” L’IMPERATRICE CARLOTTA ED IL MEDAGLIONE DI QUETZALCOATL ” DI RENATO LEBAN (SECONDA PARTE)
SECONDA PARTE
LA LEGGENDA DI QUETZALCOATL
Fra’ Martino non rispondeva mai al telefono, e questa era l’unica arma di difesa che aveva per proteggersi da tutte quelle “pie donne” e tutti gli altri ospiti indesiderati. Lui era ancora pieno di vita e voglia di scherzare, ma certe volte era proprio esausto. Aveva troppe donne che venivano a lamentarsi per un nonnulla, o peggio a fare le gelose verso questa o quella che le avrebbe fatto il gravissimo torto di qualcosa non bene identificato. Allora, quando lui finiva le sue funzioni, spariva, se ne andava nel suo appartamento che era situato dietro l’altare. Il suo era un piccolo appartamento, ma in uno dei posti più belli della città. La sua chiesa, e di conseguenza il suo appartamento, confinava con il parco di Miramare, un posto che molta gente avrebbe pagato una bella cifra pur di poter costruivi la propria casa. Fortunatamente, la zona è protetta da un piano regolatore. Comunque sia, Fra’ Martino era un uomo pieno di impegni sociali ed ecclesiali. Tra i tanti compiti che svolgeva aveva anche l’incarico di cappellano della scuola di polizia, quindi era il padre spirituale di circa seicento allievi, e naturalmente ognuno di loro aveva i suoi problemi e le sue caratteristiche personali da seguire e prendere in seria considerazione. Tutti questi particolari non vi sono stati spiegati per rendere più bello o più importante Fra’ Martino, ma per farvi capire che non è così semplice fare il parroco, nè tanto meno il cappellano, e non parliamo poi delle pie donne… una vera prova per una futura santificazione. Così, quando era ora di chiudere bottega, per modo di dire, lui si isolava dal mondo cercando un po’ di pace in quel piccolo appartamento e se non c’era un motivo più che plausibile, non rispondeva al telefono e non apriva la porta a chicchessia. Ma quella sera qualcuno venne a bussare alla porta, e lo fece in malo modo, picchiando con forza e senza pazienza. Lo fece ripetutamente, tanto da infastidirlo e quindi farlo alzare dalla sua posizione comoda davanti al televisore.
- Vengo! Un momento, vengo!
Si rivestì in fretta, pulì il tavolo dai miseri resti di quei quattro biscotti, e disse:
- Un momento, solo un po’ di pazienza!
Aprì la porta e si trovò davanti un uomo in saio con il cappuccio sulla testa. L’uomo spinse la porta ed entrò con prepotenza dicendo:
- Ci voleva tanto ad aprire?
Meravigliato, e persino un po’ spaventato, Fra’ Martino fece un passo indietro e chiese:
- Ma scusi chi è lei? E poi che modi sono questi di entrare in casa altrui!
- Stai zitto, pentiti e prega!
- Ma è sicuro di non essere tutto matto?
- Silenzio! Rispetto per il tuo grande inquisitore!
- Ma non siamo mica nel millecinquecento!
- Ho detto silenzio! Silenzio!! E prega!
Fra’ Martino ricordò che sua madre diceva che ai matti bisognava dare sempre ragione e così, un po’ per forza, ed un po’ per scelta, non rispose altro. Allora, l’uomo con il saio si girò lentamente verso di lui e si tolse il cappuccio.
- Toh, Barba Bianca! Brutto disgraziato, ti pare questo il modo di presentarsi?
Infatti, davanti a lui c’era l’uomo dalla barba bianca, che tutto divertito stava ancora godendo dello spavento che era riuscito a creare in quei pochi minuti.
- Scusa, ma tu non rispondi mai al telefono, e perciò dovevo pur fare qualche cosa per poterti parlare.
- Sei un disgraziato, un infame e basta… cosa posso offrirti? E non dirmi “quello che passa il convento”, poichè a me il convento non passa proprio nulla!
- Va bene l’ho capita… allora quello che hai… va bene così?
- Ti va un po’ di tè verde?
- Si, va benissimo. Ma c’è ragione più seria del perchè sono venuto qui. Infatti, volevo raccontarti qualche cosa che forse aiuterà te ed i tuoi amici a capire il perchè quell’oggetto nelle mani di Eric sia pericoloso. Quello non è, come sembra, solo un gioiello. Quello è un oggetto sacro al popolo degli Atzechi, è una vera testimonianza storica: esso rappresenta il Dio Quetzalcoatl. C’è una leggenda che parla di lui come amato da tutti gli dei, poichè buono e generoso, ma era per questo odiato dal fratello Tezcatlipoca, il quale lo trasformò in uomo, inculcandogli i bisogni ed i desideri umani. Al risveglio, Quetzalcoatl fu assalito dalla vergogna per il suo aspetto, ma suo fratello gemello (quello deforme) Xolotl il coyote, lo aiutò mascherandolo da serpente color turchino e dotandolo di un mantello di piume verdi, rosse, e bianche. Fu allora che Quetzalcoatl assunse il nome di serpente piumato. Ma il malvagio Tezcatlipoca, ancora insoddisfatto, fece bere al fratello una tazza di “pulque”, un liquore ricavato dall’agave, un allucinogeno che spinge alla follia.
- Ma cosa c’entra Eric o noi con la leggenda?
- Aspetta perchè non è finita qui…. Quetzalcoatl, ripresosi e resosi conto di quanto aveva fatto sotto l’effetto della “pulque”, volle darsi la morte. Si diede fuoco sulla riva del mare e dalle sue ceneri presero forma i maestosi uccelli quetzal, dalla lunga coda e dalle piume verdi, rosse, e bianche. Il suo spirito, accompagnato da quello del fratello gemello, scese nella terra dei morti dove risiedeva il padre degli dei, Mictlantecutli, custode delle “ossa preziose”. I due fratelli desiderarono avere alcune di quelle ossa preziose ma il custode le negò, asserendo che ne avrebbe potuto scaturire una sciagura dalla possibile rinascita di quei corpi appartenuti a uomini uccisi dagli dei a causa della loro malvagità. Xolotl allora ne addentò uno e fuggì con il fratello. Furono invano richiamati da Mictlantecutli. Giunti alla terra dei morti, ad un tratto l’osso sfuggito dalla bocca di Xolotl cadde su di un sasso rompendosi in due pezzi, uno grande ed uno piccolo. Allora Quetzalcoatl li raccolse e vi fece cadere sopra alcune gocce del suo sangue e Xolotl vi aggiunse un po’ della sua magia così, qualche giorno dopo nacquero due bambini, un maschio ed una femmina. Essi furono la prima coppia della nuova stirpe umana.
- Lunga questa storia, sembrava che non la finivi più. Però è abbastanza interessante.
- E` vero, è molto interessante, ora prova ad immaginarti perchè anche i frati di Vienna vogliano il medaglione.
- Non ne ho la minima idea.
- Perchè per loro esso rappresenta ancora il Dio pagano, mentre nelle mani della chiesa questo gioiello non avrebbe più alcun valore simbolico o storico, ma sarebbe solamente un’opera d’arte, che andrebbe ad arricchire le sale di un museo. Ma se questo oggetto ritornasse nelle mani di qualche loro discendente Atzeco, essi lo adorerebbero come una testimonianza viva dei loro dei. E la chiesa Cattolica non può permettersi d’incoraggiare il paganesimo, l’idolatria, e le credenze popolari, specie quelle che hanno portato a fare tanti sacrifici umani.
- Forse no, non loro, ma comunque qualcuno potrebbe sempre suggerirglielo!
- Ma va!! No, non ci credo, e così come non credo che sia giusto che dei frati ottengano qualche cosa che non sia di loro proprietà. Questo non è altro che un’altro tentativo di appropriazione indebita, nè più e nè meno che un volgarissimo furto.
- Si, ma sarebbe fatto a fin di bene.
- Sentimi bene Barba Bianca, hanno detto che era a fin di bene anche la cattura e la lapidazione di Montezuma, guarda caso dopo averlo ingannato, dopo avergli estorto il ricatto più oneroso della storia ed averlo obbligato ad abiurare la sua fede. E poi questi santi uomini, dopo avergli promesso la liberazione, lo hanno fatto lapidare dal suo popolo, e sempre in nome di Dio!!! Ma non contenti di ciò, l’hanno messo al rogo dopo morto. Perciò, non parlarmi di giustizie. Non ci credo!
- Tu Fra’ Martino fai quello che ritieni più opportuno, ma ricordati che ti ho avvisato e come si dice qui: “uomo avvisato è mezzo salvato.” E come hai detto prima, non siamo nel millecinquecento, perciò ho solo una piccola preghiera da farti ed è quella di condividere con i tuoi amici la leggenda di Quetzalcoatl e poi lascia che siano loro a decidere ciò che riteranno più giusto fare. Non metterti in mezzo, non contro tutti i tuoi colleghi!
- Che colleghi?
- I frati!
ERIC E PAOLA
Arrivarono a Vittorio Veneto verso le otto e mezza del mattino, dopo circa due ore di macchina. Si erano alzati presto ed avevano riempito il loro vecchio pulmino con tutti i loro lavori preparati durante la settimana. Eric aveva comperato una vecchia macchina per cucire la pelle ed ora poteva preparare alcune cose con più celerità. Il suo lavoro gli dava delle soddisfazioni, poichè poteva vedere che quello che produceva veniva venduto regolarmente e la gente lo apprezzava. Eric avevo scelto questo lavoro da poco tempo e perciò non era ancora quello che in un futuro si sarebbe potuto definire come un artigiano provetto. Era diventato tale solo dopo una lunga serie di scelte a lui non consone. Forse, per aiutarvi a capire chi sia Eric, sarà bene descriverlo così come egli appare. E` un uomo di circa 28 anni, alto un metro e settantacinque, magro, con una carnagione molto chiara,con i capelli color biondo tiziano, cioè quasi rossastri, un naso regolare un po’ largo alla base, ed una bella bocca con un sorriso da furbacchione. Un particolare interessante di Eric è che porta una barba incolta e non è mai vestito in maniera formale o elegante: ha più lo stile di un figlio dei fiori, che quello di un impiegato di banca. Anche Paola naturalmente è sullo stesso stile, ma ha la sua personalità ed è molto femminile. Fa pensare ad un personaggio della Bohème, con i suoi corpetti aderenti, il suo piccolo seno, la magrezza e l’aria sempre un po’ stanca. E` una donna giovane con tanta volontà, con i capelli castani, un sorriso timido ed insicuro. Anche lei veste in un modo un po’ trasandato, non si trucca e non si tinge i capelli. Fra lei ed il suo Eric c’è una buona intesa, poichè c’è un’armonia fisica ma una diversità nel vivere la propria esistenza. Eric è il Robin Hood, il sognatore, il filosofo della new-age. Ama le storie cavalleresche, la fantasia ed il mistero, quindi lavora e fa le cose per il piacere di farle. Paola è più pratica, più realistica, e perciò più attenta alle spese ed al modo di vivere, quindi è ancora lei che controlla, guida e suggerisce le scelte di lui. La sua non è una forzatura o un’imposizione su Eric, direi piuttosto che per lui sia il giusto equilibrio per far progredire la loro unione, almeno così a lei sembra. Paola ha una naturale armonia interiore che riesce ad esprimere in modi diversi. Nel lavoro è più costante ed attenta nella scelta dei prodotti, nonchè nel loro uso. Paola prepara dei saponi con degli oli raffinati dai diversi profumi ed essenze che poi adorna con delle composizioni di fiori secchi. Così quando vanno a fare i mercatini entrambi hanno un loro banco di vendita ed entrambi vendono il proprio manufatto. Nel loro vagabondare da paese in paese, da fiera in fiera, finiscono per incontrare altri venditori, altri artigiani e tanti abituali visitatori. La loro è una specie di “corte dei miracoli” in movimento perenne, che si estende a seconda delle stagioni e delle località. Attorno a loro c’è tutto un brulicare di gente che condividono le loro stesse esperienze, spostandosi come loro di mercato in mercato e di piazza in piazza.
Il mondo degli artigiani e dei venditori è un mondo a parte, con le sue regole non scritte, le sue piccole e grandi manifestazioni di solidarietà o di gelosie, secondo se la giornata è stata proficua o meno. Anche in questo tipo di lavoro non sempre le giornate sono uguali al clima meteorologico. Anche qui l’apparenza inganna.
Quando finalmente Eric e Paola cominciarono a disporre la loro merce, ecco che subito apparve il vigile comunale per chiedere la necessaria documentazione.
- Avete il permesso, la documentazione ed i permessi abituali?
- Si, certamente. Per favore Paola, guarda nel camioncino dove sono il porta documenti e le chiavi, là ci dev’essere tutto ciò che il vigile ci richiede.
- Solo un momento per favore, eccole qui la licenza, i permessi, e la idoneità dei prodotti.
- Grazie e buona giornata.
- Eric, hai portato l’acqua?
- No, non ho preso l’acqua.
- Te l’avevo preparata davanti alla porta, prima di partire.
- Ti credo, ma non l’ho vista.
- Buongiorno signorina, in che cosa posso esserle utile?
- Quanto costa questa confezione di saponi?
- Nove euro.
- Per favore me ne dia due.
- Desidera che le faccia un pacchetto regalo?
- Si grazie!
Intanto Eric stava già parlando con un’altro venditore quando si avvicinarono al suo banco due signore giovani ed eleganti che chiesero:
- Quanto costano questi porta chiavi? E queste cinture?
- Quindici euro i porta chiavi e settanta euro le cinture.
- Sono un po’ care.
- Deve considerare che tutto è fatto a mano, e che i modelli sono unici.
Una delle due signore disse:
- lo so che è una spesa in più, e che potrei farne benissimo senza, ma devo ammettere che sono belle, e poi sono utili, non è vero?
- Certamente si, e poi è qualcosa che potrà avere per tutta la vita. A quel punto l’amica di lei si mise a ridere e disse:
- Non si preoccupi, c’è sempre qualcuno pronto a viziarla!
Al che Eric concluse:
- Per una bella signora si fa questo e qualcosa di più.
E con questo Eric aveva venduto la sua cintura e due paia di portachiavi. La giornata quindi era cominciata bene, anche se il tempo sembrava non promettere nulla di buono. Poi il resto della giornata passò tranquillamente con i suoi momenti di attività ed i suoi momenti di attesa. Ogni tanto in quelle occasioni di attesa Eric spariva, lasciando Paola da sola a far da padrona e guardiana per entrambi i banchi. Se ne andava a parlare con qualcuno, oppure a bere qualcosa al bar. Quelli erano i momenti in cui Paola diventava nervosa e si sentiva abbandonata. Così, quando lui finalmente rientrava, lei lo accoglieva brontolando e ricordandogli che erano lì per guadagnare e non per divertirsi. Ma Eric aveva bisogno di quei momenti di fuga dalla realtà. Non resisteva a starsene lì in attesa del fato. Per lui la libertà di muoversi era una necessità vitale. Non lasciarlo fare sarebbe stato come tagliare le ali ad una farfalla. Lui non voleva fuggire, ma almeno muoversi, si. Paola invece, molto più attenta e costante nel suo essere, si sentiva insicura quando lui se ne andava. Però, ad onore del vero, era lei ad incoraggiarlo a prendersi qualche pausa, solo che poi lui non tornava mai per tempo.
Eric aveva messo la testa a posto, per così dire, da quando aveva conosciuto Paola. Prima era quello che normalmente si definisce un “uccello di bosco”, ovvero uno che va da un nido all’altro. Perciò Paola non si sentiva a proprio agio nel pensare che magari un giorno il suo bel cavaliere avrebbe potuto non tornare da lei, e così ella gli aveva suggerito che sarebbe stato bene cominciare a considerare il matrimonio. Per lui andava bene tutto, l’importante era che lei fosse tranquilla. Tutto il resto era interessante, ma come per ogni uomo, un po’ meno entusiasta di tutto quel darsi da fare per legalizzare qualche cosa che esisteva già. Loro erano conviventi circa da quattro anni. Le loro famiglie si conoscevano e si frequentavano come se fossero imparentati da sempre, ma questo non era un problema per lui, aveva fiducia in lei, e perciò avrebbe fatto ciò che lei desiderava.
Ora ritorniamo un po’ al soggetto iniziale della nostra storia. Che fine aveva fatto il medaglione di Quetzalcoatl? Aveva cambiato il modo di comportarsi e di pensare di Paola ed Eric, ma sopratutto, dov’era finito? Il medaglione era ancora nel suo nascondiglio antico, cioè nella tasca interiore del bauletto, e sia Eric che Paola avevano seguito il consiglio del professore, quindi non avevano preso alcuna decisione prima che si potesse dare una spiegazione reale della sua origine, nonchè del suo valore monetario. Per fortuna nessuno dei due si era montato la testa e sopratutto, il fattore denaro non li aveva resi ciechi alla realtà di un pericolo maggiore. Erano vissuti bene senza quel medaglione per anni e quindi potevano senz’altro aspettare che Agostino e Fra’ Martino riuscissero a scoprire le vere origini di quell’oggetto e di conseguenza l’importanza che esso poteva avere per loro e per il mondo intero.
NEL CUORE DI TRIESTE
Hans si alzò di buon’ ora e fece colazione nella sala degli ospiti dell’Hotel Continentale, poi andò alla reception dell’hotel e chiese se potessero procurargli una mappa della città. Ne voleva una che fosse bella, chiara e dettagliata. La signorina gli spiegò che poteva avere tutto ciò che desiderava e forse anche di più. A pochi metri dall’hotel c’erano gli uffici dell’agenzia d’informazione e di accoglienza turistica del Friuli Venezia Giulia, esattamente nella stessa via, cinque numeri più in giù. Gli raccomandò di prendere l’ascensore e di salire al terzo piano del numero venti. Là avrebbe trovato dei commessi che lo avrebbero rifornito di ogni cosa, sia in italiano, in tedesco, oppure in altre lingue: avrebbe avuto solo l’imbarazzo della scelta. E così fu. Lo rifornirono di una bella mappa della città, poi gli diedero delle pubblicazioni accompagnate da fotografie ed illustrazioni artistiche, ed infine lo riempirono di opuscoli con degli itinerari artistici ben organizzati.
Hans Bombelles era stato ascoltato, riverito, e servito così bene che quando se ne uscì dall’ufficio dell’agenzia turistica, pensò alla ragazza che gli aveva pronosticato un super servizio: infatti era pienamente soddisfatto. Lo avevano riempito di carte. Se ne andò verso il caffè Ferrari e lì si accomodò tranquillo ad uno dei tavolini esterni, dove potè degustare “il capo” triestino, che non è un caffè qualunque, ma è quello che in altri luoghi si chiamerebbe caffè macchiato, con la differenza che questo caffè è la crema del caffè stesso con una goccia di schiuma di latte. In questa città il caffè non è una bevanda calda, con più o meno il gusto della miscela di un tipo di caffè, nè tanto meno è un rito così, come lo intendono i napoletani. “Il capo” alla triestina è la parte migliore del caffè stesso. Infatti, non sono pochi coloro che qui sanno ben distinguere le varie miscele dolci da quelle acidule o fra diverse qualità come i tipi Congo, Haiti, Santos, Guatemala o ancora sul tipo di tostatura che hanno avuto: dorata, scura, o appena arrostita. Il caffè a Trieste ha una sua nobiltà di nomi e marche, da Illy a Hausbrandt, ed ha i suoi luoghi di culto, come le torrefazioni Cremcaffè, Columbiana, ed altre. Insomma anche Herr Hans Bombelles volle degustare questa specialità, volle degustare il piacere di bere, “un capo alla triestina”, e soprattutto, come tanti altri cittadini, volle spendere il suo tempo rilassandosi nella lettura delle tante pubblicazioni che gli erano appena state donate. Se ne stette lì, contornato da nomi di strade, di palazzi e musei e poi si ricordò di quella donna che l’aveva aiutato. Sorrise al ricordo di lei e dei suoi modi bruschi. Pensò che era pronto a rivederla, anche se poteva immaginarsi la faccia di lei mentre spiegava per l’ennesima volta dove dovevano andare i suoi nuovi turisti.
Che coincidenza! Mentre Hans Bombelles stava pensando ad Annamaria, lei stava incrociando via S. Nicolò venendo giù dalla via Roma e stava andando verso il Corso Italia, per poi dirigersi in Piazza della Borsa. Hans Bombelles la notò per caso e si alzò di scatto per chiamarla, ma si trattenne dal farlo, poichè pensò che forse sarebbe stato più interessante scoprire che cosa stesse facendo, dove stesse andando e chi avrebbe incontrato.
Pagò in fretta e poi si diresse anche lui verso la Piazza della Borsa, con la speranza di rivedere Annamaria. Sembrava sparita, inghiottita nel nulla. La piazza in verità sembrava un triangolo, una specie d’incrocio allargatofra il palazzo della Borsa Vecchia dell’architetto Mollari, con tanto di pronao delimitato da quattro grandi colonne doriche in stile neoclassico, e gli altri palazzi, come la Borsa Nuova, cioè il palazzo Dreher, che bene s’inserisce con la sua facciata curva e fastosa per opera degli architetti Geiringer e Pulitzer. Poi c’erano la casa Rusconi, la casa Bartoli in un bel stile Liberty, ed infine il complesso Piacentiniano, che rappresenta la più evidente realizzazione della progettazione legata ai grandi lavori di sventramento della Città Vecchia. E detto fra noi, per quest’ultimo progetto, Hans non aveva grande simpatia: pensava che fosse un vero pugno allo stomaco ed al buon gusto, ma negli anni trenta, il seguire un certo stile era d’obbligo. Di Annamaria aveva perso le tracce e stava quasi per andarsene quando notò qualcuno dietro ad una colonna sormontata da una statua bronzea dell’Imperatore Leopoldo I d’Asburgo. Si rese conto con piacere ch’era la donna che aveva conosciuto alla stazione di Trieste. Si fermò e la guardò con attenzione, ma per non farsi notare entrò nel caffè Torinese che sta proprio all’angolo di via Roma ed il Corso Italia. Se ne andò a sedere ad uno dei posti a balconcino da dove poteva osservare senza essere notato.
La donna stava attendendo qualcuno, se ne stava comodamente seduta ai piedi della colonna, su uno dei due gradoni della colonna stessa, e stava rovistando nella borsa quando Hans vide che le si avvicinò un uomo dai capelli scuri e dalle guance paffute. Notò che c’era della familiarità fra di loro. Si baciarono sulle guance, e poi cominciarono a parlare, mentre l’uomo le stava indicando qualcosa in un libro. Se ne stettero lì a parlare per qualche minuto, mentre lei rise più volte. Sembrava felice e seguiva con attenzione ciò che l’uomo le stava dicendo. Ad un certo punto entrambi cominciarono a camminare andando verso l’altro lato della piazza. Passarono davanti al Tergesteo e poi s’incamminarono verso la piazza Grande conosciuta anche come la Piazza Unità d’Italia.
Hans uscì dal caffè Torinese e, rimanendo ad una ragguardevole distanza, li seguì stando bene attento a non farsi notare. Chi si fece notare fu la spettacolare Piazza Grande, appena trasformata dall’architetto francese Bernard Huet. La piazza ha senz’altro lo spazio e la disposizione dei palazzi più belli della città. Dal suo particolarissimo palazzo del Comune, costruito nel 1875 per opera dell’architetto Burni, al palazzo del governo di Hartmann del 1905, decorato con tessere musive dorate, al palazzo Stratti del 1839 per opera del Buttazoni ed ancora l’edificio dell’ ex Lloyd Triestino, ora sede della Regione del Friuli Venezia Giulia, il cui artefice fu l’Austriaco Heinrich Von Ferstel, ed è del 1883. La piazza lega il Borgo Giuseppino a quello Teresiano ed è, senza ombra di dubbio, la piazza più grande che si apre in fronte al mare Adriatico. A completare la magnificenza di questa piazza citeremo, per onore di cronaca, il palazzo Modello, realizzato dall’architetto Giuseppe Bruni, l’ex Hotel Vanoli del 1875, ed infine il palazzo Pitteri che è del 1780, l’unico superstite della piazza antecedente.
Hans Bombelles avvolse con uno sguardo quella piazza e, soddisfatto in cuor suo, si sentì come se fosse stato a Vienna. Trieste per Hans aveva ancora vivo lo spirito e lo stile della vecchia Austria. Non volendo perdere le tracce di Annamaria ed il suo sconosciuto amico, sebbene a malincuore, lasciò la piazza per seguire loro verso Cavana. Qui Hans si ritrovò in quello che era stato l’antico centro della città vecchia, che in un tempo non troppo lontano era stato il regno delle osterie e dei traffici più o meno leciti del più grande porto della Marina Austriaca sull’Adriatico. Tutto il quartiere di Cavana aveva visto passare nelle sue viuzze i nobili, i portuali, i commercianti, e gli studenti, ognuno in cerca delle proprie diavolerie. Gli artisti ne fecero un punto di riferimento e di vita e là composero le loro opere. Gente come Franz Souppè nella famosa osteria “Al Papagal” compose il famoso canto goliardico “Salve Colombo” che tuttora gode delle simpatie degli studenti triestini. In quella zona c’era la trattoria “All’Antica America”, dove le arie delle opere e delle operette trovavano riscontro nei cori delle compagnie occasionali, e specialmente se il vino era di buona qualità. In via Crosada la storia si era fermata più volte, e nomi come il canzoniere Antonio Freno erano diventati parte del folklore cittadino. Cavana era stata la zona più viva della città.
I nostri amici inseguiti non si fermarono là e proseguirono ancora, attraversando via Cavana e poi via Felice Venezian, passando davanti alla Curia Vescovile ed arrivando sino alla Piazza Attilio Hortis, infilandosi poi dentro un portone grande e maestoso. Quando i due sparirono all’interno del palazzo, Hans andò a guardare la tabella d’ottone alla porta, e scoprì così che essi erano entrati nella biblioteca civica della città. Attese per un po’, dopodichè decise che non sarebbe servito a nulla attenderli, anzi la donna avrebbe potuto reagire in malo modo, perciò Hans se ne andò in cerca del museo Revoltella. Sapeva che si trovava nei dintorni e così, usando la mappa a lui fornita dall’ufficio del turismo, si diresse nella giusta direzione, cioè in via Diaz. Il palazzo era stato la casa del Barone Pasquale Revoltella, ma ora è una delle più importanti gallerie d’arte moderna con delle raccolte preziose e prestigiose, ricca di nomi importanti come: Casorati, Sironi, Manzù, Carrà, Morandi, DeChirico, Marini, e Fontana, o quelli più antichi come Hayez, Morelli e Favretto.
Hans Bombelles scoprì una volta di più che i nobili erano stati importanti ed avevano lasciato il loro contributo culturale alla città che si erano compiaciuti di onorare con la loro presenza.
INCONTRO ALLA BIBLIOTECA CIVICA
Annamaria si era incontrata con il suo amico Agostino, il professore di lettere, ed assieme a lui aveva deciso di andare alla biblioteca civica per cercare nei libri le notizie riguardanti Quetzalcoatl ed il suo popolo. Passarono quasi un’ora alla ricerca fra libri e volumi enciclopedici prima che Fra’ Martino si unisse a loro. Quando lui arrivò portando con sé la storia della leggenda di Quetzalcoatl, poi raccontò della visita di Barba Bianca e del fatto di aver saputo che anche i Frati Cappuccini di Vienna sapevano dell’esistenza del medaglione e sopratutto che lo stavano cercando. Egli aggiunse che proprio quel mattino aveva ricevuto una lettera dal Padre Guardiano che lo avvertiva sui pericoli di divulgare la notizia, dato che i frati avevano saputo dell’esistenza di un uomo che si dichiarava essere il legittimo erede del Conte Charles de Bobelles e pretendeva la restituzione del gioiello e del cinturone con la fibbia d’argento. A quel punto Annamaria chiese:
- Ma non si è sempre detto che la fibbia d’argento aveva le iniziali K.B.?
- Si è vero – rispose Agostino.
- Ma se non mi sbaglio, il nome Charles in tedesco è Karl, non è vero? – commentò il frate. Ecco come si spiegano le diverse lettere. Perciò Karl sta per Charles…Bombelles.
- Geniale, hai avuto una bella idea, Martino – concluse Agostino.
- Scusa, anzi scusatemi entrambi se vi faccio questa domanda, magari un po’ stupida: come si scrive Bombelles?
- Perchè, Annamaria hai forse intenzione di scrivergli?
- No, ma ho già sentito questo nome, si proprio qualche giorno fa.
- Ma stai scherzando?
- No, non sto scherzando, se ricordi ne ho anche parlato con Paola. E` quell’austriaco che mi dava sui nervi con il suo modo d’essere così formale.
- Dobbiamo far partecipi di queste notizie Eric e Paola.
- Si, è assolutamente importante – aggiunse Fra’ Martino.
- Ma non correte! Qualcuno potrebbe spiegarci come questo signore sia venuto proprio a Trieste?
- Non ne abbiamo la più pallida idea – rispose Agostino.
- E poi dimmi, come farà a trovare Eric o Paola?
- Mi sembra un po’ troppo fantasiosa la storia, non vi pare?
- No, non mi sembra troppo fantasiosa, perchè se i Frati sapevano che il medaglione è arrivato qui a Trieste, qualcuno può averlo detto a loro, come pure anche a quest’altro uomo, il signor Bombelles!
- E` vero, ma a quale scopo?
- Denaro Annamaria, soldi, quattrini, e tanti!
- Però a voi frati vi facevo meno interessati!
- Professore, vai piano quando parli dei frati. Non è detto che siano stati loro!
- Questo è vero – disse Annamaria – ma sarà meglio raccontare tutto ad Eric e Paola.
A quel punto il professore chiese ad Annamaria di rinfrescargli la memoria sul suo incontro con Bombelles.
– C’è poco da dire, questo signore si chiama Hans Bombelles e se ricordo bene è andato a stare all’Hotel Continentale in via San Nicolò. Aveva anche detto che stava cercando qualche cosa o qualcuno ma che non sapeva quanto tempo ci avrebbe impiegato.
– Perfetto, ora speriamo che questo signore non sia così fortunato o intelligente come sembra…
– Ma quando mai…intelligente…? Tu l’hai visto? Io si, l’ho visto e non mi sembra questo pozzo d’intelligenza!
– D’accordo Annamaria, ma se è arrivato qui, non è uno scemo – disse Fra’ Martino.
– Perché non ci prepariamo un po’ meglio? Ci vuole un po’ di più organizzazione fra di noi! Per prima cosa, io chiamerò Eric e gli darò l’appuntamento per questa sera…anzi, perchè non ci andiamo assieme?
– E` un’ ottima idea! – commentarono Fra’ Martino ed Annamaria.
– E allora a questa sera, verso le ventuno, tutti a casa di Paola ed Eric.
– Si, ciao.
– Ciao, a più tardi e mi raccomando la puntualità Agostino!
– Ciao.
UNA SERATA FRA AMICI
Paola ricevette la telefonata di Agostino e la conseguente notizia della loro visita mentre stava preparando i gnocchi di pane. Aveva le mani sporche di farina, e messo il pane raffermo in un pentolone d’ottone, lo aveva tagliato a pezzetti, ci aveva aggiunto del latte, due uova e poi un po’ di farina doppio zero. Stava per preparare l’impasto per dare forma agli gnocchi. Così quando Agostino le comunicò che lui, Annamaria, e Fra’ Martino sarebbero venuti a trovali, lei si affrettò ad invitarli per cena.
Eric sarebbe ritornato fra poco ed avrebbe potuto aiutarla, ma soprattutto avrebbe dovuto andare a prendere una bottiglia di vino.
Erano le ventuno e soffiava una Bora del tutto degna di rispetto, quasi a settanta kilometri orari, non troppo forte per chi è della città, ma decisamente fastidiosa e fredda per chi non sia del luogo. L’autobus arrivò puntuale ed i tre ospiti arrivarono con in mano i fiori, una bottiglia di vino, e delle paste, così ognuno rese omaggio agli amici a suo modo. Il primo a correre verso di loro fu il cane di Eric che, abbaiando gioiosamente, diede a loro il benvenuto dopodichè, infilandosi fra le loro gambe, sgattaiolò in casa pronto a ricevere una carezza o qualcosa di più appetibile. Tutti si complimentarono con Paola per la buona cena e soprattutto per il lavoro extra che aveva dovuto fare con poco preavviso. Una cena buona, semplice, e nutriente.
- Paola, non te l’ho chiesto prima, ma il ragù che hai preparato con la carne macinata aveva il pomodoro?
- No Annamaria, c’era un po’ di cipolla rosolata nel burro ed olio e poi c’era un po’ di farina per renderlo più amalgamato, naturalmente sale e pepe ed un po’ d’aglio.
- Comunque sia la ricetta, era buono. Grazie Paola!
- Ma ora parliamo del perchè abbiamo desiderato vedervi questa sera.
- Che c’è ragazzi, vi sento un po’ tesi, o sbaglio?
- Hai capito bene Eric, siamo preoccupati per voi.
- Perchè professore?
- Perchè abbiamo saputo molte cose che riguardano il medaglione.
- E voi siete preoccupati, giusto…?!
- Eric, il professore parla seriamente!
- Si, l’ho capito Fra’ Martino, ma se non ci spiegate di che cosa state parlando, noi potremmo passare la notte insonne, senza capire quale sia il vero problema.
Così Annamaria iniziò a parlare:
- Paola, ricordi quando ti avevo detto che era venuto un austriaco con la puzza sotto il naso?
- Si me lo ricordo e se mi ricordo bene è quello a cui hai dovuto procurare una stanza, o sbaglio?
- No, non sbagli. E` proprio lui!
- Ma cosa c’entra questo austriaco con noi?
- C’entra, poichè abbiamo saputo che è lui che rivendica l’eredità dell’uomo che era il proprietario del cinturone con la fibbia d’argento, e si dichiara essere l’erede universale di tutti i suoi beni, incluso il medaglione.
- Ma com’è venuto a sapere di noi e del medaglione?
- Credo che lui non sappia ancora di voi… o chi voi siate, ma per certo è venuto a sapere dalle carte manoscritte del suo trisnonno che aveva il cinturone, e lo teneva assieme al medaglione di Quetzalcoatl. Poi ha scoperto che è stato venduto da una donna pubblica a qualche antiquario e poi… ancora a qualche mercatino rionale.
- Ma scusa, quando eravamo noi a Vienna, non c’erano altre persone davanti al mercatino, è vero Eric?
- Si è vero Paola, ma evidentemente qualcuno glielo ha riferito, se no, come faceva lui a saperlo?
- Credo che siano stati i Frati Cappuccini – disse Agostino – alchè Fra’ Martino reclamò subito dicendo:
- Non lo sappiamo! Noi sappiamo solamente che questo oggetto prezioso è ricercato e desiderato anche dalla chiesa Cattolica.
- Ah si, e perchè?
- Perchè esso rappresenta un simbolo del culto degli Atzechi, e la chiesa preferirebbe che non ritornasse nelle mani di qualche fanatico. Comunque, vorrei aggiungere che questo signore, che si chiama Hans Bombelles, considera il vostro atto un abuso ed un furto, per cui pretende che il tutto gli sia restituito al più presto.
- Mi pare un po’ troppo frettoloso ed arrogante questo signor Bombelles, e poi chi ci assicura che sia lui il vero erede?
- Quella è una cosa che potremmo vedere più tardi, se egli ci presenterà una documentazione che testificherà le sue origini – disse Eric. Per ora credo che questo signore non abbia alcun diritto di trattarci come se fossimo dei ladri.
- E` vero, noi non abbiamo rubato nulla a nessuno, anzi noi l’abbiamo comperato regolarmente.
- Brava Paola! – commentò Eric.
- E poi come avremmo potuto immaginare tutta questa storia? Noi non ne sapevamo nulla!
- Noi il medaglione l’abbiamo scoperto qui a Trieste, e non l’abbiamo sottratto a nessuno – ribattè Eric.
- Credo che tutti noi lo sappiamo – disse Agostino – ora la cosa da farsi è quella di mettere il medaglione al sicuro e poi vedere se o chi avrà il diritto di reclamarne la proprietà!
- Bravo professore, hai ragione!
- Da parte mia – aggiunse Fra’ Martino – cercherò di capire come voglia procedere la chiesa, e come dovremmo comportarci di conseguenza.
Annamaria ricapitolò la storia avvenuta, e disse:
- Per quello che sappiamo ora, i fatti sono abbastanza semplici. Una coppia di turisti compera un cinturone ed assieme a questo cinturone c’è un bauletto che viene dato a loro come se fosse un contenitore e nulla più. Poi si scopre che questo bauletto contiene una tasca interna che nasconde un gioiello tanto importante da essere considerato un oggetto archeologico prezioso a cui troppe persone sono interessate, ed ora una di queste persone, senza alcuno scrupolo, dà dei ladri a voi, che siete i turisti menzionati, pur di ottenere ciò che lui crede essere di suo diritto.
- Hai ben riassunto la situazione Annamaria, ma come pensate che dovremmo comportarci?
- Penso che abbia ragione Agostino. Dovete per prima cosa mettere al sicuro il gioiello: troppi interessi girano attorno al medaglione di Quetzalcoatl. Bisogna levarlo dalla circolazione, almeno fintanto che non sarà chiarita la sua posizione e a chi sarà eventualmente dato.
- Hai ragione.
- Volevo ricordarvi ancora un piccolo particolare: Annamaria ed il sottoscritto, abbiamo notato, e secondo noi non è cosa da poco, che l’unica fotografia del medaglione è quella alla festa del compleanno della figlia di Leopoldo del Belgio, Carlotta Coburgo, nonchè Imperatrice e sposa di Massimiliano d’Asburgo, l’Imperatore del Messico, perciò noi non sappiamo come questo gioiello così prezioso sia finito nelle mani del Conte Charles de Bombelles.
- Bella osservazione, professore!
- La cosa è ancora più interessante se si pensa che fino al 1866 non si ha alcuna testimonianza di questo gioiello, quindi è chiaro che esso può risalire solo a dopo la visita nello Yucatàn dell’Imperatrice. Ma come ebbi già a dire: non c’è una vera documentazione storica che parli di una donazione da parte dell’Imperatrice a qualcuno, e tanto meno a un tipo come Bombelles, che per certo lei non amava. Comunque, prima di arrivare a conclusioni affrettate, dovremmo ricercare la documentazione ufficiale, ed anche il signor Hans Bombelles dovrà farlo, dimostrando di essere il vero erede di questo signor Conte.
- Ti hanno mai detto che parli come un libro stampato?
- Ma va al diavolo Eric…!
- Comunque vecchio mio, hai proprio ragione. Penso che seguiremo i tuoi consigli.
- Beh, ora che ci siamo spiegati, credo che sia venuta l’ora di ritornare alle nostre rispettive case.
- Va bene Fra’ Martino, ce ne andremo dopo aver mangiato le ultime paste, e non prima di aver suggerito di depositare il gioiello in una cassetta di sicurezza.
- Ottima idea!
- Ho sempre delle buone idee, non è vero Annamaria?
- Beh, lasciamo perdere i complimenti, e salutiamo Paola ed Eric che sono stati gentilissimi ad invitarci a cena.
- Si è vero, è l’ora di salutare, a domani…
- Ciao a domani.
- E mi raccomando, occhi e orecchi attenti!
- Non abbiate timore, a Eric ci penso io..
- Mi riferivo al medaglione, Paola. Ciao!
- Ciao Agostino.
- Ciao anche a voi.
I DUE STUDENTI
Era un’altra bellissima giornata, con un cielo limpido e terso al punto giusto. La Bora della sera prima era calata e perciò ne rimaneva quello che viene chiamato “il Borino”. Eric e Paola si erano alzati di buon’ora e mentre lei stava rimettendo la casa in ordine, lui era andato al centro per informarsi su come fare per poter depositare in banca il medaglione di Quetzalcoatl. Saranno state le nove e trenta quando qualcuno suonò al loro cancello. Paola si affacciò al pianerottolo e vide due uomini giovani e ben vestiti. Uno di questi chiese:
- C’è il signor Eric?
- No in questo momento non c’è. Posso aiutarvi io?
- In verità siamo due studenti universitari che svolgono una ricerca per una loro tesi sui viaggi e vorremmo potervi fare delle domande. Possiamo entrare?
- Certo, solo un momento per favore che metto via questa tovaglia. Eccomi, prego entrate…
Paola andò al cancelletto della casa e fece accomodare i due studenti. Era una bella costruzione la loro casa. Era formata da un pianoterra e due piani con dei bei poggioli. Al piano superiore abitavano i genitori di Eric, mentre al primo piano vivevano Eric e Paola, dove una volta avevano abitato i nonni di Eric. Ora non c’erano più. Nella parte più bassa della casa c’era il garage ed il ripostiglio. Comunque Paola e i due studenti universitari salirono al primo piano e si accomodarono nel salotto. Attesero che Paola li invitasse a sedersi. Dissero che avevano visitato altri giovani nel loro quartiere e che se lei permetteva le avrebbero posto qualche domanda.
- Se non sono troppo complicate, vi risponderò, ma tenete presente che non sono abituata a rispondere su argomenti del genere.
- Non si preoccupi, sono domande facili. Ecco per esempio: ha mai visitato qualche paese straniero?
- Si, sono stata di recente in Austria.
- Le è piaciuta?
- Si molto!
Paola notò che entrambi gli studenti avevano delle cartelle di cuoio grosse, molte belle e molto ben fatte. E se non lo notava lei, che aveva un ragazzo che lavorava con la pelle, credo che nessun’altro sarebbe stato così attento, eccetto forse Eric.
- Posso chiederle che cosa le è piaciuto di più in Austria?
- Potrei dirle che cosa non mi è piaciuto, e farei prima…
- Volendo dire?
- Che si mangia meglio da noi, e che non capivo una sola parola della loro lingua. Ma a parte ciò, credo che sia una bellissima terra. Tutto molto pulito ed ordinato, proprio come me l’avevano descritta.
- Insomma le è piaciuta?
- Oh si!
- E mi dica, ha visitato anche il vostro paese?
- Il nostro paese?
- Si, volevo dire l’Italia.
- Un po’, siamo andati a fare il mercatino in quasi tutta la regione e allora…
- Perchè, voi fate il mercatino?
- Si, vendiamo le cose che produciamo.
- E sarebbe?
- Io faccio dei saponi profumati ed il mio ragazzo lavora la pelle.
- Interessante Jacob, non è vero?
- Si, lo è molto.
- Mi scusi signorina, ma potrei chiederle di usare il bagno per favore?
- Certamente, venga che le mostro dov’ è il bagno e poi le do l’asciugamano pulito.
Rientrando nella sala Paola vide l’altro studente che guardava fra i loro libri.
- Ha trovato qualche cosa d’interessante?
- Mi scusi ma la tentazione è stata più forte di me.
- Non si preoccupi, anche al mio ragazzo piace leggere. Io purtroppo non ho molto tempo da dedicarmi alla lettura.
- Posso continuare con le domande?
- Si, la prego.
- Lei prima ha detto che è stata in Austria, ma dov’è stata?
- A Vienna!
In quel momento si sentì la voce di Eric che disse:
- Amore, sono tornato!
- Eric, vieni siamo qui nel soggiorno.
- Ciao amore.. e chi è questo signore?
- E` uno degli studenti universitari che sta facendo una ricerca…sui viaggi, ma non è solo
- No? E dov’ è l’altro?
- E` andato un momento in bagno.
- Buongiorno, io sono Peter e …
- Vado a vedere dov’è il suo compagno.
- Eccomi sono qui, mi chiamo Jacob, ed immagino che lei sia il ragazzo…
- Ha una bella immaginazione! Si, sono il padrone di casa e voi…siete?
- Non le ha detto nulla la sua ragazza?
- Come vede sono arrivato adesso.
- Siamo studenti e facciamo una ricerca sui viaggi.
- Ah si, perchè?
- Perchè dobbiamo scrivere una tesi.
- Non sembrate Italiani.
- No, siamo Europei.
- Beh, anche noi non vi pare?
- Si, certo ma noi siamo tedeschi.
- Questa per certo l’avete studiata…questa notte, non e’ vero?
- No, non capisco…
- Perchè secondo lei, noi saremmo meno importanti dei tedeschi?
- Lei mi ha frainteso.
- Non credo proprio!
- Paola, non vorrei sembrarti poco gentile, ma se ricordi abbiamo molte cose da fare.
- Vi prego di scusarci, ma sarà per un’altra volta…
- Ma in verità, non volevamo offendervi, la prego ci capisca, non parliamo la stessa lingua, ed è facile sbagliarsi.
- Credo che abbia ragione, è facile sbagliarsi, ma scusateci abbiamo altre cose da finire che sono più importanti. Arrivederci.
- . ma ci dispiace lasciarci con questo spirito.
- Non importa, andrà certamente meglio un’altra volta. Grazie ed ancora arrivederci.
Eric li accompagnò alla porta, e quando ritornò disse brontolando:
- Ci mancavano i tedeschi!
- Non essere così sarcastico Eric, hanno sbagliato, ma non farne un dramma.
- Mi hanno infastidito, ecco!
- Su, abbi un po’ di pazienza e dimmi piuttosto, hai notizie dalla banca?
- Si, la storia non è complicata, basta fare un contratto specifico, e naturalmente dipende dalla proporzione della cassetta. Ti danno poi una chiave ed ogni qualvolta che devi depositare o togliere quello che hai nella cassetta sarai accompagnato da un addetto della banca all’interno della banca stessa. A proposito, hai parlato con mio padre?
- No perché?
- Mi sembrava che volesse parlarti dei prodotti che hai ordinato l’altro giorno.
- L’essenza dei profumi?
- Non lo so Paola.
- Vado a prendere il medaglione, è sempre là?
- Penso di si, non ho toccato nulla.
- Paola perchè hai lasciato le chiavi del comodino sul letto?
- Le chiavi?
- Si, le chiavi!
- Ma io…
- Ma tu cosa?
- Beh questa è bella….
- Che cosa c’è Eric?
- Hai messo il bauletto sul letto?
- Io? No! Non l’ho messo sul letto. Non l’ho toccato!
- Beh non dirmi che è arrivato da solo, alla fine anche se l’hai messo là non fa alcuna differenza.
- Si che fa la differenza!
- Perchè dici questo?
- Perchè se non sono stata io e tu non c’eri, ebbene qualcuno l’ha toccato quel bauletto.
- Non mi è chiaro.
- Voglio dire che è bene che guardi nel bauletto se c’è ancora il medaglione.
- Fallo, ora!
- Perchè sei così agitata Paola?
- Non farmi diventare matta, su guarda e dimmi se c’è.
- Si, c’è!
- Ma sei tremendo, tu l’hai fatto apposta, non è vero?
- No, credimi, era qui sul letto.
- Sono contenta che non ci sia motivo di preoccuparsi. Credimi, ora mi sento meglio. Ho avuto paura che qualcuno ci avesse fatto un brutto scherzo.
- Chi, i tedeschi?
- Ma per favore, basta anche con loro. Ora vado a preparare il pranzo.
- Ed io vado a preparare la tavola.
I PRELIMINARI
Qualche giorno era passato senza sentire notizie dal professore e poi un giorno, quasi senza preavviso, telefonò chiedendo ad Eric un appuntamento.
- Che cosa c’è Agostino?
- Vorrei che tu mi dedicassi un po’ del tuo tempo, poichè avrei alcune cose da dirti. Sono argomenti e fatti che ti aiuteranno a capire meglio la storia del medaglione.
- Va bene Agostino, se credi che ciò ci aiuterà, incontriamoci, ma non oggi poichè ho molte cose da sbrigare. Sarei più contento se potessimo vederci domani sera.
- Devo dirti che la cosa sarà un po’ lunga e che parleremo di storia e di follia.
- Non credo che Paola ne sarà felice.
- Se pensi che la cosa non sia di suo gradimento, beh allora suggerisco di vederci fra di noi.
- Forse potremmo includere Fra’ Martino, ci tengo a sentire un suo parere.
- Si, credo che sia una buona idea.
- Dove ci vediamo e a che ora?
- Se è libero Fra’ Martino, potremmo vederci da lui, a Grignano, verso le venti.
- Per me va benissimo, ma dovremmo avvertirlo.
- Lo farò io, Agostino, poi ti darò la conferma. Ti prego di essere puntuale… io porterò le patatine e le olive.
- Chiederò a Fra’ Martino di procurarsi il vino ed io porterò i crackers. E starò attento anche a non comperare quelli salati! – aggiunse Agostino.
- Oh l’anima generosa!! Ne sono quasi commosso, credimi!
- Ora basta, ci sentiamo domani.
- A domani, professore.
Il mattino seguente Agostino radunò le sue note, tutti i suoi appunti, e mise assieme alcuni libri che parlavano dell’imperatrice Carlotta Coburgo. Uno era “L’Imperatrice degli Addii” di Michele di Grecia, l’altro era una biografia scritta da Mia Kerckvoorde, e alla fine c’era un libro su Carlotta e Massimiliano di Joan Hasli, tutti avvenimenti che egli si preparava a spiegare ad Eric. Poi telefonò per vedere se Eric avesse confermato l’appuntamento con Fra’ Martino. Alla fine chiamò Annamaria.
- Come stai?
- Bene grazie, e tu?
- Sto bene, ma sono preoccupato, perchè non abbiamo sentito nulla da Bombelles. Dove sarà finito?
- Non lo so, e se vuoi saperlo, onestamente meno ne so e più felice sono. Come sai, ora devo andare al lavoro e quindi devo prepararmi – affermò Annamaria.
- Dove sarai oggi?
- Sarò alla biglietteria degli Euro Star.
- Bene, mi raccomando, stai in campana…
- Scusa, che vuoi dire con questo?
- Voglio dire di stare attenta se vedi Bombelles.
- Ma va, e pensi che quello verrà da me?
- Non si sa mai….
- Non lo faccio così stupido. Credo che si ricordi della simpatia che avevo nei suoi confronti.
- Hai ragione, forse non è così incauto.
- Beh, ora devo andare, che cosa fai questa sera?
- Sono con Eric e Fra’ Martino.
- Una riunione per soli uomini?
- Non proprio, ma abbiamo bisogno di parlare.
- E Paola? Rimane sola?
- Credo di si, ma non sarà la prima volta, no?
- No, ma questa volta ci sarò io a farle un po’ di compagnia, e mi raccomando non fatela troppo lunga la vostra riunione, che domani ho il turno al mattino.
- Sissignora! E voi piuttosto non fate le matte.
- Chi, noi? Non è mai accaduto niente di ciò.
- Ah no? E quando siete andate a fare il bagno nella fontana di Montuzza?!
- Ma era estate e faceva caldo.
- Si, ma vi hanno fatto pagare una bella multa.
- Sei pignolo oggi, che hai?
- Nulla, nulla di speciale ma state attente!
- Allora a domani, ciao, ci vediamo.
Agostino aveva raccolto tutte le informazioni possibili, sia dai libri che avrebbe portato con sé, che da tutte quelle ricerche che aveva potuto trovare navigando con il computer in rete. In Internet aveva scoperto delle connessioni incredibili, dei comportamenti vergognosi di alcuni famosi personaggi, apparentemente intoccabili, ma ciò ora era dimostrabile storicamente. L’immagine che ne usciva dell’Imperatrice Carlotta era diversa, così come era diverso il giudizio che si poteva trarre di Franz Joseph, di Napoleone III, e di Sua Santità Pio IX, e non per ultimo del Conte Charles de Bombelles. Agostino avrebbe potuto parlare per delle ore, specialmente su quest’ultimo personaggio. In quanto al giovane Hans Bombelles, era chiaro che non era venuto a Trieste con delle buone intenzioni, anzi sembrava proprio che volesse seguire le gesta inquietanti del suo trisnonno. Ma questa volta Agostino ed i suoi compagni non erano disposti a farsi gabbare dal loro egoismo e dalla loro arroganza. Hans, e tutti coloro che volevano prevaricare la giustizia ed il buon nome di Eric e Paola, avrebbero dovuto fare i conti con Fra’ Martino, Agostino ed Annamaria. Il tempo di riscattare la stessa Imperatrice Carlotta ed il suo sfortunato sposo, l’Imperatore Massimiliano d’Asburgo, era venuto.
DALLO YUCATAN IN POI
Finalmente arrivò l’ora del loro appuntamento e tutti e tre s’incontrarono davanti alla scalinata della chiesa delle SS. Eufemia e Tecla a Grignano. Per chi non conosce quest’angolo della città di Trieste, sarà bene spiegare che Grignano inizia giusto dopo il parco del castello di Miramare e dalla chiesa di Fra’ Martino si può vedere il parco e la parte più alta della torre del castello. Come ben sanno alcuni, l’avventura di Massimiliano e Carlotta per il Messico iniziò proprio lì, a pochi passi dalla chiesa e perciò anche dalla casa di Fra’ Martino. Ora, dopo quasi cento e quarant’anni, ecco che la storia riportava alla ribalta gli stessi fatti accaduti tanti anni prima. Non c’erano più i personaggi direttamente interessati, ma quelli che erano chiamati ora a combattere le nuove situazioni non avevano meno orgoglio o meno dignità di coloro che furono per primi trascinati in quella tragedia Messicana. Ora la storia era ritornata a bussare alle porte di Trieste, e forse per un’ironia lo stava facendo proprio alla porta del castello di Miramare e non dalla porta principale, ma dalla porta posteriore, quella che appunto dà sul golfo di Grignano.
- Buonasera Eric.
- Buona sera Fra’ Martino, come va?
- Va bene anche se comincia a fare un po’ di freddo alla sera.
- E` vero, ma questa sera c’era un magnifico tramonto e da qui credo che il panorama sia ancora più bello.
- Si, certe volte è così bello che vorrei essere un pittore per poter fermare i colori e le sensazioni che questi tramonti riescono ad infondermi nell’animo. Ci si può sentire più vicini a Dio quando si vedono queste meraviglie!
- Non ti facevo così romantico, Fra’ Martino.
- Non c’è nulla di male nel lodare le opere di Dio.
- Non ho detto questo, ho solo notato che anche un frate ha gli occhi per vedere le cose belle e che prova dei buoni sentimenti. Ma ecco che arriva il professore.
- Ciao Agostino, ti sei portato dietro la biblioteca?
- No, mi sono portato solamente alcune prove di quello che sto per dirvi.
- Spero che almeno ognuno di voi si sia ricordato di portare le cose che aveva promesso di portare.
- Certamente, mi sono ricordato che voi volevate i grissini non salati.
- Ed io ho procurato due belle bottiglie di vino che sono di produzione di un contadino di mia conoscenza, e vi assicuro che sono ottime.
- Naturalmente ho pensato che sfamare tre bocche solamente con delle patatine e delle olive sarebbe stato troppo poco, così ho preso anche dello speck –aggiunse sorridendo Eric.
- Tu non sai come ti ami in questi momenti….
- Oh, anch’io, e tanto!
- Dite la verità, siete solo dei morti di fame.
- Suvvia Eric, non darti troppe arie, solo per aver comperato un po’ di speck.
- Lo credo bene, con te Agostino non avremmo avuto altro.
- Qui ti sbagli!
- Ah si? E che cosa hai portato d’altro?
- Ho portato gli stuzzicadenti.
- Ma dimmi Fra’ Martino, non credi che dovresti suonare le campane per tanta generosità?
- Su, finiamola ed andiamo a fare qualche cosa di più costruttivo.
- Va bene, andiamo.
- Si, andiamo.
La stanza dove si riunirono era la stanza dietro all’altare maggiore. Dopo essere entrati nella Sacrestia ed aver superato l’ufficio del parroco, cioè quello di Fra’ Martino, entrarono in quella che era la sala di soggiorno della casa di Fra’ Martino. Era una stanza semplice, modesta ma ben tenuta. Si sedettero attorno al tavolo mentre Agostino vi posava i libri e le note che si era portato dietro insieme agli appunti.
- Si direbbe che hai intenzioni serie, disse Fra’ Martino.
- Penso proprio di si, concluse il professore.
- Siete pronti?
- Certamente! Siamo venuti qui per questo – rispose Eric.
- Allora, vi prego di seguirmi con la fantasia in un continente lontano, sia nella distanza geografica che nel tempo. Andiamo direttamente alla storia della visita ufficiale che fece l’Imperatrice Carlotta Coburgo, figlia del re Leopoldo I del Belgio, moglie dell’imperatore del Messico, nel lontano anno 1865. Prima di spiegare che cosa avvenne durante quella visita, tenterò di spiegarvi perchè lei fosse andata a fare questa visita e soprattutto perchè la fece senza il marito.
Da mesi l’imperatore Massimiliano desiderava far visita alla provincia dello Yucatan, ma data la precarietà della situazione politica, i consiglieri avevano espresso il loro dissenso ed avevano perciò sconsigliato l’imperatore di abbandonare la capitale. Ricordatevi che eravamo nei primi mesi del 1865, e come dicevo, i tempi non erano facili nè per Massimiliano, nè per il Messico.
- E` vero che rimasero tali anche dopo la presenza di Massimiliano – aggiunse Eric.
- Si è vero, aggiunse Fra’ Martino.
- Ma lasciatemi spiegarvi che cosa accadde e piano, piano arriverete a capire il perchè di tante cose.
- Va bene, e allora continua – incalzò Eric.
- Stavo dicendovi che politicamente era un tempo difficile perchè quando Massimiliano espresse il desiderio di visitare lo Yucatan, i giornalisti europei cominciarono a dire che forse la verità era un’altra, che era soltanto una scusa per abbandonare il paese e quindi abbandonare l’impegno che aveva preso con la popolazione messicana e la sua grande alleata, la Francia.
Massimiliano si sentì offeso per simili insinuazioni, perciò decise di cambiare il programma: sarebbe stata la moglie Carlotta a rappresentarlo. Rimase nella capitale e preparò per lei un programma minuzioso ed attento. La fece accompagnare da due ministri, un’ambasciatore, un cappellano, un medico, due dame, e naturalmente il suo fedele consigliere Eloin.
Carlotta quindi iniziò il suo lungo viaggio nel mese di novembre del 1865. Come potete ben immaginare, lo Yucatan della seconda metà del secolo XIX, era ancora un mondo a sé, con la maggior parte non ancora scoperta. Ma nella mente di Massimiliano c’era già un programma ben preciso. Egli sapeva che i messicani non andavano d’accordo con gli indios, perciò aveva in mente l’idea di uno statuto particolare per quella provincia, una specie di autonomia e di auto gestione per tutto ciò che riguardava le opere d’arte. Infatti egli aveva deciso che non si sarebbero potuti esportare i manufatti archeologici ed artistici, dimostrando così una lungimiranza ed una sensibilità per le grandi civiltà precolombiane.
Il viaggio di Carlotta cominciò fra mille avventure. Lo Yucatan era un’immensa provincia nella parte sud-est dell’impero, ed era ricoperta da fitte foreste dove gli animali vivevano in completa libertà. Carlotta si trovò, assieme alla sua scorta, ad affrontare un viaggio inospitale con la presenza di animali come giaguari, serpenti velenosi, insetti voraci, per di più in un clima torrido e umido che sfiniva e che procurava febbri e dissenterie. Non per ultimo ostacolo, a rendere più complicato il viaggio c’erano i briganti, gli indios ribelli, e quei pochi soldati francesi che avevano disertato. L’imperatrice era una donna precisa, attenta, e piena di buona volontà, ma soprattutto era fedele al suo incarico che eseguiva come la missione più importante della sua vita.
- Beh, io non sarei stato invidioso della posizione di Carlotta – commentò Fra’ Martino.
- No, neppure io – aggiunse Eric.
- Vogliamo andare avanti? – brontolò Agostino.
- Certo che nessuno avrebbe voluto essere lì in quelle condizioni, ma l’Imperatrice voleva infondere fiducia, coraggio, e stima nei suoi nuovi sudditi, perciò si armò di pazienza e di tanta buona volontà.
Immaginatevi come dev’essere stato terribile per lei, in quel clima torrido, viaggiare tutta vestita a punto, con quegli abiti lunghi, pesanti, stretti in vita, tutta vestita a puntino perché doveva mantenere l’immagine formale dell’Imperatrice. Poverina, dev’essere stata una vera tortura!
Visitò per prima Peubla, poi Orizaba, e poi ancora prese il treno per Veracruz dove rimase per alcuni giorni, visitando ospedali, scuole e fattorie. La municipalità del luogo, per festeggiarla, organizzò banchetti e fuochi d’artificio. Lei fu sempre presente e sempre vestita nel modo più adatto a rappresentare la corona del Messico. Il caldo aumentò, come pure aumentarono gli impegni ufficiali. Anche madre natura ci si mise di suo, con improvvisi temporali che distrussero e mandarono all’aria ogni cosa. Le strade diventarono un pantano impraticabile, ed i fiumi si trasformarono in canali vorticosi che inondarono le terre limitrofe, distruggendo quel poco che gli indios avevano salvato. Sciami di mosche infestarono l’aria e tutto diventò più complicato da farsi. Alla fine, dopo alcuni giorni, lei potè ripartire ed andò al porto dove trovò una goletta austriaca che l’attendeva, ma lei si rifiutò di salire a bordo poichè, come imperatrice del Messico, richiedeva un battello che battesse bandiera nazionale. Così s’imbarcò su di un natante vecchio, ma Messicano.
Lei scrisse a Massimiliano delle lettere molto accurate sui rapporti del suo viaggio e modestamente affermò che le ovazioni non erano per lei come persona, ma per lei in quanto moglie dell’Imperatore. In verità, ella era molto apprezzata ed amata dagli indios che vedevano in lei la speranza di un futuro migliore. Quelle emozioni, quei resoconti, quegli stati d’animo si possono leggere ancora, come pure si può sentire la forza dello spirito che Carlotta seppe condividere con suo marito, l’Imperatore, e con tutti coloro che avvicinò. Lei documentò ogni sua piccola esperienza, disegnò, scrisse, parlò alle riunioni, compii tutti gli incarichi che il marito le aveva commissionato. Poi proseguì ancora per Merida e vi rimase quasi una settimana, descrivendo con entusiasmo e poesia la bellezza e l’incanto di quei luoghi. Giunta finalmente nella capitale dello Yucatan, continuò con le sue visite agli ospedali, alle fabbriche, alle scuole, ed alle fattorie. La gente l’acclamava con degli “Evviva l’Imperatrice”, e lei si sentiva orgogliosa di amare quel paese, come pure l’uomo che adorava e rispettava.
Dopo Merida, l’Imperatrice decise di andare a visitare Uxmal, che a quel tempo, nel 1865, solamente gli indios di quelle zone e pochi archeologi conoscevano. Arrivò in quello che sarebbe stato considerato uno dei parchi più grandi delle rovine Maya ed Atzeche. Carlotta era assetata di conoscenza e quindi andò a visitare i resti di quelle civiltà scomparse. Visitò la Piramide dell’Indovino, il Quadrilatero delle Monache, la Colombaia, il Palazzo del Governatore, la Pietra del Castigo.
Vorrei precisare – aggiunse ancora Agostino – che non sono luoghi facili da visitare, neppure ai nostri giorni. In quel clima torrido era facile ammalarsi, infortunarsi salendo quei gradini enormi, nonchè dover combattere la folta vegetazione che nascondeva insidie velenose come morsi di serpenti o il tormento continuo delle punture degli insetti.
Gli indios accolsero con piacere la visita dell’Imperatrice, anche perchè essi erano i discendenti di quelle civiltà scomparse, gli Aztehi ed i Maya. Fu proprio da questa gente che Carlotta ricevette in dono una copia del medaglione di Quetzalcoatl, un regalo molto prezioso per due motivi: il primo, ed il più significante, era che quel medaglione simboleggiava la loro divinità maggiormente importante. Il secondo motivo è che quello era un vero gioiello! Consisteva di un cerchio di turchesi con in mezzo un serpente a due teste, pure di turchesi, con due smeraldi per occhi ed un rubino nella bocca aperta di entrambi serpenti, circondato da una lamina di puro oro all’esterno ed all’interno del medaglione.-
- E` decisamente un bell’oggetto! – sentenziò Eric.
- Beh, ci credo! – aggiunse Fra’ Martino – e poi era un dono offerto all’Imperatrice del Messico, quindi
doveva essere degno della sua persona, colei che assieme al suo sposo, l’Imperatore Massimiliano, governava il paese.
Agostino continuò:
- Un’altra ragione per cui Carlotta accettò gioiosamente di recarsi nello Yucatan fu per allontanarsi da Alicia Iturbide, madre di Augustin Iturbide che era il nipote del precedente impertaore del Messico, bambino adottato da Massimiliano, poichè la coppia imperiale non aveva figli. Per Carlotta questo gesto politico fu un’affronto alla sua femminilità. Era come se Massimiliano avesse detto: “Lo faccio perchè mia moglie non può avere figli.” La presunta sterilità di Carlotta fu argomento di discussione per molti anni dopo che Maxime Waygand apparve sulla scena politica. Si dice che fosse nato a Bruxelles dal Colonnello Van der Smissen e Carlotta, Imperatrice del Messico, data la rassomiglianza con il Colonnello, ma non ci sono prove. Waygand sostenne per tutta la sua vita di ignorare tutto dei suoi genitori. Che la nascita del Generale Waygand sia stata avvolta in un grande mistero e che la corte del Belgio ne sia stata in qualche modo coinvolta è in dubbio.
Dopo la visita allo Yucatan, Carlotta si recò in Europa, per sollecitare l’aiuto di Napoleone III e di rammentargli le promesse fatte a Massimilino nell’offrirgli l’impero del Messico.
Stiamo per arrivare alla conclusione di questa strana avventura e vogliamo ricordarci delle sofferenze della povera Carlotta, durante il viaggio in Europa, negli incontri tutti negativi per la realtà messicana, ma soprattutto per lo stress nervoso a cui Carlotta fu sottoposta. Bisogna notare che Carlotta era una donna priva del senso dell’ironia. Era molto seria e precisa nelle cose che faceva, e le faceva bene, con dedicazione e competenza, ed era stata educata a mantenere la parola data come un impegno, cosa che non trovò riscontro nei suoi interlocutori, come Napoleone III, il Papa Pio IX, ed l’Imperatore d’Austria Franz Joseph. Lei era a conoscenza delle promesse fatte da Napoleone III di sostenere l’impresa in Messico e delle bugie che egli stava propinando a lei ed a Massimiliano. Come conseguenza dello stress nervoso, Carlotta ebbe prima una crisi di nervi e poi la mania di persecuzione. Infatti, nel suo incontro con Napoleone III e successivamente con Papa Pio IX, allo scopo di ricevere aiuti e sostegno in favore dell’impresa imperiale nel Messico, temendo di essere avvelenata, non mangiò nulla di ciò che le fu offerto, sebbene il Papa la trattasse con benevolenza.
Un altro difficile rapporto con la realtà di quel momento storico fu con Franz Joseph, Imperatore d’Austria e fratello di Massimiliano, il quale obbligò quest’ultimo a firmare la rinuncia a tutti i suoi diritti di Arciduca austriaco, se avesse accettato di divenire Imperatore del Messico. Franz Joseph non volle nulla a che fare con la situazione del Messico, nè con il fratello Massimiliano. Non ci stupisce dunque il fatto che Carlotta avesse perso il senso della realtà e ci dispiace che sia stata la vittima di una complicata situazione politica, incluso l’inadeguatezza di Max, che continuava a fantasticare sulla situazione politica del Messico, dando così maggior potere a Benito Juárez, capo dei rivoluzionari anti-imperialisti.
Massimiliano, senza rendersene conto, era circondato da traditori che fecero il loro tornaconto sulle sue spalle, mentre lui si fidava di loro, per esempio: Schertzen –Echner che vendette ai giornali belgi dei documenti privati di Massimiliano, come pure il maresciallo francese Francesco Bazaine che faceva acquisti persoali e poi ne scaricava il costo sul conto dell’esercito francese, incluse le spese del suo banchetto nuziale. Massimiliano misurava il senso dell’onore altrui secondo il proprio.
A contribuire allo stato di confusione e di persecuzione che Carlotta provava nella sua visita in Europa furono queste parole che Massimilaino le scrisse: “Tornare in Messico senza risultati sarebbe tanto disastroso per il paese quanto deplorevole per te”. Nella sua disperazione, Carlotta sentiva ancora il bosogno di sollevare il morale del marito.
Come al solito, Max interpellò una quantità di persone ed ascoltò troppi pareri discordi. Nel suo intimo, egli pensava ancora alla possibilità di raggiungere un accordo con Benito Juárez, il quale senza dubbio o ripensamenti, desiderava eliminare Massimiliano e l’impererialismo.
Nell’offrire a Massimiliano la corona del Messico, Napoleone III ed i dirigenti conservativi messicani pensavano di aver trovato un fantoccio che avrebbe rinforzato la loro ideologia, ma Massimiliano invece iniziò una politica di riforme liberali che irritò i suoi sostenitori, inclusa la chiesa cattolica, la quale aveva interessi economici e politici in Messico, messi in pericolo dalle riforme di Max.
Nel maggio 1867 la situazione era diventata insostenibile. La maggior parte delle truppe francesi avevano abbandonato il Messico, così Massimiliano si ritirò nella citta di Queretaro, dove rimaneva ancora una parte dell’esercito francese, ma i rivoluzionari avevano tagliato i rifornimenti d’acqua e cibo. Ci si rendeva conto che Queretaro non era più difendibile. Erano le ultime ore, e pian piano si stava realizzando ciò che Juárez aveva in mente, cioè di prendere Massimiliano come un uccelletto in gabbia, e ci riuscì, perchè Max si presentò a piedi e da solo. La trappola era scattata.
La storia dell’assedio di Queretaro è una di indiscutibile eroismo e di fulgido coraggio in cui l’Imperatore ed i soldati combatterono con gran valore, affiancati dai cittadini e persino dalle monache, le quali presero parte alla difesa del luogo.
Vorrei anche mettere in chiaro che mentre la situazione a Queretaro stava via via peggiorando, a Massimiliano furono offerte diverse occasioni e persino preghiere di mettersi in salvo, ma egli le rifiutò tutte. Alle prime luci dell’alba del 19 giugno, l’Imperatore si era alzato e vestito in abito borghese scuro. Aveva riposato serenamente per tre ore e si sentiva tranquillo, pronto ad affrontare quello che sarebbe stato per lui ed i suoi compagni l’ultimo giorno di vita. Bisogna ricordare che l’Arciduca Massimiliano d’Asburgo fu l’uomo più importante che Trieste abbia mai ospitato, ed infatti il Castello di Miramare è rimasto prova della sua presenza e contributo alla città, una città che lo ha amato e che mantiene viva la sua storia ed il suo ricordo.
Ritornando agli avvenimenti di Queretaro il 19 giugno del 1867 ed agli ulimi momenti di un uomo chiamato ad un compito più grande delle sue capacità, Massimiliano disse: “Che splendida giornata! Ho sempre desiderato morire in una giornata così”. Un’altra frase fu: “Perdono a tutti e prego affinchè tutti mi perdonino. Possa il mio sangue che sta per essere versato portare la pace nel Messico. Viva Mexico! Viva la Independencia!”. Alla conclusione di queste ultime parole, la spada squarciò l’aria, dando il segnale a sette fucili che spararono all’unisono. L’Imperatore cadde all’indietro, il corpo si contorse, ed un militare gli sparò al cuore per finirlo. E qui finisce la storia di Massimiliano e Carlotta nel Messico.
- Storia molto lunga, ma davvero interessante – commentò Eric, accompagnato da un cenno di consenso del capo di Fra’ Martino.
- Ma che ne fu di Carlotta dopo la morte di Massimiliano? – chiese Fra’ Martino.
- Dopo il fallito tentativo di far rispettare a Napoleone III i termini concordati precedentemente riguardo l’impero del Messico e la mancanza di aiuto da parte del Papa Pio IX, Carlotta ritorna molto amareggiata a Trieste, precisamente a Miramare, suo rifugio personale. Non le viene detto nulla circa la morte di Massimiliano, per non contribuire alla sua delicata situazione di salute mentale e fisica. Viene sequestrata e confinata alla Gartenhaus di Miramare (dimora del parco), dove viene trattata con molta durezza, sotto la sorveglianza di Charles Bombelles, che era stato uno dei consiglieri privati di Massimiliano e suo amico, commissionato come carceriere di Carlotta dall’Imperatore d’Austria. Carlotta rimane prigioniera per 10 lunghi mesi, mentre Bombelles, libertino e sempre pieno di debiti, si aggrappa a lei che rappresenta la sua unica fonte di entrate. Finalmente, con l’intervento della regina Maria Enrichetta, moglie di Ludovico II Re del Belgio e fratello di Carlotta, la quale esercitò molta pressione sull’ Imperatore Franz Joseph, il personale di Miramare che tiene sotto sorveglianza Carlotta, viene allontanato a forza, incluso Bombelles, e l’infelice Carlotta finalmente può rimpatriare nel Belgio. Nel frattempo Charles Bombelles, personaggio molto sinistro, le aveva rubato il famoso medaglione di Quetzalcoatl, e sappiamo che alla morte di lui, avvenuta in circostanze equivoche, accompagnato da due donne pubbliche, morto di apoplessia durante un’orgia, il medaglione diventerà la proprietà di una di queste donne pubbliche la quale poi lo venderà.
In Belgio, Carlotta troverà un po’ di serenità e calma sotto le attenzioni e le cure della cognata, la regina Maria Enrichetta, ma non ritornerà mai ad essere quella che era in gioventù. Comunque, Carlotta visse una lunga vita e morì all’età di 87 anni il 19 gennaio 1927, nella sua residenza al castello di Bouchout, vicino a Bruxelles. Queste furono le sue ultime parole: “Noi abbiamo vissuto in un impero meraviglioso, mio bene amato sposo Massimiliano. Ora lui mi attende”. E poi spirò serenamente.
Ora Agostino fece una pausa, sorseggiò il resto del vino nel suo bicchiere, e disse:
- Che ve ne pare di Charles Bombelles, un tipino da non imitare, vero? Pare anche che Hans Bombelles, suo discendente diseredato ed in cerca del medaglione, segua le impronte del trisnonno in quanto ad onestà e rettitudine. Eric, tu e Paola dovreste stare molto attenti e prevenire ogni suo atto. Mi sono preso la libertà di contattare un avvocato di Lubiana che forse potrrebbe esservi utile, nel caso questo Hans Bombelles volesse crearvi qualche problema. L’avvocato Stefano Milosevich è un esperto in giudizi e leggi di tutta Europa ed ha già preparato un’arringa di difesa preventiva.
- Allora non ci sono problemi – aggiunse Fra’ Martino.
- E` meglio essere guardinghi – rispose Agostino – ma il medaglione di Quetzalcoatl è nella cassetta di sicurezza in banca, vero?
- Non ancora, ma lo sarà da domani – affermò Eric.
- Mi raccomando – incitò Fra’ Martino – non c’è da scherzare con questo austriaco!
Era già notte inoltrata quando gli amici si salutarono per ritornare alla loro dimora, mentre Fra’ Martino si accingeva a prepararsi per un meritato riposo, dopo la lunga serata.
Ma che cosa accadde poi a Hans Bombelles ed ai nostri amici?
Hans si recò alla Polizia, ma fu indirizzato dai Carabinieri, dove inoltrò una denuncia di furto a nome di Eric, però il carabiniere che stava sottomettendo il documento disse che mancavano gli estremi della persona e soprattutto le prove del furto. Spiegò che questa dichiarazione di furto avrebbe richiesto delle ricerche che erano da farsi in un’altra nazione, l’Austria. Per dirla in breve, non si poteva procedere. E poi c’era di mezzo un altro stato perchè, come aveva affermato Hans, il medaglione era un artefatto messicano e quindi assolutamente non catalogato fra i gioielli che il signor Bombelles dichiarava di aver appartenuto al trisnonno e dei quali era stato derubato. Quindi, come si dice a Trieste, egli “andò casson e ritornò baul.”
In quanto a Paola ed Eric, essi fecero richiesta all’Ufficio del Turismo per restituire l’artifatto agli Indios , spiegando come fossero entrati in possesso del medaglione di Quetzalcoatl, e chiedendo come procedere per assicurarsi che non andasse perduto o peggio ancora rubato in transito. L’Uffico del Turismo messicano si armò di pazienza e buona volontà nell’aiutare Eric e Paola e così tutto fu chiaro e ben fatto.