” LA RELIGIONE E IL POTERE ” – DOTT. RE MARCO CALZOLI
Redazione- Nella storia dell’umanità, le idee religiose sono state delle grandi spinte per muovere gli uomini al dovere, al sacrificio. Pensiamo solo a quanto la religione incide nella politica nei paesi fondamentalisti, come quelli islamici, nei quali i testi sacri sono fonte del diritto, così come lo era l’Europa cristiana del Medioevo.
Il mondo esterno altro non è che la esteriorizzazione della nostra anima. Noi pensiamo ma pensando creiamo delle forme nella realtà circostante nelle quali esprimiamo il nostro psichismo sia cosciente sia incosciente. Non per nulla Tommaso d’Aquino commentando Aristotele scriveva che “l’anima è in un certo modo tutto”, anima est quodammodo omnia.
Nelle sue celebri Confessioni Agostino espone il peccato, commesso da ragazzino, di aver rubato delle pere. Sant’Agostino si interroga dopo averle rubate “Mi appropriai infatti di cose che già possedevo in maggior misura e molto miglior qualità; né mi spingeva il desiderio di godere ciò che col furto mi sarei procurato, bensì quello del furto e del peccato in se stessi.” Quella bravata era stata compiuta solo per desiderio di autodistruzione.
Sempre più spesso sentiamo nelle cronache parlare del “branco” che compie cose vergognose e violenze inaudite. Oggi, purtroppo, l’uomo sceglie il male proprio per questo, per annientare se stesso. Riflettendo su questa amara verità, però, emerge il profondo genio di Agostino, che giunge a dire che nel peccato l’uomo ricerca Dio, anche se in senso contrario. Vogliamo riempire un vuoto, cercare una soddisfazione che però solo Dio può darci. Per questo, se guardato bene, il peccato diventa un tentativo, seppur sbagliato, di trovare la pienezza che Agostino chiama l’insaziabile sazietà a cui ogni cuore aspira.
Agostino non si ferma ad analizzare il problema ma ci indica la sua soluzione, che sta nel fare comunità. Cosa intende? Avere il desiderio di un solo cuore ed anima tra di noi, in cui c’è grande attenzione per le persone nella loro unicità, dove si agisce per comprensione e amore, dove si ricerca la verità che è Dio e, dove, c’è armonia e fratellanza.
L’uomo ha un innato istinto gregario e, da adulto, cerca sempre di riproporre quel bisogno di famiglia che aveva più forte da bambino. Ma il desiderio di fare comunità con le persone nasce, prima ancora, dalla unione intima che l’essere umano aveva con Dio prima di incarnarsi su questo pianeta. Noi nasciamo da Dio che è causa efficiente della nostra anima, mentre i genitori sono la causa strumentale.
Le religioni sono dei grandi sistemi che permettono all’uomo di incontrare Dio e gli angeli. Il grande rabbino ucraino Nachman insegnava il hitbodedut, cioè una forma di preghiera (e meditazione) non strutturata con la quale sarebbe possibile incontrare la divinità dalla quale proveniamo e che continua stare in noi, nella nostra anima più profonda. Il cristianesimo si basa sulla santa Messa. I musulmani effettuano la preghiera del venerdì, guidata da un imam.
Il fulcro dell’ebraismo era il sacrificio al Tempio di Gerusalemme, ma, dopo la distruzione ad opera dei romani, con conseguente cessazione del sacerdozio, il sacrificio venne sostituito dalle buone azioni. Il sacerdozio è comunque in potenza nella Mishnà e si aspetta il Messia per la sua restaurazione. Secondo la visione del grande rabbino Kook, ogni ebreo può dare il proprio contributo, anche se piccolo, al popolo ebraico e contribuire alla santificazione della Torà. Il rabbino e il magghid non sono sacerdoti ma nonostante questo costituiscono le due principali guide che gli ebrei hanno avuto lungo la loro storia: il primo è più erudito e svolge il ruolo di interprete della Torà, mentre il magghid è un predicatore itinerante. Invece nelle religioni il sacerdote è colui che presiede al sacrificio.
Il vangelo di Luca presenta spesso la preghiera di Cristo al Padre. Per i cristiani questa preghiera di Cristo ha un valore esemplare. La santa Messa è il rito mediante il quale il sacerdote, che rappresenta Cristo, offre al Padre in sacrificio Gesù, realmente presente nel pane e nel vino, affinché il Padre redima l’umanità. È il sacrificio e la preghiera di Cristo che continuano nella storia fino ai nostri giorni. Pascal diceva che Cristo sta in agonia sino alla fine dei tempi. E i cristiani sono chiamati a unirsi a Cristo, e nel sacrificio e nella preghiera, fino ad essere con lui un solo corpo. E, come con lui abbiamo sofferto, con lui anche risorgeremo nella gloria imperitura. “Quale mirabile cosa è mai il possedere la Croce! Chi la possiede, possiede un tesoro!” (Andrea di Creta).
In Luca Cristo prega talmente profondamente che è nella preghiera che avviene la sua Trasfigurazione: il suo volto cambiò d’aspetto e tutta la persona divenne candida come la luce. Nella Bibbia la luce è il simbolo della divinità. Con il cristianesimo Dio non è più Qadosh, Santo, termine ebraico che indica di per sé la separazione dal mondo dei terrestri, erano dette “sante” anche le prostitute perché vivevano “separate” dalla comunità. Con la rivelazione del Nuovo Testamento Dio si fa vicino e viene ad abitare l’umanità mediante la incarnazione in Cristo. È Dio-con-noi, in ebraico Emmanuel. Filippesi 2, 6-7: Gesù Cristo “era come Dio ma non conservò gelosamente il suo essere uguale a Dio. Rinunziò a tutto: diventò come un servo, fu uomo tra gli uomini e fu considerato come uno di loro”.
Nell’episodio della Trasfigurazione compaiono anche Mosè e Elia: il primo è il simbolo della Torà, il secondo dei Profeti, due parti fondamentali della Bibbia ebraica. Come a dire che in Cristo si ricapitola la storia ebraica in quanto egli è il Messia che era atteso dagli ebrei. Non solo la storia, ma anche la Scrittura, in quanto l’Antico Testamento viene perfezionato dal Nuovo Testamento, che ha come tema esplicito Gesù, il quale era contenuto implicitamente in tutto l’Antico. Cristo, infatti, è il Logos, come scriveva Giovanni, cioè la Parola. È insomma la nuova rivelazione.
Elia in particolar modo era legato agli ultimi tempi: allora Cristo è quell’Elia che doveva venire per instaurare il Regno di Dio. Cristo lo inaugura stipulando la Nuova Alleanza, in greco kainē diathēkē, che perfeziona quella Antica stipulata da Dio con gli ebrei. Nelle lingue semitiche l’aggettivo “nuovo” significa anche “definitivo, ultimo” (per questo i “novissimi” riguardano le realtà ultime della vita umana). Quindi si tratta dell’Ultima Alleanza prima della fine del mondo.
I testi sacri delle varie religioni esprimono in qualche modo la presenza del Dio che si rivela all’uomo. “Quando due siedono e le parole della Torà passano tra loro, la Shekinà sarà tra loro” (Mishnah Avot 3, 3). Gli ebrei basano la propria religione soprattutto sulla Torà, i primi cinque libri della Bibbia (Tanakh): per cercare di decifrare la Torà sono stati scritti importanti commenti, per esempio la Mishnah, la Gemarà, le opere della Cabala (Sefer Zohar, Sefer Yetzirà, la produzione di Luzzatto) oppure il Sefat Emet del Chassidismo, per non parlare dei commenti rabbinici e dei codici della legge ebraica. I cristiani hanno la Bibbia, costituita da Antico Testamento e Nuovo Testamento. I musulmani il Corano.
Pertanto ogni uomo ricerca quel Principio divino e quell’inizio genitoriale e per questo vuole fare comunità. Ma la relazione con le altre persone è problematica per definizione. La volontà di giudicare gli altri compromette seriamente ogni relazione con le persone, come osservava Rogers, e questo avviene sia in famiglia sia sul posto di lavoro, e nelle altre occasioni di socialità. L’invidia, la gelosia, la voglia di prevaricare sugli altri sono altri veleni relazionali che inquinano ogni buon rapporto. Quindi l’uomo da sempre sente l’esigenza di darsi delle regole per vivere tranquillamente l’esigenza di stare con le altre persone.
Le regole sono modi attraverso i quali gli esseri umani limitano parte della propria libertà per viverne il restante in sicurezza e tranquillità. Cicerone scriveva che la multitudo si trasformò in popolus quando si diede le leges, le leggi. Esistono regole di condotta (altrimenti dette norme) che possono essere giuridiche (disciplinate da un organo pubblico, queste hanno un valore ufficiale) oppure non giuridiche (cioè non ufficiali, ma non meno importanti).
Nei rapporti familiari vi sono molte regole non giuridiche, ma accettate da tutti, come quello di volersi bene e di aiutarsi anche nelle piccole cose. Il legame generazionale sta alla base del mondo, che non potrebbe sussistere senza i figli, quindi in famiglia è molto sentito il rispetto delle regole proprio per far quadrare questa relazione così importante. Ricordiamo che in ebraico “figlio” è ben, che deriva da un verbo ebraico che significa “costruire”. Invece “pietra” è ‘even, e i mistici ebrei vi hanno visto un gioco di rimandi con l’espressione ‘av-ben, il rapporto “padre-figlio”.
È vero che c’è un passo del vangelo (Luca 14, 26) nel quale si dice che chi vuole mettersi alla sequela Christi (vuole cioè essere un discepolo di Gesù) deve odiare la famiglia (in greco c’è il verbo misein, che troviamo in italiano in espressioni come “mis-antropo”, colui che “odia (mis-) gli uomini (antropo)”). Ma il greco del Nuovo Testamento va capito sulla base dell’influsso delle lingue semitiche. Gli ebrei che trasmisero l’insegnamento di Cristo e redassero i vangeli, scrivevano in greco ma parlavano lingue semitiche, o comunque avevano la Bibbia in ebraico (una lingua semitica) come riferimento nelle loro menti. Quindi sappiamo che le lingue semitiche di allora erano povere e rudimentali, allora per dire “amare di meno” dicevano “odiare” anziché usare una struttura complessa come il comparativo, ma il senso pertanto non era l’odio ma un mettere al secondo posto rispetto a un valore più alto da preferire. Non solo, ma in ebraico biblico un solo verbo significa sia “odiare” sia “mettere al secondo posto”. Allora, sulla base delle lingue semitiche, il brano evangelico non spinge a odiare i familiari ma a metterli al secondo posto rispetto ad un amore più grande da riservare a Cristo.
Il mondo della società, alla quale ci si affaccia da adulti, si stacca dalle regole non giuridiche e inizia a regolare i rapporti umani sempre più con regole giuridiche, anche se non esclusivamente.
Ogni sistema giuridico è in rapporto con idee e scopi della società. Il governo traduce tali elementi in leggi. La concezione medioevale, fornita dalla cosmologia cristiana, vedeva il punto di vista cristocentrico a dominare le leggi. Chi emanava le leggi però? Questa tematica rientra nel problema del potere originario e in quello che oggi chiamiamo sovranità politica. Sono interrogativi anche più antichi della concezione medioevale. Per cercare di spiegarli ci affidiamo a una grande opera di Ullmann, Principi di governo e politica nel Medioevo, Bologna 1983.
In relazione al Medioevo ci sono due concezioni del problema. La prima è la concezione ascendente del governo e della legge secondo la quale il potere di creare leggi può essere della comunità stessa. L’autorità e il potere ascendono alla base di una piramide. Il popolo per motivi di gestione affida il potere ad organi che rimangono comunque dediti al popolo stesso. La seconda concezione è quella discendente, ovvero la legge discende da un solo organo supremo. Anche qui nella piramide il potere scende in basso ma l’origine questa volta non è il popolo ma una volontà “superiore”: Dio. Non nasce però qui lo schema di rappresentanza ma solo quello di potere delegato (ascendente = rappresentanza. Segno distintivo: voluntas populi; discendente = ufficio. Segno distintivo: voluntas principis. Ufficio sta per qualcosa istituita da Dio stesso). La concezione discendente è anche detta teocratica.
In Europa c’è sempre stato un conflitto tra queste due concezioni, una ha preso il posto dell’altra in ordine cronologico (la tesi popolare, in origine greca e romana, cede il posto alla teocratica, anche se la popolare continua a vivere nei valori). Nel Medioevo domina la teocratica. Mentre la sovranità doveva mantenere questo legame con il divino, il papato lo possedeva in modo intrinseco. Tutto ciò rimane come traccia tutt’oggi.
Per indagare sul tema lo storico deve avere una concezione interna al papa stesso. Il papato è nella storia europea l’organismo con più materiale di indagine, archivi, materiale ufficiale e così via poiché la chiesa aveva la possibilità di archiviare agevolmente.
Il tema ricorrente in tale materiale è quello del primato della chiesa romana. Sia la chiesa sia il corpo venivano considerati come creazioni di un unico atto. Il battesimo era considerato un atto giuridico che permetteva di diventare membri della chiesa (per S. Paolo il battesimo trasformava l’uomo in una “nuova creatura”). Il cristianesimo si impadroniva di tutto l’uomo, ogni sua azione era giudicabile dal divino in base al modello cristiano. La totalità dei cristiani era considerata Corpus Christi che rispondeva anche alla corporazione e ai principi romani. La fede cristiana univa chiesa e diritto romano. La vita terrena era di fondamentale importanza per raggiungere la salvezza. Per la chiesa il singolo membro non aveva proprietà decisionale. Trasformava la dottrina in legge attraverso la potestas. I poteri di Pietro erano illimitati e globali.
La Bibbia dava delle interpretazioni ma rimaneva la difficoltà di stabilire un legame tra S. Pietro e il papa. La determinazione dottrinale del principatus è di Leone I. Se veramente S. Pietro possedeva poteri monarchici questi poteri erano stati passati direttamente al papa (tema emanato nel decreto di Siricio). Fu così che il papato fece il suo ingresso nella storia. Il papa era punto di intersezione tra cielo e terra. L’esercizio delle funzioni del papa doveva essere tenuto al di fuori di qualsiasi merito o demerito personale. Gli atti di governo erano supremi e validi a prescindere dalla condotta del papa. La potestas jurisdictionis riguardava le questioni di giurisdizione. Per essere papa di conseguenza non era necessario essere ordinato o consacrato. Veniva solo successivamente consacrato vescovo perché doveva essere vescovo di Roma. La potestas ordinis riguardava invece questioni sacramentali e poteva essere trasmessa solo attraverso un’ininterrotta successione temporale. Ogni problema di gestione papale era direttamente collegato al legame tra papa e S. Pietro. Nella Bibbia però non c’è testimonianza rispetto alla successione decisa da S. Pietro stesso. Esiste tuttavia un documento, la Epistola Clementis, scritta da papa Clemente I e Giacomo a Gerusalemme che sostengono che S. Pietro abbia dichiarato al popolo romano che Clemente avrebbe potuto scegliere qualsiasi cosa sia meglio per la comunità. La lettera, scritta in greco, venne diffusa in latino da Rufino che parafrasò e accentuò alcuni tratti. Essa continuò ad essere citata come pièce justificative fino al sedicesimo secolo nel concilio di Trento. Nel quinto secolo anche i filosofi contribuiscono alle tesi papali (le dottrine platoniche per esempio).
L’ordinamento gerarchico della società era fondato sugli scritti dello Pseudo-Dionigi l’Areopagita. Il tema principale era principium unitatis che egli trova in Dio e che garantisce l’ordine del mondo. Per lui l’ordine è la dipendenza della categoria inferiore alla superiore (la suprema e Dio). La differenziazione in categorie la chiama gerarchia, da qui la fortuna del termine. Questo sistema, dove ognuno ha il suo compito, produce armonia (Platone lo spiegò con il principio dell’Uno). Il papa non era un membro della chiesa ma aveva una posizione a sé. Aveva pienezza di potere giuridico e divino. Incarnava Dio stesso e è tutt’oggi considerato vicario di Cristo sulla terra. Ogni potere ecclesiastico derivava dal papa. Egli dava il potere al “basso” come se tale potere fosse assolutamente di origine divina. La forma di governo era la monarchia. Si inizia quindi a parlare di monarchia papale.
Il principio dominante del governo papale del Medioevo era quello di auctoritas, originario della costituzione romana, ed esprimeva il concetto di potere di formulare norme vincolanti di azione. Essa era indivisibile e appartenente solo all’uomo (la potestas invece poteva essere divisa in un collegio di più uomini). Il papa aveva anche il controllo del sovrano, giudicando la sua condotta. La grazia aveva unicamente valore giuridico. Il papa poteva incoronare un re anche senza essere ordinato. Nessun re si oppose mai alle decisioni papali poiché parlava per Dio. I documenti papali permettevano alla chiesa di governare. La trasgressione di un documento papale prevedeva il ritiro della gratia espresso nella indignatio, ovvero il contrario della gratia, che è dono divino.
Ma perché esisteva un re, un principe? Egli era esterno alla chiesa! Alcune correnti sostenevano che il compito del principe era lo sradicamento del male. Non era autonomo ma spesso il suo giudizio e quello del papa coincidevano. Egli comunque assisteva il papa. Il papato era a tutti gli effetti un organo legislativo che governava attraverso la legge. Si può dire che si trattasse di una teologia applicata al governo, valido in tutta l’Europa occidentale, meridionale e in parte settentrionale. Nessun altro sistema giuridico aveva la stessa universalità, neppure il diritto romano. Il papa era esterno anche alla chiesa, potere supremo ed emanava leggi verso il basso (ascendente). L’aspetto temporale e non cristiano non avevano assolutamente valore. Le questioni feudali, apparentemente temporali, nascondevano in realtà la concezione di lealtà, che permetteva l’accesso al paradiso. Tutti potevano essere scomunicati per volontà del papa, anche solo per un ritardo nel pagamento delle tasse. A decidere cosa fosse eresia e cosa no era il papa. Se i sacerdoti non riescono a disciplinare la comunità bisogna rivolgersi al terrore. Il principe aveva il dovere di mandare l’eretico al rogo (in caso di rifiuto prevista la scomunica).
Il concetto di stato era spiegabile solo in relazione al papa. Imponeva princìpi a re e principi ma non solo. Erano quest’ultimi a chiedere decreti al papa (una volta emanati non potevano essere respinti se non dal papa). Tali decreti stabilivano la condotta da seguire. Non esisteva possibilità legittima di limitare il potere del papa. L’antitesi anima/corpo non esprimeva solo il contrato tra spirito e materia ma piuttosto esprimeva il concetto di giusto e sbagliato. Venne proposta poi una dualitas di governo re/papa. Tuttavia questo dualismo contraddiceva sia la dottrina paolina ma anche il principio di indivisibilità della dottrina cristiana. I dualisti miravano all’attribuzione di un carattere autonomo del potere temporale. Le questioni temporali sarebbero state risolte dal re, quelle spirituali dal papa (Federico II affermava che l’uomo aveva bisogno di un duplice governo: infatti venne condannato). Il dualismo era quindi considerato anti-papale poiché rifiutava la papale monarchia e cercava di limitarne i poteri.
Per alcuni, se la chiesa era pura spiritualità, non doveva allora avere a che fare con le leggi temporali. Gli ecclesiastici dovevano essere semplicemente amministratori di misteri sacramentali (si cominciò a chiedere anche la povertà apostolica). Tuttavia il punto di vista tradizionale era ancora ben saldo. Federico II e Filippo IV in particolar modo, vollero rendere il papa giudicabile dalla legge e porre loro stessi come sovrani teocratici. Il paradosso di tale volontà fu quello di invertire potere ascendente e discendente. Questo fu impossibile poiché la voluntas del papa era nettamente superiore in quanto non era realmente la sua ma quella di un giudizio Superiore. Il papa poteva appellarsi a parole scritte nella Bibbia. Il re a quali parole? Più efficiente diveniva il potere papale nel tredicesimo secolo più si creava opposizione a quest’ultimo.
Ma la concezione papale, coerente e perfetta, era conforme alla natura umana? Il punto di vista soggettivo in questo periodo prevale sull’oggettivo. Fino al quindicesimo secolo si sviluppò sempre più la concezione secondo la quale il papa dovesse addirittura imitare Cristo (forte connotazione soggettiva che divenne ufficialmente metro di giudizio). Nel ragionamento umano però si fecero spazio i teoremi naturalistici aristotelici. Da allora l’attenzione si sarebbe concentrata sull’Uomo. La “strategia” era trattare allegoricamente alcuni temi. Fino a che, verso la fine del Medioevo, i princìpi papali entrarono in crisi. La richiesta fu quella di riconoscere come unico punto di riferimento dell’uomo la Bibbia e non il papa (la fede era nell’individuo che interpretava la Bibbia). Nel quattordicesimo secolo la disobbedienza al papa era considerata legittima se spinta dalla coscienza. Giudicare il peccato era ormai affare pubblico. Anche il papa poteva sbagliare.
Ullmann poi fa due osservazioni finali. La prima è questa. Se si studia il papato medioevale è inevitabile osservare la forza e la coerenza dei princìpi papali di governo. Le idee venivano prese anche dal diritto romano. L’abbigliamento del papa imitava quello degli imperatori bizantini e inoltre il papa aveva un debito anche letterario con personaggi come Agostino. Altro punto forte il legame tra papa e Pietro. Si trattava di un legame diretto con il divino. La potenza del potere papale stava nel percepire princìpi buoni e assimilarli nel proprio sistema (potremmo dire che erano statisti). Il papato aveva però cosi raccolto i frutti di terreni maturati per opera di altri. Non si può però sottovalutare l’immensa capacità di percepire ed assimilare.
La seconda è questa. E il papato in Oriente? La soluzione è nel rapporto tra storia e cristianesimo. Gli imperatori d’Oriente pretendevano di essere successori degli imperatori romani (carattere storico) e la pretesa del papato si basava invece sulla concezione a-storica del primato del papa su tutti. Per gli imperatori d’Oriente il vero interesse era la storia e il cristianesimo solo una parte di essa. Inoltre vi era l’uso del termine politikon, ovvero, adoperato dall’Oriente e quasi mai dall’Occidente (solo nel tredicesimo secolo). La concezione della storia dell’Oriente creò fin da subito il concetto di politica. Se in Oriente non si fosse nemmeno considerata parte dei giochi politici la concezione cristiana, si sarebbe probabilmente arrivati subito alla concezione di stato laico. Tutto ciò accadde anche in Occidente ma dalla seconda metà del tredicesimo secolo. Il politico assunse una propria sfera, estremamente autonoma. Emerse quindi anche l’idea di cittadino distinto dal cristiano.
L’Impero Romano si spostò definitivamente in Oriente. E i russi ancora oggi si considerano i legittimi successori dell’Impero Romano d’Oriente. Quando vi era lo Zar, questa parola significava Caesar, titolo degli imperatori romani. L’unità spirituale e morale della Penisola e il collegamento con il passato erano ancora possibili grazie al papato e quindi al cristianesimo.
Per mano normanna, negli anni Sessanta del XI secolo l’Impero Romano perse definitivamente i suoi possedimenti in Italia con la caduta di Bari, dove vi era l’ultimo Catepano d’Italia, una sorta di governatore romano della provincia. Con la caduta di Bari, l’Impero Romano ha definitivamente perso il controllo dell’Italia. Solo Manuele Comneno, nel 1155, tenterà di nuovo di mettere piede nella Penisola, senza successo. Il 1071 è un vero annus horribilis per l’Impero. Pochi mesi dopo la caduta di Bari, infatti, si consuma una delle più devastanti e famose sconfitte imperiali: la battaglia di Manzikert contro i turchi.
Marco Calzoli è nato a Todi (Pg) il 26.06.1983. Ha conseguito la laurea in Lettere, indirizzo classico, all’Università degli Studi di Perugia nel 2006. Conosce molte lingue antiche e moderne, tra le quali lingue classiche, sanscrito, ittita, lingue semitiche, egiziano antico, cinese. Cultore della psicologia e delle neuroscienze, è esperto in criminologia. Ideatore di un interessante approccio psicologico denominato Dimensione Depressiva (sperimentato per opera di un Istituto di psicologia applicata dell’Umbria nel 2011). Ha conseguito il Master in Scienze Integrative Applicate (Edizione 2020) presso Real Way of Life – Association for Integrative Sciences. Ha conseguito il Diploma Superiore biennale di Filosofia Orientale e Interculturale presso la Scuola Superiore di Filosofia Orientale e Comparativa – Istituto di Scienze dell’Uomo nel 2022. Ha dato alle stampe con varie Case Editrici 45 libri di poesie, di filosofia, di psicologia, di scienze umane, di antropologia. Ha pubblicato anche molti articoli.