DANTE, ” PROFETA DI SPERANZA E DEL DESIDERIO DI INFINITO”
Redazione- “Candor Lucis aeternae” . Splendore della Luce eterna , è la Lettera apostolica di Papa Francesco per il VII centenario della morte di Dante Alighieri (1265-1321 data “Dal Vaticano, 25 marzo, Solennità dell’Annunciazione del Signore, dell’anno 2021, nono del mio pontificato”. Che Papa Francesco ha promulgato qualche giorno prima della Pasqua ( 1)
In questa lettera riprende e prosegue l’attenzione dedicata dai Pontefici precedenti verso la figura del poeta fiorentino, presenta la vita e l’opera di Dante come esemplari e paradigmatiche rispetto all’esistenza umana, di ogni uomo e di ogni donna , accosta il percorso esistenziale paradigmatico del poeta a quello di san Francesco, cui Dante dedica il canto XI del Paradiso e infine indica le modalità attraverso le quali anche noi, oggi, possiamo attingere all’opera di Dante Alighieri, «una miniera quasi infinita di conoscenze, di esperienze, di considerazioni in ogni ambito della ricerca umana»
Infatti a proposito dell’attenzione dedicata al poeta fiorentino dai suoi predecessori il Papa scrive : “Un secolo fa, nel 1921, in occasione del VI Centenario della morte del Poeta, Benedetto XV, raccogliendo gli spunti emersi nei precedenti Pontificati, particolarmente diLeone XII e San Pio X, commemorava l’anniversario dantesco sia con una Lettera Enciclica sia promuovendo lavori di restauro alla chiesa ravennate di San Pietro Maggiore, popolarmente chiamata di San Francesco, dove furono celebrate le esequie dell’Alighieri e nella cui area cimiteriale egli fu sepolto. Il Papa, apprezzando le tante iniziative volte a solennizzare la ricorrenza, rivendicava il diritto della Chiesa, «che gli fu madre», di essere protagonista in tali commemorazioni, onorando il «suo» Dante Già nella Lettera dell’Arcivescovo di Ravenna Mons. Pasquale Morganti, con la quale approvava il programma delle celebrazioni centenarie, Benedetto XV motivava così la sua adesione: «Inoltre (e ciò è più importante) si aggiunge una certa particolare ragione per cui riteniamo che sia da celebrare il suo solenne anniversario con memore riconoscenza e con grande concorso di popolo, per il fatto che l’Alighieri è nostro. […] Infatti, chi potrà negare che il nostro Dante abbia alimentato e rafforzato la fiamma dell’ingegno e la virtù poetica traendo ispirazione dalla fede cattolica, a tal segno che cantò in un poema quasi divino i sublimi misteri della religione?».
Papa Francesco è il terzo Pontefice a dedicare un documento ufficiale a Dante Alighieri. Il primo era stato papa Benedetto XV nel 1921 con l’enciclica In praeclara summorum, seguito nel 1965 da papa Paolo VI con la lettera apostolica Altissimi cantus (2)e poi da San Giovanni Paolo II.
Infatti scrive Papa Francesco : “Al VII Centenario della nascita, nel 1965, si collegano, invece, i diversi interventi di San Paolo VI. Il 19 settembre, egli fece dono di una croce dorata per arricchire il tempietto ravennate che custodisce il sepolcro di Dante, fino ad allora privo «d’un tale segno di religione e di speranza». Il 14 novembre inviò a Firenze, affinché fosse incastonata nel Battistero di San Giovanni, un’aurea corona d’alloro. Infine, alla conclusione dei lavori del Concilio Ecumenico Vativcano II, volle donare ai Padri Conciliari un’artistica edizione della Divina Commedia. Ma soprattutto onorò la memoria del Sommo Poeta con la Lettera Apostolica Altissimi cantus in cui ribadiva il forte legame tra la Chiesa e Dante Alighieri: «Che se volesse qualcuno domandare, perché la Chiesa Cattolica, per volere del suo visibile Capo, si prende a cuore di coltivare la memoria e di celebrare la gloria del poeta fiorentino, facile è la nostra risposta: perché, per un diritto particolare, nostro è Dante! Nostro, vogliamo dire della fede cattolica, perché tutto spirante amore a Cristo; nostro perché molto amò la Chiesa, di cui cantò le glorie; e nostro perché riconobbe e venerò nel Pontefice Romano il Vicario di Cristo».
“Paolo Vi illustrava, quindi, le caratteristiche che fanno del poema dantesco una fonte di ricchezze spirituali alla portata di tutti: «Il Poema di Dante è universale: nella sua immensa larghezza, abbraccia cielo e terra, eternità e tempo, i misteri di Dio e le vicende degli uomini, la dottrina sacra e quella attinta dal lume della ragione, i dati dell’esperienza personale e le memorie della storia». Ma soprattutto individuava la finalità intrinseca all’opera dantesca e particolarmente alla Divina Commedia, finalità non sempre chiaramente apprezzata e valutata: «Il fine della Divina Commedia è primariamente pratico e trasformante. Non si propone solo di essere poeticamente bella e moralmente buona, ma in grado di cambiare radicalmente l’uomo e di portarlo dal disordine alla saggezza, dal peccato alla santità, dalla miseria alla felicità, dalla contemplazione terrificante dell’inferno a quella beatificante del paradiso».
Di San Giovanni Paolo II ,Papa Francesco ricorda solamente “ l’intervento del 30 maggio 1985 all’inaugurazione della mostra Dante in Vaticano. Anch’egli, come Paolo Vi, sottolineava la genialità artistica: l’opera di Dante è interpretata come «una realtà visualizzata, che parla della vita dell’oltretomba e del mistero di Dio con la forza del pensiero teologico, trasfigurato dallo splendore dell’arte e della poesia, insieme congiunte». Il Pontefice si soffermava, poi, a esaminare un termine chiave dell’opera dantesca: «Trasumanare. Fu questo lo sforzo supremo di Dante: fare in modo che il peso dell’umano non distruggesse il divino che è in noi, né la grandezza del divino annullasse il valore dell’umano. Per questo il Poeta lesse giustamente la propria vicenda personale e quella dell’intera umanità in chiave teologica».
Da parte mia scrive ancora Papa Francesco : “Da parte mia, nella prima Enciclica, Lumen Fidei ho fatto riferimento a Dante per esprimere la luce della fede, citando un verso del Paradiso in cui essa è descritta come «favilla, / che si dilata in fiamma poi vivace, / e come stella in cielo in me scintilla» (Par. XXIV, 145-147). Per i 750 anni dalla nascita del Poeta, ho voluto onorare la sua memoria in un messaggio, auspicando che «la figura dell’Alighieri e la sua opera siano nuovamente comprese e valorizzate»; e proponevo di leggere la Commedia come «un grande itinerario, anzi come un vero pellegrinaggio, sia personale e interiore, sia comunitario, ecclesiale, sociale e storico»; infatti, «essa rappresenta il paradigma di ogni autentico viaggio in cui l’umanità è chiamata a lasciare quella che Dante definisce “l’aiuola che ci fa tanto feroci” (Par. XXII, 151) per giungere a una nuova condizione, segnata dall’armonia, dalla pace, dalla felicità». Ho, quindi, additato la figura del Sommo Poeta ai nostri contemporanei, proponendolo come «profeta di speranza, annunciatore della possibilità del riscatto, della liberazione, del cambiamento profondo di ogni uomo e donna, di tutta l’umanità».
Un’edizione speciale della lettera apostolica ‘Candor lucis aeternae’ (Splendore della luce eterna) di Papa Francesco, dedicata alla memoria di Dante Alighieri, in occasione delle celebrazioni per il settimo centenario della morte, viene proposta dal Gruppo Editoriale San Paolo. Le 112 pagine (euro 2,90) dell’opera sono impreziosite da un’Introduzione curata dal cardinal Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, e da un apparato con tre commenti critici: quello poetico del Premio Strega Daniele Mencarelli, quello letterario di Natascia Tonelli e quello teologico del professor Giuliano Vigini.
Papa Francesco ha voluto dunque celebrare il settimo centenario della morte di Dante (1321) con una Lettera apostolica datandola proprio 25 marzo, solennità dell’Annunciazione della maternità di Maria: è, infatti, il giorno in cui simbolicamente prendeva avvio anche il viaggio del Poeta nella «selva oscura» e si sviluppava l’intera trama gloriosa di quel «poema sacro / al quale ha posto mano cielo e terra» (Paradiso xxv , 1-2).
La lettera apostolica tra l’altro legge l’Incarnazione come «centro ispiratore ed essenziale della “Divina Commedia” che realizza il prodigioso scambio tra Dio, che entra nella nostra storia facendosi carne, e l’umanità che è assunta in Dio nel quale trova la felicità vera».
L’incarnazione e il suo mistero come punto centrale di tutta l’opera del poeta fiorentino : “Il mistero dell’Incarnazione, che oggi celebriamo, è il vero centro ispiratore e il nucleo essenziale di tutto il poema. In esso si realizza quello che i Padri della Chiesa chiamavano “divinizzazione”, l’admirabile commercium, il prodigioso scambio per cui, mentre Dio entra nella nostra storia facendosi carne, l’essere umano, con la sua carne, può entrare nella realtà divina, simboleggiata dalla rosa dei beati. L’umanità, nella sua concretezza, con i gesti e le parole quotidiane, con la sua intelligenza e i suoi affetti, con il corpo e le emozioni, è assunta in Dio, nel quale trova la felicità vera e la realizzazione piena e ultima, meta di tutto il suo cammino. Dante aveva desiderato e previsto questo traguardo all’inizio del Paradiso: «Accender ne dovria più il disio / di veder quella essenza in che si vede / come nostra natura e Dio s’unio. / Lì si vedrà ciò che tenem per fede, / non dimostrato, ma fia per sé noto / a guisa del ver primo che l’uom crede» (II, 40-45).
Nonostante la sincera severità del Poeta che aveva relegato nell’Inferno ( xix , 52-53) tra i simoniaci Bonifacio VIII , un papa ancora vivente , Papa Montini non esitava a dichiarare: «Nostro è Dante! Nostro, vogliamo dire nella fede cattolica, nostro perché tutto spirante amore a Cristo e molto amò la Chiesa, di cui cantò le glorie, e nostro perché riconobbe e venerò nel Pontefice Romano il Vicario di Cristo». E continuava: «Non rincresce ricordare che la voce di Dante si alzò sferzante e severa contro più d’un Pontefice Romano, ed ebbe aspre rampogne per istituzioni ecclesiastiche e per persone che della Chiesa furono ministri e rappresentanti».
Ma per Papa Francesco Dante è poeta della misericordia di Dio e della libertà umana perché : “Dante si fa paladino della dignità di ogni essere umano e della libertà come condizione fondamentale sia delle scelte di vita sia della stessa fede. Il destino eterno dell’uomo – suggerisce Dante narrandoci le storie di tanti personaggi, illustri o poco conosciuti – dipende dalle sue scelte, dalla sua libertà: anche i gesti quotidiani e apparentemente insignificanti hanno una portata che va oltre il tempo, sono proiettati nella dimensione eterna. Il maggior dono di Dio all’uomo perché possa raggiungere la meta ultima è proprio la libertà, come afferma Beatrice: «Lo maggior don che Dio per sua larghezza / fesse creando, e a la sua bontade / più conformato, e quel ch’e’ più apprezza, / fu de la volontà la libertate» (Par. V, 19-22). Non sono affermazioni retoriche e vaghe, poiché scaturiscono dall’esistenza di chi conosce il costo della libertà: «Libertà va cercando, ch’è sì cara, / come sa chi per lei vita rifiuta» (Purg. I, 71-72).”
“Ma la libertà, ci ricorda l’Alighieri, non è fine a sé stessa, è condizione per ascendere continuamente, e il percorso nei tre regni ci illustra plasticamente proprio questa ascesa, fino a toccare il Cielo, a raggiungere la felicità piena. L’«alto disio» (Par. XXII, 61), suscitato dalla libertà, non può estinguersi se non davanti al traguardo, alla visione ultima e alla beatitudine: «E io ch’al fine di tutt’i disii, / appropinquava, sì com’io dovea, / l’ardor del desiderio in me finii» (Par. XXXIII, 46-48). Il desiderio si fa poi anche preghiera, supplica, intercessione, canto che accompagna e segna l’itinerario dantesco, così come la preghiera liturgica scandisce le ore e i momenti della giornata. La parafrasi del Padre Nostro che il Poeta propone (cfr Purg. XI, 1-21) intreccia il testo evangelico con il vissuto personale, con le sue difficoltà e sofferenze: «Vegna ver’ noi la pace del tuo regno, / ché noi ad essa non potem da noi. […] Dà oggi a noi la cotidiana manna, / sanza la qual per questo aspro diserto / a retro va chi più di gir s’affanna» (7-8.13-15). La libertà di chi crede in Dio quale Padre misericordioso, non può che affidarsi a Lui nella preghiera, né da questa è minimamente lesa, ma anzi rafforzata.”
E proprio in riferimento alla figura di un uomo e santo di cui il Papa ha voluto adottare il nome ,San Francesco d’Assisi , nella lettera apostolica afferma : “ C’è una profonda sintonia tra San Francesco e Dante: il primo, insieme ai suoi, uscì dal chiostro, andò tra la gente, per le vie di borghi e città, predicando al popolo, fermandosi nelle case; il secondo fece la scelta, incomprensibile all’epoca, di usare per il grande poema dell’aldilà la lingua di tutti e popolando il suo racconto di personaggi noti e meno noti, ma del tutto uguali in dignità ai potenti della terra. Un altro tratto accomuna i due personaggi: l’apertura alla bellezza e al valore del mondo creaturale, specchio e “vestigio” del suo Creatore. Come non riconoscere in quel «laudato sia ’l tuo nome e ’l tuo valore / da ogne creatura» della dantesca parafrasi al Padre Nostro (Purg. XI, 4-5) un riferimento al Cantico delle creature di San Francesco?”
“Nell’XI canto del Paradiso tale consonanza appare in un nuovo aspetto, che li rende ancora più simili. La santità e la sapienza di Francesco spiccano proprio perché Dante, guardando dal cielo la nostra terra, scorge la grettezza di chi confida nei beni terreni: «O insensata cura de’ mortali, / quanto son difettivi silogismi / quei che ti fanno in basso batter l’ali!» (1-3). Tutta la storia o, meglio, la «mirabil vita» del santo è imperniata sul suo rapporto privilegiato con Madonna Povertà: «Ma perch’io non proceda troppo chiuso, / Francesco e Povertà per questi amanti / prendi oramai nel mio parlar diffuso» (73-75). Nel canto di San Francesco si ricordano i momenti salienti della sua vita, le sue prove, e infine l’evento in cui la sua conformità a Cristo, povero e crocifisso, trova l’estrema, divina conferma nell’impronta delle stimmate: «E per trovare a conversione acerba / troppo la gente e per non stare indarno, / redissi al frutto de l’italica erba, / nel crudo sasso intra Tevero e Arno / da Cristo prese l’ultimo sigillo, / che le sue membra due anni portarno» (103-108).”
Papa Francesco in questa sua riflessione sull’opera di Dante , pone in evidenza anche tre figure femminili .In questa rappresentazione dell’itinerario umano e spirituale dell’umanità, che è la filigrana delle tre cantiche, dei cento canti e dei 14.223 endecasillabi della Divina Commedia, significativo è l’ingresso in scena delle figure femminili. La prima ovviamente è Maria, «Vergine Madre, figlia del tuo Figlio», esaltata nel celebre inno del finale canto xxxiii , ma già contemplata su invito di san Bernardo come «la faccia ch’a Cristo / più si somiglia» (Paradiso xxxii , 85-86). La seconda è Beatrice, «l’amore divino che trasfigura l’amore umano», come annota il pontefice, citando la voce della donna nell’avvio stesso del cammino di ricerca del poeta: «I’ son Beatrice che ti faccio andare; … amor mi mosse, che mi fa parlare» (Inferno ii , 70.72). E, infine, ecco Lucia, santa martire siracusana, che interviene sia agli inizi infernali del viaggio di Dante, sia nell’ascesa sulla montagna del Purgatorio, sia nella «candida rosa» paradisiaca, sempre intercedendo per il poeta.
Sono tre allora le figure femminili che adornano la mariologia di Papa Francesco . Infatti egli scrive : “Cantando il mistero dell’Incarnazione, fonte di salvezza e di gioia per l’intera umanità, Dante non può non cantare le lodi di Maria, la Vergine Madre che, con il suo “sì”, con la sua piena e totale accoglienza del progetto di Dio, rende possibile che il Verbo si faccia carne. Nell’opera di Dante troviamo un bel trattato di mariologia: con accenti lirici altissimi, particolarmente nella preghiera pronunciata da San Bernardo, egli sintetizza tutta la riflessione teologica su Maria e sulla sua partecipazione al mistero di Dio: «Vergine Madre, figlia del tuo figlio, / umile e alta più che creatura, / termine fisso d’etterno consiglio, / tu se’ colei che l’umana natura / nobilitasti sì, che ’l suo fattore / non disdegnò di farsi sua fattura» (Par. XXXIII, 1-6). L’ossimoro iniziale e il susseguirsi di termini antitetici evidenziano l’originalità della figura di Maria, la sua singolare bellezza.”
“Sempre San Bernardo, mostrando i beati collocati nella mistica rosa, invita Dante a contemplare Maria, che ha dato le sembianze umane al Verbo Incarnato: «Riguarda omai ne la faccia che a Cristo / più si somiglia, ché la sua chiarezza / sola ti può disporre a veder Cristo» (Par. XXXII, 85-87). Il mistero dell’Incarnazione è ancora una volta evocato dalla presenza dell’Arcangelo Gabriele. Dante interroga San Bernardo: «Qual è quell’angel che con tanto gioco / guarda ne li occhi la nostra regina, / innamorato sì che par di foco?» (103-105); e quegli risponde: «elli è quelli che portò la palma / giuso a Maria, quando ’l Figliuol di Dio / carcar si volse de la nostra salma» (112-114). Il riferimento a Maria è costante in tutta la Divina Commedia. Lungo il percorso nel Purgatorio, è il modello delle virtù che si contrappongono ai vizi; è la stella del mattino che aiuta a uscire dalla selva oscura per incamminarsi verso il monte di Dio; è la presenza costante, attraverso la sua invocazione – «il nome del bel fior ch’io sempre invoco / e mane e sera» (Par. XXIII, 88-89) – che prepara all’incontro con Cristo e col mistero di Dio.”
“Dante, che non è mai solo nel suo cammino, ma si lascia guidare dapprima da Virgilio, simbolo della ragione umana, e quindi da Beatrice e da San Bernardo, ora, grazie all’intercessione di Maria, può giungere alla patria e gustare la gioia piena desiderata in ogni momento dell’esistenza: «E ancor mi distilla / nel core il dolce che nacque da essa» (Par. XXXIII, 62-63). Non ci si salva da soli, sembra ripeterci il Poeta, consapevole della propria insufficienza: «Da me stesso non vegno» (Inf. X, 61); è necessario che il cammino si faccia in compagnia di chi può sostenerci e guidarci con saggezza e prudenza.”
Dunque significativa la presenza femminile nel contesto dell’opera dantesca. All’inizio del faticoso itinerario, Virgilio, la prima guida, conforta e incoraggia Dante a proseguire perché tre donne intercedono per lui e lo guideranno: Maria, la Madre di Dio, figura della carità; Beatrice, simbolo di speranza; Santa Lucia, immagine della fede. Così, con parole commoventi, si presenta Beatrice: «I’ son Beatrice che ti faccio andare; / vegno del loco ove tornar disio; / amor mi mosse, che mi fa parlare» (Inf. II, 70-72), affermando che l’unica sorgente che può donarci la salvezza è l’amore, l’amore divino che trasfigura l’amore umano. Beatrice rimanda, poi, all’intercessione di un’altra donna, la Vergine Maria: «Donna è gentil nel ciel che si compiange / di questo ’mpedimento ov’io ti mando, / sì che duro giudicio là sù frange» (94-96). Quindi interviene Lucia, che si rivolge a Beatrice: «Beatrice, loda di Dio vera, / ché non soccorri quei che t’amò tanto, / ch’uscì per te de la volgare schiera?» (103-105). Dante riconosce che solo chi è mosso dall’amore può davvero sostenerci nel cammino e portarci alla salvezza, al rinnovamento di vita e quindi alla felicità.
Ma Dante è comunque di casa in Vaticano . Scrive Gianfranco Ravasi su L’osservatore romano del 27 marzo 2021 :” Nel Palazzo apostolico vaticano, la casa ove il Papa accoglie i suoi ospiti, s’affaccia una presenza che non sempre è notata. Nelle splendide Stanze di Raffaello, sulle cui pareti il celebre pittore di Urbino ha evocato scene sacre e profane mirabili, affiora per due volte un profilo segaligno e austero, ed è proprio quello di Dante Alighieri, col capo cinto di alloro. Siamo nella cosiddetta Stanza della Segnatura, la biblioteca privata di Papa Giulio ii che resse la Chiesa dal 1503 al 1513. Il pittore aveva voluto proporre i tre grandi universali del Vero, del Bene e del Bello e, in una mirabile sinfonia di figure, di scene, di colori, aveva introdotto anche il sommo Poeta. Infatti, nell’imponente rappresentazione denominata Disputa del SS. Sacramento (1509) — che in realtà è una celebrazione della Trinità, adorata dalla Chiesa celeste trionfante e da quella terrena militante — tra i grandi Padri della Chiesa, i Dottori e i Teologi, da Ambrogio ad Agostino, da Girolamo a Gregorio Magno, da Tommaso d’Aquino a Bonaventura, occhieggia anche Dante, considerato cultore del Vero trascendente e quindi teologo e credente fervido e inconcusso, come effettivamente era. Egli ritorna su un altro affresco della stessa Stanza, quello del Parnaso, il monte classico del Bello ove è assiso Apollo accompagnato da Omero e da Virgilio e, accanto a loro, si erge a figura intera ancora Dante, colui che attraverso la via pulchritudinis, la bellezza suprema della sua poesia, ha cantato la verità divina. L’autore della Divina Commedia è, dunque, di casa nella Sede apostolica…” (3)
Papa Francesco conclude la sua riflessione su Dante con una domanda : Ma l’opera del Sommo Poeta suscita anche alcune provocazioni per i nostri giorni. Cosa può comunicare a noi, nel nostro tempo? Ha ancora qualcosa da dirci, da offrirci? Il suo messaggio ha un’attualità, una qualche funzione da svolgere anche per noi? Ci può ancora interpellare?”
Rispondendo così : “ Dante – proviamo a farci interpreti della sua voce – non ci chiede, oggi, di essere semplicemente letto, commentato, studiato, analizzato. Ci chiede piuttosto di essere ascoltato, di essere in certo qual modo imitato, di farci suoi compagni di viaggio, perché anche oggi egli vuole mostrarci quale sia l’itinerario verso la felicità, la via retta per vivere pienamente la nostra umanità, superando le selve oscure in cui perdiamo l’orientamento e la dignità. Il viaggio di Dante e la sua visione della vita oltre la morte non sono semplicemente oggetto di una narrazione, non costituiscono soltanto un evento personale, seppur eccezionale.”
“Se Dante racconta tutto questo – e lo fa in modo mirabile – usando la lingua del popolo, quella che tutti potevano comprendere, elevandola a lingua universale, è perché ha un messaggio importante da trasmetterci, una parola che vuole toccare il nostro cuore e la nostra mente, destinata a trasformarci e cambiarci già ora, in questa vita. Il suo è un messaggio che può e deve renderci pienamente consapevoli di ciò che siamo e di ciò che viviamo giorno per giorno nella tensione interiore e continua verso la felicità, verso la pienezza dell’esistenza, verso la patria ultima dove saremo in piena comunione con Dio, Amore infinito ed eterno. Anche se Dante è uomo del suo tempo e ha sensibilità diverse dalle nostre su alcuni temi, il suo umanesimo è ancora valido e attuale e può certamente essere punto di riferimento per quello che vogliamo costruire nel nostro tempo.”
“Perciò è importante che l’opera dantesca, cogliendo l’occasione propizia del Centenario, sia fatta conoscere ancor di più nella maniera più adeguata, sia cioè resa accessibile e attraente non solo a studenti e studiosi, ma anche a tutti coloro che, ansiosi di rispondere alle domande interiori, desiderosi di realizzare in pienezza la propria esistenza, vogliono vivere il proprio itinerario di vita e di fede in maniera consapevole, accogliendo e vivendo con gratitudine il dono e l’impegno della libertà….”
“(…)In questo particolare momento storico, segnato da molte ombre, da situazioni che degradano l’umanità, da una mancanza di fiducia e di prospettive per il futuro, la figura di Dante, profeta di speranza e testimone del desiderio umano di felicità, può ancora donarci parole ed esempi che danno slancio al nostro cammino. Può aiutarci ad avanzare con serenità e coraggio nel pellegrinaggio della vita e della fede che tutti siamo chiamati a compiere, finché il nostro cuore non avrà trovato la vera pace e la vera gioia, finché non arriveremo alla meta ultima di tutta l’umanità, «l’amor che move il sole e l’altre stelle» (Par. XXXIII, 145).
(2) I Papi lo hanno onorato e proposto alla Chiesa – Benedetto XV nell’ enciclica «In praeclara summorum» (30 aprile 1921) raccoglie gli spunti di Leone XIII e Pio X. Paolo VI celebra i 700 anni della nascita (1265-1965),con l’omaggio di una croce dorata al piccolo tempio che a Ravenna custodisce il sepolcro (9 settembre); invia a Firenze un’aurea corona d’alloro da incastonare nel Battistero di San Giovanni (14 novembre); a conclusione del Vaticano II dona ai padri conciliari un’artistica edizione della «Divina Commedia»; nella lettera apostolica «Altissimi cantus» (7 dicembre) ribadisce il forte legame tra Dante e la Chiesa della modernità. Per Giovanni Paolo II «parla della vita dell’oltretomba e del mistero di Dio con la forza del pensiero teologico, trasfigurato dallo splendore dell’arte e della poesia» (30 maggio 1985). Benedetto XVI ripropone spesso l’itinerario dantesco: «Presenta la luce eterna in tre cerchi che descrive con densi versi: “O luce etterna che solo in te sidi, / sola t’intendi, e da te intelletta / e intendente te, ami e arridi!”» (enciclica «Deus caritas est», 15 dicembre 2005).