” LA ‘MASCHIA’ AGELTRUDE ” – PROF.SSA GABRIELLA TORITTO
Redazione- La ‘maschia’ Ageltrude fu sovrana e imperatrice. Fu una donna che esercitò la sua influenza politica in un’ottica prevalentemente romano- longobarda. Si distinse per molti meriti ed ebbe un ruolo di rilievo.
Verso la metà del secolo IX la presenza dei Duchi di Spoleto in Roma aumentò di prestigio e di peso e il futuro imperatore Guido III, figlio di Guido I, morto nell’866 e fratello di Lamberto, riunì sotto il suo scettro, oltre al Ducato di Spoleto, appannaggio di famiglia, le terre e la città di Camerino.
Nell’876, Guido, giovane conte proveniente dalla città di Camerino, su ordine di Carlo il Calvo e di papa Giovanni VIII, accompagnò il fratello Lamberto, duca di Spoleto, in una missione diplomatica in Campania, presso i locali principi longobardi, per persuaderli a formare una lega contro i Saraceni.
Forse fu proprio in quella missione che Ageltrude conobbe Guido. Da quell’anno in poi Guido, compare nelle cronache come un valente condottiero contro gli invasori Saraceni. Si narra che in una località detta Caudo (le Forche Caudine) uccise l’ismaelita Arrane, crudelissimo tiranno.
E se, come si narra, fu proprio Ageltrude, figlia del principe longobardo Adelchi di Benevento, a cadere ostaggio dei Saraceni e ad essere da lui liberata, la giovane duchessa dovette vedere Guido come un grande eroe e, nonostante fosse un Franco, innamorarsi di lui.
Tra Longobardi e Franchi vi era sempre stato un odio profondo dopo la sconfitta inflitta da Carlo Magno al re longobardo Desiderio, e Adelchi, figlio di Desiderio, era malvisto per i suoi rapporti di amicizia con i duchi di Spoleto. La situazione per il principe Adelchi precipitò nell’878. Mentre faceva ritorno alla sua città, dopo aver assediato e conquistato il castello di Trivento in Molise, fu ucciso dai generi, dai nipoti e da amici. Così si narra.
Ageltrude, che fin da fanciulla era vissuta in un ambiente ostile ai Franchi e che vide fra l’altro trionfare l’orgoglio nazionale longobardo quando il 13 agosto 871 la sua casata imprigionò l’imperatore Ludovico II con la consorte Engelberga nella Rocca di Benevento, in seguito alla morte del padre entrò in convento, ma Guido dopo un anno (poco prima che la ragazza prendesse i voti) ricomparve per chiederla in sposa.
Quando nell’875 Guido III convolò a nozze con Ageltrude, una delle prime donne importanti destinate a contraddistinguere il variegato Medioevo romano, concluse un vantaggioso matrimonio.
L’unione suggellata fra i due fu infatti significativa poiché la provenienza della duchessa garantì al consorte la via verso il Mezzogiorno della penisola italiana. La dote della giovane sposa rafforzò considerevolmente Guido tanto che, dopo quelle nozze, Papa Marino e Carlo il Grosso si incontrarono, pur senza raggiungere un’intesa, presso l’abbazia di Nonantola. Essi volevano attuare un piano rivolto contro Guido III e la sua consorte longobarda, entrambi destinati a costituire un serio pericolo sia per il pontefice romano, sia per l’ultimo esponente imperiale della dinastia carolingia.
E se l’opposizione all’ascesa del Casato di Spoleto si spiegò bene e si rinnovò di volta in volta, la situazione in Roma e in quella di varie zone della penisola italiana durante l’ultimo decennio del IX secolo divenne così complicata da assicurare la più felice riuscita alle ambizioni di Guido, il quale il 21 febbraio 891 fu Incoronato imperatore, sebbene di controvoglia, da Papa Stefano V.
In quel contesto la giovane Ageltrude divenne, seppur momentaneamente, imperatrice ed ebbe modo di constatare che il nuovo sovrano, suo marito, era abile, così come accorta ed abilissima fu lei nel cogliere al volo le occasioni propizie che le si presentarono. Il suo prestigio politico aumentò considerevolmente in Roma grazie alla sua volontà, soprattutto quando apparve più isolata che mai.
Fu proprio dopo la morte dell’imperatore Guido, suo marito, che Ageltrude rivelò i suoi piani e la determinazione del suo temperamento. La morte di Guido, avvenuta nel dicembre dell’894, spinse la Chiesa di Roma a riprendere una politica filo-germanica di cui divenne protagonista Papa Formoso, partigiano del re tedesco Arnolfo di Carinzia e del di lui figlio Sventiboldo.
In quella situazione, di fronte ad una Chiesa di Roma scarsamente propensa ad avvalersi degli eredi di Guido III, colei che era stata, sia pure per breve tempo, imperatrice e che ora appariva (almeno così sembrava) isolata e priva di consistenti appoggi, avrebbe dovuto temere un periodo molto difficile. Invece Ageltrude non si dette per vinta e proprio di fronte all’irrigidimento del pontefice, assieme al figlio Lamberto, riuscì con decisione e con maschia sicurezza a tenere in pugno i territori appartenuti all’ormai scomparso consorte, sia quelli di Spoleto, sia quelli di Fermo, sia quelli campano- beneventani, sia tutti gli importanti e appetibili possedimenti romani.
Ageltrude sviluppò proprio in Roma una lotta contro il re tedesco Arnolfo e consolidò abilmente vecchi e nuovi legami politici, verificati e rinsaldati uno ad uno, nell’intento di sbarrare il passo al monarca germanico e di assicurare la successione al trono del figlio Lamberto, nonché di rafforzare la loro posizione romana, densa di concrete prospettive ed ampliamenti.
Frattanto il pontefice Sergio III e i nobili Costantino e Stefano appoggiarono contro la famiglia di Camerino e contro Ageltrude un candidato non italiano, un esponente in grado di garantire a tutte le famiglie più potenti di Roma e della penisola una situazione che le ponesse sullo stesso piano senza elevarne economicamente e politicamente nessuna al di sopra e a danno di tutte le altre. A quel punto la vedova di Guido III, al fine di scongiurare tale pericolo tentò persino di giocare la carta delle elezioni dell’antipapa Bonifacio, la cui morte improvvisa lasciò la Sovrana ancora più isolata sebbene non priva di coraggio e di spirito decisioni stico, grazie a cui stabilì di organizzare in prima persona la difesa di Roma contro Arnolfo.
Si trattò di un fatto di notevole portata se si riflette che fu intrapreso da una donna, sebbene di non comuni qualità. E se all’inizio Ageltrude aveva prudentemente deciso di ritirarsi con il figlio Lamberto nei Feudi di Reggio Emilia per attendere lo svolgersi degli avvenimenti, successivamente con un contegno giudicato virile e che sembrò evocare le virtù della biblica ‘maschia Giaele’ raccolse un esercito e tornata in Roma provvide a riunire e a rafforzare fra loro gli avversari di Arnolfo e a fortificare i tratti più deboli delle mura aureliane, bisognose di consistenti restauri.
Arnolfo, accampato fuori dalla porta di San Pancrazio sulla Aurelia, a sua volta chiamò a raccolta i propri sostenitori. Così senza alcuna esitazione e con rinnovato vigore si riprese l’assedio volendo continuarlo fino al raggiungimento della vittoria.
In quello scontro cruento Ageltrude fu eroica e compì imprese di grande valore, fino a che sul fare della sera del 21 febbraio 896 la resistenza dei suoi uomini venne meno. L’impeto dei nemici fu strenuo e paragonato dallo storico Liutprando, vescovo di Cremona, a quello degli antichi invasori Galli, sicché Ageltrude e i suoi Spoletani furono costretti ad allontanarsi da Roma clandestinamente.
Il germanico Arnolfo, ormai vittorioso, entrò trionfante ed acclamato in Roma attraverso Ponte Milvio e fu subito incoronato imperatore nella basilica di San Pietro da papa Formoso, il quale successivamente dovette pentirsi di quella alleanza.
Invero Ageltrude animò l’opposizione e la resistenza contro il tedesco, la cui vittoria si rivelò ben presto effimera anche perché, mentre organizzava la presa delle terre longobarde, Arnolfo fu colto da un attacco apoplettico, che lo costrinse a rientrare in Germania per avvelenamento e che Liutprando attribuì all’astuzia dell’ex imperatrice.
Così per la duchessa longobarda giunse l’ora della riscossa, sebbene nell’Urbe si svolsero eventi di una crudeltà inaudita a causa degli odi maturati nel frattempo. Il pontefice Stefano VI fu costretto a passare dalla parte degli Spoletani e ad indire processi contro i filo-germani. Capro espiatorio su tutti fu papa Formoso, condannato da cadavere e le cui ordinazioni furono tutte annullate, poiché pontefice illegittimo e indegno.
Più tardi la Storia paragonerà le crudeltà di papa Stefano VI a quelle di Nerone e di Diocleziano mentre riabiliterà in parte le figure di Ageltrude e di suo figlio Lamberto in quel momento lontani da Roma e pertanto non correi dei misfatti vendicativi.
Concluse le vicende romane, Ageltrude consegnò il ducato di Benevento al fratello Radelchi, mentre suo figlio morì misteriosamente durante una battuta di caccia nell’ottobre dell’898.
Berengario e Ludovico II di Provenza le garantirono appoggi e fedeltà e la possibilità di conservare molte donazioni ricevute in precedenza, anche al fine di preservarne l’amicizia.
Ma da quel momento in poi la ‘maschia’ Ageltrude si ritirò in convento, nel monastero di Natabene, in Camerino, e poi in San Nicomede a Fontana Broccoli.
Lasciò molti suoi beni in favore dell’altare di San Remigio nella chiesa di Santa Maria di Parma, ove era situata la sepoltura del consorte Guido.
Donna della fine del IX secolo, età torbida e complessa, si distinse per fierezza ed audacia, per volontà virile, in un mondo dominato dall’altro genere, assetato di potere.
F.to Gabriella Toritto