L’ALTRO E IL PROSSIMO ATTRAVERSO LO SPECCHIO DEL CORONAVIRUS: CHE ” UOMO” SARA’ L’UOMO POST PANDEMIA?
Redazione- Estrapolando un pensiero di Freud dal Disagio della Civiltà che dice :” Esiste una tendenza nativa dell’uomo alla cattiveria, all’aggressione, alla distruzione, alla crudeltà. L’uomo cerca di soddisfare il proprio bisogno di aggredire a spese del suo prossimo, di sfruttarne la forza lavorativa senza ricompensarlo, di servirsene sessualmente senza il suo consenso, di impossessarsi dei suoi beni , di umiliarlo, di farlo soffrire, di torturarlo, di ucciderlo” mi convinco sempre più di essere sulla buona strada quando penso anch’io che forse c’è poco da fare con questo “uomo”. Che riconosciamo solo attraverso queste manifestazioni tipiche di comportamenti individuali e di gruppo in ogni tempo e sotto ogni latitudine. Ma come è possibile che l’uomo appunto sia arrivato a manifestare una parte della sua natura lasciandole libero campo quando millenni di cultura e di socialità avrebbero voluto che potesse controllare i suoi istinti fino a creare un essere almeno accettabile .
Forse Lacan ci aiuta a recuperare qualcosa quando dice che l’odio, che è uno dei sentimenti che più spesso determinano comportamenti assurdi, è una delle passioni dell’essere umano, insieme all’ignoranza. Si c’è l’odio ma c’è anche l’amore ! C’è l’ignoranza ma c’è anche il sapere quello pratico dell’intelligenza del fare tutti i giorni, quello teorico che trasforma in bellezza quel sapere pratico. E ci sono tutti gli opposti ai termini “cattiveria”, “aggressione”, “distruzione” e “ crudeltà.”Il vocabolario dei sinonimi e dei contrari li indica così : “ aggressività/ mitezza, mansuetudine, remissività ; distruzione / edificazione; crudeltà / bontà, umanità, clemenza ,misericordia, pietà, e l’esercizio potrebbe continuare con un corposo ragionamento che implicherebbe per ogni termine un esame quantomeno interessante ai fini di questa riflessione .
Certo S.Agostino nelle sue Confessioni quando dice : “Io ho visto e considerato a lungo un piccino in preda alla gelosia: non parlava ancora e già guardava livido, torvo il suo compagno di latte”potrebbe farci cadere le braccia definitivamente perché la gelosia è veramente il sentimento che ha una supremazia su tutto ,perché la sua genealogia come quella appunto dell’odio sembra originare dal rapporto con l’immagine, dal rapporto che il soggetto instaura con l’immagine dell’Altro. Ma non è il caso di perdere ogni speranza. Si tratta di guardarci attorno e di riconsiderare la nostra storia e quella delle nostre società alla luce della parola “prossimo”. Certo non è facile perché navigando tra vari siti e interrogando i motori di ricerca la parola prossimo seppure definita come “ vicinanza” trova una declinazione nel senso che vorremmo che avesse solo nella religione.
Infatti l’enciclopedia Treccani definisce prossimo “Nel linguaggio religioso, ogni uomo rispetto a un altro uomo in quanto uniti dal vincolo dell’amore. Il precetto «amerai il prossimo tuo come te stesso» compare nell’Antico Testamento (Levitico 19,18) insieme ad altre norme che raccomandano amore e sollecitudine verso poveri e stranieri (Esodo 22, 21-27) e anche verso i nemici (Esodo 23, 4-5). Nella stessa direzione insistono il Deuteronomio e i profeti. Nella predicazione di Gesù si compie una significativa riforma etica, che trova la sua piena espressione nella parabola del buon Samaritano (Luca 10, 30-37), dove il concetto di prossimo è allargato fino a comprendere esplicitamente anche l’estraneo e il nemico ”
Dunque si parla di prossimo a senso unico , incentrando il ragionamento su un altro termine molto diffuso : l’Altro .
E qui cominciano i guai.
Perché “ l’altro” apre lo scenario della diversità che appunto fa correre tutti i pericoli che ricordava Freud nel brano con cui abbiamo iniziato questa riflessione.
Marc Augé, uno dei più importanti antropologi contemporanei, presidente dell’École des Hautes Études en Sciences Sociales dal 1985 al 1995, si è sempre interessato al problema dell’altro: l’altro individuo, l’altro società, l’altro culturale, l’altro geografico. Augé ritorna per esempio in un suo libro (1) “sulle relazioni fra identità e alterità presso alcune popolazioni africane o amerindiane e nel contesto della mondializzazione contemporanea. L’arte, la città e la sua rapida espansione, ma anche le nuove mobilità e la crescita dei proselitismi religiosi acquistano, sotto lo sguardo dell’antropologo, un senso inedito. “ Affermando in sostanza che “Occorre saper praticare l’“arte del décalage” e sapersi tenere all’“incrocio delle incertezze” per potersi sottrarre all’uniformità, a quella fatalità che vorrebbe che fossimo tutti uguali. “
In prima approssimazione dunque il rapporto simile /prossimo ci aiuta a tentare di capire se è possibile parlando di prossimo che questo prossimo mi assomigli e che io come lui possiamo sottrarci al destino di quei comportamenti viziati e viziosi che aggettivano la natura umana in senso negativo .
Se pensiamo a Caino certo non facciamo passi in avanti in questo senso. Caino uccidendo Abele tenta di distruggere, eliminare l’Altro Ideale , l’immagine dell’Altro dissimile, estraneo, impossibile da eguagliare, l’Altro idealizzato che si è fatto Caino affida all’aggressività che è senso di incompletezza e quindi ci fa sentire il prossimo come rivale. Caino non ci fa fare passi avanti . L’odio che alligna nel cuore dell’essere umano è più primitivo dell’amore. Quell’amore che in qualità di domanda ci fa spesso fare passi in avanti .
E dunque questo è l’uomo che viene fuori da pochi accenni su categorie come il prossimo, l’altro, il simile, il diverso , e via dicendo.
E se questo è l’uomo che “siamo “ viene spontaneo domandarsi , in un tempo in cui si è stati costretti a bandire la vicinanza fisica, in una condizione in cui le persone sono distanti e comunicano con la mediazione della tecnologia, che uomo sarà diventato dopo questa esperienza. ? Sarà un poco migliore usando l’esperienza fatta in senso positivo o sarà peggiore ? Che uomo sarà o sta diventando in un mondo in cui i mezzi di riproduzione ti danno l’illusione di essere vicino a persone che non conosci nemmeno? E soprattutto che tipo di prossimo è quello che nell’esperienza del coronavirus ti trovi di fronte? Che prossimo è ?
Probabilmente ci sono alcune strade per capire dove stiamo andando . Per esempio quando la parte più acuta del rischio sarà passata, sarà necessario riappropriarsi del “cordoglio” che farà della “memoria” per i morti senza nome ,qualcosa di diverso dal solito ricordo ossia capace di restituire una identità ai morti che è il primo passo per riconsiderare il valore che diamo al termine “ prossimo” appunto dopo questa epidemia . Il valore prossimo significa conferire una dimensione pubblica a quei drammi che si consumano oggi in modalità esclusivamente private o nell’isolamento dei reparti di rianimazione.
Un’altra strada è quella forse di ripristinare dimensioni mitico-rituali’ per ricreare, in momenti di grave crisi, un senso di ‘operabilità’ e ‘utilizzabilità’, nella costruzione di un mondo possibile, riaprendo orizzonti di speranza e di riscatto. Certo non è facile ma non è un discorso molto astratto come sembrerebbe stando a quello che le nostre società hanno costruito nel tempo in tema di mito. . E’ stato ripubblicato recentemente da Einaudi il testo postumo di De Martino ‘La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali’ che contiene l’aggiunta di un indice tematico,che è stato ritrovato e che è di grande interesse e attualità. In termini di apocalisse questo libro di De Martino ci aiuta a capire la distinzione tra apocalisse psicopatologica e apocalisse culturale . Tanto da riuscire a collocare eventi drammatici in contenitori sociali diversi, alcuni dei quali non sono in grado di fare fronte alla gravità della situazione creatasi, mentre altri, al contrario, si presentano come un’opportunità di reintegrazione di vissuti catastrofici dentro una condizione protetta di riguadagnata storicità.. In parole diverse la pandemia che stiamo vivendo e che forse si sta avviando ad un primo esaurimento potrebbe offrire delle opportunità che bisogna saper cogliere in tutte le prospettive possibili perché capaci di offrire chance di recupero . Tra queste possibilità di recupero , ecco riguadagnare la storicità dell’uomo, potrebbe ancora essere una strada per riguadagnare l’uomo alla sua “umanità” . Che significa in questi tempi guardare ai “limiti dell’uomo” con cui ogni uomo deve fare i conti . Così la vita potrebbe avere un altro senso e guardare l’Altro che è sempre Prossimo non più come un competitor ma come un Altro da se stessi che non è assimilabile come Simile,ma comparabile in una diversità che è uno dei valori che sta appunto nella umanità.
Una strada possibile anche se ancora diversa è quella di una evoluzione positiva. E’ quello che si domanda il filosofo Umberto Galimberti quando scrive : “”Il cambiamento imposto dal coronavirus sembra una sofferenza difficile da sopportare, anche se l’umanità ha superato di molto peggio. Succede perché ci troviamo nella condizione in cui tutta la nostra modernità, la tutela tecnologica, la globalizzazione, il mercato, insomma tutto ciò di cui andiamo vantandoci, ciò che in sintesi chiamiamo progresso, si trova improvvisamente a che fare con la semplicità dell’esistenza umana. Siamo di fronte all’inaspettato: pensavamo di controllare tutto e invece non controlliamo nulla nell’istante in cui la biologia esprime leggermente la sua rivolta. Dico leggermente, perché questo è solo uno dei primi eventi biologici che denunceranno, da qui in avanti, gli eccessi della nostra globalizzazione.
Se questo è il quadro, c’è forse un’incapacità di evolverci, come esseri umani ? Meglio dico io: L’uomo “volente o nolente “ si trova a vivere una transizione .Continua Galimberti “È un momento di sospensione, specie dalla frenesia quotidiana. Mi dicono: per molti è un valore positivo, per altri un monito del fato. Io penso che la sospensione ci trovi soprattutto impreparati: ci lamentiamo tutti i giorni di dover uscire per andare a lavorare, ma se dobbiamo fermarci non sappiamo più cosa fare. Non sappiamo più chi siamo. Avevamo affidato la nostra identità al ruolo lavorativo. La sospensione dalla funzionalità ci costringe con noi stessi: degli sconosciuti, se non abbiamo mai fatto una riflessione sulla vita, sul senso di cosa andiamo cercando. Siccome non lo facciamo, poi ci troviamo nel vuoto, nello spaesamento. E allora chiediamoci: il paesaggio era il lavoro? L’identità era la funzione? Fuori da quello scenario non sappiamo più chi siamo? Questo è un altro problema. Non basta distrarsi nella vita, bisogna anche interiorizzare e guardare se stessi.”
Una evoluzione che ci dica chi siamo . Che uomo siamo e che uomo saremo dopo questa pandemia . Saremo un uomo capace di guardare all’altro . Che significa,in sostanza, un uomo in grado di sconfiggere la solitudine . Questo si che sarebbe un uomo nuovo . La solitudine che ci ha rivelato l’epidemia , quella che avevamo dentro. .Perché il lockdown ha aperto le quinte e ci ha detto che siamo soli perché noi lo abbiamo voluto senza saperlo .Oggi ci lamentiamo di questa solitudine ma è quella che abbiamo “fatto vivere” con i social, con internet, con i comportamenti egoistici che hanno assecondato la parte peggiore della nostra natura umana Nell’isolamento e nelle avversità, gli esseri umani hanno bisogno di sentire, di non essere soli a lottare. I cinesi di Wuhan se lo gridavano dalle finestre. Noi lo abbiamo detto cantando sui balconi e sui terrazzi, esponendo striscioni colorati che affermavano che tutto sarebbe andato bene. Dunque non essere più soli significa ricostruire, cambiare, trasformare, evolvere . lo cominciamo a vedere attraverso lo specchio del coronavirus . Ma dobbiamo fare attenzione perché lo specchio inganna e tanto per adottare una metafora non vorrei che ci comportassimo come il bambino e la sua fase dello specchio . Introdotta da Lacan nel 1936 nella psicoanalisi freudiana la locuzione “fase dello specchio”, è intesa come momento in cui nella mente infantile si comincia a costituire il nucleo dell’Io. In tale età il bambino è ancora in uno stato di assoluta dipendenza e di relativa immaturità della coordinazione motoria; riconoscere sé stesso nell’immagine riflessa nello specchio gli dà un senso di “giubilo e di allegria”, come testimoniato dalla mimica e dai gesti del piccolo durante questa piccola avventura. Non è il caso, sicuramente , di abbandonarci a giubilo e allegria perché l’avventura dello specchio che ci riguarda è lunga, incerta nei risultati e faticosa. E anche pericolosa se dietro si cela ancora il coronavirus quello che abbiamo conosciuto e quello che potrebbe sostituirlo secondo una probabile ipotesi che avverte questo uomo di essere sempre soggetto a forze della natura ,positive o negative, non importa quali, ma sempre soggetto malgrado a volte qualche semplice affermazione o qualche “delirio di onnipotenza “