivo al fine di renderlo adatto ai bisogni del piccolo.

 C’è un momento, ricorda Racamier, in cui il bambino si distoglie dalla madre ambiente e la perde, si allontana dunque da una madre che è come un’atmosfera e la rimpiange, mascopre una madre che è distinta da lui e quindi un oggetto e così la ritrova.

Sa di essere individuo e, in quanto tale, etimologicamente, indiviso, unico. L’oggetto è distante, ma il pensiero è già un ponte per il piccolo Io, per ricongiungersi : pensare è sempre pensare l’Altro, e dunque è la capacità di pensare che tesse legami. Ritrova la madre perché può pensarla e così potrà trovare il mondo.

Ciò si basa sul sapere che l’unità originaria con la madre è sciolta e mai più raggiungibile,egli così scopre, con dolore, che il suo mondo interno, ciò che egli desidera e la realtà, appartengono a registri diversi

Ma attraverso la divisione tra esterno ed interno nasce il pensare, rappresentare il mondo interno ed esterno.

Possiamo dire che il pensiero che il paziente porta allo psicoterapeuta è un pensiero irrigidito che si muove attorno al sintomo e da esso è avvolto. E’ espressione esso stesso di una sofferenza psichica spesso negata. Il linguaggio è mettere in parole il pensiero, pensare il mondo, pensare il mondo interno ed esterno, rappresentarlo significandolo, pensare sentendo la propria vita. E’ necessario uno spazio interno per pensare il proprio mondo, per legarsi ad esso e comprenderlo.

I pensieri più penosi sono rimossi, collocati, contenuti in un ambito psichico inconscio. Se il dolore che portano è troppo forte si trasformano in sintomo: un compromesso tra Io ed Inconscio, l’Io si irrigidisce nella negazione dei significati più profondi.

Perchè L’Analisi ?La risposta è, a mio avviso, nel pensiero di Bion e di Ogden, quando affermano che occorrono due menti per pensare i pensieri più disturbanti ovvero dolorosi dell’individuo.Le due menti possono essere anche due parti della personalità: il “sognatore che sogna il sogno”e il “sognatore che comprende il sogno”, ad esempio.

Quando, infatti, la capacità di pensiero si rivela inadeguata al compito di pensare l’esperienza disturbante nell’individuo, ovvero quando il dolore dell’esperienza è stato troppo grande o precoce per un l’Io le menti di due persone separate sono necessarie per pensare i pensieri impensabili dell’individuo che, con Bion chiameremo beta, sono sensazioni emotive grezze, non elaborate, non ancora pensate.

 Il pensiero, infatti, nasce sempre da sensazioni inizialmente grezze, che via via prendono forma, sono, esse stesse, dunque, dei proto- pensieri.

Attraverso l’interpretazione l’Analista collega il sintomo, ad esempio, con un pensiero-vissuto inconscio del paziente, lo significa, svela il suo significato inconscio, lo rende quindi più digeribile, più accettabile, potremmo dire  quindi più pensabile, gli conferisce una forma alfa che il paziente può tollerare e lo restituisce.

Le paure diventano così trattabili dalla personalità del paziente perché giungono, attraverso l’analista, ad avere un nome ed un perchè.

Il paziente, dunque, non solo si riappropria di un proprio pensiero, ma anche della parte emozionale ad esso legata, di una parte di sé e della capacità di pensare il mondo realisticamente, cioè nella sua complessità.

Se dunque il lutto originario è stato elaborato attraverso cure materne i successivi movimenti separativi saranno piccoli lutti ma anche nuove nascite, se al contrario il lutto originario non è stato elaborato con successoattraverso l’ambiente, l’Io non riesce, il lutto viene negato, scisso ed espulso dalla coscienza, e diviene sintomo.

Ma Attraverso il lavoro psicoterapeutico il lutto illuttoso (non fatto) torna ad essere sentimento.

Il transfert cioè l’amore per l’analista come un ritrovato genitore permette al paziente di sentire l’analista come madre-ambiente, facendo contatto e giungendo a poter ascoltare quella parte della sua psiche per la quale il senso della vita era vivere-con-la-madre, essere-con-l’altro; ma l’Analista è anche madre-oggetto su cui rivivere, proiettandoli, i conflitti originari.

 

Affidarsi all’Analisi è affidarsi al proprio Sé profondo.

L’aspetto di sostegno come madre-ambiente, con D. D. Winnicott, permette al paziente di affidarsi in un’esplorazione dei propri vissuti profondi. Nel percorso psicoterapeutico, nelle libere associazioni, nell’analisi dei sogni, l’atmosfera permette di accedere ad un pensiero sognante, un pensiero che può rinunciare alla difesa dell’irrigidirsi della razionalità, per aprirsi naturalmente ad un ascolto dei vissuti interiori.

Possiamo dire che si può sviluppare quindi un pensiero di rệverie, nel paziente, laddove nell’analista tale dimensione interna sia sempre accessibile.

Rệverie viene etimologicamente da rêve, sogno in francese. Rêverie è dunque un pensiero che ha radici, l’essenza nel sogno, ma si estende nella coscienza, è una coscienza che sogna.

E’una coscienza in penombra, una coscienza fluttuante, un po’ sospesa, che permette al pensiero razionale di riposare e apre lo spazio interno al pensiero sognante, pensiero intuitivo o all’ascolto interno, più adatto a cogliere i legami inconsci tra i vissuti. In questa dimensione le parole dell’analisi sono parole sommerse-sommesse  che il paziente ritrova in sé come un dono che la sua stessa vita gli offre.

Il lavoro analitico di graduale ricostruzione del tessuto emotivo e di condivisione del dolore psichico si basa sulla convinzione che il pensiero maturo è generato in risposta alle nostre più arcaiche paure.

Noi apprendiamo su noi stessi dalle paure primitive e pensiamo su quelle paure.

Ma il fine dell’analisi è dunque, oltre la guarigione profonda e la soluzione dei sintomi, lo svelamento della vera forza dell’Io, catturata prima dell’analisi dall’angoscia per tornare quindi, con G. Bachelard, a ritrovare il “diritto di sognare”>>.

Dott.ssa Maria Rita Ferri

Psicoterapeuta Psicoanalitico,

Formazione Psicoanalitica Post Lauream,

Spec. Psicoterapia Familiare.

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