” L’AVVENTO DEL MESSIA ” – DOTT.RE MARCO CALZOLI
Redazione- Betlemme è il piccolo villaggio della Palestina nel quale nacque Gesù Cristo duemila anni fa. Egli è considerato dai cristiani il Messia atteso dagli ebrei. Messia significa “unto” in ebraico, termine a cui corrisponde Cristo in greco, cioè “consacrato” con l’olio santo per una missione importante. Il termine ebraico mashiach (donde l’italiano Messia) risuona nell’Antico Testamento solo 38 volte, e soprattutto nei Salmi e in Samuele. Si tratta di un participio passivo dal senso “colui che è stato unto”. Il greco christos è un aggettivo verbale in –tos, che esprime una azione passiva passata, dal verbo chriō, “ungere”, quindi Cristo significa “unto”.
Gli “unti”, cioè i consacrati, erano innanzitutto i re, che ricevevano sul capo l’olio il giorno della incoronazione, il quale avvolge idealmente tutto il corpo del sovrano. Un amalechita uccide il re Saul ma dopo viene ucciso a sua volta. Leggiamo in 2Samuele 1, 13 ss: “Poi Davide chiese al giovane che gli aveva raccontato quelle cose: «Di dove sei?» Quegli rispose: «Sono figlio di uno straniero, di un amalechita». Davide gli disse: «Come mai non hai temuto di stendere la mano per uccidere l’unto del Signore?, meshiach YHWH» Poi chiamò uno dei suoi uomini e gli disse: «Avvicìnati e colpisci costui!» Quello lo colpì ed egli morì. Davide gli disse: «Il tuo sangue ricada sul tuo capo, perché la tua bocca ha testimoniato contro di te quando hai detto: “Io ho ucciso l’unto del Signore»”. L’amalechita viene punito in quanto l’unzione ha donato potere e quindi dignità a tutta la persona del re. Erano unti anche i sacerdoti, il termine “messia” viene applicato loro in Levitico 4. Anche i sacerdoti dovevano avere su di sé questa patina, questa energia conferita dall’olio, esattamente come i re. E non solo in Israele, infatti in accadico il termine melamnu indica l’aureola del re, che emana l’energia divina, cosa che in Israele era conferita dall’unzione, così come avveniva con i sacerdoti. Erano unti altresì i profeti, consacrati non solo e non tanto materialmente, ma con un olio spirituale, diciamo così, in quanto li chiama Dio. Isaia 61: “Lo spirito del Signore Dio è su di me, per questo il Signore mi ha consacrato con l’unzione”: è la chiamata di Dio che conferisce la consacrazione profetica prima di quella materiale.
Quindi prima del I secolo d.C. (che corrisponde alla nascita di Gesù Cristo) si aspettava il Messia, cioè colui che avrebbe salvato Israele e inaugurato un era duratura di Pace, principalmente tra i re, i sacerdoti e i profeti. Anche se vi erano a volte altre figure, come un misterioso Servo sofferente (in Isaia) oppure un misterioso Figlio d’uomo (in Daniele) oppure un misterioso personaggio che sta davanti a Dio prima della creazione (nel libro di Enoch).
La parola Betlemme è formata da due termini ebraici: bet, casa, e lechem, pane, quindi il toponimo vuol dire “casa del pane”. Una prefigurazione voluta da Dio come monito per tutta l’umanità che Cristo è “il pane vivo disceso dal cielo” (Giovanni 6). Gesù Cristo è il Dio che si è fatto uomo, che è sceso nella storia e ha assunto la natura caduca dell’esistenza umana. Non solo, ma si è fatto pane nella Eucaristia, cioè “vittima sacrificale”, è questo il senso del latino Ostia. Infatti Luca fa un’altra prefigurazione nel suo vangelo e dice che Cristo è nato in una mangiatoia (per animali). Per questo motivo nell’iconografia bizantina si sottolinea che il bimbo è avvolto in fasce, come dice il vangelo in riferimento al fatto che così erano avvolti i defunti del tempo: Cristo muore per noi per salvarci dalle opere del demonio, tra cui c’è la morte e la dannazione eterna.
Il Dio dell’Antico Testamento abitava nel tempio, vera dimora di YHWH, per cui nella Bibbia si dice che i fedeli andavano a vedere il volto di Dio visitando il tempio di Gerusalemme. Cristo invece viene ad abitare addirittura in noi: “E il Verbo si fece carne e pose la tenda in noi”, eskenōsen en ēmin, presenta alla lettera il dettato evangelico. La tenda (in greco skēnē, donde il verbo greco eskenōsen, “pose la tenda”) può alludere, tra le altre cose, alla tenda del tempio del Santo dei Santi, ove risiedeva il Dio dell’Antico Testamento. Ora Cristo, il Dio fatto Uomo, risiede nella nostra umanità. Quindi non è più un Dio lontano, “separato” dall’uomo (etimologia dell’ebraico Santo, Qadosh) bensì “Dio-con-noi”, in ebraico Emmanuel.
Gesù è ebreo e lo è per sempre. È pienamente un uomo del suo tempo, l’ambiente ebraico palestinese del I secolo d.C. Egli fa proprie le speranze, le attese e i tormenti di quel periodo. I cristiani inseriscono la salvezza nella storia e nella geografia, nelle quali Dio si è incarnato. Dio si è incarnato in un popolo concreto e in una famiglia specifica.
Le attese messianiche sono vive ancora oggi presso gli ebrei, ma lo erano maggiormente duemila anni fa. Ancora gli ebrei di oggi recitano in piedi tre volte al giorno l’Amidah, dal verbo ebraico laamod, stare dritti in piedi, che consiste in 18 benedizioni (anche se in molti libri di preghiera ne compaiono 19). Ci sono due versioni dell’Amidah, una babilonese e una palestinese, ma nella versione palestinese la 14° benedizione recita: “Sii misericordioso, Signore Dio nostro, con le tue grandi misericordie … con Israele tuo popolo, con Gerusalemme la tua città, con Sion dimora della tua Gloria, con il tuo tempio la tua casa, e con la regalità della casa di David, il tuo Messia giusto”. Quindi il pio ebreo prega sempre per l’avvento del Messia, atteso in maniera improvvisa, conformemente a un detto molto suggestivo del Talmud di Babilonia: “Tre cose arrivano di sorpresa: il Messia, un oggetto ritrovato e uno scorpione”. Isaia 42, 2: “Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce”. Anche Cristo, relativamente alla sua seconda venuta, quella che avverrà alla fine dei tempi nella gloria, dice che essa sarà come una folgore, all’improvviso, quindi avverte di tenersi pronti. Davanti a Pilato Cristo rimane in silenzio, un tacere che impressiona il procuratore romano.
Ogni donna veniva preparata per essere la madre del Messia e desiderava essere la madre del Messia. Se esso doveva venire in segreto, ogni donna poteva essere la prescelta.
Un altro testo interessante del Talmud recita: “Una delle sette cose create prima dell’universo è il nome del Messia”. Esse sono: la Torah e la conversione, il giardino dell’Eden e la geenna, il tempio, il trono della gloria e il nome del Messia.
Ai tempi di Gesù le quattro correnti principali dell’ebraismo erano i farisei, i sadducei, gli zeloti e gli esseni (quest’ultima è l’unica non menzionata nel Nuovo Testamento).
Gli zeloti attendevano un Messia politico, che liberasse Israele e distruggesse il potere dei romani, che a quel tempo occupavano la Palestina. Gli zeloti covavano personaggi che si autoproclamavano Messia e cercavano con la forza e la suggestione sul popolino di sovvertire il potere romano. Ai tempi di Gesù, in Galilea (regione della Palestina dove sorge Nazaret, la città di Cristo) c’era lo zelota Teuda, che fece quattrocento discepoli, oppure il zelota Giuda il galileo, ma anche altri, che mossero tutti rivolte molto pericolose. Di questi due personaggi, Teuda e Giuda il galileo, ci parlano gli Atti degli Apostoli e persino lo storico giudaico Giuseppe Flavio, che cita in tutto sette personaggi che si proclamarono Messia.
Giuda il galileo era della città di Gamala, vicinissima a Cafarnao, luogo dove predicava soprattutto Cristo, ma non solo, infatti ci dicono i vangeli che Gesù diffondeva il messaggio della salvezza in tutta la Galilea. Gamala era proprio il centro degli zeloti, i quali seguivano la dottrina dei farisei ma pensavano che dovevano operare attivamente contro i romani, come avevano già fatto i maccabei.
Quindi Gesù Cristo si dovette confrontare con gli zeloti per chiarire il suo messianismo, che non è rivoluzionario, come questi ultimi desideravano. Gesù dice espressamente parole che non dovettero suonare bene all’orecchio degli zeloti, che consideravano i romani quali nemici pubblici: “Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano” (Luca 6,27). Gesù quindi proclama un messianismo non politico, bensì fallimentare. Cristo annunziava più volte, prima di essere ucciso, la sorte che gli sarebbe toccata, ma “quando sarò innalzato (sulla croce) attirerò tutti a me” (Giovanni 12, 32). Cristo doveva passare per la croce e il rifiuto estremo degli uomini e anche degli apostoli, che lo hanno abbandonato e anche tradito esplicitamente, come fece Pietro, nonostante questi fosse il capo della nascente chiesa. Pensiamo anche a Matteo 20:
“20 Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli, e si prostrò per chiedergli qualcosa. 21 Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di’ che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». 22 Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». 23 Ed egli soggiunse: «Il mio calice lo berrete; però non sta a me concedere che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è per coloro per i quali è stato preparato dal Padre mio»”.
Quella madre si aspettava un Messia trionfante, cosa che Cristo è, ma non nel senso agognato da tutti in quel periodo. Cristo trionfa ma nella croce, non nel mondo degli uomini ma nella fede. Dovrà prima passare per la morte e l’abbandono di tutti, pensiamo solo che la crocifissione era la pena più infamante del periodo, dalla quale erano esentati i cittadini romani, come Paolo, che venne ucciso decapitato, invece Pietro fu crocifisso a testa in giù. Solo alla fine dei tempi Cristo verrà nella gloria anche umana, invece da duemila anni a questa parte Cristo è crocifisso fino alla fine dei tempi, come dice Pascal, e come si realizza nella Santa Messa, che è la attualizzazione della morte e risurrezione di Cristo le quali avvengono nel pane e nel vino consacrati, in cui vi è la presenza vera e reale del corpo e del sangue di Cristo risorti.
Il Salmo 2 è stato scritto sicuramente per la intronizzazione di un re di Israele, poi è stato riletto già dagli ebrei applicandolo al Messia futuro, contemplato come un sovrano potente. Ecco il testo del Salmo:
“1 Perché le genti congiurano,
perché invano cospirano i popoli?
2 Insorgono i re della terra
e i principi congiurano insieme
contro il Signore e contro il suo Messia:
3 «Spezziamo le loro catene,
gettiamo via i loro legami».
4 Se ne ride chi abita i cieli,
li schernisce dall’alto il Signore.
5 Egli parla loro con ira,
li spaventa nel suo sdegno:
6 «Io l’ho costituito mio sovrano
sul Sion mio santo monte».
7 Annunzierò il decreto del Signore.
Egli mi ha detto: «Tu sei mio figlio,
io oggi ti ho generato.
8 Chiedi a me, ti darò in possesso le genti
e in dominio i confini della terra.
9 Le spezzerai con scettro di ferro,
come vasi di argilla le frantumerai».
10 E ora, sovrani, siate saggi
istruitevi, giudici della terra;
11 servite Dio con timore
e con tremore esultate;
12 che non si sdegni e voi perdiate la via.
Improvvisa divampa la sua ira.
Beato chi in lui si rifugia”.
Si notano le iridescenze testuali che si riferiscono ai vassalli che si ribellavano al nuovo re: quando vi erano le successioni, vi era sempre l’occasione per i sudditi di togliersi il giogo di dosso, durante il periodo della vacanza del potere. Nei versetti 7-8 viene pronunciato il decreto del Signore, quello di intronizzazione del nuovo sovrano, che probabilmente era declamato dal sacerdote che presiedeva il culto. Decreti del genere sono presenti anche nel mondo faraonico, in forme diverse, ma dicendo più o meno le identiche cose. Ma per gli egiziani “ti ho generato” era inteso materialmente (in quanto il faraone era un essere divino, vero figlio delle divinità), invece in Israele si preservava la trascendenza assoluta di Dio e il sovrano non fu mai una divinità in terra. Versetto 8. “Ti darò in possesso le genti e in dominio i confini della terra”: fa parte della retorica di corte, perché il re di Israele aveva, nel momento più glorioso del regno unito, che abbracciava tutta la Palestina con Salomone, una estensione simile alla nostra Calabria, ben lontano da tutta la terra. Abbiamo a che fare con uno stile encomiastico, enfatico. Questo Salmo sarà applicato a Cristo da Paolo quando parla ad Antiochia di Pisidia (Atti 13, 32-33), ma in questo caso la generazione di cui parla il testo è vista come una vera e propria generazione divina, in quanto il Nuovo Testamento proclama spesso Cristo quale Figlio di Dio.
Isaia 9, 1-6 diceva del Messia qualcosa di analogo al Salmo 2. Spesso si fraintende il profetismo biblico, che quasi mai è un vaticinio del futuro più remoto, ma è una interpretazione del presente. Isaia qui ha a che fare con un re della storia allora attuale:
“1 Il popolo che camminava nelle tenebre
vide una grande luce;
su coloro che abitavano in terra tenebrosa
una luce rifulse.
2 Hai moltiplicato la gioia,
hai aumentato la letizia.
Gioiscono davanti a te
come si gioisce quando si miete
e come si gioisce quando si spartisce la preda.
3 Poiché il giogo che gli pesava
e la sbarra sulle sue spalle,
il bastone del suo aguzzino
tu hai spezzato come al tempo di Madian.
4 Poiché ogni calzatura di soldato nella mischia
e ogni mantello macchiato di sangue
sarà bruciato,
sarà esca del fuoco.
5 Poiché un bambino è nato per noi,
è stato dato un figlio per noi.
Sulle sue spalle è il segno della sovranità
ed è chiamato:
Consigliere ammirabile, Dio potente,
Padre per sempre, Principe della pace;
6 grande sarà il suo dominio
e la pace non avrà fine
sul trono di Davide e sul regno,
che egli viene a consolidare e rafforzare
con il diritto e la giustizia, ora e sempre;
questo farà lo zelo del Signore degli eserciti”.
Isaia profetizza un Messia vittorioso, politico, regale, molto diverso da quello di Isaia 53 (Servo sofferente), parte del libro redatta da un altro autore (detto Secondo Isaia). Probabilmente qui Isaia 9 sta parlando di un personaggio del suo tempo, il figlio del re Acaz, cioè Ezechia, che è un re giusto (vd. capitolo 8), uno dei pochi re giusti di Israele. In lui Isaia 9 rintraccia la figura del Messia.
Versetto 1. Il riferimento alla luce allude sia alla creazione sia alla teofania: Dio quando creò il mondo fece anche la luce ma la luce è anche un segno della manifestazione biblica di Dio nella storia (la nube luminosa). Quindi creazione e teofania sono i due argomenti principali della Bibbia ed essi, richiamati all’inizio del capitolo 9 che parla del Messia, è come se presentassero questa figura quale fulcro dell’opera divina nella storia dell’uomo. V. 2. La mietitura e lo spartire la preda sono i due estremi (merismo) nei quali si svolge la vita dell’uomo (l’attività agricola in pace e le operazioni militari in guerra), quindi richiamano tutta la vita umana, la quale si apre alla gioia piena mediante il Messia. V. 3. Il verbo tradotto con “hai spezzato” sarebbe meglio renderlo con “hai fracassato”, essendo una parola onomatopeica, in ebraico hachittot. V. 5. “Per noi”, ripetuto due volte, è nell’originale ebraico la-nu ed è un gioco di parole che fa pensare a Emmanuel, Dio-con-noi, il Messia. Invece i quattro titoli sono molto pregnanti: Consigliere ammirabile richiama la politica interna (“ammirabile” è usato da Isaia solo per Dio); Dio potente vuole presagire che il Messia è potente perché investito di autorità divina e l’aggettivo “potente”, gibbor, vuole dire anche “generale” e allora allude alla politica estera; Padre per sempre in quanto in Oriente il re viene detto “padre”; Principe della pace perché nella Palestina antica i re non venivano detti così (titolo che spetta solo a Dio) bensì si usa “principe”, sar.
Dio conferisce tre doni: al versetto 3 c’è la LIBERTA’ (si distruggono tre simboli dell’oppressione: giogo, bastone, sbarre); al versetto 4 c’è la PACE (con una immagine impressionante abbiamo un campo con una pira che brucia le calzature militari); al versetto 5 c’è l’ultimo dono, il BAMBINO (Messia), che ha molti titoli regali (sappiamo che i re di allora cambiavano il nome, per esempio in Egitto i faraoni ne avevano una decina).
Anche in Qumran la setta degli esseni aspettava un Messia politico (o due Messia), ma con una aggiunta, infatti questo personaggio avrebbe incarnato, oltre alla funzione regale, anche quella sacerdotale. Gli esseni aspettavano un sommo sacerdote anche con caratteri trionfanti terreni. Si profetizza, infatti, un Messia sacerdotale che avrebbe benedetto il pane e il vino.
Il filosofo greco Platone nella Repubblica scriveva: “Vuoi sapere chi è un uomo giusto e quale sarà il suo destino? Egli sarà torturato … e impalato”. Già i pagani avevano intuito che i giusti devono soffrire. Ma perché anche il Messia deve soffrire se è venuto per trionfare e salvare? Come si può accettare la sofferenza del giusto per eccellenza? Infatti il Corano (sura 4) rifiuta chiaramente che Gesù abbia sofferto e sia stato condannato alla crocifissione, così come alcuni vangeli apocrifi, come quello di Barnaba, che dice che è Giuda ad essere arrestato per tradimento e Gesù viene assunto in Cielo. Persino Gesù stesso non capì del tutto la sua sofferenza, ma decise di arrendersi alla volontà di Dio Padre. Gesù è Dio, come il Padre, ma è anche vero uomo, eccetto il peccato, ed era la sua umanità che si ribellava e stentava a capire il progetto del Padre, esattamente come fa ogni uomo di ieri e di oggi.
In un midrash il pio ebreo chiede a Dio: “Quando ci salverai? E Dio risponde: Quando sarete sprofondati nel male, allora vi salverò”. Dio stesso, Cristo, l’Uomo-Dio, sprofonda nell’abisso insensato della morte e della sofferenza e così salva il mondo intero, non solo gli ebrei, in quanto Cristo è il Salvatore del mondo (Giovanni 4). Gesù assume su di sé i frutti del peccato (sofferenza, morte) per espiarli a posto nostro e quindi liberarci definitamente dal potere delle tenebre. Cristo non vuole schiacciare i nemici ma vuole salvarli a patto che si convertano e si decidano per Dio.
Bibliografia
Jossa, Gesù Messia? Un dilemma storico, Roma 2006;
- Klausner, The Messianic Idea in Israel from Its Beginning to the Completion of the Mishnah, Londra 1956;
- Neusner, W. S. Green, E. Frerichs, Judaisms and their Messiahs at the Turn of the Christian Era, Cambridge 1987.
Marco Calzoli è nato a Todi (Pg) il 26.06.1983. Ha conseguito la laurea in Lettere, indirizzo classico, all’Università degli Studi di Perugia nel 2006. Conosce molte lingue antiche e moderne, tra le quali lingue classiche, sanscrito, ittita, lingue semitiche, egiziano antico, cinese. Cultore della psicologia e delle neuroscienze, è esperto in criminologia con formazione accreditata. Ideatore di un interessante approccio psicologico denominato Dimensione Depressiva (sperimentato per opera di un Istituto di psicologia applicata dell’Umbria nel 2011). Ha conseguito il Master in Scienze Integrative Applicate (Edizione 2020) presso Real Way of Life – Association for Integrative Sciences. Ha conseguito il Diploma Superiore biennale di Filosofia Orientale e Interculturale presso la Scuola Superiore di Filosofia Orientale e Comparativa – Istituto di Scienze dell’Uomo nel 2022. Ha dato alle stampe con varie Case Editrici 50 libri di poesie, di filosofia, di psicologia, di scienze umane, di antropologia. Ha pubblicato anche molti articoli. Da anni è collaboratore culturale di riviste cartacee, riviste digitali, importanti siti web.