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LA TUBERCOLOSI: UNA LUNGA STORIA-DOTT.RE REMO BARNABEI(PRIMA PARTE)

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Redazione-La Tubercolosi è una malattia infettiva contagiosa dovuta al batterio Mycobacterium tuberculosis; la infezione dura tutta la vita dell’ospite e determina la formazione di lesioni dette tubercoli nei polmoni ed in altre parti del corpo (rene, ossa, meningi etc.).

La Tubercolosi ha una lunga storia, almeno quanto quella del genere umano …

Per comprendere le origini della Tubercolosi è importante sapere che la Tubercolosi (nell’uomo ed in altri animali) può essere causata da diverse specie di micobatteri appartenenti al genere Mycobacterium. Mycobacterium tubercolosis provoca la maggior parte dei casi di Tubercolosi nell’uomo. Mycobacterium bovis causa la Tubercolosi bovina ed è responsabile di alcuni casi di Tubercolosi umana; anche il Mycobacterium africanum Mycobacterium canetti possono causare Tubercolosi nell’uomo. Mycobacterium. microti, Mycobacterium caprae e Mycobacterium pinnipedii provocano la malattia in altre specie animali. Questi batteri costituiscono un raggruppamento detto Mycobacterium tubercolosis complex. Si ritiene che i batteri del genere Mycobacterium siano comparsi più di 150 milioni di anni fa, il Mycobacterium tubercolosis è una specie più giovane probabilmente comparsa 150.000 anni fa. Le prime tracce della Tubercolosi sono state trovate da Bruce Rothscild e dai suoi colleghi in un osso della zampa di un bisonte del Nord America (Wyoming) risalente (con la datazione effettuata con il Carbonio) a circa 18.000 anni fa; l’analisi del DNA indicava la presenza di batteri del genere Mycobacterium tubercolosis complex. Tracce di Tubercolosi sono state nel Nord America ed in Asia nei Mastodonti, ancestori degli elefanti moderni, estintisi circa 11.000 anni fa; la Tubercolosi potrebbe aver contribuito alla loro estinzione. Le prime tracce sicure di Tubercolosi nell’uomo sono state trovate nei resti dello scheletro di una madre e del suo bambino rinvenuti in un sito preistorico sommerso chiamato Atlit-Yam, posto lungo la costa mediterranea dello Stato di Israele, a circa 200-400 m dalla linea di spiaggia e ad una profondità variabile tra gli 8 e i 12 m sotto il livello del mare. La coppia viveva in un villaggio del periodo Neolitico risalente a 8.000-9.000 anni fa, uno dei primi insediamenti in cui si allevavano animali e veniva praticata l’agricoltura. Sia la madre che il bambino presentano lesioni suggestive di tubercolosi nello scheletro e usando tecniche estremamente sofisticate e specifiche i ricercatori hanno riscontrato nelle costole, nelle braccia e nelle ossa lunghe di entrambi DNA batterico di Mycobacterium tubercolosis.

La scoperta di ossa con deformazioni riferibili alla infezione da Mycobacterium in vari siti del Neolitico in Italia, Danimarca e in regioni del Medio Oriente fa supporre che lo “spread” della Tubercolosi nel mondo si sia avuto circa 4.000 anni fa. Si ritiene che batteri del genere Mycobacterium, inizialmente viventi, come altri Actinomycetes, nel suolo, si siano evolute per vivere nei Mammiferi. L’addomesticamento dei bovini sembra risalga a 10.000-25.000 anni fa potrebbe aver favorito il passaggio di Mycobacterium patogeni dai bovini all’uomo. Si ritiene che Mycobacterium bovis, che provoca una malattia simil-tubercolosi nei bovini, sia il precursore di Mycobacterium tubercolosis.

La Tubercolosi era una malattia comune nell’antico Egitto; DNA di Micobatteri è stato ritrovato in uno scheletro risalente a 5.400 anni fa. In uno studio su 85 mummie trovate nei siti archeologici di Tebe e datate tra il 2050 ed il 500 a.C., si è riusciti a tipizzare i diversi Mycobatteri presenti. Oltre alle tracce di DNA, in alcune mummie egiziane del 2.400 a.C. sono state osservate lesioni dello scheletro caratteristiche della Tubercolosi ossea (morbo di Pott). Lesioni caratteristiche della spondilite tubercolare sono state riscontrate in una mummia di bambino peruviano risalente allo stesso periodo: la Tubercolosi era quindi presente nel Sud America ancor prima della colonizzazione europea. Fig. 1 e 2. L’ articolo pubblicato sull’ International Journal of Tuberculosis and Lung Disease dal titolo: “The origins and precolonial epidemiology of tuberculosis in the Americas: can we figure them out?” spiega che le Americhe furono popolate da migrant asiatici in due più importanti migrazioni: la prima intorno a 20.000 anni fa e l’altra intorno ai 12.000-11.000 anni fa. La Tubercolosi, quindi colonizzò le Americhe attraverso queste ondate migratorie persistendo a bassi livelli di endemicità in piccoli, dispersi gruppi di popolazioni. A partire da 1.500 anni fa iniziò una epidemia di Tubercolosi a partire probabilmente dalla regione delle Ande; questa epidemia durò poco tempo ed era finita prima dell’arrivo dei colonizzatori europei, lasciando una popolazione autoctona suscettibile alla reinfezione da Micobatteri “europei”.

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Fig. 1: A. Mummia di un neonato maschio risalente al 1250-500 a.C. circa; dopo l’apertura della parete toracica sottili aderenze della pleura del polmone indicavano una infezione tubercolare.

B. Omero destro da una mummia risalente al 2050-500 a.C. circa; l’osso mostra alterazioni morfologiche probabilmente dovute ad infiammazioni aspecifiche; alla estremità distale sono visibili una neoformazione di osso e una lesione fistolare (freccia).

C:\Users\Remo\Desktop\nerio\nascaboymummy.png C:\Users\Remo\Desktop\nerio\Pott' disease in mummy.png Da campioni ottenuti da tessuti molli o da ossa la tecnica Polimerase Chain Reaction ha dimostrato presenza del DNA di Micobatteri (M. tuberculosis, M. bovis, M. africanum

Fig. 2: spondilite tubercolare (morbo di Pott) in mummia egiziana (a sinistra) e in mummia peruviana (a destra)

L’Africa è stata la culla e la madre della specie umana e del suo inseparabile compagno di viaggio: il Mycobacterium tubercolosis. Tracce di leptomeningite tubercolare sono state riscontrate su ossa craniche di Homo erectus risalenti a circa 500.000 anni a. C. (Fig. 3).

Fig. 3: Migrazione dell’Homo erectus dal centro-Africa verso aree più calde.

La suscettibilità alla infezione tubercolare sarebbe dovuta ai modesti valori di Vitamina D presenti negli esseri umani adattati ai climi tropicali e poi successivamente migrati in regioni più fredde, come dall’ Africa centrale alla odierna Turchia nel caso dell’Homo erectus. La vitamina D permetterebbe infatti la attivazione dei Linfociti T (gli organizzatori delle difese immunitarie) potenziando le difese contro Mycobacterium tubercolosis. (Von Essen MR et Al., Vitamini D controls T cell antigen receptor signaling and activation of Human T cells. Nat. Immunol. 2010; 11: 344-9).

La tubercolosi agisce e si propaga per secoli; ci sono tracce abbastanza sicure del suo passaggio.

La malattia è stata conosciuta nelle varie epoche storiche con varie denominazioni: “consunzione”,consumptione (latino), “tisi” da “phthisis” (parola greca per consunzione), yoksma (India),chaky oncay (inca), “mal sottile”, “scrofula”(negli adulti), che colpiva il sistema linfatico e provocava il gonfiore delle ghiandole del collo, “malattia del deperimento”, “peste bianca” poiché le vittime avevano un aspetto pallido, “male del re”, perché era credenza popolare che il tocco di un re potesse curare la scrofula e “malattia di Pott” o “gobba” per la tubercolosi ossea. Ovviamente la causa della tubercolosi era sconosciuta, ma i suoi sintomi devastanti erano sufficientemente noti. La tubercolosi era una malattia abbastanza diffusa nell’ antico Egitto, sembra probabile che Akhenaten e sua moglie Nefertiti morirono entrambi di tubercolosi, e alcune prove indicano che esistevano in Egitto, già nel 1500 a.C. ospedali per la tubercolosi. I Papiri di Ebers, un importante trattato di medicina egizia del 1550 a.C., descrivono una tubercolosi polmonare associata a linfonodi cervicali. Si raccomandava di curarla con l’incisione chirurgica della cisti e l’applicazione di un miscuglio di acacia seyal, piselli,

frutti, sangue di animali e di insetti, miele e sale. La prima descrizione dei sintomi riferibili alla Tubercolosi si trova in un testo cinese di 4.000 anni fa, descrive una sorta di “febbre polmonare” e una “tosse polmonare”. Altri documenti scritti che descrivono la malattia risalgono a 3.300 anni fa e a 2.300 anni fa, trovati rispettivamente in India e in Cina. Altri documenti scritti relativi alla Tubercolosi sono connessi all’ Ebraismo; il termine dell’ebraico antico “schachepheth” (consunzione) si trova nei testi biblici del Deuteronomio e del Levitico.

“ecco che cosa farò a voi a mia volta: manderò contro di voi il terrore, la consunzione e la febbre, che vi faranno languire gli occhi e vi consumeranno la vita.”

Levitico 26: 16.

 “Il Signore ti colpirà con la consunzione, con la febbre, con l’infiammazione, con l’arsura, con la siccità, il carbonchio e la ruggine, che ti perseguiteranno finché tu non sia perito”

Deuteronomio 28: 22.

Gli antichi Greci conoscevano bene la malattia, che chiamavano “phtisis”. Ippocrate Ippocrate di Coo (Coo, 460 a.C. circa – Larissa, 377 a.C) ha descritto la phtisis come una malattia mortale specialmente nei giovani adulti, ha definito i suoi sintomi e le lesioni tubercolari caratteristiche a livello dei polmoni. Sorprendenti le scoperte dei primi scienziati greci: Isocrate (IV secolo a.C.) per primo ipotizza che la Tubercolosi sia una malattia infettiva e Aristotele suggerisce la natura contagiosa della scrofola nei maiali e nei bovini. In epoca romana la malattia viene descritta da Cornelio Celso, Areteo di Cappadocia e Celio Aureliano, ma gli autori dell’età classica non arrivarono a comprendere che anche la scrofola3, il morbo di Pott, il lupus tubercolare, tutte manifestazioni extrapolmonari della malattia, fossero da ascrivere ad un unico agente morboso. In quello che viene considerato il primo trattato completo di medicina in latino: il “De Re Medica” di Aulo Cornelio Celso (in latino: Aulus Cornelius Celsus; 14 a.C. circa – 37 d.C. circa), rimasto pressoché ignoto durante il Medioevo e riscoperto tra il 1425 e il 1427 e pubblicato a stampa per la prima volta nel 1478 (Fig. 4), viene citata la frase “…ex hoc febricula levis fit, quae etiam quievit tamen repetit; frequens tussis est….” cioè “da questa (malattia) deriva una febbricola, che anche se si spegne facilmente, tuttavia subito dopo riprende vigore; la tosse poi è frequente in questi malati…”. Quindi la tubercolosi viene inquadrata come malattia già intorno primo secolo d.C. Tra i medici bizantini Alessandro di Tralles, Ezio di Amida e Paolo di Egina, descrivono nei loro trattati le forme polmonari e a quelle ghiandolari (scrofola) della tubercolosi. Secondo il famoso Galeno, che divenne medico personale dell’imperatore Marco Aurelio nel 174 d.C. i sintomi della Tubercolosi sono: febbre, sudore, tosse ed espettorato venato di sangue e raccomanda come terapia aria fresca, latte e viaggi in mare. La Tubercolosi comunque, secondo il medico greco, era una malattia incurabile e contagiosa.
Tra gli Arabi, Avicenna parla della tubercolosi come di una malattia ”ulcerosa, escavante e consuntiva”, ed esprime il sospetto che la tisi sia una malattia contagiosa.

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Fig. 4: il “De Re Medica” di Aulo Cornelio Celso

Non si hanno dati certi sulla epidemiologia della Tubercolosi fino al XIX secolo, sappiamo invece che la sua forma linfo-adenitica, la Scrofola, doveva avere una frequenza di comparsa molto elevata. La scrofola, malattia di natura tubercolare caratterizzata da ingrossamenti ghiandolari tendenti alla suppurazione, colpiva e colpì fino a tempi abbastanza recenti soprattutto la popolazione infantile. Conosciuta fin dall’antichità come malattia affine alla tisi polmonare, essa venne curata per secoli con il rito della “toccatura” effettuata dalla mano del re. Per questo motivo la scrofola venne chiamata “morbo regio“. Le assegnò questo nome Gilbertus Anglicus che aveva studiato a Salerno tra il 1180 e il 1190, abbandonando successivamente gli studi Salernitani per seguire Riccardo Cuor di Leone nella Crociata. Nel capitolo “De scrofolis et glandulis” del suo Compendium Medicinae egli scrive “morbus regius quia reges hunc morbum curant”. La scrofola era anche chiamata “the King’s Evil” (“il male del re” in inglese). Si pensava che i sovrani avessero ereditato tale capacità grazie alla loro discendenza da Edoardo il Confessore, re inglese dal 1042 al 1066, che, in base a talune leggende, lo aveva ereditato da San Remigio. L’ultimo esempio di pubblico “tocco” della scrofola fu il 31 maggio 1825 ad opera di Carlo X, tra la generale incredulità e derisione. Tillemont (Parigi, 1849), così descrive la cerimonia nella vita di S. Luigi Re di Francia: ”Il Re dopo essersi preparato con digiuni e preghiere, dopo essersi accostato al S. Sacramento e avere venerato per tre giorni l’arca di S. Marcolfo a Corvigny, riceveva i malati che sfilavano innanzi a lui. Indi poneva le dita sulla glandola scrofolosa e la benediceva col segno della Santa Croce, pronunziando le parole di Nostro Signore:” Le Roi te touche et Dieu te guerit” (Fig. 5). Nel Regno di Sicilia invece, secondo i dettami della Scuola medica salernitana, la si curava semplicemente con impiastri di fico. Si narra che nel 1775 Luigi XVI, in occasione della sua incoronazione avesse toccato 2400 malati e che nel 1824 l’ultimo dei sovrani di Francia, Carlo X, per celebrare la sua incoronazione, avesse toccato 121 malati, propostigli addirittura da due illustri chirurghi come Alibert e Dupuytren.
Ma se volessimo fare una statistica dei casi di tubercolosi ghiandolare sulla base del numero delle persone “toccate” dai diversi re di Francia da Francesco I (che nel 1528-30 toccò 1806 malati) in poi, non avremmo un quadro reale della epidemiologia di questa manifestazione morbosa, perché l’accorrere dei malati dal re per farsi toccare era viziato in eccesso dal fatto che al “tocco” faceva seguito un’elemosina.

Fig. 5: la imposizione delle mani da parte di Del Re di Francia (Enrico IV) sui malati di scrofola.

Anche in mancanza di dati epidemiologici precisi è nota l’epidemia di tubercolosi in Europa, che probabilmente iniziò nel diciassettesimo secolo e che durò duecento anni; era nota come la Grande Piaga Bianca forse per distinguerla dalla Peste bubbonica (la Morte Nera). Nel 1650 la tubercolosi era la principale causa di morte e morire di tubercolosi era considerato inevitabile. L’alta densità della popolazione e le condizioni sanitarie indigenti che caratterizzavano molte città dell’Europa e del Nord America crearono un ambiente idoneo alla diffusione del morbo. Dal 1600 al 1800 la Tubercolosi causò il 25% di tutte le morti. Data la grande diffusione della malattia venivano tentate pratiche mediche più corrispondenti alle necessità del caso, almeno nella misura che le conoscenze scientifiche dell’epoca lo consentivano. Infatti già Paolo d’Egina, medico bizantino (625-690 dC.) del quale gli Arabi riconoscevano la sua abilità in ginecologia e ostetricia (e ciò gli valse l’appellativo di “al-Tawalīd”, l’Ostetrico) consigliava l’asportazione chirurgica delle ghiandole malate avendo cura di non ledere vasi o nervi di cui la regione del collo è ricca. Invece la Scuola Salernitana, forse perché non all’altezza di proporre delicati interventi chirurgici, preferiva consigliare cure locali a base di bile porcina oppure cataplasmi di fichi.
Il famoso chirurgo della Scuola bolognese Teodorico da Lucca era favorevole alla asportazione chirurgica delle ghiandole scrofolose, ma solo se suppurate, per medicarle poi con albume d’uovo, mentre sconsigliava l’asportazione di quelle non suppurate per la sua pericolosità, a meno che questa non fosse eseguita da mani esperte.
Il famoso chirurgo francese Guy de Chauliac, pur non disdegnando, in ossequio al re, di cui era medico personale, la pratica della “toccatura“ reale, era decisamente favorevole all’asportazione della ghiandola con una incisione “a foglia di mirto”. Bisogna attendere il XVI secolo per avere una chiara definizione della tubercolosi come malattia contagiosa.
Fu Girolamo Fracastoro, padre della “dottrina del contagio”, ad impegnarsi in tal senso. La diffusione di questa notizia creò panico fra la gente che prese a trattare gli scrofolosi e i tisici alla stessa stregua dei lebbrosi. Nel 1699 il consiglio di sanità della repubblica di Lucca dispose la denuncia obbligatoria “delle persone di qualsivoglia sesso e condizione affette da etisia” e nel 1735 dispose l’isolamento e la cura dei tisici, ma ne vietò il ricovero negli ospedali comuni, istituendo luoghi di cura per il loro isolamento. Nel 1753, a Firenze, fu addirittura promulgata una legge che privava quei poveretti di tutti i loro diritti.
Franciscus de La Boe (1614-1672), comunemente noto come Sylvius, nel 1671 descrisse i tubercoli polmonari riconoscendovi la stessa natura delle scrofole e attribuì la tisi alla suppurazione dei tubercoli nel parenchima polmonare, con la formazione delle caverne.
Pott sul finire del XVIII secolo (1779-1782) descrisse la malattia che da lui prese il nome senza però riconoscerne l’esatta eziologia.
Nel 1761 Leopold Auenbrugger col suo trattato sulla percussione “Inventum novum” schiuse nuovi orizzonti alla semeiologia fisica del torace.
Infine nel 1783 Baumes pubblicò il “Traité de la phtisie pulmonaire” che è la summa di tutte le conoscenze sulla tubercolosi fino a lui.
Un particolare fervore di studi sulla tubercolosi si ebbe nel XVII e nel XVIII secolo in Inghilterra a causa dei numerosi casi della malattia presenti su quel territorio e vi contribuirono autori come Willis, Morton, Marten, per citarne solo alcuni. Non vanno dimenticati i notevoli contributi dati da G. B. Morgagni, il quale descrisse le lesioni tubercolari in via di caseificazione.
Nel 1810 Bayle per primo distinse diverse entità anatomo-patologiche, descrivendo la presenza di tubercoli in altri organi diversi dal polmone, parlando della forma diffusa a tutto l’organismo o “tubercolosi miliare” riconoscendo la tubercolosi come malattia generalizzata.
Il XIX secolo fu ricco di dibattiti attorno alla natura del tubercolo e all’inquadramento nosografico della tubercolosi. Mentre il francese Laennec nel 1819 dava un inquadramento nosografico unitario della malattia, per contro il suo avversario Broussais considerava i tubercoli come il risultato di una reazione infiammatoria, perciò non un prodotto specifico.
Louis, supportato da 167 autopsie, dimostrò che i tubercoli erano veramente una produzione specifica, dove l’infiammazione aveva solo un ruolo accessorio. Tuttavia Virchow negò la natura specifica del tubercolo e per l’autorità scientifica che rivestiva e la credibilità che ne derivava, con questa sua presa di posizione ritardò l’accettazione di una concezione unitaria della tubercolosi secondo quanto aveva affermato Laennec. Non mancarono coloro che credettero nel carattere ereditario della malattia, come Linneo (1740), il quale sostenne però anche che la tisi polmonare è causata “da un vero invisibile germe di contagio”.
Giacinto Laennec (1781-1826), sotto l’aspetto diagnostico, perfezionava quel metodo della percussione toracica che era già stato proposto da G. L. Auenbrugger nel 1761 e da G. N. Corvisart nei primi anni dell’800, dividendo il torace in quindici regioni, consentendo una più precisa definizione degli organi toracici e delle loro patologie. Un ulteriore passo in avanti nella semeiotica toracica fu fatto da Laennec quando inventò il metodo dell’auscultazione mediata con lo stetoscopio, affinando ancora di più la semeiologia degli organi toracici.
La convinzione che la tubercolosi fosse una malattia contagiosa trovava sempre maggiori consensi e a Napoli, nel 1782, Domenico Cotugno sollecitò per questo motivo la promulgazione di una legge sanitaria per la profilassi sociale della malattia, ma due anni dopo re Ferdinando di Napoli, che rifiutava l’idea della contagiosità della tisi, revocò alcune delle disposizioni cautelative già fatte approvare da Cotugno.
Fu necessario attendere la seconda metà del XIX secolo per entrare nella fase sperimentale della malattia in modo di poterne capire tutti gli aspetti etiopatogenetici e epidemiologici e Jean Antoine Villemin ne fu il pioniere. Il 5 dicembre 1865 Villemin comunicò all’Accademia di Francia che la tubercolosi è effetto di un agente causale specifico, da lui chiamato ”virus”, con dati sperimentali alla mano. Egli aveva infatti inoculato nel coniglio materiale tubercolare (caseum, escreato, pus linfonodale) di origine umana o animale, ottenendo nell’animale, dopo alcune settimane, lesioni tubercolari, deducendone la specificità della malattia e che essa fosse dovuta ad un agente inoculabile.
Villemin pubblicherà nel 1868 a Parigi il risultato delle sue ricerche in “Etudes sur la tubercolose. Preuves rationelles et expérimetales de sa spécifité e de son inoculabilité”.
In questa sua pubblicazione Villemin aggiunse anche considerazioni di carattere epidemiologico facendo notare che la tubercolosi era più frequente negli agglomerati urbani più affollati e che nelle regioni indenni come la Nuona Zelanda, l’Australia, l’Oceania, essa fosse comparsa con la colonizzazione europea provocando vere e proprie stragi, aprendo così un capitolo nuovo, quello dell’aspetto sociale della malattia. Le conclusioni sperimentali di Villemin furono confermate anche da altri studiosi, come Chaveaux, Klebs e Grancher, ma restava il problema, fino ad allora insoluto, dell’isolamento dell’agente causale non ancora identificato, anche se intuito.
La consapevolezza che la tubercolosi fosse una malattia dipendente anche dalle cattive condizioni ambientali della popolazione e la convinzione che l’aria salso-iodica del mare avesse benefici effetti sull’andamento delle forme ghiandolari tubercolari di tipo scrofoloso, indusse Giuseppe Barellai a fondare a Viareggio il primo ospizio italiano per bambini scrofolosi, nel 1862.
Un notevole passo in vanti nella patogenesi della malattia venne fatto da Jules Parrot, che nel 1878 enunciò la Legge delle adenopatie ilari nella prima infezione, secondo la quale tutte le volte che un ganglio bronchiale è la sede di una lesione tbc. ad essa corrisponde una lesione analoga nel polmone. Soltanto nel 1912 l’austriaco Ghon verrà a parlare del “complesso primario”.
Robert Koch fu colui che riuscì ad isolare il bacillo tubercolare. Egli usò la colorazione con blu di metilene consigliata da Ehrlich, lo identificò, lo isolò e lo coltivò in siero animale; infine lo inoculò in animali da laboratorio riproducendo la malattia, ottenendo un risultato inoppugnabile.
Il 24 marzo 1882 Robert Koch (1843-1910) comunicò alla Società di fisiologia di Berlino la scoperta del Mycobacterium tubercolosis e lo descrisse così ”Sottile, la cui lunghezza è metà-un quarto del diametro di un globulo rosso, molto simile al bacillo della lebbra, ma più affilato”.
La scoperta del M. tubercolosis aprì la nuova prospettiva di un programma basato sull’attenuazione in laboratorio del germe e sulla ricerca nel siero di persone ammalate di quella malattia degli anticorpi che avessero una funzione curativa.

Remo Barnabei

Dirigente Biologo presso la Unità Operativa Complessa Medicina di Laboratorio

Ospedale “S. Salvatore” – L’ Aquila

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