NOTE PSICOANALITICHE SUL DISTURBO BORDERLINE: GLI STATI-LIMITE(SECONDA PARTE)
Redazione-Il soggetto limite vive nel verosimile, a un passo dal vero.Nell’acting si getta nel reale per divenire reale. Agire per essere. Si avvolge di reale senza potervi mai alloggiare, ne resta al di là in un non-mondo che attende di sorgere ma che, non tollerando la soglia, non può mai varcarla ma solo inseguire o, al più, rimandare.La sua è, dunque, una pulsione in cerca di un significato che la renda pensabile.Nel deserto di nessi, il trauma si configura come unica forma di vita. Il soggetto-limite è attratto dal trauma come la falena alla luce. Non può che inseguirlo e crearlo per negare che in esso trovò un’assenza perenne, o meglio, per ritrovare in esso l’unico dono del suo Primo Oggetto.In realtà si allontana da ciò che è vivo perché ne teme la fascinazione, ed il pensiero non sorge da “penombre associative” ma dal tentativo di assoggettare il reale all’urgenza.
Non giunge a far proprie le esperienze emotive, quindi non può usarle per alcun lavoro psicologico conscio o inconscio. Non potendo elaborarle, tutto risulta immutabile, ed è per questa sua impossibilità di sognare il suo esistere (T. Ogden), che la morte è parte della sua stessa esistenza.La sua vita si raccoglie, quindi, in un’unica stagione destinata ad inseguire un sentire che mai le appartenne. Non c’è inverno, infatti, che accenda in lui un fuoco interno, poiché è a lui che il Primo Oggetto, per incuria, ogni volta non si donò. Ogni inverno riaccende quindi il sogno di un fuoco da cui l’Altro, incautamente, si allontanò.
Vissuto in prossimità dell’oggetto, ma mai con esso, non potè che duplicarne il profilo e l’essenza.Figlio di un’onda che sommerge e svanisce, non divenne mai umano. Sostò sulla riva di due mondi senza riposo (nel riposo significante di A. Correale), ma, a tratti, divenne onda lui stesso.Figlio di oceano e terra non divenne del tutto umano, perché la perdita in lui non si fece mai rinuncia, ma onda di assenze che gli riempie il sentire.
L’unico modo per sentirsi esistere rimane dunque togliere vita alla vita, duplicare l’assenza, disinvestire il mondo e lasciarlo anch’esso ai bordi del proprio destino. Ma mai troppo a lungo.L’urgenza del non cadere lo getta tra le braccia di una grandiosità che lo salva.Capovolge così il destino in una caduta verso l’Alto.L’unico movimento possibile è, infatti, la verticalità dell’umore.Internamente fermo, sulla riva immobile, può all’esterno gettarsi senza freni nello spazio, producendo un’orizzontalità della caduta. Depressione negata e impossibile, dispersa in un movimento immobile.Poiché non commosse l’Oggetto, vide il suo primo legame sciogliersi, così precocemente da non poterlo mai pensare.
E in seguito, possiamo dire, che non conoscerà mai davvero un nuovo oggetto, perché in lui è sempre l’antico che torna, ad un tempo consueto e inconoscibile, la cui presenza è promessa di legame, ma la cui danza è in un rinnovato abbandono.Egli, infatti, non può sentirlo vivente senza perderlo in quello stesso istante.
Di qui due effetti:
- da un lato, non potendo tenere a sé l’oggetto (che respira e vive in un interminabile altrove),
attraverso un capovolgimento onirico sente che è l’oggetto stesso a catturarlo rifiutandosi, a lui che non può che sfuggire radicalizzando la caduta (falling in love o falling in hanger)
- dall’altro non potrà dunque mai concedere vita propria all’oggetto, rinunciando ad un possesso non raggiunto, di qui l’impossibilità di essere vero egli stesso. Ovvero, poiché non c’è posto nel suo mondo per l’Altro- vivente, sa di non aver posto nel mondo, e la realtà, o iperrealtà (cioè senza pause) diviene troppo satura per accoglierlo.
Si può parlare di iperrealtà perché, per il soggetto-limite, scegliere il controllo del reale è negare ad esso pause di pensabilità ed il diritto di rimanere in parte ignoto. Il reale, così, coincide necessariamente con il visibile, nella rinuncia a rivelarsi.
Ma di fronte allo svanire alla sua vista dell’oggetto, alla percezione della sua alterità abissale come può legarsi ad esso? La soggettività vivente nell’Altro ricorda, anzi presentifica la soggettività divenuta d’improvviso estranea del primo Oggetto, l’allontanarsi istantaneo del suo sguardo per divenire neve: il soggetto, dunque, per amare dovrà da allora in poi legare l’Altro, chiuderne l’orizzonte, fermarne il passo o il respiro, lo imprigiona perché non svanisca ancora, ma non potrà offrigli dimora.
Controlla dunque l’oggetto, per poterlo amare. Controlla con la cura con cui si costruisce un nido, dove però l’oggetto non potrà mai alloggiare, né lui stesso.Vive preparando nidi mai pronti.Poiché chi è stato smentito nella sua prima attesa di legame vive sulle rive di un’infanzia immobile e irrinunciabile, la sua intera vita si sostanzia in un’attesa perenne della prossima perdita.Toppo presto lasciato al confine con la sua prima casa, combatte e teme la poetica degli spazi intimi. La strada è, dunque, il suo prima, e il suo poi.
Poiché non ha oggetti interni stabili, la vita è capriccio di oggetti che scorrono via senza orme, oggetti senza ombra, eccesso di sagome.Il suo non è che un inseguire un sogno d’oggetto. E’ il nomadismo interno-esterno di chi, non avendo l’Altro, non ha una casa interiore, che si costruisce solo con le-parole-per-l’Altro.D’altra parte, la fugacità dell’oggetto è conferma della sua in autenticità.C’è dunque chi ricerca la catastrofe per scoprire un’autenticità non data, ed ogni acting è, infatti, svelamento dell’inautenticità taciuta.Un oggetto imprevedibile è sempre un oggetto vuoto. Egli riempie la sua vita di sagome di oggetti a cui appartiene un volto sempre ignoto.Il suo è il tempo rapido di chi non matura l’esperire, Tempo il luttuoso che è anche, profondamente, fermo all’ora del lutto mai accolto, lutto perenne, vuoto d’oggetto.
Non avendo appartenenze certe, la sua intera vita è movimento d’erba. Vita sospesa.Ma interrompere la continuità è interrompere il trauma. L’acting è dunque un modo per anticiparlo e tacerlo. Può colpire l’Altro per sventarne la perdita. Ma sogna che questi sopravviva all’attacco perché solo così saprà di essere in presenza di un oggetto vero, speranza di essere vero lui stesso.Perchè il soggetto-limite non potrà, per quanto sogni, conoscere davvero l’Altro,assaporarne la realtà? La qualità, la tessitura dell’Altro è sempre cosa segreta, per lui, un discorso insoluto, per il solo fatto che mai una percezione o sensazione sarà in lui così interna da dar vita a un giudizio che non sia lunare. Il giudizio, infatti, nasce sempre dal legame, da una rete di connessioni che si estende dal soggetto sulle orme dell’oggetto, i suoi suoni, ne fa un sogno, ne rivela il nome, ne traccia uno stile.
Ma il mondo interno del soggetto-limite è un “arcipelago irrelato” (A. Green), che fa della scissione legge di salvezza e limite infinito.Il conoscere (e non il sapere), inoltre, prevede un livello di elaborazione del primo urto con l’oggetto,una significazione dei gesti e del vivere altro, che rimanda ad una necessaria emancipazione dal trauma. Richiede una trasparenza di coscienza, libera dal trauma, che ricongiunga a sé ciò che per il soggetto-limite rimane pertanto come elemento grezzo e non realmente conoscibile.
Egli non può giungere, quindi, a conoscere l’Altro, può solo dipenderne e attaccarlo senza soluzione. Quanto più l’oggetto, infatti, rimane segreto, tanto più il soggetto ne teme la persecutorietà.E’ dal profondo di una psiche ombrosa che l’unico giudizio possibile si delinea per il soggetto-limite: l’oggetto sarà salvezza o morte.E’ necessaria, per il giudizio, una coscienza di cristallo, che respinga il caos e dove l’oggetto possa immergersi ed essere svelato in un nodo di affetti.
Ma l’Io del soggetto-limite non si emancipa da un antico attaccamento alla terra, in cui il suono dei passi è sempre l’inizio di un attacco.Trattenere o sfuggire: è l’unica dialettica oggettuale possibile, di un legame aggredito perché inarrivabile, perché l’unico legame che si profila è quello che contiene l’annuncio di una perdita già patita, ma sempre a venire.
E poiché ogni vita nasce da una vita che non muore, da un abbraccio mai sciolto, un legame interrotto non genera vita, ma un’attesa infinita.Il soggetto-limite, dunque, è vivo senza essere nato… in cerca di una mente-culla che dia riposo al suo discorso di fuoco. La sua vita? Un perenne après coup, perché nessuno gli narrò la sua solitudine, né si fece ambiente per lui…Che vita profonda, perché mai del tutto nata! E poiché nel mondo non si aprì un accesso per il soggetto, egli vive una vita sotterranea, in perenne, inconscio contatto con le origini.
Egli vive in sogno la poetica del sorgere.Ma la sua è vita pura, che non ha nome, che precede la vita, ogni forma e ogni significante, vita impensata, sottostante la terra, vita lunare, respiro di fauni e di “fanciulle in fiore”( M. Proust).Vive dunque nei pressi della prima fonte, senza potervi sostare…vita non nutrita, alba solitaria.Non incontra mai alcuno, infatti, perché non può incontrare sé.Se per la non completa differenziazione possiamo dire che non conosce davvero un Non-Io esterno,a seguito della scissione interna, separato sé da sé, si può affermare che conosce solo un Non-Io interno, sempre presente, come negazione della vita amata, perché nessuno gli baciò il cuore.
Dott.ssa Maria Rita Ferri
Psicoterapeuta Psicoanalitico
Formazione Psicoanalitica Post Lauream
Spec. Psicoterapia Familiare