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” LA FUNZIONE DEL PUDORE ” – DOTT.SSA MARTA TRAVAGLINI

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Redazione- Che funzioni ha il pudore all’interno della sessualità?Lo studio che segue rappresenta un tentativo di approfondire la dimensione del “pudore”.

 Analizzare questo concetto, significa sviscerare una delle forme espressive dell’essere umano che si sviluppa naturalmente in risposta ad un senso di profonda vergogna o di imbarazzo. Il termine pudore, infatti, (dal latino pudor, derivato di pudere, “aver vergogna”) esprime “sentimenti di riserbo, ma anche di disagio o avversione, nei confronti di atti, parole, allusioni, comportamenti che riguardano la sfera sessuale”.[1]

Perché accade questo? In che modo nell’individuo viene suscitato questo senso di inadeguatezza?

La storia del pudore, inteso come sentimento e come comportamento, si presenta ricca e multiforme nelle diverse epoche storiche e della vita.

Per quanto riguarda l’evoluzione del concetto, basti pensare al dominio della tipologia della pudicizia tra le donne della Roma repubblicana (dove nel 270 a.C. vennero coniate monete con l’effigie della dea Pudicizia) e al suo dissolversi e quasi scomparire, in epoca imperiale, nel modello di vita femminile; all’imperiosità della ‘decenza’ fra i puritani e alla spregiudicatezza tra i libertini nel secolo dei Lumi; alle svariate curvature tematiche e comportamentali nella cultura tardovittoriana; all’impatto omnipervasivo dell’eros ai nostri giorni. Il pudore è dunque una categoria esistenziale di grande importanza, come resistenza allo svelamento e all’oggettivazione del corpo, come rivelatore delle pulsioni autentiche in cui si incarna l’uomo.

Pietro Canonica: Il pudore, 1890. Attualmente collocata nel Museo Pietro Canonica a Villa Borghese.[2]

Il pensiero sociologico ha incontrato più volte la dimensione del pudore lungo il suo percorso. Tuttavia, solo due sono gli autori che si sono confrontati direttamente con tale tematica.

Il primo è Norbert Elias, l’altro Georg Simmel.

Le due prospettive, divergono profondamente. Nel primo caso il

pudore è trattato come una norma socio-culturale, costruita e determinata storicamente; nel secondo invece è trattato dal punto di vista psicologico-sociale, con un particolare approfondimento della dimensione esistenziale della soggettività considerata nella sua relazionalità. Esso cioè è osservato come una disposizione interiore del soggetto, messa in stretto rapporto con il sentimento della vergogna.

Se anche Elias non manca di dedicare qualche pagina al pudore considerato nella sua dimensione esistenziale, esso tuttavia, come vedremo, è sempre ricondotto all’interno del processo di civilizzazione, e considerato in vista della comprensione del quadro storico-normativo, e non del suo ruolo giocato nella relazione sociale tout-court. Cosa che, invece, rappresenta l’obiettivo dichiarato di Simmel.

In “Sull’intimità”, Simmel propone un intero capitolo sulla psicologia del pudore, all’interno della quale esso descrive come il pudore si esprima nel momento in cui avviene una frammentazione all’interno del nostro “Io”: “Nel più ovvio caso di pudore, legato alla nudità del corpo, l’elemento decisivo è l’insistente attenzione che si sente rivolta verso sé stessi e la contemporanea umiliazione […]. Nella nostra cultura, generalmente, il mostrarsi del corpo nella sua nudità appartiene a questa sfera che, solo in circostanze speciali può essere accessibile ad altri senza, per così dire, privare l’Io della sua interezza ed integrità. Il pudore pare consistere nel sentirsi combattuto tra l’affermazione dell’Io, in quanto esso costituisce un centro di attenzione, e la sua negazione, che egli stesso avverte, nel suo contemporaneo venir meno all’idea compiuta e normativa di sé (2004, p.66-67)[3]

Con queste parole l’autore ci introduce ad un primo concetto:

All’interno della nostra sfera intima e sessuale, il pudore viene percepito come una interruzione- frammentazione del nostro “Io” in relazione ad una parte innegabilmente sociale e morale che lo circoscrive al suo interno. A dimostrazione di ciò, lo studioso scrive: “Ciò spiega perché le prostitute, non appena vengono colte da un reale sentimento per un uomo, di fronte a lui, guadagnano di nuovo il pieno senso di pudore. Infatti nell’amore e con l’amore nel rapporto con l’uomo è coinvolto il loro intero Io, mentre nel loro darsi per denaro entra in gioco solo una parte unilaterale che non si mette più affatto in relazione con l’intero (ibidem, pag.68)“. In questo senso, si potrebbe affermare che all’interno della dimensione umana si situi una polarità dell’Io che, messo di fronte a determinate situazioni, acquisti uno sdoppiamento, in qui l’Io affermativo viene messo in dubbio o in opposizione ad un Io che lo nega.

Una ulteriore analisi approfondita e dettagliata del pudore è sicuramente quella che Norbert Elias svolge ne Il processo di civilizzazione (1939)[4]. In questo vasto e complesso studio di sociologia storica, l’autore mira a mostrare come gli habitus e l’economia psichica degli affetti, in base ai quali oggi ci definiamo “uomini civili”, sono frutto di determinati processi storico-sociali che si sono affermati con la modernità.

Secondo Elias, dunque, quei costumi che oggi diamo per scontati non sono elementi naturali, né hanno carattere razionale, al contrario, hanno una precisa sociogenesi alle spalle, da cui dipende la loro affermazione e l’eventuale loro evoluzione. Elias, pertanto, colloca la dimensione del pudore in un preciso quadro analitico: quel riserbo, quella discrezione, quella distanza dalla sfera della corporalità e della sessualità, con cui oggi identifichiamo il pudore, si inscrive in uno specifico processo storico-sociale. Quello che oggi sembra essere un comportamento naturale, conseguenza di una presupposta natura umana, ha in realtà una genesi sociale, relativa alla particolare configurazione dei rapporti sociali che si sono andati definendo in Europa sin dal Medioevo. Infatti, quando con l’affermarsi della vita di corte i soggetti divengono sempre più vicini e interdipendenti, emerge la necessità di un maggior autocontrollo delle pulsioni corporali e degli affetti all’interno delle relazioni sociali.

“Nelle grandi corti cavalleresche feudali, […], dove parallelamente all’entità delle entrate e al collegamento con la rete commerciale affluiscono merci in maggior quantità, dove si raduna un maggior numero di uomini per trovare servizio e insieme il proprio mantenimento, questa massa di persone è dunque costantemente obbligata a intrattenere, almeno al suo interno, rapporti pacifici. Data anche la presenza di dame altolocate, tutto ciò esige un maggior controllo e ritegno nel comportamento, un più accurato modellamento degli affetti e delle forme di convivenza sociale”[5].

Per garantire la vita di corte, quindi, emergono e si affermano progressivamente una serie di norme sociali volte a silenziare e controllare il corpo e la sessualità. Questo condizionamento delle relazioni sociali, assume un carattere sempre più deciso man mano che dalle corti cavalleresche-feudali si passa alle corti assolutistiche del XVII e del XVIII secolo, dove, sotto la spinta della borghesia rampante, la nobiltà si rifugia per cercare di conservare il suo rango sociale. Oltre a un’interdipendenza delle relazioni sempre più intensa, ora, i “modi cortesi” e, segnatamente una più elevata “soglia del pudore”, rispondono all’esigenza della nobiltà di distinguersi da quella borghesia che sta minacciando il suo status sociale.

In questa prima fase, in cui la società è ancora altamente differenziata gerarchicamente, il pudore è diffuso per lo più nei ceti superiori, ed è avvertito come una norma che ha una motivazione sociale[6]. Esso, cioè, indica un certo rispetto, una certa premura, nel rapportarsi con chi nella gerarchia sociale occupa la stessa posizione o una posizione superiore, mentre non interviene nei rapporti con persone di rango inferiore. Il carattere e la strutturazione sociale del pudore emergono chiaramente osservando la nobiltà di questo periodo: tutta presa a definire i suoi modi cortesi con i suoi pari, si mostra nuda davanti ai suoi camerieri senza alcun imbarazzo.

Col tempo, invece, con l’aumento dell’interdipendenza dovuta all’intensificarsi della divisione del lavoro, con l’indebolirsi della gerarchia sociale, e con il diminuire quindi della distanza sociale tra gli individui, la prescrizione del pudore si generalizza, affermandosi prima nella borghesia e poi negli strati più bassi, fino a valere nei confronti di tutti. Il pudore, ora, sarà così diffuso e radicato che non sarà più percepito come una norma sociale (esterna) da rispettare ma come un automatismo che proviene dall’interiorità, non un’etero-costrizione ma

un’auto-costrizione. Questa progressiva interiorizzazione di norme sociali diventerà “normale”, assodata, a tal punto da sembrare un dato naturale, una “seconda natura” dell’essere umano.

Proprio come il pudore è percepito nel mondo contemporaneo, osserva Elias. “L’obbligo di contenere le proprie manifestazioni istintive, il pudore di cui la società li avvolge, sono diventati per l’uomo un’abitudine al punto che non riesce a liberarsene neppure quando è solo, neppure nella sua intimità. Dentro di lui le manifestazioni degli istinti, promessa di godimento, lottano con le interdizioni e limitazioni apportatrici di pena, con i sentimenti indotti di pudore e di imbarazzo. Questo è lo stato di cose che Freud cerca di esprimere con concetti quali “Super-Io” e “Inconscio”, oppure, come efficacemente dice la “voce del popolo”, il “subconscio”. Ma comunque lo si voglia definire, il codice sociale di comportamento si imprime nell’uomo in una forma o nell’altra al punto da diventare, per così dire, un elemento costitutivo dell’Io individuale. E questo elemento, il Super-Io, al pari della struttura psichica e dell’Io individuale come totalità, muta necessariamente in funzione del codice sociale di comportamento e della struttura della società”[7].

La genesi individuale (psicogenesi) del pudore, quindi, è in relazione con la sociogenesi di determinate norme, ovvero con particolari condizioni e rapporti sociali che hanno messo in moto determinati processi di normazione. Del resto, nota Elias, la relazione tra psicogenesi e sociogenesi del pudore emerge osservando anche la differenza tra la “soglia del pudore” del bambino rispetto a quella dell’adulto. Il bambino, cioè, non viene al mondo possedendo naturalmente lo stesso senso del pudore dell’adulto, al contrario, a riprova della costruzione sociale del pudore, l’acquisisce introiettando in breve tempo quei modelli comportamentali che hanno impiegato secoli per affermarsi.[8]

Perciò – come dice Elias nella Prefazione alla sua opera – non è possibile comprendere la psicogenesi dell’habitus dell’adulto nella società civile se la si considera indipendentemente dalla sociogenesi della nostra “civilizzazione”.[9]

Il posto del pudore, in Elias è, in definitiva, quello dell’angoscia che nasce da una scissione interiore esposta socialmente. Mentre l’uomo si civilizza, mentre aumenta il suo autocontrollo nelle relazioni sociali, e cioè “via via che diminuiscono le angosce indotte dall’esterno” ecco che <<si rafforzano quelle interiori, quelle che una “parte” prova nei

confronti di un’altra “parte”>>[10].

Esaminando il pensiero dei due studiosi è evidente che, come linea comune, abbiano intercettato nel pudore una scissione interna del nostro Io. Ma se il pudore scinde noi stessi, esso che funzione ha?

Abbiamo visto come esso possa essere funzionale assumendo un ruolo di “controllo” delle masse all’interno di una società rispecchiandone gli usi e i costumi della stessa. Indica quali atteggiamenti possiamo assumere e quali no, in determinati contesti. È come se fungesse da “regolatore” del nostro agire, rendendoci socialmente “accettabili”. Esso è, pertanto, frutto di una costruzione sociale. Nello specifico, nello sviluppo delle società occidentali, esso è soprattutto il frutto di una cristianizzazione e conseguente moralizzazione dei comportamenti umani. Nel volume Il disagio della civiltà e altri saggi, all’interno della sezione “la morale sessuale civile” S. Freud analizza gli aspetti relativi alla oppressione degli istinti sessuali che, relegati esclusivamente alla sfera coniugale e matrimoniale, vengono plasmati da una moralizzazione sessuale civile fortemente borghese. Esso studiando la causa delle nevrosi, in special modo nelle donne, comprende che esse si sviluppino in relazione agli istinti sessuali repressi. Le pulsioni sessuali naturali vengono inibite perché non funzionali alla riproduzione[11]. Molti dei nostri tabù, infatti, sono da ricercare nelle nostre radici storiche-culturali e, anche religiose che, parlando di occidente, si riferiscono prettamente alla cultura cattolica. Queste componenti, attraverso la moralizzazione della sessualità hanno contribuito a creare quello stato di pudore che notiamo (anche se nettamente in minor parte) ancora oggi.

  1. Dal dizionario Treccani online
  2. In Pudore del 1890, viene rappresentata una giovane donna svestita, dalla cui espressione e gestualità s’intuisce lo stato d’animo di grande inquietudine, legato all’azione di sottrarsi per pudore allo sguardo altrui. La posizione, quasi a chiusura e protezione, dove cerca di creare una barriera difensiva con il suo stesso corpo, anche se invano, trasmettono la tensione che si evince dalla stretta morsa delle mani e dal corpo, che si ritrae all’indietro, mentre le gambe accompagnano il movimento. In quest’opera l’artista è riuscito in pieno a cogliere l’inquietudine del soggetto, proiettandola verso noi stessi, personaggi reali, che la osserviamo.
  3. George Simmel: Sull’intimità, Armando Editore, 2004
  4. L’edizione italiana a cui faccio riferimento è divisa in due volumi: Norbert Elias, La civiltà delle buone maniere. La trasformazione dei costumi nel mondo aristocratico occidentale, Il Mulino, Bologna,1998 [1939]; Norbert Elias, Potere e Civiltà. Il processo di civilizzazione II, Il Mulino, Bologna, 2010 [1939].
  5. Norbert Elias, Potere e Civiltà. Il processo di civilizzazione II, cit., pag. 123
  6. Norbert Elias, La civiltà delle buone maniere. La trasformazione dei costumi nel mondo aristocratico occidentale, cit., pag. 281.
  7. Norbert Elias, La civiltà delle buone maniere. La trasformazione dei costumi nel mondo aristocratico occidentale, pag. 346,347.
  8. Ivi, pag. 284,286
  9. Ivi, pag. 103
  10. Norbert Elias, Potere e Civiltà. Il processo di civilizzazione II, cit., pag. 384.
  11. Sigmund Freud; ‘’Disagi della civiltà e altri saggi’’, Bollati Boringhieri,2017. Ediz. Integrale pag. 12-17

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