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ERGASTOLO OSTATIVO : UNA PENA DI MORTE NASCOSTA ?

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Redazione- Papa Francesco ha definito l’ergastolo una “pena di  morte nascosta”. In questi giorni si parla del cosiddetto “ergastolo  ostativo” perché la Corte Costituzionale ha affrontato questo tema in un comunicato del 15 aprile che testualmente dice : “La  Corte  costituzionale,  riunita  oggi  in  camera  di  consiglio,  ha esaminato  le questioni di legittimità sollevate  dalla Corte  di cassazione  sul  regime  applicabile  ai condannati alla pena dell’ergastolo per reati di mafia e di contesto mafioso che non abbiano  collaborato  con  la  giustizia  e  che  chiedano  l’accesso  alla  liberazione condizionale. In attesa dell’ordinanza, l’Ufficio stampa della Corte fa sapere quanto segue. La Corte ha anzitutto rilevato che la vigente disciplina del cosiddetto ergastolo ostativo  preclude  in  modo  assoluto,  a  chi  non  abbia  utilmente  collaborato  con  la giustizia,  la  possibilità  di  accedere  al  procedimento  per  chiedere  la  liberazione condizionale, anche quando il suo ravvedimento risulti sicuro. Ha quindi osservato  che tale disciplina ostativa, facendo della collaborazione l’unico modo per il condannato di recuperare la libertà, è in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione e con l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Tuttavia, l’accoglimento immediato delle questioni rischierebbe di inserirsi in  modo inadeguato nell’attuale sistema di contrasto alla criminalità organizzata .La Corte ha perciò stabilito di rinviare la trattazione delle questioni a maggio 2022, per consentire al legislatore gli interventi che tengano conto sia della peculiare natura  dei  reati  connessi  alla  criminalità  organizzata  di  stampo  mafioso,  e  delle relative  regole  penitenziarie,  sia  della  necessità  di  preservare  il  valore  della collaborazione con la giustizia in questi casi. L’ordinanza sarà depositata nelle prossime settimane. Roma, 15 aprile2021”

La Corte costituzionale era stata chiamata in causa su  questioni di legittimità sollevate dalla Cassazione,  motivo per cui si è pronunciata  appunto lo scorso 15 aprile. In realtà la Corte ha deciso di non pronunciarsi perché ha ritenuto un suo intervento, in questo momento ,  su questo tema ,un intervento  indebito  tanto che    “rischierebbe di inserirsi in modo inadeguato nell’attuale sistema di contrasto alla criminalità organizzata”.

Il comunicato del 15 aprile    afferma tra le righe,  comunque   in sostanza, che l’ergastolo ostativo” è incostituzionale .In contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione, nonché con l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu). L’articolo 3 della Costituzione riguarda la pari dignità sociale, mentre l’articolo 27 stabilisce che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. L’articolo 3 della Cedu invece “proibisce la tortura e il trattamento o pena disumano o degradante”.

Quindi nei fatti non una declaratoria  in proprio  ma un rinvio da parte della Corte costituzionale al mondo della politica,quindi al Parlamento, perché voglia affrontare questo tema  in modo  articolato e ragionato per  creare le condizioni di un cambiamento nella esecuzione di questa pena (definita con un  pena mai )che  tenga conto  anche di due esigenze importantissime. La lotta alla criminalità organizzata e la tutela  della comunità, contemperando il senso di umanità su cui deve basarsi l’esecuzione della pena e la sicurezza della società.

La decisione della Corte era attesa perché  si pensava che potesse mettere fine ad una  discussione  molto sentita  che si trascina ormai da troppo tempo . Ossia mettere fine alla “pena perpetua”  dando una  speranza   a tutti quei condannati che  si impegnano in un percorso di rieducazione .In pratica favorendo un  loro reinserimento, che poi, in definitiva , è l’obiettivo della pena secondo il dettato costituzionale    . Dalla decisione della Corte ci si attendeva la cancellazione dell’automatismo imposto,quando è stato istituito “l’ergastolo ostativo”,  dalla presunzione assoluta di pericolosità sociale che tolto di mezzo permetterebbe  una obiettiva valutazione della partecipazione del condannato per  reati di stampo mafioso,al programma di rieducazione  verso il reinserimento sociale. La Corte ha invece scelto la strada di  dare tempo al Parlamento, con grande senso di rispetto  sul piano del dialogo istituzionale  e quindi di equilibrio,  per salvaguardare le esigenze di tutela della collettività, evitando di indebolire il sistema di contrasto della mafia. Va infatti ricordato che questa pena si applica  ai reati di mafia ed è diversa dal comune ergastolo.

L’ergastolo è disciplinato dall’articolo 22 del Codice Penale, che recita :    “La pena dell’ergastolo è perpetua, ed è scontata in uno degli istituti a ciò destinati, con l’obbligo del lavoro e con l’isolamento notturno” .  Ma in realtà esistono  diverse forme di ergastolo presenti nell’ordinamento italiano: ergastolo ostativo, ergastolo comune, ergastolo per alcune ipotesi di sequestro di persona (quest’ultima forma di ergastolo, oggetto nel 2018 di una dichiarazione di illegittimità da parte della Corte costituzionale), affermate nella pratica giudiziaria nel corso degli anni .

L’ergastolo, cioè la detenzione a vita, è la pena più severa prevista dal nostro ordinamento penale . Chiaramente   prevede una pericolosità sociale del condannato e si applica a reati  come  l’omicidio e a  tutti i reati per i quali era prevista la pena di morte (come l’alto tradimento nei confronti dello Stato), i reati di stampo mafioso e per i delitti la cui pena minima è fissata a 24 anni di detenzione. Per quanto riguarda la condanna all’ergastolo per delitti di stampo mafioso questa misura  diventa appunto un” ergastolo “ definito ostativo  perché non prevede  alcun beneficio o misura premiale anche quando il condannato  dovesse scegliere  di collaborare.

In particolare  va detto che dal punto di vista normativo  l’Ordinamento italiano prevede  e  disciplina l’ergastolo propriamente detto e  l’ergastolo ostativo. Nel primo caso l’esecuzione della pena  è caratterizzata da benefici  quali i permessi premio, la libertà condizionale, la detenzione domiciliare e soprattutto l’ammissione all’esterno per svolgere attività di studio o di lavoro. Insomma un regime che consente al condannato, malgrado la gravità del reato che è stato sancito con la massima pena, di  mettere  in atto una condotta di vita  che presumibilmente  avvia un  reinserimento sociale. Tenendo conto che  in questo caso l’ergastolo, che  aveva  come “ fine pena mai” in realtà diventa una pena al massimo di  trenta anni di detenzione.  Tali benefici sono possibili perché  la  legge n. 1634/1962, ha modificato l’art. 176 c. 3 c.p., mediante l’inclusione dei condannati all’ergastolo tra i soggetti ammissibili alla liberazione condizionale, qualora avessero effettivamente scontato 28 anni di pena, in seguito ridotti a 26 anni con la legge n. 663/1986, nota come legge Gozzini. La stessa legge Gozzini prevede  anche  con l’art. 21 appunto l’ammissione all’esterno che abbiamo già ricordato  e con l’art 30 ter i permessi premio dopo aver espiato 10 anni di pena mentre, trascorsi 20 anni,  per l’art. 50 dello stesso ordinamento penitenziario  l’accesso alla semilibertà .  (1)

Proprio in estrema   sintesi e aprendo una brevissima parentesi va ricordato che l’entrata  in vigore della  cosiddetta  legge Gozzini  con il relativo Regolamento di esecuzione di qualche anno successivo, rappresenta una  vera e propria svolta in tema di esecuzione  della pena nel nostro paese  perché apre concretamente a tutte quelle opportunità di recupero  e risocializzazione che da  decenni i detenuti chiedevano, anche con dimostrazioni e rivolte  cruente . La legge è del 1976  e da quegli anni  non si   sono più visti salire  sui tetti  degli istituti  i detenuti . Una legge premiale che  coinvolge i detenuti anche come  protagonisti  nella gestione  del regime carcerario per  esempio con  le rappresentanze . Ma anche una legge che chiede collaborazione ai detenuti per l’attuazione dei piani di trattamento .Una legge  tra l’altro  risulta  ancora inapplicata per molti aspetti. Solo  di fronte ai pericolo della pandemia da Covid  e forse per sostenere  la possibilità dell’applicazione di misure alternative come la detenzione domiciliare da applicare appunto   in quella circostanza  ai detenuti per limitare e controllare  i contagi, l’anno scorso si sono verificate delle proteste cruente  anche con la morte di detenuti .

Tornando al nostro tema quindi  dopo aver ricordato la natura dell’ergastolo ,va  detto  che diverso è il caso dell’ergastolo di tipo ostativo  per il quale non sono previsti benefici  di nessun genere, Un regime dunque che  ha sollevato da tempo  delle perplessità perché  si ritiene in contrasto  con l’art. 27 della Costituzione  che   dichiara esplicitamente la funzione della pena  che deve tendere alla rieducazione.

Ma quando è nato l’ergastolo ostativo e perché è stato istituito?  Con l’espressione “ergastolo ostativo” si intende il particolare tipo di regime penitenziario previsto dall’art. 4 bis Ord. Penit. che esclude dall’applicabilità dei benefici penitenziari agli autori di taluni reati particolarmente gravi elencati al comma 1 della medesima disposizione, ove il soggetto condannato non collabori con la giustizia o tale collaborazione sia impossibile o irrilevante. Questa misura è stata istituita con la così detta  legislazione di emergenza che ha introdotto nell’Ordinamento penitenziario l’art. 4 bis . (2)

Questo articolo  inizialmente  tendeva a promuovere una indagine più approfondita   da parte della magistratura di sorveglianza per la concessione di benefici  anche a chi era stato condannato per reati di mafia.

A seguito della strage di Capaci del 1992 in cui persero la vita  il magistrato Giovanni  Falcone, la consorte e gli uomini della scorta,  il regime  di cui all’art. 4 bis  dell’ordinamento penitenziario fu inasprito  con il  D.L. 306/1992, convertito in L. 356/1992  appunto con l’introduzione  d quel particolare trattamento penitenziario definito nel gergo giuridico ergastolo ostativo” previsto per i soggetti condannati per aver commesso uno o più delitti rientranti tra quelli di prima fascia.

La legge dunque  prevede  una presunzione legale assoluta  di pericolosità sociale di quei soggetti condannati per reati di mafia tale da rendere il condannato incompatibile con qualsiasi modalità di risocializzazione extramuraria, salvo il caso in cui egli collabori con la giustizia.

L’art. 4 bis dell’Ordinamento penitenziario  dunque  è  un contenitore che ai  commi 1 e 1 bis  elenca  i reati di prima fascia ossia quelli di maggiore gravità; la seconda fascia è costituita dalle fattispecie di cui al comma 1 ter, che individua una serie di delitti non necessariamente riferibili alla criminalità organizzata che, pur essendo particolarmente riprovevoli posseggono una gravità inferiore a quella della fascia precedente; infine vi sono al comma 1 quater i reati commessi dai c.d. sex offenders.

La Corte costituzionale sulla legislazione di emergenza è già intervenuta  in vario modo e principalmente con due sentenze . La prima, la n. 357/1994 modificando l’art. 4 bis, comma 1 bis, ord. pen.,ovvero  equiparando all’utile collaborazione ( ex art. 58 ter ord. pen. )anche la collaborazione impossibile, la quale ricorre nell’ipotesi in cui il condannato per i delitti di cui al comma 1 art. 4 bis ord. pen.  abbia partecipato al fatto criminoso in modo limitato e questo sia stato accertato nella sentenza di condanna nonché nel caso in cui i fatti e la responsabilità siano accertati con sentenza irrevocabile, ferma restando la necessaria assenza di elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la compagine criminale. La seconda  la n. 149/2018, dichiarando  costituzionalmente illegittimo l’art. 58 quater ord. pen. per contrasto con il principio di eguaglianza ( art .3 della Costituzione ) ma soprattutto con quello di rieducazione del reo, non sacrificabile sull’altare di ogni altra, pur legittima, funzione della pena. I giudici di legittimità hanno ritenuto che “la norma censurata riduce fortemente, per il condannato all’ergastolo, l’incentivo a partecipare all’opera di rieducazione, in cui si sostanzia la ratio dello stesso istituto della liberazione anticipata. Infine, il carattere automatico della preclusione temporale all’accesso ai benefici, impedendo al giudice qualsiasi valutazione individuale sul concreto percorso di rieducazione compiuto dal condannato, in ragione soltanto del titolo di reato che supporta la condanna, contrasta con la ineliminabile finalità di rieducazione della pena, che deve sempre essere garantita anche nei confronti degli autori di reati gravissimi”. Ed ancora, “sotto il profilo dell’irragionevole disparità di trattamento tra i condannati all’ergastolo cui si riferisce la disposizione censurata e la generalità degli altri condannati all’ergastolo”. (3)

La pena dell’ergastolo applicata nel nostro paese , ma non in tutti i Paesi dell’area europea, è da tempo oggetto di dibattito . Tanto che la Corte Europea dei diritti dell’uomo afferma nella sentenza n. 3896 del 2013  che  la pena dell’ergastolo  è contraria all’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani. Infatti  la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, considera l’ergastolo un trattamento disumano e degradante, e, quindi, contrario al   divieto di  tortura  dell’articolo 3, che recita: “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pena o trattamenti inumani o degradanti”.

La CEDU condanna l’ergastolo ostativo nell’ordinamento penitenziario italiano. Con la decisione del 13 giugno 2019, n. 77633-16, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha ordinato allo Stato italiano di eliminare l’ergastolo ostativo.

Successivamente la Grande camera della corte europea dei diritti umani ha respinto il ricorso presentato dall’Italia contro la sentenza del 13 giugno 2019. Con quella decisione, che riguardava il caso del boss di ‘ndrangheta Marcello Viola, i giudici di Strasburgo hanno stabilito che la condanna al carcere a vita “irriducibile” – senza poter accedere a permessi e benefici – inflitta al ricorrente, va contro  l’articolo 3 della Convenzione Europea sui Diritti umani. La sentenza adesso influenzerà la situazione di 957 persone che in Italia stanno scontando condanne all’ergastolo per reati di mafia e terrorismo

Questa decisione era  già  arrivata  nel nostro  sistema normativo con un impatto  problematico   perché richiede un attento esame e  valutazione dei provvedimenti che dovranno essere messi in campo per dar corso alla richiesta della Corte  europea dei diritti dell’uomo .  Ci si troverà di fronte nei prossimi mesi   alla revisione del nostro straordinario standard (normativo ed applicativo) di efficienza nella lotta alla criminalità organizzata,  nelle forme e con gli strumenti  in atto che sono il frutto  di un lungo cammino   non esente anche da   sacrifici  .

La richiesta di  superare  l’ergastolo ostativo va attentamente valutata  perché  adottare alcune misure  di allentamento del rigore potrebbe  avviare un processo di sgretolamento del regime efficacemente soprannominato del “doppio binario”. Un  sistema normativo che prevede una disciplina differenziata per soggetti che, come gli affiliati mafiosi, appartengono ad un circuito criminale che è – sul piano sociologico, criminologico e culturale – obiettivamente e innegabilmente “differente” da tutti gli altri contesti malavitosi. Questo è un dato innegabile, che non dobbiamo assolutamente dimenticare, tenendo bene impresse in mente le lapidarie parole su questo punto di Giovanni Falcone, che del regime del doppio binario può considerarsi iniziatore e che in un bellissimo articolo del 1989 (non a caso intitolato “La mafia tra criminalità e cultura”) scriveva che «ritenere la mafia una pura organizzazione criminosa avente come unico scopo la ricerca di lucro è un enorme errore di prospettiva, il quale rischia di far impostare male le stesse strategie repressive». (4)

Ma come si fa  a tenere nel giusto conto  il tema della rieducazione  che è il fine della pena di fronte a storie come quelle di molti condannati appartenenti alla mafia  che   oggi scontano  una pena proprio in regime di 4 bis .

Probabilmente occorre fare riferimento alla cultura giuridica di questo paese e richiamare in primo luogo   il percorso  che la Corte Costituzionale ha già tracciato con le sue pronunce si questo tema e che abbiamo in parte ricordato.

Scrive a questo proposito infatti Roberto Tartaglia su   Giurisprudenza Penale  :”  la nostra Corte costituzionale ha emesso dei provvedimenti  nel corso degli anni al fine di rendere pienamente compatibile il sistema normativo del “doppio binario con i fondamentali principi enucleati dalla nostra Costituzione dall’articolo 3 (il principio di uguaglianza) e, ancor di più, dall’articolo 27 (sulla finalità rieducativa della pena). E’ quest’ultimo un principio sviluppato proprio dalla cultura liberale italiana, a partire da Cesare Beccaria, che quindi sappiamo benissimo come maneggiare e come bilanciare con l’esigenza – davvero ineliminabile – di un’azione antimafia efficace e incisiva. Volendo riassumere in un concetto semplice ma comunque corretto quello che ha fatto la nostra Corte costituzionale, possiamo dire che la Consulta ha trasformato alcune delle “presunzioni assolute” inizialmente previste in materia di criminalità organizzata (e cioè quelle presunzioni che non ammettono mai di essere superate, perchè non riconoscono la prova contraria) in presunzioni solo “relative (cioè appunto superabili con una prova contraria, che però deve essere rigorosa e specifica). E’ questo, ad esempio, quanto la Corte ha fatto sulla presunzione assoluta di adeguatezza della misura della custodia cautelare in carcere per i mafiosi, trasformandola appunto in una presunzione relativa: e cioè il carcere – in materia di misure cautelari – rimane la regola per i mafiosi, ma è possibile – in presenza di circostanze specifiche e contrarie, ben documentate e provate, del caso concreto – sostituirlo in alcuni casi con una misura meno afflittiva.”

E dunque proprio  sul filo di questo percorso la Corte costituzionale con  il comunicato che abbiamo riferito in apertura di queste considerazioni  richiama, per ultima, la necessità, contenuta anche nella richiesta dell’Unione europea ,di  modificare il regime dell’ergastolo ostativo . E lo fa lasciando tempo al Parlamento  di decidere in tal senso. Un Parlamento che ha davanti a sé anche altre richieste della Corte  Costituzionale tra cui per esempio ,una tra tutte , la necessità  di legiferare  in tema di decisione di fine vita e suicidio assistito. Richieste che si auspica trovino  una risposta  per evitare  decisioni  della Corte che seppure in totale autonomia, romperebbero  l’equilibrio  democratico  nella vita del nostro paese.

(1) L’ergastolo, pena detentiva perpetua, fu introdotto nell’ordinamento italiano con il nel 1890 che, all’art. 12, prevedeva per i condannati a tale sanzione, la segregazione cellulare continua con obbligo di lavoro per i primi 7 anni, successivamente l’ammissione al lavoro insieme ad altri condannati, con obbligo del silenzio, pur sussistendo la misura della segregazione cellulare notturna. In seguito, con il Codice Rocco, venne riformata la disciplina dell’ergastolo che fu spogliato del carattere intensamente afflittivo previsto dal precedente Codice mediante l’abolizione della segregazione cellulare continua. La novella prevedeva che i condannati scontassero la pena in uno stabilimento ad hoc, l’obbligo del lavoro, l’isolamento notturno e solo dopo l’espiazione di almeno 3 anni di pena l’accesso al lavoro all’aperto.Di fondamentale rilevanza la possibilità di interruzione della perpetuità della pena solo mediante la grazia ex  art. 174 c.p.Durante la vigenza del Codice Rocco furono apportate due rilevanti riforme all’ergastolo, le quali riguardarono in particolar modo la fondamentale caratteristica di questa pena: la perpetuità. https://www.altalex.com/guide/ergastolo-ostativo

(2) Nella rubrica della disposizione normativa si dice come concerna il divieto di concessione dei benefici e l’accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti. Al momento del suo primo inserimento, in una versione assai diversa per contenuti ed anche per finalità, con il d.l. 13 maggio 1991, n. 152, poi convertito in L. 12 luglio 1991 n. 203, si imponeva soprattutto come guida alla discrezionalità della magistratura di sorveglianza, prevedendo una istruttoria più approfondita, e più elevate quote di pena da espiare, prima della concessione di un beneficio penitenziario nei confronti degli autori di alcuni reati, soprattutto collegati alla criminalità organizzata di stampo mafioso, ma non solo. Non a caso si è parlato, per l’importante apertura operata in materia di permessi premio dalla Corte Costituzionale con la sent. 253/2019, di una via di ritorno a questa primigenia, fondamentale, funzione.E’ solo a partire dalle modifiche normative del 1992, nel pieno di una delle stagioni più drammatiche della nostra storia per via delle stragi di mafia che vi furono perpetrate, che si concretizza, per i delitti citati nella prima parte dell’art. 4- bis, l’assoluta ostatività alla concessione dei benefici penitenziari, ad eccezione della liberazione anticipata, per l’intera espiazione della pena, salvo che la persona collabori con la giustizia. Non più dunque una collaborazione che, se c’è, comporta un premio, ma una presunzione legale, invincibile, che, ove manchi, il condannato sia ancora pienamente inserito nel contesto criminale di appartenenza e dunque socialmente pericoloso e non meritevole di accedere ad una via extrapenitenziaria di esecuzione penale.

Per un esame completo  dell’art. 4 bis    Veronica Manca Regime ostativo ai benefici penitenziari,  Giuffré, 2020.

(3) https://www.altalex.com/guide/ergastolo-ostativo

(4) https://www.giurisprudenzapenale.com/2019/10/09/la-sentenza-della-corte-edu-sullergastolo-ostativo-ci-pone-un-problema-importante-che-pero-siamo-preparati-a-risolvere-dalle-presunzioni-assolute-a-quelle-relative/

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