” L’INIZIO DI UNA STORIA DI IERI ” – DI VALTER MARCONE
Redazione- Sembra una contraddizione in termini. Ma “l’inizio” di una storia di ieri, non lo è affatto. Una storia durata trent’anni che in verità non si conclude ma ha ora un inizio .
L’ombra si è materializzata. Sotto forma di un signore anziano vestito in maniera ricercata apparso alla sommità di una breve scalinata tra due carabinieri , un uomo e una donna, senza manette, accompagnato dentro un furgone ai piedi della scala dove hanno preso posto altri carabinieri dei corpi speciali . Un’apparizione folgorante che ruba la scena ai migliori film e che entra prepotentemente nell’immaginario collettivo. Senza manette, per dire che nel 2023 lo Stato non teme più quel tipo di organizzazione criminale a cui appartiene l’arrestato. Tra due carabinieri, un uomo e una donna, per dire che l’operazione che ha portato alla cattura di uno dei più importanti latitanti di mafia ,della mafia stragista, l’ultimo dei corleonesi , non è una operazione dall’oggi al domani ma è un lungo lavoro appunto di uomini e donne dell’Arma e non solo, programmato e sviluppato nel tempo.
Sto parlando della cattura ,avvenuta a Palermo ,non in Canada o in Australia, dell’ultimo corleonese Matteo Messina Denaro,dopo trent’anni di latitanza, Una parabola di omicidi, affari criminali, stragi. avviati ad una prima conclusione con l’arresto nel 1992 di Totò Riina ,il macellaio, e conclusasi dunque nella mattinata di lunedì 16 dicembre 2023 con l’arresto di Matteo Messina Denaro, U siccu, latitante da trent’anni. Due arresti che chiudono la vicenda di una “certa “ mafia. Quella stragista che non ha esitato a sciogliere nell’acido il corpo di un bambino per la sola colpa di essere figlio di un collaboratore di giustizia, che ha ucciso a colpi di tritolo magistrati e operatori della giustizia,ma anche innocenti civili che avevano la sola colpa di essere presenti nei luoghi delle stragi a Roma, Firenze e Milano .Stragi fuori della Sicilia ,perchè comunque stragi di mafia in quella regione ne erano avvenute, per dare un segnale preciso. Un braccio di ferro con lo Stato italiano. Una strategia di morte ,quella appunto perseguita da una cupola mafiosa retta dai corleonesi che ebbero a suo tempo il sopravvento sulle altre famiglie nella gestione dell’organizzazione e che contano criminali del calibro di Riina , Brusca, Provenzano,i fratelli Graviano ,Matteo Messina Denaro e molti altri .
La cattura di Matteo Messina Denaro dicevo è l’inizio di un’altra storia. Quella mafia delle stragi, degli omicidi eccellenti, degli attentati dinamitardi che dopo il 1992-93 ha accusato i colpi di una reazione adeguata da parte dello Stato,con l’arresto di padrini e boss eccellenti e che ha stabilito patti con settori deviati delle istituzioni, sembra essere stata sconfitta definitivamente con l’arresto di uno dei suoi boss più rappresentativi.. Una storia trentennale sembra chiudersi definitivamente . Anche se appunto ,questo momento, può e deve diventare un inizio. Infatti non bisogna accontentarsi, seppure l’arresto sia stato accolto con soddisfazione , della cattura dell’ultimo boss stragista. Occorre da parte dello Stato smantellare tutta la rete di protezione di cui Matteo Messina Denaro fruiva ,quella borghesia del crimine come è stata definita,,composta , come diceva il giudice Falcone da menti raffinate ma anche da intellettuali e pezzi di istituzioni, individuando uno ad uno i fiancheggiatori, i collaboratori, i prestanome, soppesandone le posizioni e infliggendo le pene adeguate. E senza porre bandierine da parte di chichessia perchè è stata solo una operazione di polizia . Una operazione condotta da un reparto professionalmente eccellente che opera da anni nel trapanese, terra in cui Matteo Messina Denaro ha potuto fare i propri affari con una commistione appunto tra affari e azioni criminali, ha avuto protezioni e dove è rimasto indisturbato per trent’anni. “Affari dei pali” che gli rimproverava lo stesso Totò Riina che aveva puntato su di lui per quella strategia di lotta allo Stato alla quale a dire il vero Matteo Messina Denaro non si era sottratto .Solo così si potrà dire di essere giunti alla parola “fine”. Che poi nella lotta alla criminalità organizzata la parola fine è sempre difficile da pronunciare in quanto mafia, ndrangheta, camorra sono organizzazioni per così dire “ aziendali “ e quasi sempre a “conduzione
familiare”; aziende della criminalità, che evolvono con il tempo e adeguano i loro strumenti , i campi di azione e gli obiettivi. Ecco perchè occorre usare tutti i mezzi moderni, parlo dal punto di vista delle investigazioni per contrastarle comprese le “ discusse” intercettazioni che se è vero non vengono negate in indagini di mafia, possono rappresentare ,con la loro limitazione, un regalo alle mafie , quando parliamo di reati connessi .
La cronaca racconta così l’avvenimento della cattura partendo anche dalla ricostruzione che gli inquirenti ne hanno fatto nella conferenza stampa del pomeriggio di lunedì attraverso i comunicati di agenzie.
Scrive L’Ansa nel dispaccio delle ore 6,00 del 17 gennaio a firma di Lara Sirignano : “l boss mafioso Matteo Messina Denaro è stato arrestato dai carabinieri del Ros, dopo 30 anni di latitanza. L’inchiesta che ha portato alla cattura del capomafia di Castelvetrano (Tp) è stata coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dal procuratore aggiunto Paolo Guido. “
Una latitanza durata trenta anni in una Palermo che non è la città del boss ma le cui organizzazioni criminali mafiose sono rette da altre famiglie, scegliendo una posizione defilata dalla quale riorganizzare e tenere le fila di una organizzazione che accusava i colpi degli arresti di Totò Reina e Provenzano .
Una latitanza durata così tanto perchè “una fetta della borghesia lo ha aiutato”, dice il procuratore de Lucia. A scompaginare i piani la “terra bruciata “ fatta attorno al latitante e ai familiari che stretti dalla morsa degli investigatori alla fine hanno fatto l’errore fatale.
Continua il dispaccio dell’Ansa : “Parlando tra loro, pur sapendo di essere intercettati, hanno fatto cenno alle malattie del capomafia. L’inchiesta è partita da lì. E indagando sui dati della piattaforma del ministero della Salute che conserva le informazioni sui pazienti oncologici, si è riusciti a stilare una lista di pazienti sospettati. Un nome ha fatto saltare sulla sedia gli inquirenti: Andrea Bonafede, parente di un antico favoreggiatore del boss. Avrebbe un anno fa subito un intervento al fegato alla Maddalena. Ma nel giorno in cui doveva trovarsi sotto ai ferri, hanno scoperto i magistrati, Bonafede era a casa sua a Campobello di Mazara. E allora il sospetto che il latitante usasse l’identità di un altro si è fatto forte. La prenotazione di una seduta di chemioterapia a nome di Bonafede ha fatto scattare il blitz. Messina Denaro, trasferito subito in una località segreta, sarà destinato ad un carcere di massima sicurezza, un istituto che gli possa permettere di seguire le sue cure, come ad esempio Parma, dove già furono reclusi Riina e Provenzano …”
Un arresto avvenuto a trent’anni di distanza quasi esatti, era il 15 di gennaio 1993, quando fu arrestato Salvatore Riina , dopo 24 anni di latitanza. Il primo passo della offensiva dello Stato contro Cosa nostra dopo le stragi del ’92 in cui furono uccisi i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino assieme agli agenti di scorta.
Come si è arrivati all’arresto .“Matteo Messina Denaro è stato catturato grazie al metodo Dalla Chiesa, cioè la raccolta di tantissimi dati informativi dei tanti reparti dei carabinieri, sulla strada, attraverso intercettazioni telefoniche, banche dati dello Stato, delle regioni amministrative”, ha detto il comandante dei carabinieri Teo Luzi, arrivato a Palermo. “Una grande soddisfazione perché è un risultato straordinario. Messina Denaro era un personaggio di primissimo piano operativo, ma anche da un punto di vista simbolico perché è stato uno dei grandi protagonisti dell’attacco allo Stato con le stragi. Risultato reso possibile dalla determinazione e dal metodo utilizzato. Determinazione perché per 30 anni abbiamo voluto arrivare alla sua cattura, soprattutto in questi ultimi anni con un grandissimo impiego di personale e di ricorse strumentali”. “Un risultato – conclude Luzi – grazie al lavoro fatto anche dalle altre forze di polizia, in particolare dalla polizia di Stato. La lotta a Cosa nostra prosegue. Il cerchio non si chiude. E’ un risultato che dà coraggio che ci dà nuovi stimoli ad andare avanti e ci dà metodo di lavoro per il futuro, la lotta alla criminalità organizzata è uno dei temi fondamentali di tutti gli stati”.
“Abbiamo catturato l’ultimo stragista responsabile delle stragi del 1992-93”, ha detto il procuratore di Palermo Maurizio De Lucia. “Siamo particolarmente orgogliosi del lavoro portato a termine questa mattina che conclude un lavoro lungo e delicatissimo. E’ un debito che la Repubblica aveva con le vittime della mafia che in parte abbiamo saldato”. “Catturare un latitante pericoloso senza ricorso alla violenza e senza manette è un segno importante per un paese democratico”. “Allo stato non abbiamo elementi per parlare di complicità del personale della clinica anche perchè i documenti che esibiva il latitante erano in apparenza regolari, ma le indagini sono comunque partite ora” ha aggiunto il procuratore. “
La sequenza Totò Riina, Giovanni Brusaca, Bernardo Provenzano ,Matteo Messina Denaro, trenta,ventisette,, diciassette anni e tre giorni fa . Arresti fotocopia in cui variano solo alcuni minimi particolari
Il 20 maggio del 1996 viene arrestato Giovanni Brusca dalla polizia alla periferia di Palermo, insieme al fratello Vincenzo, entrambi latitanti da tempo. il 15 gennaio del 1993 a Palermo di Totò Riina, dopo 24 anni di latitanza: esattamente 30 anni fa. Quel giorno i carabinieri intercettarono l’auto del capomafia appena uscita dal residence di via Bernini in cui viveva da tempo con la famiglia. L’operazione fu condotta dal gruppo guidato dal Capitano Ultimo. Con loro il pentito Baldassare Di Maggio che riconosce Salvatore Biondino e Totò Riina a bordo di una Citroen ZX. Riina, seduto sul sedile passeggero dell’utilitaria guidata da Salvatore Biondino, viene bloccato intorno alle 8,30 sulla rotonda di via Leonardo da Vinci,Con l’arresto di Riina, il ruolo di capo di Cosa nostra passa a Bernardo Provenzano. L’ultimo dei cosiddetti “vecchi boss” viene preso nel 2006. Maglione, jeans e scarponcini: così era vestito nel momento in cui la Polizia l’ha arrestato nelle campagne di Corleone .Una latitanza lunghissima , quasi 45 anni . Il 20 febraio 1986 Michele Greco, “Il Papa”, il capo della mafia palermitana indicato da Tommaso Buscetta al vertice dell’organizzazione di Cosa nostra, viene arrestato dai carabinieri a Caccano, in provincia di Palermo. Era irreperibile dal giugno del 1982.
Una vicenda quella di Matteo Messina Denaro che è anche una vicenda di soldi .Tantissimi soldi. Quantificare il tesoro di Matteo Messina Denaro è difficile anche per gli investigatori. Ma una stima, per difetto, dei guadagni di una vita di traffici di droga, estorsioni, riciclaggio nei settori più disparati si può azzardare sulla base di quel che lo Stato, negli anni, è riuscito a sottrarre al padrino di Castelvetrano e ai suoi prestanome. Si parla di quasi 4 miliardi di euro. Che rappresentano forse la punta di un iceberg che qualcuno definisce molto sostanzioso .Anche perchè a pensarci un attimo va ricordato che la manovra di bilancio dell’attuale governo in carica ammonta a 34 miliardi e sembra che quel patrimonio di cui bisognerà rintracciare le fila sparse chissà dove si avvicina a cifre così consistenti.
Le condizioni di salute di Matteo Messina Denaro sono in qualche modo compromesse tenuto conto della sua presenza in una clinica privata dove sotto falso nome si sottoponeva ad un ciclo di chemioterapia e dove è stato arrestato. Ma non tanto da non poter essere sottoposto al regime carcerario . Ha appena sessant’anni e quindi una previsione di vita malgrado tutto che lo porterà a scontare parte della pena alla quale è stato già condannato .
In previsione di questa carcerazione potrebbe anche ,per alleggerirne gli effetti ed avere qualche benficio, raccontare una parte dei segreti che custodisce. E’ difficile ma questa evenienza potrebbe verificarsi anche se ci sono pareri opposti in quanto comunque rimane sempre un protagonista dell’organizzazione mafiosa . Una delle rilevazioni che potrebbe fare potrebbero essere per esempio i nomi dei mandanti e degli ideatori esterni alla mafia di quella stagione stragista , considerato che buona parte degli esecutori materiali sono stati arrestati. Probabilmente bisognerà entrare nella sua psicologia per ricavare qualche informazione . In quel caso ,probabilmente con le domande giuste e con le opportune cautele potrebbe rivelare qualche segreto che custodisce.
Tra questi per esempio, si fa per dire , il luogo di deposito dei settecento chili di tritolo messi da parte per un attentato al magistrato De Matteo il più scortato tra quanti si trovano nella condizione di essere protetti , perchè non va dimenticato, quel signore arrestato qualche giorno fa ,che poteva sembrare un pensionato nel suo ultimo covo , che scambiava il numero di telefono con gli altri pazienti della clinica dove si sottoponeva a chemioterapia, che faceva selfie e giovialmente portava omaggi ai sanitari , non ha mai abbandonato la sua vocazione stragista . Ed è un signore condannato da sentenze passate in giudicato per omicidi ,stragi ed altre condotte criminali.
Saverio Lodato in un intervento alla rubrica della 7 ,Otto e mezzo di lunedì 16 gennaio a questo proposito ha detto testualmente : ““Matteo Messina Denaro è in grado di rispondere a tutti gli interrogativi che l’opinione pubblica si è posta in questi anni – ha specificato –. Può raccontare dove si trova l’agenda rossa di Paolo Borsellino; dove sono i documenti non trovati nel covo di Totò Riina perché non perquisito trent’anni fa quando i Carabinieri fecero irruzione; lui può raccontare dove sono finiti e perché sono stati messi in atto gli appostamenti necessari per assassinare Giovanni Falcone da lui stesso a Palermo dopo che Riina lo inviò a Roma perché l’attentato andava consumato nella Capitale salvo poi(nuovamente Riina) decidere che si dovesse fare a Palermo; potrebbe dire dove sono finiti in questi 30 anni i soldi che non sono stati trovati all’indomani degli arresti né di Totò Riina né di Bernardo Provenzano perché con molta probabilità ci si appagò del fatto che loro erano stati catturati. Matteo Messina Denaro conosce la storia delle complicità in questi 30 anni di un pezzo dello Stato italiano con la mafia ed è questa la ragione del trentennio in cui lui ha camminato indisturbato per Palermo, si è fatto visitare e operare e oggi andava a fare l’ennesima visita”.
“Se recupero pure un terzo di quello che ho sono sempre ricco”, diceva il capomafia corleonese, Totò Riina intercettato, parlando durante l’ora d’aria con un altro detenuto. “Una persona responsabile ce l’ho e sarebbe Messina Denaro. Però che cosa fa per ora questo Matteo Messina Denaro non lo so. Suo padre era uno con i coglioni” , spiegava all’amico mostrando una qualche diffidenza sulla capacità gestionale del boss trapanese. E rivelando che parte del suo patrimonio potrebbe essere stato affidato proprio agli alleati di Castelvetrano.
Con l’arresto di Matteo Messina Denaro si assottiglia l’elenco dei latitanti di massima pericolosità facenti parte del “programma speciale di ricerca” del gruppo Interforze.
Si tratta di Attilio Cubeddu (Anonima sequestri), nato il 2 marzo 1947 a Arzana (Nuoro) e ricercato dal 1997 per non aver fatto rientro, al termine di un permesso, nella Casa Circondariale di Badu e Carros (Nuoro), ove era ristretto, per sequestro di persona, omicidio e lesioni gravissime.
Il 18 marzo 1998 sono state diramate le ricerche in campo internazionale, per arresto ai fini estradizionali. Giovanni Motisi (mafia), nato il primo gennaio 1959 a Palermo, ricercato dal 1998 per omicidi, dal 2001 per associazione di tipo mafioso ed altro, dal 2002 per strage ed altro; deve scontare la pena dell’ergastolo. Il 10 dicembre 1999 sono state diramate le ricerche in campo internazionale, per arresto ai fini estradizionali. Renato Cinquegranella (camorra), nato il 15 maggio 1949 a Napoli, ricercato dal 2002 per associazione per delinquere di tipo mafioso, concorso in omicidio, detenzione e porto illegale di armi, estorsione ed altro. Il 7 dicembre 2018 sono state diramate le ricerche in campo internazionale, per arresto ai fini estradizionali. Infine Pasquale Bonavota (‘ndrangheta), nato il 10 gennaio 1974 a Vibo Valentia, ricercato dal 2018 per “associazione di tipo mafioso” e “omicidio aggravato in concorso”. (1)
Matteo Messina Denaro e’ ancora “la figura criminale piu’ carismatica di Cosa nostra e in particolare della mafia trapanese”: “nonostante la lunga latitanza egli resterebbe il principale punto di riferimento per far fronte alle questioni di maggiore interesse che coinvolgono l’organizzazione oltre che per la risoluzione di eventuali controversie in seno alla consorteria o per la nomina dei vertici di articolazioni mafiose anche non trapanesi”Così la Direzione investigativa antimafia nella relazione al Parlamento per il primo semestre 2021 presentata il 7 aprile 2022 . (2)
Dopo l’arresto è stato trasferito al carcere “Le Costarelle” di Preturo nella innediata periferia di L’Aquila. Al momento ospita dodici donne – è l’unico penitenziario con la sezione femminile per il regime 41bis – e circa 160 uomini: ecco i nomi più conosciuti è tuttora detenuta Nadia Desdemona Lioce, l’irriducibile delle nuove Br condannata all’ergastolo per gli omicidi D’Antona e Biagi Nel carcere ci sono diversi nomi pesanti di Cosa Nostra, come Filippo Graviano (condannato all’ergastolo per essere stato uno dei mandanti delle stragi del ’92 e del ’93 e per l’uccisione di don Pino Puglisi) C’è anche il boss palermitano Carlo Greco, reggente del mandamento di Santa Maria del Gesù . C’è poi Sandro Lo Piccolo, considerato uno dei boss più pericolosi di Cosa nostra, figlio del “barone di San Lorenzo” Salvatore è detenuto anche Pasquale Condello, detto ‘U Supremu: dopo l’arresto di Giuseppe Morabito era considerato il numero uno della ‘ndrangheta .nomi di spicco della camorra, come Paolo Di Lauro senior: detto ‘Ciruzzo o’ milionario’, è considerato a capo del clan Di Lauro di Secondigliano e Scampia e uno dei boss più potenti c’è anche Ferdinando Cesarano, superboss della camorra del nolano Anche in passato nel carcere abruzzese sono stati detenuti personaggi di spicco. Come il boss mafioso Leoluca Bagarella, che ora sta scontando l’ergastolo per strage nel carcere di Bancali a Sassar È passato da qui anche Raffaele Cutolo, fondatore della Nuova camorra organizzata, morto nel 202 Tra i prigionieri più conosciuti anche l’esponente dei casalesi Francesco Schiavone, detto Sandokan, poi trasferito nel carcere di Opera È stato alle “Costarelle” anche l’esponente della Mala del Brenta Felice Maniero, soprannominato Faccia d’Angelo è stato detenuto per un periodo anche Totò Riina, il capo dei capi È morto nel carcere abruzzese il boss della Camorra Feliciano Mallardo
La struttura di L’Aquila, anche grazie alla sua posizione isolata, è stata destinata sin da subito a carcere di massima sicurezza. È stata ultimata nel 1986 ed è entrata in funzione nel 1993: dal 1996 è stata adibita quasi interamente alla custodia di detenuti sottoposti a particolari regimi di alta sicurezza, che alloggiano in celle singole. Da una capienza iniziale di 150 detenuti si è poi passati a un massimo di 300, compresi i carcerati comuni
Ho parlato di immaginario collettivo .Ma che cosa c’è di più immaginario se non il cinema e le storie che racconta. E’ appunto il cinema che ha raccontato Cosa nostra con le opere affascinanti di due registi Scorsese e Coppola , forse all’opposto tra di loro per la interpretazione antropologica che hanno dato a questo fenomeno ma entrambi ricchi di un appeal formidabile ; storie avvincenti .
Perchè il cinema. Nel 1963, dopo aver visto un film “di mafia”, Leonardo Sciascia scrisse un articolo passato alla storia: “Quando capita di assistere a un’opera del genere – fu la riflessione dello scrittore di Racalmuto – lo spettatore è portato a chiedersi non più che cosa è la mafia, ma che cosa la mafia non è.
Emiliano Morreale che insegna all’Università La Sapienza di Roma ed è critico cinematografico del quotidiano «la Repubblica». per l’editore Donzelli ha scritto un libro dal titolo La mafia immaginaria Settant’anni di Cosa Nostra al cinema (1949-2019) in cui Morreale dopo anni di ricerca offre , come si legge sul sito della Donzelli , il primo studio completo sui modi in cui il cinema ha raccontato Cosa Nostra. Una lettura documentata e provocatoria, che ribalta molti luoghi comuni. Il cinema italiano non ha quasi mai raccontato davvero la mafia, ma si è inventato un «mafiaworld» parallelo, che ha influenzato la percezione del fenomeno da parte dell’opinione pubblica, e perfino i modi in cui i mafiosi stessi si sono visti. Dalla strage di Portella della Ginestra al maxiprocesso, dagli attentati del 1992 a oggi, Emiliano Morreale ripercorre la storia del mafia movie attraverso materiali d’archivio inediti o rarissimi. Dal neorealismo a Salvatore Giuliano, dal Padrino alla Piovra, dai Soprano al Traditore, da Ciprì e Maresco alle biografie televisive di boss e martiri; ma anche film sconosciuti e illuminanti, e pellicole che non furono mai girate, per censura politica o difficoltà economiche. I mafia movie, rivisti oggi, ci parlano del loro tempo in maniera indiretta. Dietro i modi in cui Cosa Nostra viene raccontata si intravedono la crisi degli intellettuali negli anni del boom, le contraddizioni davanti ai cambiamenti del ruolo della donna, lo smarrimento di fronte alla strategia della tensione o all’ascesa di Berlusconi. La Sicilia e la mafia, insomma, diventano il luogo in cui situare paure, ansie, difficoltà della società italiana, per esorcizzarle, sperando di trovare «la chiave di tutto», fino a un presente dove il racconto di Cosa Nostra sembra evocare solo il passato, come una favola.
Ma parlavo di due capolavori del cinema . Il 15 marzo 1972 appariva per la prima volta sugli schermi il leggendario film di Francis Ford Coppola, basato sul libro di Mario Puzo. The Godfather fu un enorme successo, vinse 3 Oscar, consacrò Marlon Brando come icona e lancio la carriera di Al Pacino. La prima parte della trilogia è stata lodata dalla critica e le vicende della famiglia mafiosa italo-americana dei Corleone rimangono una delle vette più alte del cinema del Dopoguerra .In questo film Coppola umanizza il fenomeno della mafia con un segno chiaramente antropologico perchè guarda più agli uomini che alla vicenda della organizzazione proprio a partire dalle prime scene in cui riprende appunto lo svolgersi di un matrimonio.
Molto più vicino allo studio della organizzazione criminale è invece il film di Martin Scorsese The Irishman Una pellicola che nella sua rappresentazione cinematografica già si presenta come un capolavoro grazie alla partecipazione degli “Dei dell’Olimpo del cinema” come Robert De Niro ed Al Pacino, coadiuvati da due grandissimi Joe Pesci ed Harvey Keitel, autori di un’interpretazione magistrale e forse tra le più importanti della loro carriera.
Il film, della durata di tre ore e mezza, abbraccia un arco storico di cinquant’anni, dal secondo dopoguerra all’inizio degli anni Ottanta. In particolare si concentra sul racconto della misteriosa storia di Jimmy Hoffa (Pacino), sindacalista e fondatore della International Brotherhood of Teamsters, condannato per corruzione in seguito alla sua complicità con la mafia. Hoffa scomparve il 30 luglio del 1975 dal parcheggio del ristorante Machus Red Fox, presso Bloomfield. Fu dichiarato legalmente morto solo nel 1982, e il suo caso è tutt’oggi enigmatico. (3)
La sceneggiatura del film si ispira al libro “I Heard You Paint Houses” (nello slang significa compiere un omicidio, “dipingere le pareti con il sangue”), di Charles Brandt, in cui Sheeran ha raccontato diversi dettagli della storia del tempo.
Ed era forse dai tempi della saga de “Il Padrino” che non si assisteva ad un kolossal tanto forte nell’affrontare temi tanto delicati.
Il film, senza troppi sensazionalismi o effetti speciali (se non quelli usati per ringiovanire gli stessi attori) offre un viaggio grandioso attraverso i segreti del crimine organizzato, tra i suoi meccanismi interni, le rivalità e i legami con la politica permettendo di comprendere quella che era la potenza di Cosa nostra americana negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta. Ed è per questi aspetti che i giovani dovrebbero vedere questo film.
E va detto anche che queste storie di mafia sono state raccontate per esempio in due libri pubblicati di recente da Chiare lettere . Pino Corrias “Hanno fermato il capitano Ultimo” che nella pagina web dello stesso editore viene così descritto : “Il racconto dell’uomo che ha arrestato Totò Riina e ha fatto tremare i palazzi del potere fino a quando il potere si è vendicato.“Mi chiamo Ultimo perché sono cresciuto in un mondo dove tutti volevano essere primi.Ho un solo talento: organizzare la lotta e scegliere gli uomini. I miei sono stati il miglior gruppo investigativo.”Sergio De Caprio aggiunge nuovi tasselli al racconto in prima persona della sua vita da Capitano Ultimo. E, alla luce delle recenti sentenze sui principali casi di cui si è occupato, rilegge le vicende umane e giudiziarie che lo hanno travolto da quando, il 15 gennaio 1993, catturò Totò Riina, fu condannato a morte da Provenzano e Bagarella, e bersagliato da mille sospetti confluiti nel processo Trattativa Stato-mafia.
Trent’anni dopo, ci riaccompagna nel vivo delle operazioni che lo hanno visto protagonista in incognito insieme ai suoi uomini. Vichingo, Arciere, Omar, Petalo, Pirata, Alchimista, i suoi cento investigatori invisibili che lo hanno affiancato nei lunghi appostamenti, le intercettazioni fiume, le notti insonni a indagare instancabilmente su mafia, ’ndrangheta, camorra, la corruzione a Milano, a Palermo, a Napoli, ma anche nei palazzi del potere, da Finmeccanica allo Ior, la banca vaticana, passando per la Lega. Fino a quando si è spinto troppo oltre ed è stato fermato. Denunciato per insubordinazione e diffamazione. Accusato di essere un cane sciolto, accerchiato, demansionato, poi isolato e per due volte ripagato con la revoca della scorta.
Ultimo è l’investigatore così bravo e veloce da non essere controllabile. Il soldato idealista che non guarda in faccia il potere. L’irregolare che per le gerarchie militari e della politica va domato. L’eroe senza nome che va ricondotto all’obbedienza. ( 4)
Saverio Lodato e Il patto sporco e il silenzio “ di cui sulla pagina web dell’editore si legge : “ Dopo l’ultima sentenza del processo sulla Trattativa Stato-mafia è calato il silenzio su una delle vicende più drammatiche e clamorose della storia repubblicana. E non pochi sono stati quelli che hanno violentemente attaccato i magistrati che avevano istruito il procedimento, tra i quali Nino Di Matteo, autore di questo libro, ora riproposto in una nuova edizione aggiornata, che intende illuminare la verità giudiziaria ma anche quella storica di un fatto ormai acclarato, come è scritto distintamente nelle motivazioni della sentenza d’appello.
Il patto sporco e il silenzio rappresenta la lettura più completa di una vicenda che molti vorrebbero fosse rimossa dalla cronaca e dalla storia del nostro paese. Ma non sarà così. Gli attentati a Lima, Falcone, Borsellino, le bombe a Milano, Firenze, Roma, lo Stato in ginocchio, i suoi uomini migliori sacrificati. Eppure in quello stesso momento, mentre scorreva il sangue delle stragi, c’era chi, in nome dello Stato, dialogava e interagiva con il nemico. “Fu proprio dopo la sentenza d’appello che, insieme a Nino Di Matteo, avvertimmo la necessità di un’altra edizione di questo libro” scrive Saverio Lodato nella nuova introduzione. “Per tante ragioni. Gli imputati, prima condannati, erano stati assolti. Non si poteva far finta di niente. I lettori avevano il diritto di conoscere il prosieguo della storia.” Anche perché, nel frattempo, si è aggiunto il ricorso in Cassazione della procura generale di Palermo. (5)
Ho parlato di immaginario in questa riflessione. Citando la trama di due film che fanno parte di un lungo elenco ( 6 ) e ho parlato di due libri . Immaginario, perchè le cronache ci hanno abituato ad “immaginare” un Matteo Messina Denaro come figura sfuggente, attentissima agli affari, riservata e defilata che godendo di molte protezioni ha preferito non assumersi il compito di dirigere l’intera organizzazione mafiosa ma dedicarsi appunto agli affari che sembra appunto abbiamo fruttato somme ingenti.
Dopo l’arresto, diversamente da quanto accadde per Totò Riina e Bernardo Provenzano, sono stati individuati e perquisiti per il momento tre covi tra quelli che probabilmente Messina Denaro ha utilizzato. Sul primo covo utilizzato negli ultimi sei mesi in una palazzina a Campobello di Mazara, nel trapanese, paese del favoreggiatore Giovanni Luppino, finito in manette anche lui , che dista appena otto chilometri da Castelvetrano il paese di nascita, sono stati rivelati una dovizia di particolari da parte dei carabinieri. Si tratta di una specie di guardaroba del boss che farebbe pensare ad una personalità diversa da quella che la narrazione e l’immaginario ci hanno abituati a vedere.
Al di là delle condizioni dell’appartamento, ben ristrutturato, che testimonia che le condizioni economiche del latitante erano buone con un arredamento ricercato, di un certo tenore, non di lusso ma di apprezzabile livello economico,il boss appare come persona gioviale, in grado di stabilire relazioni con le persone che incontrava , dedito alla buona tavola con frequentazione di ristoranti, forse non insensibile al fascino femminile , ricercato nell’abbigliamento e comunque socievolissimo, tanto da farsi selfie addirittura nella clinica dove veniva curato . Per il secondo covo le informazioni trapelate dicono che era dotato di un bunker per il terzo covo nulla è ancora trapelato.
Dalle indiscrezioni sulla vita condotta negli ultimi sei mesi a Campobello di Mazara sembra voler passare una narrazione del padrino diversa da quella alla quale siamo stati abituati Insomma una figura edulcorata che appare, lo accennavo, come un pacifico pensionato. Con questa narrazione si tenta di sminuire ed affievolire il vero ruolo di Messina Denaro declassando la sua pericolosità che non è mai venuta meno stando alle sentenze passate in giudicato che affermano una diversa verità giudiziaria,ovvero un feroce stragista ,cresciuto sulle ginocchia di Totò Riina che delle stragi era il maggior fautore e come capo mandamento in grado di coinvolgere l’intera organizzazione . . Uno stragista che dopo la pausa dal 1993-94 fino al 2006 in cui si è dedicato più agli affari e alle questioni della cupola ha ripreso in quell’anno a coltivare quella vocazione stragista mettendo da parte quintali di tritolo riservati al giudice Di Matteo.
Dunque una narrazione che fa pensare a due aspetti particolari di questa vicenda . Il primo che Matteo Messina Denaro è stato latitante per oltre trenta anni adottando precauzioni che sembrano essere state abbandonate negli ultimi mesi . Perchè , come dice il giudice De Matteo, o si sentiva così protetto da non tener più conto delle precauzioni o si è voluto consegnare. La seconda questione è che i documenti in possesso di Matteo Messina Denaro fanno tremare molte persone dentro e fuori la mafia. Figuriamoci se decidesse di parlare. Perchè in questo caso avrebbe molte cosa da raccontare e sarebbe veramente un balzo in avanti formidabile nella lotta alla mafia.
A questo proposito scrive Lorenzo Baldo su antimafiaduemila.it :“E’ già sera, tutto è finito”. E’ come se le parole scritte a scuola dalla piccola Nadia Nencioni prima di morire prendessero nuovamente forma. Stavolta però a finire è l’impunità di Matteo Messina Denaro. Quella stessa protezione ad “alti livelli” che evidentemente è stata tolta da chi ha ritenuto più funzionale in questo momento sbarazzarsi della sua presenza ingombrante. Per Matteo i giochi sono davvero finiti. Lui li ha usati, ma anche “loro” lo hanno usato fino a quando è stato utile. Ed ora “loro” si preparano a una nuova fase. Che molto probabilmente racchiude una serie di incognite per il nostro Paese. Se è ancora lui ad avere in mano un’ultima carta da giocare avremo modo di capirlo dagli eventi che si succederanno. “(7)
Ora è lo Stato e la politica che devono fare la loro parte. Non si può chiedere al cittadino un compito e un ruolo che spesso non ‘può assumere. Perchè dice Vittorio Teresi, per anni procuratore aggiunto alla Dda di Palermo e pm nel processo sulla “Trattativa Stato-Mafia”, definito dal Csm al momento del collocamento a riposto “un magistrato con la schiena dritta, che ha dedicato la propria vita professionale alla lotta alla mafia” ad Adnkronos :””Nessuno dei grandi boss che abbiamo ricercato per anni, da Riina a Provenzano, ha mai lasciato il suo territorio. Erano in zona, gestivano il potere dall’unico luogo in cui potevano farlo. Non è un inedito, ma la normalità purtroppo. E la dice lunga anche sulle connivenze, sulle coperture di cui queste latitanze hanno goduto”. Un dato che fa riflettere. “Prima del popolo siciliano è la politica che deve compiere questa rivoluzione culturale – ha continuato Teresi -. La mafia della connivenza con lo Stato si combatte con la buona politica, una politica a favore del recupero delle fasce deboli che ancora non ho visto e che non c’è mai stata”. Nel centro di appena 12mila anime in provincia di Trapani, dove il padrino di Castelvetrano ha vissuto, nessuno pare averlo notato sino al giorno del suo arresto. “In questo risiede la forza di intimidazione ambientale della mafia – ha spiegato -. Se io sto in un piccolo paese e conduco una vita ‘normale’ è perché so che nessuno avrà il coraggio di denunciarmi, perché dietro di me c’è la ‘potenza’ di Cosa nostra. La gente, da un lato, ha paura e, dall’altro, può essere connivente, ideologicamente vicina. Da quello che emerge c’è una rete di professionisti che lo tenevano al sicuro e perpetuavano questo mito del terrore che incute la mafia con un conseguente freno alle denunce”.
Allo Stato e alla politica tocca ora proseguire su questo inizio su tutti i fronti e in particolare quelli riferiti alle stragi di mafia e alla trattativa stato mafia . Proprio per mettere fine a molte preoccupazioni rappresentate per esempio in questa dichiarazione dell’ex magistrato Carlo Palermo in una intervista a ilquotidiano.it : “”Il mio timore è che il suo arresto serva per chiudere le indagini sulla mafia e sul periodo dello stragismo, quando in realtà ci sono ancora tanti misteri da riportare in luce: il lodo Moro, l’operazione Lima, la strage di Portella della Ginestra. In base alle percezioni già raccolte, c’è il rischio che con il suo arresto si metta una pietra sopra all’esame della magistratura, che non ha ancora rilevato le connessioni, le sovrapposizioni, tra diversi processi” sulla “droga, le armi, esercizi e la massoneria. Mi riferisco a quell’unità che non è stata mai ricomposta tra le indagini di Trapani e di Trento, che in parte andarono a confluire nell’istruttoria del maxi processo di Falcone e Borsellino”.
( 4 )Pino Corrias, giornalista, scrittore e sceneggiatore, vive e lavora a Roma.
Tra i suoi reportage ricordiamo: Nostra incantevole Italia (Chiarelettere 2018) e Vicini da morire (Mondadori 2007). Dal suo romanzo Dormiremo da vecchi (Chiarelettere 2015) è stato tratto il film Dolceroma (2019) di Fabio Resinaro. Ha scritto inoltre: Le banane della Repubblica (Paper First 2021), i racconti Disordini sentimentali (Mondadori 2016), Vita agra di un anarchico (Feltrinelli 2022) e, con Curzio Maltese e Massimo Gramellini, Colpo grosso, sull’ascesa di Berlusconi (Baldini&Castoldi 1995). È autore delle inchieste televisive: Le tre vite di Donato Bilancia (Raidue 2022), Catturate Riina! (Raiuno 2018) e Mani pulite (Raidue 1997). Per Raifiction ha prodotto La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana e Coliandro dei Manetti Bros. È stato inviato speciale de “La Stampa”. Collabora con “il Fatto Quotidiano” e “Vanity Fair”.
( 5)Saverio Lodato è tra i più autorevoli giornalisti di mafia, antimafia e Sicilia. Per trent’anni inviato de “l’Unità”, oggi scrive su Antimafiaduemila.com. Tra i suoi libri ricordiamo: Quarant’anni di mafia, La linea della palma (con Andrea Camilleri), Intoccabili (con Marco Travaglio), pubblicati da Rizzoli; Ho ucciso Giovanni Falcone (con Giovanni Brusca) e La mafia ha vinto (intervista-testamento a Tommaso Buscetta), entrambi Mondadori; Il ritorno del Principe (con Roberto Scarpinato), Un inverno italiano e Di testa nostra (con Andrea Camilleri), editi da Chiarelettere.
Con Nino Di Matteo è autore de I nemici della giustizia (Rizzoli).
( 6 )Cento giorni a Palermo, di Giuseppe Ferrara (1984) Fine pena mai, di Davide Barletti e Lorenzo Conte (2007) Giovanni Falcone, di Giuseppe Ferrara (1993) Gomorra, di Matteo Garrone (2008) I banchieri di Dio – Il caso Calvi, di Giuseppe Ferrara (2002) I cento passi, di Marco Tullio Giordana (2000) Il brigante Musolino, di Mario Camerini (1950) Il Divo, di Paolo Sorrentino (2008) Il Gattopardo, di Luchino Visconti (1963) Il giudice ragazzino, di Alessandro Di Robilant (1993) Il Padrino, di Francis Ford Coppola (1972) Il prefetto di ferro, di Pasquale Squitieri (1977) Il sindaco pescatore, di Maurizio Zaccaro (2016) Il traditore, di Marco Bellocchio (2019) In nome della legge, di Pietro Germi (1949) Johnny Stecchino, di Roberto Benigni (1991) La mafia uccide solo d’estate, di Pif (2013) La moglie più bella, di Damiano Damiani (1970) La scorta, di Ricky Tognazzi (1993) La trattativa, di Sabina Guzzanti (2014) Le mani sulla città, di Francesco Rosi (1963) Pizza connection, di Damiano Damiani (1985) Romanzo criminale, di Michele Placido (2005) Salvatore Giuliano, di Francesco Rosi (1962) Un ragazzo di Calabria, di Luigi Comencini (1987) Vi perdono, ma inginocchiatevi, di Claudio Bonivento (2012)
(7)https://www.antimafiaduemila.com/home/opinioni/234-attualita/93381-arresto-messina-denaro-fine-di-una-impunita-di-stato.html di ANTIMAFIADuemila Associazione Culturale Falcone e Borsellino Via Molino I°, 1824 – 63811 Sant’Elpidio a Mare (FM)