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NON SOLO UN SOGNO AD OCCHI APERTI

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Redazione- Ci si può domandare  e spesso lo abbiamo fatto,quanto  la “pratica  dell’insegnare “ abbia nel recente passato  (intendiamo prima della pandemia di coronavirus ) fatto riferimento  e coinvolto la realtà che si agita e vive fuori le mura  delle aule scolastiche. A voler tener conto di come la scuola è stata trattata negli ultimi decenni e di come le ideologie che ne hanno sorretto  l’impalcatura economica, scientifica e didattica  non sembra che la realtà esterna abbia fatto molto  per essere presente ( se non spesso in negativo) contro lo sforzo di molti insegnanti  di recuperare ,entro le mura delle aule,quello che ne veniva espulso  per deliberato tornaconto di parte.

Perché la scuola per svolgere  la sua funzione costituzionale e garantire una buona istruzione per tutti tutelando i più fragili  ha bisogno di grandi investimenti,convinzioni profonde, formazione degli insegnanti,  e un riconoscimento sociale. Tutte cose che da decenni fanno difetto. Tutte cose che mettono la cittadella scolastica in uno splendido isolamento. Tanto splendido quanto pernicioso .

Eppure gli esperimenti  di didattica a distanza nella costrizione  di una impossibilità a fare lezioni di persona  hanno dimostrato  che l’irruzione degli insegnanti  nelle case degli studenti   è proprio il modo  di cominciare a riflettere  da capo sulla “ pratica dell’insegnare”.Probabilmente poteva essere una buona occasione per  avviare  questo percorso  che chissà nella sperimentazione avrebbe potuto riservare qualche sorpresa.  Invece è stata un’occasione mancata perché solo il 6% degli studenti ha a disposizione un pc o un tablet  personale .

All’inizio della pandemia ( marzo 2020 )  “ un monitoraggio settimanale dell’Osservatorio “Scuola a distanza” di Skuola.net confermava  le difficoltà: la dotazione tecnologica delle famiglie è il principale tra gli ostacoli che impediscono l’affermazione della didattica a distanza. Dalla verifica, che ha coinvolto 25 mila alunni di medie e superiori, è emerso che il 27% degli intervistati, ha detto che in casa non ci sono dispositivi a sufficienza (computer, tablet, ecc.) per studiare e far lavorare i genitori contemporaneamente. La connessione non va meglio: il 23% delle famiglie con alunni ha ancora problemi di Rete, anche se va sottolineata una notizia positiva: un ulteriore 33% li ha risolti nel corso delle settimane. Dal monitoraggio è anche emerso che le cause più ricorrenti a fare didattica a distanza sono un collegamento fisso così veloce da supportare uno svolgimento fluido delle lezioni (in ben il 61% dei casi), mentre il 24% accede a Internet usando un hotspot mobile con la copertura della rete che però alla resa dei conti risulta insufficiente. Sempre un alunno su quattro ha pochi gigabyte a disposizione. Il 9% non ha nemmeno i pochi giga. In assoluto, inoltre, tra coloro che si collegano, circa un ragazzo su tre riporta che ad oggi è ancora costretto a convivere con disagi ‘organizzativi’ e malfunzionamenti di carattere tecnico. E, per una volta, questa situazione si riscontra in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale. (1)

Perché la presenza degli insegnanti, seppure nella modalità on line, nel salotto di casa , quella semplice presenza ( per modo di dire ) avvicina anche la riflessione sul coinvolgimento della realtà esterna alla vita della scuola.  Certo in questa esperienza di didattica a distanza (DAD)  gli insegnanti hanno tentato  un incontro  con gli alunni, le loro famiglie ,gli ambienti e contesti sociali  del tutto inediti. Anzi hanno tentato di andare a recuperare anche gli studenti persi ,atteggiamento che fa venire in mente il maestro di “ Speriamo che io me la cavo ” una storia raccontata proprio da un maestro di scuola elementare , il maestro D’Orta a cui ha dato il volto un impareggiabile  Paolo Villaggio, per non andare troppo indietro e ricordare il maestro Pierboni   di Cuore e  alle visite dei suoi scolari ai compagni meno fortunati.

Senza contare poi nel tempo altri  esempi di  presenza nelle famiglie per promuovere  l’obbligo scolastico da parte di assistenti sociali e operatori volontari  nelle città e nei quartieri  che hanno permesso di esprimere solidarietà e attenzione verso appunto  l’opera della scuola  e viceversa secondo una riconsiderazione da parte di quest’ultima    di qualcosa che forse le mancava.

Soprattutto  gli insegnanti, che hanno visto  la loro professione in caduta libera rispetto all’impoverimento culturale della scuola,la scarsa considerazione sociale verso il loro ruolo e un carente trattamento economico , hanno potuto (  quelli che hanno voluto  e tra loro l’82% sono donne, arrivando fino al 96% nella scuola primaria ) scoprire con i loro occhi  i contesti in cui vivono i loro alunni  e hanno potuto così sperimentare  l’abbandono, seppure momentaneo, del corpo. Cosa che  in genere  pone l’attenzione anche sui propri limiti e costringe a fare i conti  con le proprie risorse e capacità. Ma non sempre.

Abbiano richiamato  il racconto  del maestro Dell’Orta , mirabilmente rappresentato sullo schermo da Paolo Villaggio e i piccoli attori dell’omonimo film  perché alla pari di quella esperienza di coinvolgimento del territorio  nella pratica didattica  si sono sviluppate negli ultimi tempi  esperienze e sperimentazioni  proprio nella dimensione di una alleanza  tra scuola e territorio .Mi riferisco alla costruzione di “patti  per lo sviluppo culturale  di territori” come  si sta sperimentando  a Napoli, Palermo e Milano  con la “proposta di scuola  sconfinata “

Franco Lorenzoni su Robinson del 4 luglio 2020 a questo proposito  ci propone il suo manifesto per una scuola più libera, che è anche più giusta: partendo dalle diseguaglianze sociali, anche tra i più giovani, che questo periodo di  pandemia ha messo drammaticamente in luce con i ragazzi “invisibili” che non hanno seguito la didattica a  distanza. Scrive di una visione dell’istruzione che parte da un ruolo centrale per gli asili nido, passa per un’istituzione scolastica aperta tutto il giorno e finalmente in dialogo continuo con città e approda all’educazione come “incubatrice” nella definizione che ne dà Calamandrei, perché “ogni vocazione che ha bisogno di essere intesa, alimentata e protetta”.

Ma a proposito di rapporto tra scuola e territorio e  quindi di “ scuola sconfinata”  scrive Massimilano Tarantino,Direttore di Fondazione G. Feltrinelli e Direttore Feltrinelli Education  a novembre del 2020 : “La Fondazione Giangiacomo Feltrinelli e il movimento “E tu da che parte stai?” hanno deciso in questi mesi di attuare un percorso nazionale di ricerca utilizzando l’ascolto e l’inclusione di reti territoriali che operano in contrasto con le povertà culturali ed economiche e di quelle che favoriscono, con la propria attività, la coesione sociale attraverso occasioni diffuse di apprendimento. Siamo partiti da Milano passando per Genova, Roma, Napoli e Taranto. In queste città abbiamo organizzato numerosi laboratori nei quali ci siamo offerti come collettori di esperienze da sottoporre all’attenzione della politica. Abbiamo avuto l’occasione di toccare con mano la forza e la vitalità dei molti progetti che già oggi, nelle diverse aree del Paese, praticano forme innovative di scuola ed educazione. E siamo giunti ad una convinzione: la prospettiva che abbiamo davanti come Paese è già in atto, serve farne una sintesi e diffondere una rinnovata cultura della scuola, adottando una relazione costruttiva con le nuove tecnologie, con la dimensione trasformativa delle nostre città e con le dinamiche evolutive del mercato del lavoro. Ma dando anche una nuova chance ai cittadini, alla nostra dimensione di comunità. Come? Non consegnando le giovani generazioni a reiterare i modelli che abbiamo vissuto noi ma intestandoci tutti assieme la responsabilità di rendere migliore il loro percorso di apprendimento, e contestualmente la nostra vita. Un lavoro che rimane sulla carta e appunto si relega alla dimensione del sogno? Tutt’altro.

Ecco tredici proposte, da implementare anch’esse con un approccio inclusivo, come esito del lavoro congiunto di scuole, istituzioni pubbliche, enti del Terzo Settore ed entità private di diversa natura:     Mettere la salute bio-psico-sociale al centro dei processi educativi.   

Diffondere le esperienze educative in una pluralità di spazi di apprendimento   

Progettare una didattica modulare orientata all’esperienza, alla valorizzazione delle specificità di ciascuno e allo sviluppo della cittadinanza globale    

Garantire classi con numeri ridotti   

 Individuare e progettare nuovi spazi educativi per l’apprendimento dentro e fuori la scuola

Attivare equipe multiprofessionali nelle scuole,

Investire nella stabilizzazione dei docenti;

Formare insegnanti, educatori ed educatrici alla co-progettazione, all’analisi dei bisogni, all’ascolto, al lavoro in team, al digitale    

Riconoscere adeguati momenti per la formazione continua di insegnanti e personale scolastico    

Rendere protagonisti bambine e bambini, ragazze e ragazzi    

Coinvolgere i genitori e promuovere una scuola-comunità    

Abilitare territori educanti a responsabilità diffusa e coordinata    

Progettare un piano infrastrutturale per la digitalizzazione della scuola e delle comunità-quartieri

Le risorse saranno fondamentali per l’attuazione di questo progetto, ma ancor di più saranno necessarie pratiche di relazione tra i territori perché ci sia condivisione tra esperienze di progettazione allargata e modelli di sinergie tra scuola ed extra scuola: tutti elementi che potranno consentire alla scuola sconfinata di realizzarsi.

Per avverare il seguente destino : “9 novembre 2030. Un sogno ad occhi aperti, che coinvolge sessanta milioni di italiani e che si chiama scuola. Quella che vorremmo, da sognare tutti assieme, da realizzare tutti assieme. Eccolo: i ragazzi e le ragazze non usano i banchi, con o senza rotelle, ma vivono la relazione tra loro e con gli insegnanti come componenti fondamentali della loro crescita; studiano, certamente, ma accompagnano lo studio con l’apprendimento attivo, learning by doing; vanno e vengono da quel grande edificio, dove a volte si ritrovano tutti assieme, perché in realtà tutta la città è diventata un luogo di educazione continua, a partire dal contatto diretto con esperti, scienziati, imprenditori, professionisti.”

Una nuova condizione dunque che riformuli  in tutto la concezione di una  scuola attiva capace  di varcare le sue mura per un corpo a corpo  con la società che le sta attorno  e per determinare  nuove condizioni  tra cui per esempio  l’attuazione del tempo pieno  nella scuola di base  che, a mezzo secolo dalla sua introduzione, coinvolge  forse un terzo  degli scolari ,proseguendo per la  composizione di classi  dal numero ridotto  di alunni e così via.

La nostra società è una società di diseguali e forse l’unico risarcimento  al nastro di partenza delle generazioni a venire ,parlo di un risarcimento etico, è quello di rendere l’offerta  dell’istruzione fruibile veramente per tutti, ma per tutti veramente. E proprio in riferimento a questo aspetto  del mondo dell’istruzione  occorrerà fare uno sforzo per trasferire questa aspettativa  su altri mondi. Quelli che storicamente sono stati evocati  e sperimentati dalla  Scuola-Città Pestalozzi , la scuola Montessori , i radicali esperimenti  di  Ovide Decroly, Jarus  Korcrack, la scuola di Barbiana.  Una scuola messa  in discussione  all’inizio del Novecento  attraverso sperimentazioni  giunte fino a noi .

Scrive Franco Lorenzoni  a proposito di una delle esperienze storiche cha abbiamo appena citate : “Il 15 gennaio 1945, prima ancora che finisse la guerra, Anna Maria Melli fondò con suo marito Ernesto Codignola ” Scuola- Città Pestalozzi” nel rione Santa Croce, allora tra i più poveri di Firenze. La scuola nacque per offrire alle famiglie più disagiate «uno spazio educativo per la formazione del cittadino, dove coniugare l’istruzione e il consolidamento di una coscienza civica e democratica». L’anno seguente venne riconosciuta dal ministero della Pubblica istruzione come scuola di «differenziazione didattica » perché proponeva il tempo pieno come indispensabile supporto nel contrasto delle discriminazioni sociali. Torno a quell’evento lontano perché la relazione con la città e la questione del tempo sono centrali per ripensare alla scuola e risarcire il milione e mezzo di studenti esclusi per mesi da ogni forma di istruzione. Non è mai troppo tardi. Oggi la scuola, per svolgere pienamente la sua funzione costituzionale e garantire una buona istruzione per tutti tutelando i più fragili, ha bisogno di grandi investimenti, convinzioni profonde, formazione dei docenti e un riconoscimento sociale che le manca da decenni. Eppure, come negli amori finiti male, l’assenza ha suscitato inquietudini che hanno incrinato luoghi comuni consolidati. L’irruzione nello spazio domestico della didattica, con i volti di maestre e insegnanti che apparivano nelle ore più diverse, ha reso possibile un incontro ravvicinato con la pratica dell’insegnare che ha smosso qualcosa.  (2)

Pietro Calamandrei  parlava di una scuola  come “ incubatrice di  vocazioni”. Ogni vocazione deve essere  alimentata e protetta  per essere riconosciuta.  Lo sapeva per esempio Maria Montessori  che fece della sua convinzione un metodo . Praticato in circa 60.000 scuole in tutto il mondo (con maggiore concentrazione negli  Stati Uniti, in Germania, nei Pesi Bassi  e nel Regno Unito per i ragazzi i compresi nella fascia di età dalla nascita fino a diciotto anni.La pedagogia  montessoriana si basa sull’indipendenza, sulla libertà di scelta del proprio percorso educativo (entro limiti codificati) e sul rispetto per il naturale sviluppo fisico, psicologico e sociale del bambino, mirando a sviluppare una sorta di «educazione cosmica», cioè un senso di responsabilità e di consapevolezza verso la rete di relazioni che collega ogni entità   micrososmica al contesto generale  macrocosmico .

Come pure Ovide Delacroy con la sua scuola  che educa alla vita con la vita sostenendo  che la pedagogia deve necessariamente ricercare il suo fine non all’interno della filosofia, dell’etica o della politica (come era sempre avvenuto), ma deve partire dai bisogni fondamentali che l’uomo deve soddisfare per potersi adattare all’ambiente. Questi bisogni comprendono:   nutrirsi,  proteggersi dalle intemperie,  difendersi dai nemici,  lavorare in comune , ricrearsi  così che una volta raggiunta l’età matura, il soggetto saprà rispondere a questi bisogni, quindi saprà adempiere a funzioni individuali e sociali, il che sarà utile sia alla conservazione dell’individuo che alla conservazione della specie.

Per finire in questo contesto ricordando la Scuola di Barbiana tutta racchiusa nel libro “Lettera a una professoressa”. Una esperienza  che resta l’eredità più  potente da trasmettere in aula. La scuola di Barbiana è un’esperienza  educativa sperimentale avviata e animata da don Lorenzo Milani dal 1954 al 1967. L’innovativa scuola provocò un ampio dibattito sulle innovazioni da apportare non solo nei programmi ma anche nella vita dell’istituzione scolastica. Alla conoscenza di queste idee contribuii la pubblicazione  della  Lettera a una professoressa, una critica polemica alla scuola dell’obbligo dell’epoca, redatta collettivamente dagli scolari più grandi di Barbiana sotto la supervisione – ma non l’intervento diretto, come egli ribadirà a più riprese – di  Don  Milani

Di questa esperienza sul sito di Barbiana  si legge. “In realtà la scuola ebbe un’evoluzione propria che non teneva conto di nessuna denominazione istituzionale. Era soltanto tesa a formare l’uomo e lo faceva organizzando vere e proprie lezioni di vita. Il 13 agosto del ’59 scrive, sempre alla madre, a proposito di un pastore valdese di Torre Pelice, Roberto Nisbet che era stato in visita a Barbiana il giorno precedente:“Gli ho fatto fare scuola dalla mattina alla sera e era commosso e entusiasta”. La sera dello stesso giorno riprendendo la lettera interrotta, stanco morto per le nuove visite e lezioni: “Stamani due preti a cui ho fatto far lezioni di canto. E stasera un giovane fotografo che ci ha insegnato lo sviluppo e la stampa. Abbiamo finito in questo momento e sono già le 9, tutti i ragazzi han provato a fotografare e poi sviluppare e fissare le loro foto. Tutti contentissimi naturalmente …”. In un’altra lettera sempre alla madre dirà: “Ti ho detto che abbiamo ammazzato una vipera qui sulla strada nel fosso dei tigli ? Là dove stiamo a scuola d’estate. Prima di ammazzarla abbiamo avuto il tempo di studiarla tutti ben bene tenendola ferma sotto un bastone. Abbiamo confrontato tutti i libri che abbiamo e non c’è dubbio. E’ uno degli effetti dello spopolamento …”.  In questo modo, il Priore esprimeva un amore d’intelligenza rara che diventava coinvolgimento totale tra il maestro e l’allievo, tra il prete e il suo popolo. Tra l’uomo e i suoi amici. Un “vero e proprio patto di fiducia-alleanza, come ricorda Aldo Bozzolini, uno dei primi allievi, tra lui e le famiglie ”. Le quali non lo abbandoneranno mai. I babbi diventeranno dei pendolari, preferiranno allungare la loro giornata di fatiche pur di lasciare i figlioli alla scuola del prete. A cena i ragazzi raccontavano tutto ai loro genitori. Il popolo di Barbiana sparirà pochi giorni dopo la sua morte. Abbiamo chiamato questo modo d’insegnare e apprendere direttamente dalla realtà: PEDAGOGIA DELL’ADERENZA. Partendo dall’ambiente in cui vive, l’allievo organizza e costruisce la propria conoscenza. Il docente, nel costruire i significati, struttura, con il discente, un ambiente d’apprendimento di partenza. Dal particolare all’universale. Dalla patente per l’uso della moto alla Scuola di Servizio Sociale: dove furono formati prevalentemente sindacalisti, operatori sociali e insegnanti. Allievo e maestro pattuiscono le regole comuni. Mi ci volle un anno per comprendere ed accettare di restare. (3 )

Non solo un sogno ad occhi aperti ,dunque,   la pratica dell’insegnare  fuori le mura della scuola. Ma anche esperienze storiche e  impegno  personale che  hanno coinvolto  la realtà che si agita e vive fuori la scuola  dimostrando che è possibile  .

Perché anche fuori le aule scolastiche c’ è scuola .

(1) https://www.tecnicadellascuola.it/didattica-a-distanza-non-arriva-a-tutti-1-studente-su-4-ha-problemi-di-rete-o-non-ha-il-computer    Didattica a distanza, non arriva a tutti: 1 alunno su 4 non ha pc o ha problemi di rete  Di  Alessandro Giuliani – 27/03/2020

( 2 ) http://www.flcgil.it/rassegna-stampa/nazionale/per-chi-suona-la-campanella-della-liberta.flc

( 3 ) http://www.barbiana.it/barbiana.html

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