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”NON SAI MAI DOVE SEI” DI EMILIO MASINA CI PORTA DENTRO LA STANZA DEL TERAPISTA-FUNAMBOLO COSI’ COME NELLA SUA MENTE. E NEL MENTRE IL PERCORSO COMUNE ATTRAVERSA UN TEMA DI GRANDE ATTUALITA’ COME QUELLO DELL’IDENTITA’ DI GENERE

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Redazione-  È stato presentato per la prima volta mercoledì scorso a Roma il secondo romanzo di Emilio Masina, Psicoanalista e Psicoterapeuta dell’Infanzia e dell’Adolescenza, “NON SAI MAI DOVE SEI” edito da elledilibro. L’informalità voluta di questa prima occasione, ospitata in un incontro anche conviviale all’interno dello studio dell’artista Massimo Catalani, non inganni sulla qualità della presentazione stessa. Vi hanno infatti preso parte: il professor Giovanni GUERRA, già professore di Psicologia Generale all’Università di Firenze, psicoterapeuta e psicosociologo, direttore dell’ARIP di Parigi e caporedattore di Connexions; la dottoressa Paola CAVATORTA, psichiatra e psicoterapeuta, direttrice del Consultorio Familiare dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, già docente  di Psicologia  e Psicoterapia dell’Infanzia alla Scuola di Psicoterapia SPS; in qualità di chair la sociologa e senior transition designer di FLO-Felloni Lateral Office, Elena BATTAGLINI; e, poiché stiamo parlando di un romanzo, molto è stato anche affidato alla voce implicata dell’attore Adriano SALERI, ai dialoghi nelle letture dal libro che hanno assecondato e reso immediatamente intellegibile molto di quanto emerso dal dibattito.

Dal denso, perché pregno di spunti, commento del prof. Giovanni Guerra non potremo naturalmente qui che dar conto con qualche cenno, utile forse però al lettore per approcciarsi con consapevolezza alle pagine di un romanzo che comunque “si legge tutto d’un fiato”.

Di cosa parla e come? si chiede innanzitutto il professore. Il romanzo è complesso perché presenta almeno tre storie che si intrecciano: quella del bambino Alberto, travestito, che si sente bambina, raccontata dal punto di vista di Stefano, lo psicoanalista che l’ha preso in carico; quella di Stefano, che affronta questo caso difficile nel momento in cui lui stesso passa un momento difficile, all’inizio della sua professione, appena uscito dalla casa di famiglia e con la relazione con la sua ragazza che si interrompeva bruscamente; e la storia, anche, dello stesso Stefano quando aveva più o meno l’età di Alberto, 8 anni. Accanto e di sfondo altre storie, quella dei genitori del bambino, quella che racconta il rapporto del giovane terapeuta con la sua supervisore, con la sua famiglia e con i suoi amici di allora.

La parte più corposa del romanzo è quella delle sedute di psicoterapia tra Stefano e il bambino Alberto, che ci permette di entrare nel suo mondo di per sé sorprendente che è anche quello delle vicende della coppia genitoriale di Alberto, e ci entriamo attraverso lo sguardo, le emozioni, i pensieri, le ansie di Stefano. Ma il suo alter ego, lo scrittore e psicoterapeuta Emilio Masina, così come ha fatto nel suo primo romanzo – “La speranza che abbiamo di durare” – è determinato a condurci nella bottega dello psicoanalista a scoprire con quali materiali lavora: ciò che il paziente racconta e ciò che comunica, le sue difficoltà di vita e di relazione ma, nello stesso tempo, tutto ciò che sollecita nell’analista di sé, delle sue emozioni, del suo passato, del suo presente, delle sue relazioni.

Tutta questa mole di contenuti e differenti e intrecciati tra loro piani spazio-temporali,  avvisa il prof. Guerra, tuttavia non si confonde e non confonde. La scrittura appassiona il lettore, stimola la sua curiosità di “vedere cosa succede dopo”, lo lega alla storia con fili che “cuciono” e “scuciono” la trama, che resta complessa e i cui esiti non spoileriamo. Ma Masina ci invita ad un viaggio, dice Guerra, a cui desideriamo partecipare.

Su tutto, naturalmente, il tema che il romanzo affronta, di scottante e delicata attualità, quello del “genere”. Che però a ben vedere negli ambienti della psicologia e della psicoterapia si affronta da tempi relativamente recenti, mentre tanto spazio occupa nel dibattito politico e civile e con un’impronta decisamente polarizzante e divisiva, tutt’affatto attenta al focus del problema: il benessere della persona. Ancor più, il benessere del giovane o della giovane. In questi ultimi anni, la disforia di genere ha assunto un peso che può definirsi clamoroso. Affrontando questo tema, il romanzo di Emilio si sottrae invece al gioco delle polarizzazioni perché si colloca sul punto dell’interrogazione. Non si tratta di schierarsi (dove poi?) ma di poter permettere di interrogare e di interrogarsi. E si chiede anche se l’approccio clinico-psicoanalitico permetta questa posizione d’interrogazione. Per Guerra sì, a patto di assumere due attitudini difficili da mantenere: il coinvolgimento personale e la sospensione del giudizio morale. Stefano-Emilio non si sottrae e rende palese il lavoro faticoso che inevitabilmente mette a contatto il terapeuta con parti di sé che non sono sempre facili o gradevoli da incontrare, che richiede una preparazione piuttosto lunga e la disponibilità a impegnarsi in un lavoro su di sé che non finisce mai. In questo contesto, si comprende facilmente come la questione del genere e del desiderio di modificarlo sia un tema che non può non avere ripercussioni sul clinico come su ciascuno di noi in quanto cittadini, genitori, adulti. La sospensione del giudizio morale, poi, nello stesso clinico, non è automatica. E Masina lo ammette, assumendo a guida, così pare a Guerra, il criterio di differenziare ciò che per il paziente è vitale da ciò che è per lui mortifero.

 

In mezzo ai due interventi degli esperti invitati il contributo di Elena Battaglini parte, come è nel suo stile, dal suggerire un’immagine, capace se assunta come sfondo di fare una qualche chiarezza. E quella che sceglie è l’immagine del funambolo. Lo scrittore gli pare percorrere una corda sottile e sospesa tra i paesaggi interiori e gli scenari esterni, nella terapia e nelle storie che racconta, e nella sua stessa partecipazione. Metafora della vita stessa che non è altro che una continua ricerca di equilibrio, dove i fili rossi di senso e di incontro tra il dentro e il fuori di noi sono le relazioni che riusciamo a sviluppare. L’immagine del funambolo quindi come cornice di senso, quando guardiamo Stefano affrontare il tema del genere del bambino e contemporaneamente in lui e in ciascuno di noi, sospesi almeno una volta nella vita ognuno tra negazione e accettazione, rifiuto e comprensione.

Dal canto suo, la dottoressa Paola Cavatorta condivide l’esito appassionante, da lettrice, della lettura del romanzo, dato sia dall’espediente narrativo che di fatto ci permette di entrare non solo nella stanza del terapista ma nella sua stessa mente, sia dalla molteplicità di temi di una narrazione che definisce “caleidoscopica” ma unitaria, per la capacità dell’Autore di tenere le storie insieme, integrate. Vi è dentro la disfunzionalità della famiglia, di cui viene restituita, sottesa, anche la sua trasformazione nel tempo, nei contesti e nelle società che cambiano. Sottolinea anche il coraggio che ci vuole per affrontare un tema così delicato e in relazione all’infanzia. Decisivo per lei, poi, l’aspetto dell’ascolto, di cui certo si sostanzia l’attività del terapista anche se spesso viene interpretato come passività da parte del professionista. Altro pregio del libro, per la Dott.ssa Cavatorta, è che non è un testo per addetti ai lavori. Invita tutti alla riflessione verso un cambiamento che non sia conformismo alle idee dominanti.

La parola all’Autore ha permesso ad Emilio Masina di confermare quanto emerso dai contributi dei colleghi e di sottolineare soprattutto l’importanza dell’ascolto, ma per accompagnare delle relazioni. E se sono complesse è perché complesse sono quelle che normalmente coinvolgono ciascuno di noi. Un ascolto mischiato alle emozioni vissute nella relazione, quelle del paziente e quelle del terapista. Della terapia con i bambini il libro restituisce le modalità, che passano necessariamente attraverso il gioco, che è il modo con cui il bambino comunica. E il gioco richiede una attenta partecipazione, non è uno scherzo. È una immersione in un set che produce risonanze – altra parola carica alla chair dell’incontro, Elena Battaglini –, e che deve sfociare, però, nella cura. E questa è la sfida. Il suo intento dichiarato poi, era quello di mostrare la bottega terapeutica come un laboratorio con i suoi attrezzi del mestiere, e tanto meglio se ci è riuscito anche attraverso una scrittura leggera, quella che ha provato a perseguire perché del resto era dei grandi romanzieri, quella che toglie e punta all’essenziale. Mostrare senza spiegare, quello era l’obiettivo. E per chi scrive, è stato centrato.

 

Il viaggio del romanzo incontro ai suoi lettori è appena cominciato. Il prossimo appuntamento è fissato per il prossimo 11 settembre, alla libreria Koob di Roma, con la partecipazione di Anna Maria Nicolò, neuropsichiatra infantile, psicoanalista didatta ed ex presidente della Società Psicoanalitica Italiana e Matteo Mennini, ricercatore, storico e preside dell’Istituto San Leon Magno.

 

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