GIUSEPPE UNGARETTI (SECONDA PARTE)
Redazione- Fra i temi più belli da lui trattati vi sono il problema del rapporto fra l’uomo e la verità e il problema dei tempi, che con il loro modificarsi, per il progresso della scienza, modificano il rapporto dell’uomo con la verità.
Scrisse: “Ci sono dei valori eterni che l’uomo non può conoscere, perché su questa terra egli è semplicemente un’entità chiusa nel tempo.”
Giuseppe Ungaretti a proposito scrisse formule profetiche: “l’uomo con la conquista di nuove spazi, crede di aver raggiunto la verità, ma ha acuito maggiormente l’abisso che lo divide da essa, poiché ora egli (l’uomo) non ascolta più la voce della sua anima. E’ quasi superbo, inebriato, drogato dalle insperate conquiste”.
Nella sua poesia troviamo con accorata malinconia la guida alle sue esplorazioni poetiche, rappresentata dalla dimensione del dubbio che ogni uomo vive e vivrà, se mediterà di giorno in giorno su ciò che ha sperimentato e sofferto, per scoprire, attraverso le vicende umane, la causa che con tanto progresso lo ha portato all’oblio della voce della propria anima.
Egli affidò una missione alla poesia, quella di potersi avvicinare al mistero che ci circonda, quella di fare un’introspezione dell’animo umano. E, nel periodo in cui visse, la poesia introspettiva fu incentivata dalla rivoluzione portata da Freud con la psicanalisi, che influenzò anche lo scrittore J. Joyce.
Ungaretti scrisse anche poesie d’amore. Fu molto colpito durante la sua adolescenza e giovinezza dalle pratiche musulmane. Dalla sua poesia trapela la capacità propria della gente di colore di vivere lo spirito religioso in gioia e in letizia ma anche di carne o di sangue.
La sua poesia con il passar del tempo si arricchì sempre di più, non si saturò, poiché come egli stesso disse: “nelle poesie della vecchiaia non c’è più la freschezza e l’illusione di gioventù, ma c’è una somma di esperienze che se si riesce a trovare la parola giusta, quella efficace, e non accade sempre, allora si ha la vera poesia, la più alta da lasciare”.
Avvertì molto il senso della natura, si avvicinò moltissimo ad essa.
Nella sua poesia avvertiamo l’esistenziale condizione umana di vanità, di fragilità di fronte al mistero e l’aspirazione verso questo. Vi è il senso di nostalgica malinconia, che accompagna da sempre il mito del marinaio, del viaggiatore, che caratterizza quasi tutta la poesia moderna e che rappresenta la ricerca dell’innocenza del paradiso perduto. Il naufragio, la nave, simbolicamente ritornano spesso nelle sue liriche, come pure nei film di Fellini. Essi si fondano sull’antichissima tradizione omerica che conferisce al viaggio una forza evocatrice metafisica, e non solo il carattere fantasioso, avventuroso.
Il tema poetico di Ungaretti ruota sempre attorno al mistero irriducibile. La sua parola è pura, vergine, consolatrice e rivelatrice. Per Ungaretti la poesia è umanità, è mondo. Il mistero si è ricolmato con la parola, della parola; diversamente da Mallarmé la cui parola era piena di mistero.
Nella poesia di Ungaretti la parola si fa rivelatrice: esiste un mistero irriducibile; la mente non ci arriverà mai (Bergson), solo col sentimento lo si potrà sfiorare, intuire.
Il poeta era abituato a lottare a pugni chiusi contro il tempo, contro la morte. Egli disse: “lo confesso, sono un violento”. In lui troviamo sdegno e coraggio di vivere, volontà di vivere, nonostante tutto. Dalle poesie de Il Porto Sepolto, scritte in trincea, fino alle successive egli si identificò sempre con l’uomo di pena.
Conclusa la Grande Guerra e tornato a Parigi, il 9 novembre del 1918, nel suo attico parigino, trovò il corpo del caro amico Apollinaire, stroncato dalla febbre spagnola. Restò nella capitale francese come corrispondente del giornale “Il Popolo d’Italia”, diretto da Benito Mussolini. Sempre a Parigi nel 1920, sposò Jeanne Dupoix, conosciuta lavorando nell’ambasciata italiana della capitale francese. Nel 1921 tornò in Italia e si stabilì a Roma dove venne incaricato per la stesura dei Bollettini settimanali presso il Ministero degli Esteri. Nel 1925 nasceva Ninon, sua primogenita.
Gli anni venti segnarono un cambiamento nella vita privata e culturale del poeta. Aderì al fascismo e nel 1925 firmò, come Pirandello e altri artisti, il Manifesto degli intellettuali fascisti.
Durante gli anni ‘30 la sua esistenza fu colpita da lutti. Fu quello il periodo più amaro della sua vita: morì la madre nel 1930. Il dolore fu devastante. Nel 1936 si stabilì a San Paolo del Brasile, dove gli conferirono la cattedra di Lingua e Letteratura Italiana presso l’università. Nel 1937 morì il fratello. Nel 1939 perse il figlio Antonietto, di nove anni, a causa di un’appendicite mal curata. La prostrazione fu lacerante e segnò la lirica successiva.
Nel 1942, a seconda guerra mondiale ormai in corso, rientrò in Italia, ove fu nominato “per chiara fama” titolare della prima cattedra di Letteratura Italiana Contemporanea presso l’Università di Roma. Dai lutti privati e collettivi nacque l’esperienza del Dolore, 1947. Ricevette poi numerosi altri riconoscimenti.
Nella raccolta Dolore Ungaretti non si dilunga, esprime che già sapeva cosa fosse la morte. L’aveva conosciuta non solo con la scomparsa della madre, ma soprattutto del figlio Antonietto, della parte migliore di sé. Da allora sperimentò continuamente dentro di sé la morte. Il dolore non l’abbandonò più e non finì mai di straziarlo. Questa fu la raccolta più cara e più vicina al poeta.
Tre sono gli elementi di tutta la sua poesia: la notte con il suo traffico, la notte d’Alessandria, la notte del deserto, la notte che racchiudeva in sé mille segreti; il nulla: fu colpito molto dal lutto costante che regnava in famiglia per la morte del padre; l’elemento di rivolta, la ribellione che, nonostante la sua natura, si rafforzò maggiormente perché colpito da tristi crudeli spettacoli; l’elemento dell’amicizia, patetica per un compagno di giochi, per cui nutrì un’indiscussa venerazione.
La sua era una psiche fragile, sensibilissima: più volte disse che egli era poeta, non perché intellettuale, ma solo perché uomo sensibilissimo.
La sua poesia evidenzia un fondamento religioso. Egli medita sempre sui problemi dell’uomo e sui suoi rapporti con l’eterno; riflette sull’effimero, sui problemi della storia. Nella sua poesia c’è un ricorso sistematico alla mitologia, così come troviamo influenze di Bergson, nonché di Cervantes, di Shakespeare, di Gongora, di Dante, di Petrarca, di Leopardi.
Numerosi furono i viaggi all’estero e in Italia, tenendo conferenze sulla Letteratura Italiana Contemporanea. Raffinato esercizio di autoesegesi e di poetica furono le quattro lezioni, tenute nel 1964 alla Columbya University di New York sulla Canzone.
Morì a Milano nella notte fra il 1° e il 2 giugno 1970.
Nonostante i grandi meriti sia letterari sia accademici, non gli fu conferito il Premio Nobel per la Letteratura poiché “in odore di fascismo”, accusa che respinse ripetutamente.
Il poeta fu epurato, dopo la caduta del regime fascista, dal luglio del 1944, anno in cui il Ministro dell’Istruzione De Ruggero firmò il decreto di sospensione di Ungaretti dall’insegnamento. Fu reintegrato definitivamente come docente nel febbraio 1947, con il nuovo Ministro dell’Istruzione Gonella.
A testimonianza del suo strenuo impegno, il poeta inviò una lettera, datata 17 luglio 1946, all’allora Presidente del Consiglio De Gasperi in cui difese la propria causa, elencando i suoi numerosi meriti conseguiti in Italia e all’estero. Successivamente Ungaretti mantenne il suo ruolo di docente universitario fino al 1958 e, da “fuori ruolo”, fino al 1965.
Attorno alla sua cattedra, si formarono alcuni degli intellettuali che si sarebbero in seguito distinti per importanti attività culturali e accademiche in Italia e nel mondo.
Nei suoi ultimi anni Giuseppe Ungaretti intrecciò una relazione sentimentale con Bruna Bianco, italo-brasiliana, conosciuta casualmente in un hotel di San Paolo, dove si trovava per una conferenza. Della loro appassionata storia d’amore restano, come testimonianza, quattrocento lettere.
Nel 1968 Ungaretti ottenne particolare successo grazie alla televisione. Infatti molti di noi lo ricordano, prima della messa in onda dello sceneggiato televisivo l’Odissea di Franco Rossi, leggere alcuni brani tratti dal poema omerico, suggestionando il pubblico grazie alla sua espressività di declamatore.
Sempre nel ’68, per i suoi ottant’anni, Ungaretti fu festeggiato in Campidoglio, in presenza del Presidente del Consiglio Aldo Moro. A rendergli onore vi erano anche i poeti Montale e Quasimodo.
Fonti:
“Giuseppe Ungaretti” di Folco Portinari, Ed. Borla, Torino
“Vita d’un Uomo” di Giuseppe Ungaretti, Arnoldo Mondadori Editore
“Le patrie della poesia. Ungaretti, Bergson e altri saggi” di Rosario Gennaro, Firenze, Cadmo, 2004.