” GRAZIA DELEDDA ” – PROF.SSA GABRIELLA TORITTO
Redazione- Nasce a Nuoro nel 1871 in una famiglia benestante, numerosa, dalle caratteristiche tipiche della borghesia paesana, “tra il patriarcale e il selvaggio, che non appartiene né alla borghesia né al popolo né alla nobiltà”, una “casta a sé”, proprietari terrieri senza lusso, vicini alla modernità, per quanto l’isola periferica del Regno d’Italia potesse allora esserlo.
Il padre si interessa di poesia. Compone in vernacolo. Fonda una tipografia e stampa una rivista. È imprenditore e possidente, nonché laureato in legge, sebbene non eserciti la professione. Si occupa invece di commercio e di agricoltura. Diviene anche sindaco della città di Nuoro.
Dopo aver frequentato le scuole elementari fino alla classe quarta, Grazia è seguita privatamente dal professore Pietro Ganga, docente di lettere italiane, latine, greche, poliglotta, conoscitore del francese, tedesco, portoghese e spagnolo.
Ganga le impartisce lezioni di base sia in italiano, sia in latino, sia in francese. Poi la giovane scrittrice prosegue la sua formazione totalmente da autodidatta nonostante debba affrontare molti ostacoli culturali, ben rappresentati nelle sue opere, soprattutto in Cosima, rimasta incompiuta.
Diviene amica dello scrittore, archivista, Enrico Costa, determinante nella formazione letteraria della scrittrice. Il sassarese Costa, per primo, ne intuisce il talento.
Per un lungo periodo Grazia Deledda scambia delle lettere con lo scrittore calabrese Giovanni De Nava, il quale si complimenta con la giovane sarda per il talento che la caratterizza e distingue.
Le missive, intercorse fra i due, si trasformano presto in lettere d’amore attraverso cui ha luogo uno scambio di dolci poesie. Più tardi l’epistolario amoroso si interrompe poiché Giovanni per un lungo periodo non risponde più all’amata.
Nel tempo la famiglia Deledda è colpita da varie disgrazie. Il fratello maggiore di Grazia, Santus, abbandona gli studi e diviene alcolizzato; il più giovane, Andrea, è arrestato per furti. Qualche anno più tardi muore anche la sorella Vincenza. Alla morte del padre, stroncato da una crisi cardiaca, la famiglia affronta anche serie difficoltà economiche.
Nel 1888 Grazia invia alcuni racconti, “Sangue sardo” e “Remigia Helder”, ad una rivista di moda romana, sulla quale è pubblicato a puntate anche il romanzo “Memorie di Fernanda”.
Con lo pseudonimo Ilia de Saint Ismail nel 1890 fa pubblicare a puntate, sul quotidiano di Cagliari, “L’avvenire della Sardegna” e il romanzo “Stella d’Oriente”. Mentre a Milano, presso l’editore Trevisini, pubblica “Nell’azzurro”, un libro di novelle per l’infanzia.
Nel 1895 con “Anime oneste” l’artista incontra il consenso di letterati come Angelo de Gubernatis e Bonghi. Quest’ultimo scrive una sua prefazione per la pubblicazione del romanzo.
Frattanto la poetessa e scrittrice collabora con riviste sarde e continentali: “La Sardegna”, “Piccola rivista” e “Nuova Antologia”.
Su Rivista delle Tradizioni Popolari Italiane, diretta da Angelo de Gubernatis, pubblica a puntate il saggio “Tradizioni popolari di Nuoro”, introdotto da una citazione dello scrittore Leon Tolstoj, prima espressione documentata dell’interesse che la scrittrice nutre per la letteratura russa.
Seguono romanzi e racconti di argomento isolano. Nel 1896 Luigi Capuana, che sa apprezzarla moltissimo, recensisce favorevolmente il romanzo “La via del male”. Nel 1897 è pubblicata da Speirani una raccolta di poesie: “Paesaggi sardi”.
A Cagliari, dove si trasferisce, conosce nel 1899 Palmiro Madesani, un funzionario del Ministero delle Finanze che sposa agli inizi del 1900. Il marito è originario del modenese e lascia il lavoro di funzionario ministeriale per dedicarsi all’attività di agente letterario della moglie. Nello stesso anno la coppia si trasferisce a Roma, dove conduce una vita riservata. Dalla loro unione nascono due figli: Franz e Sardus.
Grazia Deledda è molto apprezzata dagli scrittori del suo tempo come Giovanni Verga, Antonio Baldini, Enrico Thovez, Emilio Cecchi, Pietro Pancrazi. È anche riconosciuta e stimata all’estero: David Herbert Lawrence scrive la prefazione della traduzione in inglese di “La madre”.
Grazia Deledda è anche traduttrice. Infatti sua è la versione in lingua italiana di “Eugenie Grandet” di Honoré de Balzac.
È la prima donna a cui il 10 novembre 1927 viene conferito il Nobel per la Letteratura, premio che l’anno precedente nessun candidato aveva vinto per mancanza di requisiti. Si tratta di un grande riconoscimento «per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano».
La scrittrice accoglie la notizia con l’umiltà e la semplicità che la contraddistinguono. In un’intervista a Il Messaggero rivela: “Da qualche giorno non ho più requie. Sono letteralmente assediata da giornalisti italiani e stranieri, da lettere […] e a complicare le cose si sono messi anche i fotografi, non so come difendermi. […] Sì, mi fa molto piacere, oltre che per me, per l’Italia e la Sardegna. […] Continuerò a lavorare come prima. Nulla sarà mutato”.
Alcuni giorni dopo il riconoscimento mondiale anche Mussolini vuole incontrarla per congratularsi personalmente con lei. Circa dieci anni dopo, purtroppo, nel 1936, prematuramente un tumore al seno la spegne per sempre, lasciando incompiuta la sua ultima opera “Cosima, quasi Grazia”, romanzo a carattere autobiografico che sottolinea lo stretto legame dell’opera con le vicende personali dell’esistenza della scrittrice. L’opera è pubblicata nel settembre dello stesso anno sulla rivista Nuova Antologia, a cura di Antonio Baldini. Nel 1937 viene edita col titolo “Cosima” grazie alle edizioni Treves.
Le spoglie di Grazia Deledda dapprima sono tumulate a Roma, nel Verano, poi, nel 1959, per volontà dei familiari, sono traslate a Nuoro, città natale. Da allora sono custodite in un sarcofago di granito nero levigato, nella piccola chiesa della Madonna della Solitudine, all’ombra del monte Ortobene, “cantato” in uno dei suoi ultimi lavori.
La casa natale della scrittrice e poetessa, nel rione Santu Predu del centro storico di Nuoro, oggi è adibita a museo.
“Il mare: il grande mistero, la landa di cespugli azzurri; con a riva una siepe di biancospini fioriti; il deserto che la rondine sognava di trasvolare verso le meravigliose regioni del Continente. Se non altro ella avrebbe voluto restare lì, sullo spalto dei macigni, come la castellana nel solitario maniero, a guardare l’orizzonte in attesa che una vela vi apparisse con i segni della speranza, o sulla riva balzasse, vestito dei colori del mare, il principe dell’amore.”
Il 1900 è l’anno determinante per la vita artistica di Grazia Deledda. La scrittrice e poetessa compie il salto, sospirato, sognato e descritto in “Cosima”. Il 1900 sancisce l’inaugurazione di un nuovo secolo, ma anche una nuova vita per Grazia Deledda, che dopo il matrimonio raggiunge “le meravigliose regioni del Continente” trasferendosi immediatamente e definitivamente a Roma, meta del suo sogno letterario, all’inseguimento della fama e del riconoscimento nella società letteraria nazionale.
Grazia vive tra due poli: da una parte, all’orizzonte, il continente, Roma, la vita dedicata ufficialmente e interamente alla scrittura ed al riconoscimento; dall’altra la Sardegna, terra d’origine, che la scrittrice non smette mai di raccontare.
Sin dall’infanzia è una lettrice appassionata, avida di storie che le permettono di sondare e conoscere sentimenti ed emozioni e che proteggono da un’infelicità senza desideri, da una sensibilità malinconica che fin da bambina la contraddistingue e che darà forma ai suoi racconti. Molti dei personaggi delle sue storie sono attinti da quei racconti orali che in “Cosima” sono narrati alla giovane protagonista dai servi: storie di pietà religiosa, di quotidianità e di intimità delicata ma anche storie di banditi, emarginati, anime perse sulla “via del male”.
Continuerà per tutta la sua carriera letteraria a raccontare le verità più intime dell’essere umano perché, come afferma in “Cosima”: “Io racconto di uomini e di donne”.
Le prime novelle trattano storie d’amore e descrivono in modo spietato l’ipocrisia e l’arretratezza della realtà nuorese, provocando naturalmente critiche e giudizi negativi da parte dei suoi concittadini. Questi l’accusano di scrivere menzogne e calunnie.
Nonostante tanta ostilità subita, Grazia non reciderà mai totalmente il legame con l’isola nativa e non smetterà mai di porre al centro delle proprie storie quella Sardegna barbara, portatrice però di un significato arcaico, testimoniando così la capacità di rimanere fedele, uguale a se stessa, coerente e imperturbabile nel tempo.
FONTI:
Grazia Deledda, Canne al vento, Mondadori, 2015
Grazia Deledda, Romanzi e novelle, Mondadori
Grazia Deledda, Cosima, Mondadori, 1998
Luciano Marrocu, Deledda. Una vita come un romanzo, Donzelli, 2016
F.to Gabriella Toritto