” GIOVANNA D’ARCO ” – PROF.SSA GABRIELLA TORITTO
Redazione- Nel XV secolo la Francia visse uno dei momenti più difficili della sua storia, in cui rifulse la figura di una giovane donna, ingenua ed inerme di fronte alle crudeltà e all’indifferenza di una società in cui purtroppo il genere femminile non riusciva praticamente a trovare aiuti e sostegni di sorta.
La storia drammatica e sorprendente di Giovanna d’Arco è stata sempre associata a una delle rivendicazioni più importanti del regno di Francia, in cui la santa si distinse per sprezzo del pericolo e audacia di fronte a situazioni storiche più grandi di lei, dinanzi alle quali si pose con grande semplicità e profonda convinzione negli ideali che la animarono fino al sacrificio della propria vita.
Comunemente chiamata anche la “pucelle”, Giovanna nacque il 6 gennaio 1412 esattamente a Domremy, nel Barrois francese, ai confini con la Lorena. Fu figlia di modesti contadini; suo padre si chiamava Jacques Darc; sua madre Isabelle Romée. Ebbe tre fratelli: Jacques, Pierre, Jean e una sorella più piccola, Caterina.
Stando alla tradizione a noi pervenuta, assieme ai fratelli era dedita ai lavori manuali e dei campi; non sapeva né leggere, né scrivere ma era animata da una fede molto profonda e fin dall’età di sedici anni (1428) confessò di essere visitata da messaggeri celesti, i quali la esortarono a condurre una vita sempre più pia e le anticiparono che sarebbe riuscita a liberare Orléans dall’assedio degli Inglesi. Tale tradizione, diffusa ben prima della guerra dei Cento Anni, che narrò Giovanna contadina, o meglio “pastora”, era tesa ad attribuire la riscossa del regno di Francia a persone di basso lignaggio, sicché nella fantasia popolare del ‘400 vi fu un fiorire di pastori e pastorelle che su ispirazione divina avrebbero liberato il loro paese invaso dagli Inglesi.
Le ultime ricerche storiche invece avrebbero accertato che Giovanna appartenne ad una famiglia borghese di Vaucouleurs, sicuramente di terra lorenese, impregnata di grande fede cristiana.
Fu oggetto di scherno e riso, specialmente fra le sue compagne, per le estasi e le “voci” di quei messaggeri celesti, che le parlavano: San Michele, Santa Caterina, Santa Margherita.
Sembra che i messaggeri di Dio le narrassero lo stato commiserevole in cui versava la “douce France” e le facessero capire che volontà di Dio fosse la liberazione della sua terra dagli Inglesi, il ripristino del legittimo sovrano, il futuro Carlo VII, delfino di Francia, sul trono e riportasse la giustizia nel suo paese, così come desiderava la moltitudine dei poveri che pullulava per le strade francesi.
Al fine di compiere la missione affidatale, la “pucelle” dovette maturare dentro di sé la convinzione di essere l’“unta” del Signore in modo da liberare la patria dall’usurpatore. Così dinanzi ai gravi sconvolgimenti che si abbatterono sulla Francia e che misero in pericolo gli stessi regnanti ella decise di obbedire alle “voci”.
Fu allora accompagnata da uno zio presso il capitano regio della piazzaforte militare di Vaucouleurs, il quale in un primo momento non le diede credito. Tornata altre volte, il nobile militare Robert de Baudricourt fu colpito dall’estrema convinzione che animava la giovane e dal successo che riscuoteva fra la popolazione e i soldati; quindi la sottopose all’esorcismo di un curato locale prima di darle fiducia e di informare il re Carlo VII.
Il sovrano, già ragguagliato sui sentimenti e sugli intenti della giovane “pucelle”, volle incontrarla, rientrando la fede e l’azione della santa in una volontà di riscossa nazionale in quel momento vitale. Egli però era pur sempre timoroso di cadere vittima di un inganno e di una mistificazione, compromettendo ulteriormente le sorti della guerra.
Il 6 marzo 1429 la diciassettenne Giovanna fu condotta al cospetto del re, il quale ricorse ad uno stratagemma per verificare l’attendibilità della santa. Fece vestire di abiti regali un dignitario al fine di “confondere” la giovane, la quale, sebbene non avesse mai incontrato prima il sovrano, sorprese tutti i presenti quando lo “riconobbe” e si rivolse proprio a lui “travestito”, a colui che aveva voluto deliberatamente tenderle una trappola.
Il sovrano e i dignitari, impressionati dalla scelta di Giovanna, si convinsero della sua buona fede e riconobbero fosse ispirata da una potenza soprannaturale, pertanto affidabile.
Giovanna, che frattanto aveva scritto ai generali inglesi affinché abbandonassero un’impresa già persa, convinse il re ad intraprendere la spedizione. Vestita con un’armatura da guerriero e dotata di uno stendardo bianco, su cui era dipinto Cristo in trono fra gli angeli, il 27 aprile 1429 partì da Blois alla testa di una schiera di soldati. Fu posta accanto al sovrano e al di lui esercito e nello stesso giorno giunsero alla conquista di Orléans.
La vittoria fu improvvisa e il delfino di Francia subito dopo raggiunse la Champagne e Reims, nella cui cattedrale, cara ai Francesi fin dai tempi di Clodoveo, fu incoronato con il nome di Carlo VII. In quell’occasione Giovanna chiese ed ottenne di stare accanto al sovrano, così come lo era stata al momento della marcia, dell’assalto e della vittoria.
A conclusione della cerimonia la santa disse: “Gentil roi, maintenant est fait le plausi de Dieu”. A quel punto avrebbe potuto tornare a Domremy. Così non fu. Volle attaccare Parigi per sconfiggere definitivamente gli Inglesi e i Borgognoni.
Dopo Reims però le sue decisioni iniziarono ad essere ostacolate e il suo decisionismo si scontrò con l’inerzia dell’aristocrazia. Molti erano i nobili e gli alti gradi dell’esercito che non le perdonarono di avere voluto cavalcare, sebbene priva di qualsiasi comando, con l’armatura bianca, la spada e lo stendardo accanto al re e al di lui esercito, così come di avere voluto essere al fianco del sovrano durante l’investitura nella cattedrale di Reims.
Giovanna pagò cara la sua ostinata tenacia, le vittorie riportate (non solo a Orléans, quanto a Jargeau, a Patay) e tutti quegli accadimenti che trasformarono una semplice ragazza in un vero condottiero carismatico, seguito e stimato dagli stessi soldati, affascinati dal suo eroismo e dai modi semplici, diretti e forse un po’ rudi. Ebbe contro quel mondo dei potenti, costellato da gelosie ed intrighi, che iniziò a ostacolarla in tutto. Fu anche ferita durante un attacco militare sotto le mura di Parigi e il sovrano, per cui lei aveva tanto lottato, piuttosto che lasciarla a riposare, la logorò in scaramucce di poco conto, portandola con sé sulla Loira.
Nel maggio del 1430, divenuta grave la situazione di Compiégne, Giovanna si lanciò nuovamente all’attacco. Sperava potesse ripetersi il miracolo di Orléans ma aveva pochi uomini al suo seguito. Le autorità la lasciarono completamente sola.
Il 23 maggio si precipitò sulla città, accompagnata soltanto da 200 Italiani. Quello stesso giorno fu catturata dai Borgognoni e per lei ebbe inizio il triste “peregrinare” da una prigione all’altra: da Beaulieu, a Bearevoir, ad Arras, finché il 24 maggio 1431 Giovanni di Lussemburgo, dietro il pagamento di diecimila tornesi d’oro, la consegnò agli Inglesi che, considerandola strega, le legarono collo, mani e piedi.
Carlo VII non mosse un dito per lei. Così come nulla fece l’arcivescovo di Reims. Ricevette solo disprezzo. Il notevole prezzo pagato dagli Inglesi per catturarla e la solennità con cui fu processata ed imprigionata dimostrarono tuttavia la grande popolarità ormai raggiunta dalla “pucelle” d’Orléans, che dovette sopportare atrocità infinite durante i cinque mesi di prigionia, nonché interrogatori condotti da autorità a lei nemiche.
Il vero processo iniziò nel gennaio del 1431sotto la presidenza del vescovo di Beauvais, Pierre Cauchon, che agiva in nome della corona inglese, affiancato da un esponente dell’Inquisizione. L’intento dei giudici era quello di estorcere da Giovanna la confessione di essersi avvalsa dell’inganno e del sortilegio. Solo così il regno inglese avrebbe potuto sottrarsi agli attacchi ecclesiastici. Giovanna fu accusata di menzogna, superstizione, bestemmia, empietà, idolatria, di indossare abiti maschili e di non volersi sottomettere alla Chiesa di Roma.
Il 24 maggio a St. Ouen le fu imposto di abiurare per avere salva la vita. La santa accettò dichiarando la propria sottomissione alla Chiesa di Roma ma poco dopo ritrattò tutto poiché, disse, era stata ampiamente redarguita dalle “voci” a causa della sottoscrizione di quell’atto di abìuria. Inoltre la giovane nutrì qualche dubbio su ciò che aveva firmato, poiché scritto in latino, lingua che lei non conosceva. E poiché i giudici inquisitori pretendevano che i messaggeri celesti le parlassero in latino piuttosto che in francese, come asseriva Giovanna, fu facile per loro accusarla dell’origine diabolica degli interventi che la “pucelle” riteneva di natura celeste.
Giovanna fu condannata per colpe che non aveva giammai commesso. La sentenza fu l’atto infame di un tempo in cui gli intrighi (soprattutto contro le donne, considerate “streghe”) seminarono zizzania e in cui vittime innocenti ed indifese salirono sul rogo per essere arse vive, in quanto “eretiche”, “fanatiche”.
Il 30 maggio del 1431, dopo essere stata consegnata al boia, la santa abbracciò la croce e salì sul patibolo, posto nella piazza del Mercato Vecchio di Rouen. Fu arsa viva.
Il tribunale ecclesiastico si ritirò e non assistette al patibolo poiché “Ecclesia abhorre a sanguine”.
L’ultima parola che si udì pronunciare da Giovanna fu: “Gesù”.
La sua morte pose in luce la purezza degli ideali che la animarono e lo spessore di una fede solida più della roccia.
Quando di lei non rimase nulla, il cardinale di Winchester ordinò che le ceneri della “maledetta eretica” fossero gettate nella Senna, affinché sparissero quanto prima dalla vista degli astanti.
Diciannove anni dopo, nel 1450, quando Carlo VII rioccupò Reims condannò il processo del 1431. Inoltre papa Callisto, su pressione della madre di Giovanna, autorizzò una commissione papale al fine di procedere alla revisione processuale e al definitivo annullamento di quel procedimento giudiziario per gravi vizi di forma e di sostanza che lo avevano caratterizzato. Giovanna venne riabilitata ma dovettero trascorrere diversi secoli prima che fosse santificata.
In Francia una legge del 10 luglio del 1920 proclamò festa nazionale il giorno dell’anniversario del suo martirio.
Il processo farsa di cui fu vittima e la conseguente condanna morte elevarono Giovanna ad una grandezza morale impari.
La giovane “pucelle” seppe risvegliare lo spirito nazionale francese, ormai spento, con piglio energico, potremmo scrivere leggendario, se non si conoscessero altri casi come quello di Caterina da Siena che indusse il papa ad abbandonare Avignone per fare ritorno a Roma.
Non si dimentichi che in quel periodo, l’Età di Mezzo, il fervore religioso, il misticismo e il profetismo spesso acquisirono un rilevante spessore politico e militare tanto da incidere significativamente nella storia del tempo.
F.to Gabriella Toritto