BENEDETTO XVI : UNA VITA DA “ SEMPLICE E UMILE LAVORATORE NELLA VIGNA DEL SIGNORE ” DI VALTER MARCONE
Redazione- Si è spento all’età di 95 anni al monastero Mater Ecclesiae, dove Ratzinger viveva dal 2013, Benedetto XVI, 265mo Papa della Chiesa cattolica dal 19 aprile 2005 al 28 febbraio 2013. Le sue condizioni si erano aggravate con l’avanzare dell’età.
Ventiquattr’ore prima della morte di Giovanni Paolo II, ricevendo a Subiaco il “Premio San Benedetto” promosso dalla Fondazione sublacense “Vita e famiglia”, aveva ribadito con parole oggi particolarmente eloquenti: “Abbiamo bisogno di uomini come Benedetto da Norcia, che in un tempo di dissipazione e di decadenza, si sprofondò nella solitudine più estrema, riuscendo, dopo tutte le purificazioni che dovette subire, a risalire alla luce. Ritornò e fondò Montecassino, la città sul monte che, con tante rovine, mise insieme le forze dalle quali si formò un mondo nuovo. Così Benedetto, come Abramo, diventò padre di molti popoli”.
In un tempo di dissipazione e di decadenza, si sprofondò nella solitudine più estrema, riuscendo, dopo tutte le purificazioni che dovette subire, a risalire alla luce. La solitudine del Monastero Mater Ecclesiae, è stata la sua ultima compagna, la compagna dei suoi ultimi giorni perchè da essa ha tratto forza e sostegno ma con essa ha potuto , come ha detto il suo successore Francesco, sorreggere la Chiesa. Nel silenzio e nel raccoglimento gli ultimi anni della sua vita hanno segnato anche tappe importanti di lavoro, di riflessione, di studio, di preghiera.
Massimo Franco nel suo libro Il Monastero edito da Solferino,2022, racconta l’evoluzione e poi l’involuzione dell’equilibrio miracoloso tra i «due papi», segnato dalle tensioni e dagli scontri di potere. Sullo sfondo rimane il tema, irrisolto e traumatico, della rinuncia di un papa. Col Monastero che diventa cruciale per decifrare i destini non di uno ma di due pontificati. E dell’intera Chiesa.
Si legge sulla pagina web dell’editore : “ Benedetto XVI, nove anni di papato-ombra.Benedetto XVI, il Papa emerito. Ma soprattutto l’uomo del Monastero: l’ex convento di clausura incastonato in una radura appartata dei Giardini vaticani, dove si è trasferito nel maggio del 2013 dopo l’epocale rinuncia al pontificato. Da allora, la percezione della sua personalità è cambiata. Con quel gesto di Joseph Ratzinger si sono prodotte anomalie a cascata che, dopo nove anni di papato di Francesco, perdurano e condizionano gli equilibri della Chiesa. La prima è proprio la scelta di Benedetto di stabilirsi nel Monastero Mater Ecclesiae: uno dei luoghi più misteriosi e inaccessibili all’ombra della cupola di san Pietro. L’emerito ha avuto la «sfrontatezza» di sopravvivere alle proprie dimissioni, alimentando i dubbi sui veri motivi della decisione. Nessuno, forse nemmeno lui, avrebbe detto che il suo «papato parallelo» sarebbe durato più di quello effettivo, accompagnando fino a oggi il pontefice argentino; né che lo avrebbe affiancato, aiutato e poi, senza volerlo e senza cercarlo, arginato e quasi sfidato, per volontà altrui più che propria. In questi anni l’eremo di Ratzinger si è trasformato da stanza di compensazione delle tensioni nei confronti della «rivoluzione bergogliana» in simbolo di resistenza, stile diverso di papato, perfino opzione dottrinale. È diventato il sensore di ogni vibrazione, di ogni scossa prodottasi a Casa Santa Marta, l’albergo che ospita Francesco e che rappresenta un’anomalia simmetrica.”
Tanto che lo stesso Massimo Franco in una intervista a Francesco Subiaco l’11 maggio 2022 pubblicata su Generazione Liberale dice : Il Monastero è l’emblema dell’anomalia di questa fase della Chiesa cattolica e del Vaticano. Siamo abituati a pensare che sia Casa Santa Marta, l’albergo dentro le mura vaticane dove abita Francesco. In realtà, quella scelta è figlia delle “dimissioni” di Ratzinger. E l’intero papato è condizionato da quello strappo epocale. Lo stesso uomo del Monastero, Benedetto XVI, oggi papa emerito, simboleggia quell’anomalia. Ha mantenuto il nome che aveva da papa, si definisce “papa emerito”, veste con l’abito bianco e vive dentro il Vaticano. In cima a giardini curati, punteggiati da roseti, altari e cactus e garitte della Gendarmeria. Probabilmente, temeva di ammalarsi come Giovanni Paolo II e di essere condizionato dalla sua cerchia curiale, a cominciare dal segretario di Stato, Tarcisio Bertone, figura controversa. E dunque ha anticipato i tempi. Ma credo che credesse di sopravvivere poco, mentre ormai è stato per più tempo papa emerito che papa: 9 anni contro 8. “
Un libro che aiuta a capire le dinamiche di due pontificati ma soprattutto sul trauma vissuto dalla Chiesa dopo la rinuncia di Benedetto XVI , perchè continua Massimo Franco nell’intervista citata: “ Sono due persone molto diverse, consapevoli entrambe del trauma vissuto dalla Chiesa con la rinuncia di Benedetto, e dunque intenzionati a salvaguardare l’unità della Chiesa. Per questo all’inizio Francesco ha chiesto a Benedetto di non essere troppo in disparte, di partecipare alle cerimonie pubbliche, di intervenire. Si disegnava una sorta di “copapato”, con Francesco prosecutore delle riforme che Benedetto non aveva potuto portare a termine. Ma col passare del tempo, quando le riforme sono entrate in affanno, il Monastero è stato percepito dalla cerchia di Bergoglio come un ingombro, e gli interventi di Benedetto come inopportuni. E alla fine tra gli uomini di Bergoglio il Monastero è stato percepito come una sorta di luogo-simbolo di una sorta di contro-potere: quasi un polo antagonista, dietro il quale si muove una potente filiera tradizionalista. E Casa Santa Marta è stata vista da molti dai ratzingeriani come una sorta di enclave che dietro lo schermo della continuità cambiava non solo gli equilibri di potere ma l’approccio dottrinale e riferimenti diplomatici tradizionali della Santa Sede. E questo a dispetto, va ribadito, dell’impegno dei <due papi> (tra virgolette perché di papa ce n’é uno solo) a evitare fratture e scontri interni. “
Abile pianista, Ratzinger ha amato, sopra tutte le altre, le composizioni di Wolfgang Amadeus Mozart: «Quando cominciava il Kyrie era come se si aprisse il cielo». Nella musica mozartiana, per Ratzinger, «risuona la grazia della creazione, così come doveva essere all’origine e come dovrà essere alla fine dei tempi; risuona la semplice trasparenza di qualcosa che non deve essere cercato né edificato, ma è semplicemente donato»
Con il volo di quella musica Ratzinger ha abbandonato questo mondo accompagnato dal fuoco dell’amore sofferente di Cristo a cui aveva dedicato i suoi anni di vita lasciandoci quella biografia del Dio fattosi uomo in un mandato che era diventato anche il suo mandato, come egli stesso ha affermato.
Alla vigilia della sua elezione al Soglio Pontificio, nella mattina di lunedì 18 aprile, nella Basilica Vaticana, celebrando la Santa Messa “pro eligendo Romano Pontifice” insieme con i 115 Cardinali, riferendosi alle letture della Liturgia, aveva detto che “la misericordia divina pone un limite al male. Gesù Cristo è la misericordia divina in persona: incontrare Cristo significa incontrare la misericordia di Dio. Il mandato di Cristo è divenuto mandato nostro attraverso l’unzione sacerdotale; siamo chiamati a promulgare – non solo a parole ma con la vita, e con i segni efficaci dei sacramenti, “l’anno di misericordia del Signore””. “La misericordia di Cristo – ha sottolineato – non è una grazia a buon mercato, non suppone la banalizzazione del male. Cristo porta nel suo corpo e sulla sua anima tutto il peso del male, tutta la sua forza distruttiva. Egli brucia e trasforma il male nella sofferenza, nel fuoco del suo amore sofferente”. “Quanto più siamo toccati dalla misericordia del Signore – ha aggiunto -, tanto più entriamo in solidarietà con la sua sofferenza – diveniamo disponibili a completare nella nostra carne “quello che manca ai patimenti di Cristo””.
Di grande valore, centrale nella vita del Pastore Ratzinger, è stata l’alta e proficua esperienza della sua partecipazione al Concilio Vaticano II con la qualifica di “esperto” che egli ha vissuto anche come conferma della propria vocazione da lui definita “teologica”
Il 25 novembre 1981 Giovanni Paolo II lo aveva nominato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. È divenuto anche Presidente della Pontificia Commissione Biblica e della Commissione Teologica Internazionale. Il 15 febbraio 1982 ha quindi rinunciato al governo pastorale dell’Arcidiocesi di München und Freising.
Eletto Papa a 78 anni – quando pensava di poter tornare a casa e ai suoi studi o di realizzare il suo sogno e gestire la Biblioteca della Santa Sede – Benedetto XVI accolse l’eredità fisicamente più faticosa del suo predecessore Giovanni Paolo II: visitare le frontiere del cattolicesimo contemporaneo e del mondo, incontrare e dialogare con i popoli.
Oltre 50 le missioni fuori del Vaticano – 24 all’estero, 30 in Italia. Prima di Wojtyla – che ha viaggiato 104 volte all’estero e 104 in Italia – Paolo VI aveva inaugurato i viaggi extraitaliani dei Papi d’epoca moderna, ed era stato 9 volte fuori d’Italia.
La cronaca e la storia recente ricordano soprattutto la sua rinuncia al pontificato, un atto di coraggio che ha profondamente innovato il ministero papale. Ratzinger è stato l’ottavo pontefice a rinunciare al ministero petrino, se si considerano i casi di Clemente I, Ponziano, Silverio, Benedetto IX, Gregorio VI, Celestino V e Gregorio XII, di cui si hanno fonti storiche certe o molto attendibili.
È stato anche il più longevo dei papi della Chiesa.
L’11 febbraio 2013 Joseph Ratzinger ,papa Benedetto XVI comunica durante il Concistoro la sua denuncia di “ rinunciare al ministero di Vescovo di Roma”. Ottocento anni dopo un’altra rinuncia , quella di Celestino V avvenuta il 13 dicembre 1294 .(1)
La scelta di Benedetto XVI che sembra essere la conclusione di anni di intrighi che hanno caratterizzato la vita della Curia romana ( non nuova a questo modo di essere dentro una Chiesa che è tutt’altra cosa) è in realtà il segno di un tormento interiore di un Papa più incline al lavoro intellettuale che a quello politico.
Paolo Rodari e Andrea Tornielli,due vaticanisti molto conosciuti hanno esaminato nel volume “Attacco a Ratzinger” con il sottotitolo “Accuse scandali,profezie e complotti contro Benedetto XVI” edito da Piemme nel 2010 alcuni aspetti appunto del pontificato di Ratzinger che non so quanto hanno potuto contribuire alle dimissioni avvenute qualche ano dopo.
Infatti egli stesso dice “Dimettermi è stata una decisione difficile. Ma l’ho presa in piena coscienza, e credo di avere fatto bene”. A otto anni esatti dalla fine del suo pontificato, terminato il 28 febbraio 2013, Benedetto XVI ripensa a quella decisione storica e rivoluzionaria senza alcun pentimento o nostalgia del papato. In un colloquio con Massimo Franco pubblicato sul Corriere della Sera, Ratzinger risponde anche alle critiche dei suoi più stretti collaboratori del tempo, all’interno della Curia romana, che non hanno per nulla accettato la scelta delle dimissioni definendola “un’immane sciagura”. “Alcuni miei amici un po’ ‘fanatici’ – afferma il Papa emerito – sono ancora arrabbiati, non hanno voluto accettare la mia scelta. Penso alle teorie cospirative che l’hanno seguita: chi ha detto che è stato per colpa dello scandalo di Vatileaks, chi di un complotto della lobby gay, chi del caso del teologo conservatore lefebvriano Richard Williamson. Non vogliono credere a una scelta compiuta consapevolmente. Ma la mia coscienza è a posto”. E ribadisce: “Il Papa è uno solo”.
Anche se Ratzingher sceglie di rimanere in Vaticano . Una scelta, quella di restare in Vaticano anche da Papa emerito, dettata dalla consapevolezza che “sempre chi assume il ministero petrino non ha più alcuna privacy. Appartiene sempre e totalmente a tutti, a tutta la Chiesa. Alla sua vita viene, per così dire, totalmente tolta la dimensione privata”, come ebbe a dire nella sua ultima udienza generale, il 27 febbraio 2013. E aggiunse: “Il sempre è anche un per sempre, non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo. Non ritorno alla vita privata, a una vita di viaggi, incontri, ricevimenti, conferenze eccetera. Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di San Pietro. San Benedetto, il cui nome porto da Papa, mi sarà di grande esempio in questo. Egli ci ha mostrato la via per una vita, che, attiva o passiva, appartiene totalmente all’opera di Dio”.
La Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger – Benedetto XVI in occasione dei settanta anni di sacerdozio del papa emerito ha pubblicato il volume Benedetto XVI. La vita e le sfide, per i tipi delle Edizioni Sanpino, a firma del giornalista Luca Caruso, responsabile della comunicazione istituzionale e dell’ufficio stampa della Fondazione.
Attraverso 10 capitoli, il libro ripercorre tutta la vita di Benedetto XVI, a iniziare dall’attuale condizione di Papa emerito e dal suo rapporto con Papa Francesco. Racconta poi il suo intero percorso esistenziale: la nascita in un paesino della Baviera il 16 aprile del 1927, l’infanzia, il trauma della seconda Guerra mondiale, la vocazione e l’ordinazione sacerdotale, la carriera accademica, la nomina ad arcivescovo di Monaco e Frisinga da parte di Paolo VI nel 1977, la chiamata a Roma per volere di Giovanni Paolo II nel 1981, gli anni da prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede a fianco del Papa polacco, l’elezione al pontificato
Le 1.209 pagine della biografia di Joseph Ratzingher ( Deus caritas est ,Spe salvi, Caritas in veritate e un numero considerevole ancora di scritti, libri, )dal titolo “ Benedetto XVI Una vita”, edita da Garzanti, lasciano la domanda in sospeso: anche perché, nonostante oltre duecento siano dedicate alla preparazione e alla spiegazione della sua rinuncia, alla fine rimane un alone di mistero sui veri motivi che l’hanno provocata.
Il suo pontificato, iniziato il 19 aprile 2005, è stato subito animato dall’intento di rimuovere «la sporcizia che c’è nella chiesa»: Benedetto XVI, poche settimane prima dell’elezione, aveva denunciato gli scandali del clero durante la via Crucis. Negli anni successivi, Ratzinger volle incontrare personalmente alcune vittime di preti pedofili, ad esempio durante i viaggi del 2008 negli Stati Uniti e in Australia, e nel 2010 in Inghilterra e a Malta. Celebre è la lettera indirizzata alla comunità irlandese, Paese particolarmente colpito dallo scandalo della pedofilia. «Non posso che condividere lo sgomento e il senso di tradimento che molti di voi hanno sperimentato al venire a conoscenza di questi atti peccaminosi e criminali e del modo in cui le autorità della Chiesa in Irlanda li hanno affrontati. Da parte mia, considerando la gravità di queste colpe e la risposta spesso inadeguata ad esse riservata da parte delle autorità ecclesiastiche nel vostro Paese, ho deciso di scrivere questa lettera pastorale per esprimere la mia vicinanza a voi, e per proporvi un cammino di guarigione, di rinnovamento e di riparazione». Con il documento De delictis gravioribus, Benedetto XVI ha reso più efficaci le procedure giudiziari per i casi di abuso sessuale, rimarcando anche l’importanza di «dare sempre seguito alle disposizioni della legge civile per quanto riguarda il deferimento di crimini alle autorità preposte». Il 16 maggio 2011, in una lettera circolare, il pontefice pubblicava delle linee guida contro la pedofilia dei chierici, sollecitando azioni di monitoraggio e intervento da parte dei vescovi diocesani. Azioni che arrivano dopo secoli di silenzio e ipocrisia, ma che rappresentano una responsabilità troppo grande per un pontefice simbolo di un’istituzione che deve cambiare ma non ha ancora le condizioni – e le gerarchie – per farlo. (2)
La prima enciclica di Benedetto XVI, Deus caritas est (2005), affrontava il rapporto tra giustizia e carità, sui compiti diversi che spettano alla Chiesa e alla politica, sul posto e sul ruolo dei laici cristiani nelle organizzazioni della società civile. A quella enciclica era seguita nel 2007 la Spe salvi, dedicata alla speranza . Ma è nella Caritas in veritate, del 2009 che Benedetto XVI affronta la riflessione «sullo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità».
E’ questa sua enciclica un documento importante. Benedetto XVI pensava di pubblicarlo per celebrare il quarantesimo anniversario della Populorum progressio di Paolo VI (1967). In realtà ha avuto una lunga gestazione per l’esigenza di adattare il contenuto alla nuova situazione creata dalla crisi globale.
Alla sua pubblicazione il documento, ha avuto risonanza nel mondo intero. In definitiva non è tanto una analisi della crisi quanto una visione filosofica e, soprattutto, teologica delle carenze e degli errori che hanno condotto a tale crisi . Il Papa parla più del “perché” che del “come”, facendo appello alle esigenze della coscienza piuttosto che proponendo ricette. Sottolinea che una parte dei disordini attuali deriva da una pericolosa finanziarizzazione dell’economia e da una sofisticazione degli strumenti monetari, che richiedono un intervento politico di regolazione più deciso: un atteggiamento coraggioso che rompe con gli inni encomiastici intonati dai fautori dell’iperliberalismo.
Nella scia dei suoi predecessori, a partire da Giovanni XXIII e dalla sua enciclica Pacem in terris (1963), egli riafferma nella Caritas in veritate la necessità di istituire una vera «autorità politica mondiale» (CV, n. 67), anche se in un modo forse ancora troppo sobrio. Il documento infatti propone più il modello della cooperazione tra i governi che l’integrazione tra le nazioni, prendendo come riferimento implicito l’ONU più che l’Unione europea, ma le caratteristiche di questa autorità mondiale, quale è richiesta dalla Caritas in veritate, esprimono grandi esigenze: «Una simile autorità dovrà essere regolata dal diritto, attenersi in modo coerente ai principi di sussidiarietà e di solidarietà, essere ordinata alla realizzazione del bene comune, impegnarsi nella realizzazione di un autentico sviluppo umano integrale ispirato ai valori della carità nella verità» (ivi).
Ma soprattutto «La carità è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa» (CV, n. 2). È il portale di accesso alla comprensione di Dio, degli altri e del mondo: «È il principio non solo delle micro-relazioni: rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici» (ivi). L’amore raggiunge il massimo di ampiezza, si allarga alle dimensioni del mondo. Con questa coniugazione tra il piccolo e il grande il Papa respinge quel carattere di sterilità che può esserci nella chiusura di ognuno nella propria cittadella individuale.
Per superare «le tendenze attuali verso un’economia del breve, talvolta brevissimo termine» (CV, n. 32), la dottrina sociale della Chiesa insiste sulla saldatura tra amore e verità, «un principio che prende forma operativa in criteri orientativi dell’azione morale» (CV, n. 6). Tale dottrina comporta una «dimensione interdisciplinare» (CV, n. 31), una esigenza di discernimento, una visione globale, per elevarsi a una «dimensione sapienziale» (ivi). (3)
Una vita di amore e verità caratterizzata dalla semplicità, dalla fragilità fisica, dall’aura di autorevolezza e di mistero . Una vita da “semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore” giunta al termine, dopo una lunga e attenta preparazione nella fede e nell’incontro quotidiano con il Signore, in preghiera . Una vita che riposerà per espresso desiderio dello stesso Papa i ndicato nel 2020 nella tomba che fu di Giovanni Paolo II, nella cripta di San Pietro Tomba che è libera perché l’urna e i resti di Wojtyla sono stati trasferiti in una cappella vicino alla Pietà di Michelangelo dopo la sua canonizzazione.
(1) «Ego Caelestinus Papa Quintus motus ex legittimis causis, idest causa humilitatis, et melioris vitae, et coscientiae illesae, debilitate corporis, defectu scientiae, et malignitate Plebis, infirmitate personae, et ut praeteritae consolationis possim reparare quietem; sponte, ac libere cedo Papatui, et expresse renuncio loco, et Dignitati, oneri, et honori, et do plenam, et liberam ex nunc sacro caetui Cardinalium facultatem eligendi, et providendi duntaxat Canonice universali Ecclesiae de Pastore.»
«Io Papa Celestino V, spinto da legittime ragioni, per umiltà e debolezza del mio corpo e la malignità della Plebe [di questa città], al fine di recuperare con la consolazione della vita di prima, la tranquillità perduta, abbandono liberamente e spontaneamente il Pontificato e rinuncio espressamente al trono, alla dignità, all’onere e all’onore che esso comporta, dando sin da questo momento al sacro Collegio dei Cardinali la facoltà di scegliere e provvedere, secondo le leggi canoniche, di un pastore la Chiesa Universale.»
(2)https://www.open.online/2022/12/31/morto-papa-benedetto-xvi-ratzinger/