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L’EFFICACIA COMUNICATIVA TRA BARRIERE E STILI-DOTT.SSA SILVANA DI FILIPPO

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Redazione-Nel trattare le abilità comunicative dobbiamo dare doveroso risalto a tutti gli elementi che contribuiscono all’efficacia comunicativa. Quando sentiamo parlare di comunicazione, la nostra mente pensa al linguaggio tradizionale quale strumento comunicativo per eccellenza. In genere tendiamo a sottovalutare tutti gli altri strumenti che utilizziamo per trasmettere o dare più forza al nostro messaggio.

Questi strumenti sono:

  • le parole;
  • i toni di voce;
  • il linguaggio non verbale (L.N.V.), rappresentato dalla gestualità, dalla posizione del corpo, dalla mimica facciale, dal sorriso, dal contatto d’occhi ecc.
  • i supporti visivi.

Se noi mettiamo sui piatti di un’ipotetica bilancia due pesi:

  • il primo è rappresentato dal cosa dico: vale a dire dal contenuto del messaggio;
  • il secondo dal come lo dico: toni di voce e L.N.V.

Il secondo piatto peserà 13 volte più del primo (93% contro il 7% delle parole).[1]

Albert Mehrabian, grande scienziato americano, osservò ( dai risultati condotti negli anni ’60 sulla comunicazione) come, in una normale comunicazione, la ricezione del messaggio (efficacia comunicativa) sia data solo per il 7% dalle parole, per il 38% dai toni di voce e per il 55% dal linguaggio non verbale.

La comunicazione diventa inefficiente  e conseguentemente fallimentare quando è assente la partecipazione, c’è semidisponibilità, rigidità o insoddisfazione per il referente.

La comunicazione fallimentare è improduttiva nei casi in cui il suo contenuto è pressoché incompreso, disinterpretato o disaccettato. In queste condizioni diventa complicata  quella che chiameremo promozione relazionale. Se la comunicazione è rifiutata o presenta delle anomalie/interferenze fa registrare un messaggio confuso che inevitabilmente diventa negativo.

Gli eventi comunicativi di questo tipo non possono contribuire alla costruzione di una relazione efficace. Dire “parli inutilmente, quello che dici non ha senso” “ non servi a nulla” significa rimandare un messaggio di squalifica che ne impedisce l’efficacia comunicativa.

Tali affermazioni rimandano essenzialmente al vedere unicamente se stessi e il proprio punto di vista (Io).

Nella comunicazione inefficiente l’emittente si trova da solo e non con l’altro.

Viceversa, nel colloquio relazionale esiste la consapevolezza di un’interazione a due (Io-Tu).

In alcune circostanze l’interlocutore si trova a metà strada nel linguaggio comunicativo e cerca di adottare delle modalità di riparazione che tendono a contraddire quanto precedentemente dichiarato: “…volevo dire che non servi a nulla in certe circostanze” “ solo in alcuni casi ti succede di parlare senza senso”. Questo atteggiamento pone l’interlocutore a rivedere le proprie posizione e a cercare di modificarle. In ogni caso si tratta di un tipo di comunicazione alterata o compromessa che tende a squalificare l’operato dell’interlocutore, che non può mai completamente rispondere ad una relazione produttiva ed efficace.  Per  quanto i propri sforzi pongono a voler rimediare il rapporto, è un tipo di relazione che consta di continui controlli comunicativi.

A maggior ragione, nell’operatività sociale vale porsi in termini positivi da subito piuttosto  che utilizzare rimedi  che in definitiva conducono a distruggere gradatamente il rapporto o a recuperarlo in parte. Il rapporto presuppone una valenza operativa  che dia immediatamente una sensazione produttiva. Aggiustare qualcosa di rotto complica sempre gli obiettivi. Inoltre la  comunicazione interattiva  deve privilegiare la concentrazione e la calma, assunti essenziali ad evitare interferenze dannose. Possiamo parlare di comunicazione interattiva se la disponibilità dell’interlocutore è totale ed immediata.

La funzionalità di un rapporto comunicativo porta sicuramente ad una relazione produttiva.

Gli stili comunicativi consentono di accettare o rifiutare quanto trasmesso dall’altro.

Nel primo caso è importante mettersi dal punto di visto dell’altro per rendere produttiva la comunicazione, con abilità e tecniche miranti ad ottenere obiettivi successivi all’atto comunicativo, per raggiungere un aspetto  relazionale propositivo e produttivo.

Nel secondo caso, dipende molto dal modo in cui  si rifiuta. In ogni caso un atteggiamento di rifiuto porta quasi sempre a  pregiudicare il rapporto. Prendiamo ad esempio un bambino con difficoltà relazionali che al suo primo giorno di scuola elementare si trova un’insegnante direttiva. Il bambino abituato a giocare prevalentemente nella scuola materna tende a proseguire il suo gioco (bisogno di portarsi una macchinuccia e di tirarla fuori ogni tanto). L’insegnate si arrabbia, rimprovera l’alunno ed afferma “ nella scuola elementare si studia e non si gioca” oppure “dammi la macchinuccia… è sequestrata”. Questo tipo di educatore, ha pregiudicato il suo rapporto relazionale. Viceversa, nelle stesse circostanze, trovandoci di fronte ad un’insegnante che durante il  primo giorno di scuola fa trovare dei palloncini colorati con cui giocare per scriverne la sua parola, ne promuove un buon inizio relazionale; ed un buon inizio fa un buon seguito! Il bambino mentre scrive, tira fuori la macchinuccia facendola camminare sul banco. L’insegnante che possiede le abilità comunicative tenta di rendere quel momento didattico ed educativo – quindi dice al bambino: “che bella macchina! Se preferisci scrivere la parolina ‘macchina’ proviamo….”. E’ vero che a scuola ci sono delle regole ma è altrettanto vero che queste hanno bisogno della loro gradualità e funzionalità rispetto al problema dell’alunno e le sue caratteristiche personologiche. Non sempre il problema è dell’alunno, a volte il problema è dell’insegnante. Per riconoscere queste caratteristiche in genere la comunicazione viene avviata da chi ha il problema. Quando l’alunno presenta una difficoltà, si può rifugiare in atteggiamenti evasivi: “scrivere sul banco“ mangiare il panino” etc. . Questi atteggiamenti portano ad una lettura di un problema di disagio con l’insegnante: il problema è dell’insegnante. Se è l’insegnante ad avere un problema l’alunno tende a rifugiarsi in atteggiamenti non verbali. In questo caso, se la comunicazione è efficace, l’insegnante si riconosce che è lei ad avere un problema ( del quale l’alunno si è accorto ) e propone un cambiamento nella linea della lezione proposta. Se il problema è dell’alunno, mentre l’insegnante spiega, l’alunno “canta”. Se l’insegnante lo rimprovera, perde la possibilità di comprendere il suo problema. Se l’insegnante rende educativo il suo momento di disagio  dice: “proviamo a sostituire la lettura della poesia cantandola” avrà molte più possibilità di entrare in profondità nel problema dell’alunno. Le caratteristiche di ognuno vanno valorizzate  allo scopo di ottenere una comunicazione funzionale. Dire ad un bambino: ”disegna cose belle” porta ad ottenere un messaggio voluto, con sottile imposizione  che diventa contrastante. Viceversa, dirgli: ”disegna quello che senti” trasmette l’invio di un messaggio valoriale che include libertà e spontaneità. Vediamo quindi, che uno stesso messaggio, con un contenuto diverso porta a risultati assertivi.

La comunicazione, inoltre, pone delle barriere quando l’emittente tende ad avere un atteggiamento di comando, utilizza strategie minacciatorie, ammonisce, critica, esprime giudizi, porta a ridicolizzare l’altro. Diventa efficace se, l’emittente dimostra un atteggiamento rassicurante, sostiene l’altro con valutazioni positive e incoraggianti. Per ottenere progressi nel campo educativo, non solo è importante l’esempio, ma è necessaria un’ efficiente comunicazione capace di consentire la sua funzionalità per ottenere il raggiungimenti di ulteriori obiettivi.

Secondo A. Campanili: ”La comunicazione, il comportamento sono veicoli che consentono all’individuo di entrare in relazione non solo con l’altro, ma anche con se stesso e con il mondo. Ne consegue che non vi possono essere aspetti gestuali o verbali trascurabili”. [2]

La comunicazione efficace costituisce, senza dubbio, quell’enzima sociale capace di far ritrovare il senso delle emozioni, della creatività e di una responsabilità adeguata a costruire relazioni significative

e produttive per il singolo e la collettività.

Bibliografia

Di Filippo Silvana, “La forza del sociale nella comunicazione interattiva. Metodo e tecnica del colloquio psicosociale”, Ed. Eco, Isola del GS (Te), 2008, pp. 94-95-96

Campanili Annamaria,  “L’Intervento sistemico”, Ed. Carocci Faber, Roma, 2002, p. 45

Sansavini Cesare, “Parlare in Pubblico”, Ed. Demetra,Firenze, 2003, pp. 28-29

 

 

 

 

[1]  Cfr. Cesare Sansavini,,Parlare in Pubblico, Ed. Demetra,Firenze, 2003, pp. 28-29

[2] Cit.  Annamaria Campanili, L’Intervento sistemico, Ed. Carocci Faber, Roma, 2002, p. 45

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