Questa è una poesia molto diversa dalle altre che ho scritto. Non soltanto per la lunghezza o la forma, più essenziale, oserei dire per certi aspetti persino laconica, a ragione di eufemia. L’ho scritta una sera dopo aver rivisto un amico, Nico, e saputo di un grave incidente che lo aveva coinvolto diversi anni prima mentre era alla guida. Ora lui sta bene, continua a suonare e a cantare come prima, ma nei suoi occhi sono riuscito a scorgere l’eterno, ho visto imprigionato quel momento di terrore in cui l’esile filo della sua vita si trovava già stretto fra le lucenti cesoie di Atropo.

Quella luce della sera

Là,

Nel silenzio che si anela all’imbrunire,

Una luce a poco a poco si addormenta.

Il vuoto,

Il nulla,

L’assenza d’ogni cosa

Congiunge ieri e finisce l’oggi.

Parole e voci,

Esili sussurri lontani da noi,

Si allungano

Senza forma alcuna

Nella fragile inconsistenza di un respiro.

Le ombre della sera così si ritirano,

E la speranza per domani,

Infine,

Si quieta accanto a me.

Chi sei?

Chi sono?

Dove mi sono addormentato?

A malapena un esile sussurro perso nel tempo.

Una voce,

Una melodia,

Un apostrofo tra due silenzi,

Un facile accordo che un tempo conoscevo.

Ora siamo soli,

Tu ed io,

In un disarmante momento di fugace intimità.

Non c’è domani,

Non c’è speranza,

Non c’è più nulla a tendermi la mano.

Soltanto l’affanno di una notte senza fine.

Paure e sogni,

Vaghe illusioni si congiungono al presente,

Come immagini d’un estemporaneo nonnulla,

Mentre nuove luci si dilatano nella strada.

Amico mio,

Compagno di ieri,

Sussurra il mattino,

Hai osato,

Sei caduto,

Ma non ti lascerò.

Tu,

Che in silenzio mi tieni la mano,

Che mi accarezzi la fronte,

Che abbracci stretto il mio spirito

Per non farmi andare via.

Tu,

Che appena sottovoce mi dici…

Sono qui,

Amore mio,

Sono qui per te.

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