LA REVERSIBILITA’ DEL “CARPE DIEM”-DI ANTONIO ZIMARINO
Redazione-Amo smodatamente il componimento XI del Libro I delle Odi oraziane, quello conosciuto dai più come“carpe diem”.E’ un misto di nostalgia, tristezza, serenità, disillusione, consapevolezza, coscienza, amori sognati, sperati, detti e non detti, materia, anima … insomma è così densamente umano da non poter non leggerci dentro una qualche parte di noi … ed è scritto in una maniera così perfetta da non avere alcuna minima incertezza o debolezza. Ma ogni volta che lo leggo e lo rileggo , c’è una cosa che mi ritorna nella testa, probabilmente a causa della mia passione per il “presente”, esistenzialmente e artisticamente parlando. Il “carpe diem” è perfettamente “reversibile”: è sia la coscienza di ciò che stato e ciò che é ma anche la coscienza di ciò che si sta “costruendo” qui e ora (vina liques). Orazio ci chiede di non affidarci alla sorte e alle divinità, ma di essere “modesti” nelle nostre pretese (resesces spem longam) anche se è farlo “costa” un prezzo. Ma è il dialogo (dum loquimur) che consente di trasformare il tempo (fugerit invida aetas) consentendoci così di “afferrare – estrarre” il senso dell’istante (carpe diem) smettendo di immaginare come le cose dovrebbero essere.
Partendo da questo, provo a spiegare quanto siano straordinariamente sensate anche per il nostro “essere contemporanei” le cose che Orazio filosoficamente, metodologicamente ed esistenzialmente mette in campo. Chiedo scusa se taglierò un po’ troppo nettamente le questioni ma in una nota del genere, non si può che tentare di andare all’essenziale. Vi chiedo liberalmente la pazienza di arrivare alla fine del discorso.
Sappiamo tutti o dovremmo sapere, che la “contemporaneità” è l’emergere di eventi e avvenimenti in cui viviamo o di cui ci informiamo. Gli eventi che riguardano la “cultura” in senso lato, dovrebbero, potrebbero essere quelli più “leggibili” perché si propongono in un campo di questioni delle quali è possibile, volendo, ricostruire antecedenti, legami e rimandi, se si ha la capacità di leggerli con criteri realisticamente fondati in alcune conoscenze. Gli “eventi culturali” (che comprendono in realtà più o meno tutto quello che gli umani fanno) possono essere letti con approssimazione o profondità delle conoscenze: queste letture sono le “opinioni” cioè delle idee proponibili per leggere quei fatti. Ovviamente esse saranno molteplici, più o meno tante quante sono gli “universi”, i sistemi di conoscenze e dati che ciascuno ha messo insieme per interpretare. Quindi, le interpretazioni sono diverse, anche opposte, o alternative … e tra esse, le più credibili sono le meglio fondate su metodi e conoscenze, le meno credibili sono le più soggettive ed estemporanee.
E’ strano dirlo, ma la qualità delle interpretazioni/opinioni che si propongono, non ne fa necessariamente la loro fortuna presso chi si informa: bisogna essere in grado di distinguerla la “qualità”, mentre invece si accolgono le “opinioni” per situazioni “contingenti”, condizionati da emozioni, interessi, intenzionalità, capacità di comprensione, di lettura, finalità … . Il tempo poi aggiusterà le cose perchè lui lascia in piedi ciò che è meglio radicato e coerentemente “costruito” rispetto al problema e al suo contesto, per noi, basterebbe imparare ad “accorciare” questo tempo, magari, con qualche confronto e riflessione in più.
Nel frattempo, tutto resta all’incirca “approssimato”, variabile, precisabile e discutibile: a volerlo praticare con attenzione e modestia quello delle opinioni variabili è davvero un gran bel campo d’azione, di crescita e di riflessione. In questo calderone crescono e si sviluppano altri infiniti pensieri e altre possibilità. Questo non sarebbe un luogo di conflitti perché sarebbe quanto mai improprio “confliggere” su cose tutte da verificare; non ha molto senso avere bandiere da difendere perché tutto è destinato a precisarsi e a cambiare: qui ci sarebbero solo possibilità di capire. Il conflitto nasce quando non si è capaci di accettare l’opinione per quello che è: una possibilità, più o meno credibile in base alla coerenza delle informazioni, dei saperi, delle conoscenze che si mettono in campo per esprimerla in modo coerente. Ovviamente, non tutte le opinioni in “partenza” sono uguali: ci sono quelle preconcette, per sentito dire, ideologiche etc. etc. con le quali è sostanzialmente inutile confrontarsi. Meglio quelle “aperte”, quelle articolate che aprono campi e spazi a suggestioni e ipotesi.
Questa diversità e imprecisione la trovo bellissima e enormemente stimolante: trovo invece noiose le verità pretese, imposte e definite come tali. Trovo illuminante la discussione, trovo inutilmente faticoso il battibecco, l’arroganza (dove il senso del discorso si perde a favore della presunzione e dell’arguzia linguistica .. che comunque, non nego, offre anche un certo gusto paradossale) trovo deludente ed umiliante l’offesa a chi ha idee diverse. Perché questo discorso? A che serve? Credo potrebbe aiutare un po’ a capire “dove siamo” “chi vogliamo essere” “cosa ci interessa” “cosa potrebbe essere” di un pensiero, di se stessi, di un discorso, di una relazione.
E allora, torniamo al nostro “carpe diem”: cosa c’entra in tutto questo? La “contemporaneità” è il luogo delle scelte in cui noi proponiamo e sviluppiamo le possibilità: dove meglio che “qui e “ora” provare a smettere di essere ciò che non ci piace essere e mettere basi per ciò che potrebbe darsi? Insomma quale luogo migliore per recuperare una consapevole ingenuità “socratica” per la quale le idee e le cose sensate nascono dal processo di confronto e verifica costante tra saperi e opinioni? L’incerto Presente è in fondo, il luogo migliore dove ha senso adottare questo processo/metodo/disposizione esistenziale, in grado di creare nuove possibilità alla vita, ai pensieri e alle relazioni.
La fecondità della “diversità” dei pensieri esiste a condizione di essere disposti ad incontrala e può essere incontrata se si acquisiscono gli strumenti per gestirla: ascolto, comprensione dei termini, dialogo, interesse a capire … sinceramente, non se ne può davvero più della sterile cattiveria del bisticcio, del litigio, dell’offesa, della presunzione, della prevaricazione. Facciamo attenzione però, questo non ha nulla a che fare con un irenismo bonario o con il buonismo cattolico: l’incapacità di volersi comprendere, il non accettare di crescere con il confronto, fa perdere tempo inutilmente e non ci danno nessuna possibilità di capire qualcosa di nuovo. Tanto siamo ben consapevoli di quanto noi esseri umani siamo in grado di essere stronzi e cattivi anzi, è scontato che sia così: allora perché perdere tempo a dimostrarlo e a ridircelo? Perdiamo troppo tempo, mentre invece ci sono tante cose interessanti e utili da conoscere e imparare se le sapessimo confrontare e condividere.
Ovviamente questo non significa che cazzate, presunzioni e cattiverie non vadano stigmatizzate e definite proprio perchè rilevarle e stigmatizzarle ci aiuta a comprendere il luogo dove non vogliamo essere. Ma dopo averlo definito, perché non cominciare a costruire il luogo dove ci piace stare?
Ecco io con Orazio e Leuconoe vorrei stare dove vale la pena stare, non so dove esattamente, ma almeno conosco il metodo.