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” MISTERI E CERTEZZE ” – DI VALTER MARCONE

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Redazione-  L’arresto di Matteo Messina Denaro, avvenuto qualche mese fa, ha riportato l’attenzione sul contrasto alla criminalità organizzata di stampo mafioso e su tutti i fenomeni collegati come l’infiltrazione nel mondo degli affari e del commercio non solo in Sicilia ma anche in molte regioni d’Italia, la corruzione, lo scambio di voti . Con una attenzione sulla trasformazione dei comportamenti di organizzazioni criminali , compreso dunque la camorra e la ndrangheta spesso saldati tra loro. E ha posto all’attenzione anche fenomeni come la massoneria con la nascita di logge coperte . In un mix di interessi che di volta in volta hanno visto in alcune vicende del nostro paese coinvolti assieme, mafia, massoneria, imprenditoria ed eversione di destra. Una saldatura spesso determinante per affari, trame,

Ma l’arresto di Matteo Messina Denaro ha posto anche l’accento su quanto il latitante da trent’anni potrebbe rivelare in merito ad avvenimenti importanti , sciogliendo così una fitta nebbia di misteri che sussistono ancora non solo nella sua storia personale , della organizzazione a cui appartiene ma anche in generale della storia del nostro paese.

Le sue rivelazioni potrebbero fare luce su molti aspetti delle stragi di mafia nella lotta contro lo Stato, sui rapporti all’interno delle famiglie mafiose, sui rapporti tra mafia imprenditoria locale e massoneria. Insomma Matteo Messina Denaro avrebbe la possibilità di dare elementi di prova per riscrivere trent’anni e più della storia del nostro paese.

Stando però ai primi atti processuali dopo l’arresto la sua bocca rimane cucita .Le sue lamentele ,o meglio le dichiarazioni del suo avvocato si riferiscono allo stato di salute, alle preoccupazioni per le cure a cui indubbiamente ha diritto, Mettendo in discussione la capacità dell’amministrazione carceraria alla quale è affidato di eseguire le necessarie terapie per il suo stato di salute. Mentre i mezzi di comunicazione continuano a costruire sulla carta la leggenda di Matteo Messina Denaroi riferendo i progressi che le indagini stanno facendo attraverso azioni concrete che mirano a ricostruire gli anni della latitanza, attraverso proprio la conoscenza di quella rete di fiancheggiatori che hanno in qualche modo favorito e creato le condizioni perchè potesse realizzarsi. Con arresti eccellenti come per esempio ill medico che lo ha avujto in cura, il suo prestanome e soprattutto la sorella. Quest’ultima al momento dell’arresto ha avuto gesti di stizza definendo l’arresto stesso come una persecuzione per la sua famiglia. Una sorella che ha disubbidito alla volontà di Matteo Messina Denaro che più volte le aveva ordinato di distruggere i cosiddetti “ pizzini” che permettevano la comunicazione tra di loro durante la latitanza. Centinaia di pizzini che la donna ha conservato e che ora sono nelle mani degli investigatori e che vanno decifrati . Infatti per quanto riguarda i fiancheggiatori i nomi sono sicuramente in codice. Un lavoro che permetterò anche di ricostruire il “ pensiero “ di Matteo Messina Denaro che stando alle prime risultanze e informazioni apparse sulla stampa avrebbe visto essenziale e decisivo consegnare alla mafia l’amministrazione della stessa regione. Rimangono comunque molti misteri che forse il tempo riuscirà a svelare.

Ormai da mesi gli organi di stampa non mettono più in prima pagina ma nemmeno in ultima le vicende personali di Matteo Messina Denaro anche se purtroppo in prima pagina restano sempre i fatti e i misfatti di organizzazioni criminali e degli strumenti per combatterle.

Per meglio comprendere però il peso delle vicende della mafia nel nostro paese che ormai fuori dalla cronaca sono divenute storia possiamo ricordare due libri che ci aiutano a comprendere appunto due momenti di questa lunga storia e alcune vicende di questo paese che tangenzialmente si incrociano proprio dentro quella storia o viceversa. Una storia fatta di misteri e certezze , molte volte fatte di verità giudiziarie che pongono fine a procedimenti i cui fatti avrebbero bisogno di essere ancora indagati ,insomma storie e vicende che sono continuamente alla ricerca della verità.

Uno di questi libri è “Padri e padrini delle logge invisibili. Alliata, gran maestro di rispetto. “Castelvecchi Editore ,2022 di Piera Amendola .

Cosa è veramente la massoneria italiana? In nessun altro Paese al mondo ci sono tante logge e tante “obbedienze” diverse e irregolari. Intorno alla metà degli anni ’70 è stato siglato un “patto” tra massoneria coperta, organizzazioni mafiose e destra eversiva, ed è nata una holding con finalità criminali e politiche. Per molto tempo questo mondo infetto è rimasto sconosciuto, tanto che solo di recente è stata provata l’esistenza di un secondo elenco di iscritti alla loggia P2. Piera Amendola descrive un numero abnorme di logge occulte, associazioni paramassoniche e ordini cavallereschi illegittimi, ricostruendo le vicende di alcuni personaggi – tra i quali spicca Giovanni Alliata di Montereale –, e spiega come funziona questo mondo, come è nata e si è consolidata un’alleanza che rappresenta un pericolo per la nostra democrazia.

Come si evince dal titolo, questo viaggio nel mondo delle logge coperte ha per protagonista il principe Giovanni Francesco Alliata di Montreale, detto Gianfranco. Perché? Amendola risponde così: “Alliata resta uno dei personaggi chiave per capire la funzione della rete di logge spurie, associazioni paramassoniche e ordini cavallereschi che sono spuntati in Italia a partire dall’immediato Dopoguerra e che oggi sono diventati centri di un potere criminale radicato nel territorio, specialmente nel Mezzogiorno.”

Attingendo, fra gli altri, al prezioso archivio generato dall’attività della Commissione P2, Amendola cerca di ricostruire i contatti, in taluni casi anche le osmosi fra alcune logge coperte, sistemi criminali e terrorismo neofascista. Un quadro d’insieme che è stato conquista non troppo lontana nel tempo.

Alliata di Montereale è in questo libro rivelato come personaggio chiave per raccontare questi intrecci. Nato nel 1921, subito dopo lo sbarco degli Alleati in Sicilia (estate del 1943), partecipa alla nascita del movimento indipendentista di Finocchiaro Aprile, da cui esce pochi anni dopo. Nel 1946 entra nella loggia Aurora, appartenente alla Massoneria di piazza del Gesù. Siamo negli anni della ricostituzione degli ordinamenti massonici, banditi durante il fascismo. Monarchico, anticomunista, Alliata fonda alcuni anni dopo l’Accademia del Mediterraneo, a cui partecipano tutti i maggiori esponenti degli ambienti governativi e imprenditoriali dell’epoca. Successivamente, entra nelle indagini sul tentato Golpe Borghese e, nel 1973, nella loggia coperta Propaganda 2, diventandone uno dei membri più autorevoli. E sarà proprio lui, una volta venuti fuori gli elenchi, a dire in modo sibillino che quelle liste sono parziali, gli affiliati molti di più, aprendo scenari ancora più inquietanti di quelli già abbastanza scioccanti emersi fino a quel punto riguardo all’attività del Maestro Venerabile e del suo gruppo, compreso il famigerato Piano di rinascita democratica che oggi appare ben più di una messa in fila di desiderata da parte di un gruppo di eccentrici megalomani, ma un vero e proprio programma politico di cui ancora oggi, al di là dei tentativi di affibbiarlo a questo o quel politico, ancora si conosce poco, nella sua realtà. (1)

Piera Amendola È stata documentarista della Camera dei deputati e, dal 1981 al 1988, responsabile dell’archivio della Commissione parlamentare di inchiesta sulla loggia massonica P2, divenendo una delle più strette collaboratrici dell’onorevole Tina Anselmi. Ha diretto l’archivio degli atti giudiziari dell’Alto Commissariato per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa e ha collaborato con la Commissione parlamentare di inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi. Nell’XI legislatura ha diretto l’archivio della Commissione parlamentare antimafia presieduta dall’onorevole Luciano Violante. È stata consulente delle procure della Repubblica di Palermo, Napoli, Brescia, Aosta e Perugia. Attualmente è consulente dell’Avvocatura Generale dello Stato di Bologna e fa parte del consiglio direttivo dell’Archivio Flamigni.

L’altro è un libro di Enrico Deaglio: “ Qualcuno visse più a lungo. La favolosa protezione dell’ultimo padrino” , 2022,Cosa racconta Enrico Deaglio? Racconta dell’uccisione di Paolo Borsellino, di una strage annunciata, orribile, assurda, tragica. L’Italia è amareggiata, sconvolta, attonita. Dopo Giovanni Falcone, anche l’amico Borsellino. Non che tutti fossero diventati improvvisamente ciechi. Il pentito Gaspare Spatuzza aveva parlato, aveva rivelato cosa era davvero successo in Via D’Amelio a Palermo. Alcuni magistrati avevano capito, che si trattava di un ignobile depistaggio. Arnaldo La Barbera era un super poliziotto, mandato a Palermo per indagare sugli assassini di Falcone e Borsellino, un uomo di cui fidarsi. Finirà processato: “Ebbe un ruolo fondamentale nella costruzione delle false collaborazioni con la giustizia ed è stato altresì intensamente coinvolto nella sparizione dell’agenda rossa” affermano i giudici del processo Borsellino quater .Enrico Deaglio racconta magistralmente di un depistaggio infame. “Il Moloch del depistaggio prevede, per esempio, la nomina e l’allontanamento dei giudici, la loro carriera, il pagamento del loro silenzio, il controllo costante delle possibili falle, la manutenzione dell’omertà, i falsi suicidi in carcere, il ricatto sui famigliari dei carcerati e in generale il pieno controllo del mondo carcerario, l’intervento pacificatore sugli inevitabili contenziosi nella spartizione del bottino. Il depistaggio è un lavoro, in genere pagato in nero, con centinaia di miliardi accantonati dai servizi, che coinvolge una quantità enorme di persone.”

Enrico Deaglio Dopo essersi laureato in Medicina a Torino nel 1971, ha lavorato come medico presso l’ospedale Mauriziano Umberto I. A metà degli anni Settanta ha iniziato l’attività giornalistica a Roma: già direttore dei quotidiani Lotta Continua e Reporter, ha collaborato con diverse testate tra cui La Stampa, Il Manifesto, Epoca, Panorama e l’Unità. Dal 1997 al 2008 ha diretto il settimanale Diario. A partire dagli anni Ottanta ha lavorato come giornalista televisivo per la trasmissione Mixer, occupandosi in particolare delle vicende della mafia in Sicilia, e ha condotto vari programmi di reportage, inchieste e documentazione sociale su Rai tre, tra cui: Milano, Italia; Ragazzi del ’99 – Così va il mondo; Vento del Nord; L’Elmo di Scipio.

Lo stesso Enrico Deaglio a proposito di questo suo ultimo libero scrive nella edizione on line della rivista La via libera il 17 maggio 2022 :”Il mio ultimo libro Qualcuno visse più a lungo – La favolosa protezione dell’ultimo padrino (Feltrinelli, 2022) ripercorre la storia di uno dei clan mafiosi più misteriosi di Palermo, i Graviano di Brancaccio. Passati sotto i radar per decenni, detentori di un patrimonio che li mette ai vertici delle ricchezze italiane, i due fratelli Graviano sono stati protagonisti delle stragi palermitane e di quelle continentali, in associazione con vertici dei carabinieri e dei servizi segreti. Il loro arresto, in un ristorante a Milano il 27 gennaio 1994, ha coinciso con la fine di ogni violenza terroristica in Italia. Appena pochi giorni prima, i Graviano avevano programmato un attentato allo stadio Olimpico di Roma che avrebbe sicuramente messo fine alla democrazia in Italia. Perché il telecomando che doveva azionare la bomba non funzionò? È ancora oggi un mistero. La saga dei Graviano è stata per me un’occasione per ripercorrere la storia della mafia siciliana e i cambiamenti che ha portato nella società italiana, giungendo a conclusioni che sono un po’ diverse da quelle correnti. “

Deaglio riassumendo i temi del suo libro mette in evidenza due aspetti importanti relativi a vicende ancora piene di misteri e di certezze dice : “L’impostura del falso pentito Vincenzo Scarantino ha dominato la scena per quindici anni; l’incredibile stupidaggine dell’inchiesta trattativa, altrettanti; i magistrati hanno fatto affidamento su pentiti fasulli, per incuria o per convenienza e si sono circondati di una lunga serie di funzionari, periti, doppi agenti, delatori e confidenti di cui sono rimasti succubi. La stessa storia della vittoria sui corleonesi sarebbe da riscrivere; ormai si sa che Riina non venne catturato, ma consegnato, proprio come successe con il bandito Giuliano. Il disinteresse della politica per la questione mafia è ormai notorio, tutti si accontentano del fatto che da trent’anni non ci sono più cadaveri eccellenti; e per quanto riguarda la moralità dell’antimafia, purtroppo le vicende dei beni confiscati e gli esempi numerosi della falsa retorica della legalità dominano la scena, insieme allo spettacolo indecoroso delle lotte intestine tra magistrati e fautori di un minimo di umanità nelle carceri. “

Questi due momenti della vita del nostro paese che ho ricordato con l’aiuto degli ultimi libri di Amendola e di Deaglio mi permettono di proporre al lettore di tornare indietro negli anni e ricordare due delitti di mafia che conservano ancora oggi il valore di emblema. Parlo del delitto Rostagno sociologo, giornalista, fondatore della comunità per il recupero di tossicodipendenti “Saman” e del delitto Impastato che aveva fondato e fatto vivere una radio locale capace di portare in tutte le case quello che avveniva in strada, in piazza, in tema di lotta alla mafia.

La sua colpa quella di aver ripreso un aereo militare e quella di essersi interessato attivamente dell’economia della droga in un territorio da sempre scenario di affari di mafia e di criminalità organizzata in connubio con imprenditorialità locale disonesta e massoneria. Mi riferisco al delitto di Mauro Rostagno un sociologo, giornalista e attivista , uno dei fondatori del movimento politico Lotta Continua e della comunità socioterapeutica Saman, inizialmente ispirata al movimento di Osho Rajneesh. Venne assassinato dopo l’omicidio del magistrato Antonino Saetta Sul luogo dell’agguato è stato posizionato un monumento commemorativo che recita: Mauro Rostagno – “vittima della mafia” – «Io sono più trapanese di voi perché ho scelto di esserlo». Venne assassinato in un clima di mistero e di sospetti che durano ormai da decenni , che parlano di traffico di armi e di droga, di finte emergenze per coprire e sviare l’attenzione dalle attività illecite .

Dopo la laurea, per due anni fa il ricercatore al CNR , poi si trasferisce a Palermo tra il 1972 e il 1975, perché gli viene conferito l’incarico di assistente nella cattedra di sociologia dell’Università di Palermo . In quegli anni si occupa di diffondere il movimento politico di Lotta Continua come responsabile regionale.

Dopo lo scioglimento di Lotta Continua, alla fine del 1976, da lui fortemente voluto, ritorna a Milano e nel dicembre del 1977 è fra i fondatori di Macondo (nome tratto da Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez , un centro culturale che divenne punto di riferimento per l’estrema sinistra alternativa, fino a quando non venne chiuso dalla polizia il 22 febbraio 1978, per le attività legate a spaccio di sostanze stupefacenti . Rostagno viene arrestato, ma successivamente prosciolto.

Torna in Sicilia e si dedica all’attività giornalistica presso una emittente privata e si occupa della Comunità Saman da lui stesso fondata.

Tra il 1987 e il 1989 lo scenario siciliano è intricato: dietro le quinte si muovono mafiosi, massoni e 007. A Trapani si annida il Centro Scorpione, una base Gladio che sarebbe del tutto inutile in caso di invasione da Est: lo dirige Vincenzo Li Causi, super agente del Sismi poi ucciso in Somalia nel ’93 in circostanze poco chiare. I pm esclusero legami tra Scorpione e Cosa Nostra, ma dissero che l’attività del centro restava un mistero. Talmente insondabile che solo la VII divisione del Sismi, quella che gestiva Gladio, era a conoscenza dell’operazione. Nessun altro, nemmeno il centro Sisde di Palermo, sapeva della sua esistenza.

Il 26 settembre 1988 viene assassinato in un agguato in contrada Lenzi, a poche centinaia di metri dalla sede della Saman, all’interno della sua auto, una Fiat Duna DS bianca, da alcuni uomini nascosti ai margini della strada; mentre rientrava alla comunità con una giovane ospite (che si salverà divenendo l’unica testimone del delitto) i sicari mafiosi gli spararono con un fucile a pompa calibro 12, che scoppiò in mano ad uno degli assassini, e una pistola calibro 38.

Durante il processo Rostagno, Francesco Elmo, freelance dei servizi segreti testimonia raccontando e ricostruendo il sistema messo in atto dalla mafia per trafficare industarbata in armo e droga. Si trattava di simulare un guasto «che consentisse un atterraggio non previsto di un aereo militare in una pista vicino alla base di Sigonella». Un espediente sicuro, perché «collaudato anche in una pista vicino a Birgi». Chinisia, probabilmente. La finta emergenza serviva, secondo Elmo, a «scaricare eroina che proveniva dalla mafia russa, e che veniva utilizzata per ottenere in cambio ingenti somme di denaro destinate all’acquisto di armi». E ancora: «Talvolta l’eroina può essere servita per ottenere direttamente le armi da Cosa nostra, specialmente mitragliatori Ak47». (2)

Probabilmente la colpa di Rostagno o meglio il fatto che lo ha portato a morire ammazzato è quello di aver forse fotografato qualche areo in atterraggio presso l’aeroporto fantasma appunto per scaricare “ qualche merce preziosa “ perl la criminalità organizzata.

Un quadro simile lo tratteggiò Aldo Anghessa, che a Trapani si infiltrò in una compravendita di armi tra mafiosi e terroristi palestinesi. «A Trapani arrivavano vecchi Dc3 carichi di droga – rivelò il controverso 007 al centro di mille misteri italiani –. Provenivano da Libia o Tunisia, volavano a bassa quota sul mare per sfuggire ai radar». Inverosimile? Non proprio.

Il 12 marzo 1997 un radarista di Birgi disse ai pm siciliani: «Se un aereo si fosse avvicinato volando a bassa quota a Chinisia sarebbe stato quasi impossibile vederlo, soprattutto se non vi fosse stata alcuna segnalazione».

Probabilmente , come abbiamo accennato, Rostagno aveva filmato uno di questi atterraggi in un vecchio aeroporto militare fantasma della zona , il campo di Milo che “ rimase un campo d’atterraggio fantasma gestito da famiglie mafiose. Erano i Virga a provvedere alla manutenzione. Il campo era abbandonato e pieno di erbacce. All’improvviso lo ripulivano. Erano i loro uomini e non i militari a dare accoglienza a quelli che atterravano e che poi prendevano in consegna quanto veniva scaricato…”.

Un delitto, quello di Rostagno che parlando di Matteo Messina Denaro ci interessa perchè lo coinvolge in quanto un suo fedele gregario, il capomafia locale Vincenzo Virga, viene condannato nel processo di primo grado a Trapani come mandante dell’omicidio con una sentenza che tra l’altro dice «Essendo coinvolti in questo tipo di commercio clandestino anche taluni apparati dello Stato o esponenti dei servizi, in un simile quadro germinano accordi collusivi e scambi reciproci di favori altrettanto indicibili» .

Il 27 novembre 2021 La Cassazione conferma l’ergastolo a Vincenzo Virga. Nelle motivazioni la sentenza afferma : “Francesco Messina Denaro disse di aver dato incarico a Vincenzo Virga di eseguire l’omicidio di Mauro Rostagno, e questo particolare non è per nulla incompatibile con la ricostruzione di come operassero gli organi di vertice di Cosa nostra nella deliberazione di omicidi eccellenti”. -Con il giudizio – si ricorda – fu assolto Vito Mazzara. Tenendo sempre presenti le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Vincenzo Sinacori, la Corte afferma che “il fatto che Francesco Messina Denaro dette l’incarico esecutivo a Vincenzo Virga è elemento che rafforza la costruzione indiziaria a carico di quest’ultimo, nella misura in cui, se gli venne affidato l’incarico esecutivo, è ben logico ritenere che nel momento deliberativo collegiale non avesse mosso obiezioni o rilievi, aderendo in tal modo alla azione criminosa”.

La Corte d’assise d’appello continua nella sentenza “ha dato conto dell’assenza di dati di fatto sui quali poter ipotizzare che, successivamente alla deliberazione dell’omicidio, intervennero altri soggetti, estranei al contesto mafioso e comunque interessati alla eliminazione fisica di Mauro Rostagno, come avallato dall’esistenza di cosiddette piste alternative, che anticiparono la realizzazione di quel deliberato e commisero per loro conto l’omicidio, lasciando allo stato del mero proposito l’asserito progetto mafioso di liberarsi dalla scomoda presenza di Mauro Rostagno”. Per questo, osserva la Cassazione, le “cosiddette piste alternative sono state oggetto di un attento vaglio ad opera dei giudici del merito, che ne hanno dimostrato, con argomenti adeguati e logici, l’infondatezza; in ogni caso – sottolineano gli ermellini in merito al ricorso di Virga – nessuna risultanza oggettiva è indicata dal ricorrente come fondamento dell’ipotesi di un autonomo intervento di terzi, che resta pertanto una mera congettura, incapace come tale di rivelare inadeguatezze del costrutto operato in sentenza”.

Inoltre secondo i supremi giudici il coinvolgimento di Virga si desume “nell’assenza, successivamente alla commissione dell’omicidio, di turbamenti sul territorio controllato dal mandamento di Trapani, con la prosecuzione stabile della direzione di Virga che ebbe modo di programmare altri importanti omicidi, dimostrazione logicamente inequivocabile della piena adesione all’omicidio di Mauro Rostagno”. Nella sentenza si rende anche in qualche modo omaggio al “forte impegno antimafia di Rostagno quale giornalista di inchiesta presso l’emittente televisiva trapanese Radio Tele Cinema, la cui attività poneva in crisi il potere criminale imperante in quel territorio, che faceva capo al rappresentante della provincia Francesco Messina Denaro”, padre del super latitante Matteo, e “ai capi-mandamento di Trapani e Mazara del Vallo, rispettivamente Vincenzo Virga e Francesco Messina” detto Mastro Ciccio. (3)

Il delitto, che maturò in un “contesto” (direbbe Sciascia) assai intricato – le presunte relazioni pericolose tra Cosa Nostra, massoneria e servizi segreti – presenta ancora molti lati oscuri. Basta incrociare vecchi documenti desecretati e nuove testimonianze per rendersi conto che resta ancora molto da capire.

Per quanto riguarda invece il delitto Impastato va ricordato che il 9 maggio 1978 il giovane giornalista che con la sua ‘Radio Aut’ infranse il tabù dell’omertà nella piccola Cinisi, sfidando la criminalità organizzata e svelando alleanze e connivenze, saltò in aria sui binari della ferrovia ridotto a brandelli da sei chili di tritolo.

Il Centro Impastato pubblica nel 1986 la storia di vita della madre di Giuseppe Impastato, nel volume ‘La mafia in casa mia’, e il dossier ‘Notissimi ignoti’, indicando come mandante del delitto Badalamenti, nel frattempo condannato a 45 anni per traffico di droga a New York, nel processo alla ‘Pizza Connection’.

La connessione tra l’assassinio di Impastato e il boss è per la prima volta rilanciata con forza nel maggio del 1984, quando l’Ufficio istruzione di Palermo, sulla base delle indicazioni del Consigliere istruttore Rocco Chinnici, che aveva avviato il lavoro del primo pool antimafia ed era stato assassinato nel luglio del 1983, emette una sentenza, firmata da Antonino Caponnetto, in cui si riconosce la matrice mafiosa del delitto, attribuito però a ignoti.

Nel gennaio 1988 il Tribunale di Palermo invia una comunicazione giudiziaria a Badalamenti. Nel maggio del 1992 decide l’archiviazione del ‘caso Impastato’, ribadendo la matrice mafiosa del delitto. Nel giugno del 1996 l’inchiesta viene formalmente riaperta. Nel novembre del 1997 viene emesso un ordine di cattura per Badalamenti, incriminato come mandante.

Nel 1998 in Commissione parlamentare antimafia si costituisce un comitato sul caso Impastato e il 6 dicembre 2000 è approvata una relazione sulle responsabilità di rappresentanti delle istituzioni nel depistaggio. Il 5 marzo 2001 la Corte d’assise riconosce Vito Palazzolo colpevole e lo condanna a 30 anni di reclusione.

Solo venti anni dopo la Procura di Palermo rinvierà a giudizio Tano Badalamenti come mandante dell’assassinio.

L’11 aprile 2002, dopo 24 anni, arriva la condanna all’ergastolo del capomafia che spazza definitivamente via i tentativi di depistaggio cominciati già la mattina di quel 9 maggio1978 .
I giudici della terza sezione della Corte d’assise spiegano nelle motivazioni della sentenza che «il pericolo costituito da tanta irriverente ed irritante rottura del muro dell’omertà era vieppiù palpabile da far ritenere che la soluzione del problema fosse necessaria ed anche impellente, stante peraltro che il giovane di lì a poco, secondo attendibili previsioni, sarebbe stato eletto consigliere comunale». (4)

Dunque il 9 maggio 1978, lo stesso giorno del ritrovamento a Roma del corpo senza vita di Aldo Moro rapito 55 giorni prima dalle Brigate rosse, a Cinisi (Palermo) fu ucciso Giuseppe Impastato,, da tutti chiamato Peppino. Aveva trent’anni. Fu ucciso da sicari mafiosi che con una messinscena riuscirono a far credere che fosse stato dilaniato dall’esplosione di un ordigno mentre lui stesso organizzava un attentato dinamitardo. La vera natura mafiosa di quell’omicidio premeditato è stata portata alla luce dopo anni di indagini e depistaggi.

Peppino Impastato con la sua radio portava proprio dentro le case quello che tutti dovevano sentire, quello che si diceva in piazza, quello che si diceva nelle aule consiliari, quello che si diceva nelle aule giudiziarie . Luoghi e momenti in cui non tutti potevano essere presenti per diverse ragioni e soprattutto molte volte per paura. . Questa rottura della omertà non poteva essere perdonata a Peppino Impastato la cui vicenda ho voluto ricordare insieme a quella di Rostagno nel momento in cui si riflette sull’arresto di Matteo Messina Denaro

Perchè proprio attraverso la rottura dell’omertà si possono chiarire molte vicende che hanno interessato la storia del nostro paese alle quali Matteo Messina Denaro non è stato estraneo, si possono ricostruire i momenti della sua latitanza e il contesto sul quale ha potuto contare e soprattutto, in definitiva, si possono sciogliere misteri e acquisire certezze.

(1)https://www.pulplibri.it/piera-amendola-massoneria-invisibile/

(2)https://www.avvenire.it/attualita/pagine/delitto-rostagno-33-anni-di-misteri-armi-droga-voli-fantasma

(3)http://www.rainews.it/archivio-rainews/articoli/omicidio-rostagno-cassazione-matteo-messina-denaro-e487c696-86f3-4a05-9390-34fe67261b03.html

(4)https://www.fnsi.it/mafia-41-anni-fa-lomicidio-di-peppino-impastato

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