COSIMO SAVASTANO E TEOFILO PATINI – DI VALTER MARCONE
Redazione- Il 7 dicembre scorso si è spento Cosimo Savastano, critico d’arte e poeta, discendente dell’artista Teofilo Patini. Savastano che è stata figura autorevole e di primo piano della cultura abruzzese era nato a Castel di Sangro e aveva 83 anni. Da alcuni giorni era ricoverato in ospedale ma nulla avrebbe fatto prevedere l’imminenza della sua scomparsa. Tanto che Savastano aveva in animo nuove iniziative da portare a compimento nei prossimi mesi. Tra le sue ultime apparizioni in pubblico quella al Teatro comunale Caniglia in occasione della cerimonia conclusiva del Premio Sulmona d’Arte contemporanea, nell’ottobre scorso. Savastano infatti era componente della giuria del premio. Molti i riconoscimenti e premi di cui Savastano, nella sua lunga carriera artistica, è stato insignito.
L’Abruzzo intero dice addio a Cosimo Savastano. Scrittore, storico dell’arte e autorevole studioso del pittore Teofilo Patini si è spento ieri pomeriggio all’ospedale di Castel di Sangro dove era ricoverato.
Classe 1939 era amato e stimato sia come persona, sia come professionista, non solo nell’Alto Sangro, dove era nato e si era formato, ma anche in tutta la regione. Fin dagli anni ’60 iniziò a comporre opere in dialetto abruzzese. Tra le più celebri ricordiamo “Che sarrà” del 1965, “Amore, amore e parleme d’amore” e “Attraverso l’Abruzzo” del 1966, “Dénte a na scionna”, “Attraverso l’Abruzzo”, del 1967, e poi ancora “Chi chiù – Poesie nell’antica lingua di Castel di Sangro”, nel 1994 e “Jummelle de parole”, del 2000.
Il direttivo del circolo di arte e cultura “Il Quadrivio”, organizzatore del Premio Sulmona – Rassegna internazionale di arte contemporanea, unendosi al cordoglio per la scomparsa del critico d’arte, lo ricorda così :
Cosimo Savastano è stato un eccellente esponente di quella comunità artistica dell’Alto Sangro (da Teofilo Patini a Lino Alviani) che ha saputo rappresentare con garbo e preparazione”, scrive il direttivo del sodalizio sulmonese.
“Profondamente e radicalmente legato alla sua Terra, scrittore e poeta nonché pittore per diletto, divenne con gli anni il massimo studioso della figura patiniana. Impressionante il concorso di pubblico, composto dai suoi concittadini ma anche da tantissimi ammiratori, convenuto nel 2017 alla cerimonia in cui il Sindaco di Castel di Sangro gli attribuì la cittadinanza onoraria alla presenza di Vittorio Sgarbi, suo grande estimatore”.
“Come tutti i grandi uomini di cultura ha avuto anche un ruolo di responsabilità sociale come quello di direttore scientifico della pinacoteca “Teofilo Patini” in palazzo De Petra a Castel di Sangro. Un ultimo esito della sua inesausta ricerca è stata la relazione “Patini e la nascita della pittura sociale in Europa” tenuta l’anno scorso all’interno del ciclo “Conversazioni in teatro” a Castel di Sangro”.
“In terra Peligna indimenticabile la partecipazione il 3 luglio 2020 a Pratola alla presentazione del libro sul Santuario di Maria SS. della Libera, in cui ha illustrato gli affreschi ivi eseguiti da Teofilo Patini e dai suoi allievi. Nella storia del Premio Sulmona Cosimo ha avuto un ruolo decisivo. Nel 2016 la manifestazione sembrava aver concluso la propria esistenza. Fu lui, assieme a Giorgio Di Genova, Raffaele Giannantonio e l’editore Verdone, a convocare una riunione presso la residenza di Gaetano Pallozzi per convincere quest’ultimo a non lasciar morire la creatura cui tanto aveva dato. La proposta di Giorgio Di Genova di una rassegna in luogo del Premio non ebbe esito ma quella riunione costituì la scintilla grazie alla quale il Premio riprese ad ardere, fra mille difficoltà. Con il passaggio di Raffaele Giannantonio al ruolo di Presidente, Savastano divenne subito Presidente di Giuria, assicurando, con la sua inossidabile onestà intellettuale, l’equilibrio e la correttezza necessari ad una manifestazione ancora fragile nella fase iniziale della sua seconda “vita”.
“Serio, preparato, onesto e appassionato, pilastro di un’intera società artistica, personaggio dall’esemplare nitore e dalla nobile qualità di modi: questi sono i tratti della personalità che Cosimo Savastano ci ha lasciato e che sarà impossibile dimenticare”.
Gianfranco Giustizieri scrive su Fb:La recente scomparsa di Cosimo Savastano, poeta, artista, massimo esperto della pittura di Teofilo Patini e dell’arte italiana, oltre a una infinita tristezza, ha mosso una serie di ricordi che il tempo non ha cancellato.
E la memoria torna all’anno 2012 quando il nostro primo incontro dettò l’inizio di un rapporto di riflessione e di studio per un personaggio della cultura abruzzese su cui stavo ultimando un mio lavoro: Pasquale Scarpitti.
Cosimo era “cugino e compagno di poesia” di Scarpitti a cui aveva dedicato pagine di memoria e di critica poetica. Ricordo soprattutto il volume “Ora Castel di Sangro” antologia poetica con molteplici testimonianze di illustri personaggi sull’autore castellano e il libro monografico “Pasquale Scarpitti a 25 anni dalla morte”” a cura di Giovanni Verna e pubblicato nel 1999 che raccoglieva gli Atti di un Convegno nel quale Savastano era stato tra i maggiori relatori.
Così Cosimo divenne testimonianza preziosa, guida insostituibile, poi amico (mi sia concesso di dire) che accompagnò e rese completa la mia pubblicazione “All’Abruzzo…con affetto. Itinerari di memoria e di speranza nell’opera di Pasquale Scarpitti” con le sue pagine dedicate a “Gli scritti sull’arte”.
Poi, insieme ad altri cari amici, seguirono diverse presentazioni nel territorio abruzzese.
“La viscerale amicizia” che l’aveva legato al cugino e compagno di poesia, era divenuta il riconoscimento per un libro appena nato e che riteneva dover essere conosciuto e diffuso. Un grande onore per me, una testimonianza diretta dall’alto profilo culturale nel volume, un amico insostituibile in diverse occasioni.
Su Il Capoluogo nella rubrica Le nuove stanze della poesia del 14 maggio 2020 scrivevo : “Ci sono nella storia di questa regione figure di intellettuali e uomini di grande levatura culturale che tra le loro attività hanno riservato un posto rilevante alla poesia . E alla poesia dialettale in particolare. Perché il dialetto rappresenta per tutti loro l’umus in cui hanno coltivato i loro interessi culturali , le loro ricerche professionali , il loro impegno in favore della riscoperta, tutela e valorizzazione del patrimonio di storie di vita appunto di questa regione. In sostanza da lì sono partiti per raggiungere quasi sempre traguardi non solo meritevoli ma spesso unici. La lingua “ madre” ,per così dire, ascoltata fin dalla nascita , impressa nella mente vissuta, sperimentata ed esercitata fin dalla fanciullezza diventa lo strumento per restituire le emozioni che contengono i versi. Versi in dialetto, lingua con una sua storia e una sua dignità con i suoi vocaboli, le parole che servono a quelle emozioni per diventare comunicazione universale , soprattutto per recuperare l’essenza delle cose . Parlo di uomini e donne come Pasquale Scarpitti, Ottaviano Giannangeli, Vittorio Monaco, Umberto Postiglione, Ernesto Giammarco che per esempio proprio a quella lingua ha dedicato l’intera vita arrivando a lasciarci un’opera veramente monumentale di conoscenza in questo settore e di tanti altri il cui elenco sarebbe troppo lungo omettendo il quale non pensiamo di far torto ad alcuno perché questi uomini, questi intellettuali, questi operatori culturali fanno parte del tessuto vitale di questa ragione e sono conosciuti in ogni città e paese. Tra questi uomini si ricorda qui con le sue poesie Cosimo Savastano. Nato a Castel di Sangro nel 1939 ha operato per tutta la vita in quel paese.
Un intellettuale di pregio, di cultura raffinata che si evince nel suo lavoro di critico d’arte che ci ha lasciato monografie e studi per esempio su Teofilo Patini o Italo Picini.Savastano ha pubblicato Che sarrà, Pescara, Tip. Ferretti, 1965; Amore, amore e parleme d’amore, Pescara, Ed. “Attraverso l’Abruzzo”, 1966, pref. Vittorio Clemente; Dénte a na scionna, Pescara, Ed. “Attraverso l’Abruzzo”, 1967, pref. Pasquale Scarpitti; Nu parlà zettenne, L’Aquila, Japadre Editore, 1982, pref. O. Giannangeli. Chi chiù – Poesie nell’antica lingua di Castel di Sangro, S. Atto, Edigrafital, 1994; Jummelle de parole, S. Atto, Edigrafital, 2000, intr. Umberto Russo. Parlano di Cosimo Savastano: V. Esposito, Parnaso d’Abruzzo, Edizioni dell’Urbe, 1980; Note di letteratura abruzzese, ibid., 1982; Panorama della poesia dialettale abruzzese, ibid., 1989; Poesia, non-poesia, anti-poesia del ‘900 italiano, Foggia: Bastogi, 1992; Anna Ventura, Il sole e le carte, L’Aquila: Ferri, 1981; G. Oliva – G. De Matteis, Letteratura delle regioni di Italia: Abruzzo, Brescia: Ed. La Scuola, 1986; Franco Brevini, Le parole perdute, Torino: Einaudi, 1990; G. Spagnoletti-C. Vivaldi, Poesia dialettale dal Rinascimento ad oggi, Milan: Garzanti, 1991; Ugo Perolino, “L’antico fascino del dialetto riscoperto nell’opera di Savastano,” in Il Centro (1/8/1991), Pescara; Oliva Gualtieri Bernardi, “Nu parlà zettenne,” in Abruzzo Letterario, a. IV, n.3, 1992, Edizioni dell’Urbe; Franco Loi, “Di che stoffa sono i sogni della poesia?” in Il Sole-24 ore (2/7/1993), Milano.
Amore pe rejale
Amore amore e parleme d’amore
e parleme de suonne e tenerezze
damme la pacia tu che le carezze,
damme de ss’uocchie tia ru splendore…Amore amore e parleme zettenne
amore amore quande vè le stelle
famme purtà pe’ le lucecappelle
tanta parole che n’ ce puone ‘ntenne…Tanta parole nate da ssu core
che sta luntane e sbatte tale e quale
che sta luntane e palpeta d’amore.L’amore é rusce come lu crugnale
e come pane-e-casce tè l’addore
amore damme amore pe’ rejale…Amore per regalo – Amore amore e parlami d’amore / e parlami di sogni e tenerezze / dammi la pace tua con le carezze, / dammi di codesti occhi tuoi lo splendore… // Amore amore e parlami sussurrando / amore amore quando verranno le stelle / fammi portare dalle lucciole / tante parole che non si possono intendere… // Tante parole nate dal tuo cuore / che sta lontano e batte tale e quale / che sta lontano e palpita d’amore. // L’amore è rosso come il corniolo / e odora come pane e cacio / amore dammi amore per regalo. // (Traduzione di Nicola Fiorentino). Da Dénte a na scionna
N’allucche
Alla ‘ndrasatte ‘n ciele ce scurette
e che’ na botta jù re vuttelune
come crellà de vrite e de cumbiette
iettate a vranche ‘n miezze a re candune.E quande fu nu chiòvere appacate
na screiazzata a frunne de chiuppera
freiette all’aria pe’ n’urle straziateN’ ce sa chi fu. Na risa de sammuche
sgrellate a viente doce, a prima sera,
doppe l’acquata de le ciammaruche.Un urlo – All’improvviso in cielo si fece scuro / e con un momento giù i goccioloni / come scricchiolare di vetri e di confetti / gettati a piene mani in mezzo ai massi. // E quando fu un piovere pacato / una sferzata fra le fronde del pioppeto / stridette nell’aria per un urlo straziato. // Non si sa chi fu. Una risa di sambuco / sgorgò nel vento dolce, sul far della sera, / dopo la pioggia improvvisa di prima estate. // (Traduzione dell’autore). Da Nu parlà zettenne
Sciate e pretameTutta l’anne pe’ tesse la canzona,
ma la staggiona n’ammupirce chiuse,
nu zetteià accurate che n’ ci-acquieta
come l’onna alla rena de ru mare.L’onna che va e vè nen ci-apposa
tutta la notta, no’, sfoca le pene
che’ ru lenguagge sia che n’ ci-afferra:
e ma la terra o no’, parla la terra?
o faciaranne nu trascurse antiche
come parlame nu’ sciate e pretame?Da Nu parlà zettenne, 1982
Fiato e pietrame Tutto l’anno per tesser la canzone, / ma l’estate è un ammutolire, / un tacere accorato senza pace, / come l’onda sulla rena del mare. / L’onda che va e viene e non riposa / tutta la notte, nonna, sfoga le pene / con il linguaggio suo che non si intende: / ma la terra, nonna, parla la terra? / o faranno un dialogo antico / come parliamo noi due, fiato e pietrame?
(Traduzione dell’Autore)’
I’ so’
Lucecappella i’ so’ dénte alla notta,
ca miele e pane i’ so’, ca so’ cecuta,
ca so’ l’onna e le sale de ru mare,
maniere sceme i’ so’ dell’acqua chiova,
ca na caccamandonia so’ d’amore,
so’ la sementa chiusa d’ogne fiore
e come la sementa me sprufonne,
ruscegnuole ‘mbriache e cantatore,
mazzamarielle e spica de dulore.I’ so’ na ciammaruca che n’allega
‘n miezze alle scorze de re salecune.
I’ so’ na pescia d’acqua de cutine,
scenna sperduta, pena della sera.Me vuoje chiude dénte a ste penziere
come nu ricce dénte alla sua spine,
me vuoje sazià che l’oje e che le vine
e stregnerme alla terra assi’ la fine
come na fronna secca de chiuppera.Io sono Lucciola io sono della notte, / e ancora miele e pane io sono, sono anche cicuta, / anche l’onda sono e il sale del mare, / mestolo sono di insipida acqua piovana, / e un papavero sono d’amore, / sono il chiuso seme d’ogni fiore / e come il seme mi sprofondo, / usignolo ubriaco e cantatore, / farfalla nera e d’oro e spiga di dolore. // Io sono una lumaca solitaria / in mezzo alle cortecce dei salici. / Io sono una trota che vive nell’ansa profonda / ala sperduta, pena della sera. // Mi voglio rinchiudere in guesti pensieri / come l’istrice dentro i suoi aculei, / voglio saziarmi con l’olio e con il vino / ed aggrapparmi alla terra fino alla fine / come una foglia secca di pioppeto
Fin qui il Savastano poeta . Ma Cosimo Savastano è stato soprattutto un organizzatore di cultura attorno a quel suo nucleo immaginifico e splendido che era la cultura visiva di una regione che gli apparteneva profondamente e a cui ha dato moltissimo sia dal punto di vista dello studio che della conoscenza e quindi della divulgazione. . Soprattutto allo studio di quel Teofilo Patini suo antenato. Con il recupero dell’immagine e dell’attività di Patini arrivato nella seconda metà del Novecento . Anche attraverso studi su artisti che vissero e operarono con Patini come Nicola Palizzi .
Sul portale del Comune di Castel di Sangro lo stesso Savastano scrive questa breve biografia di Teofilo Patini
Terzo di dieci figli, Teofilo Patini nacque a Castel di Sangro (L’Aquila) il 5 maggio 1840. Suo padre Giuseppe, proveniente da una famiglia di agiati armentari, cancelliere di “giudicato regio” e successivamente notaio, lo avviò agli studi letterari nella scuola aperta a Sulmona dal raffinato latinista e cospiratore antiborbonico Leopoldo Corrucci e dallo studioso e patriota Panfilo Serafini.
L’influenza di questi suoi primi maestri si rivelò fondamentale nelle sue propensioni culturali e nelle sue inclinazioni patriottiche, umanitarie e sociali.
Iniziò gli studi di filosofia nell’Ateneo napoletano e li abbandonò poco dopo per dedicarsi interamente, dal 1856, agli studi di pittura nell’Accademia di Belle Arti durante i quali si avvalse della guida di Domenico Morelli e Filippo Palizzi che “fuori dell’Istituto” promuovevano una profonda trasformazione del gusto e delle ricerche pittoriche tradizionali.
La conoscenza, inoltre, con Salvatore Tommasi e soprattutto con Bertrando Spaventa, suoi conterranei valse ad arricchirne la formazione e gli stimoli, con aperture verso la storia intesa come verità assoluta e con un aspetto di inclinazione idealistica che sembrerà presto riflettersi nella sua opera per molti versi propensa a concedere al soggetto una funzione preminente.
Negli anni Sessanta, seguendo gli orientamenti allora predominanti, il Patini affrontò temi prevalentemente desunti dalla storia, prediligendo i personaggi di Masaniello e di Salvator Rosa al quale una tradizione, successivamente smentita dagli studi storiografici, attribuiva una fervida attività libertaria e sociale.
La Rivoluzione di Masaniello gli procurò fin dal Sessantatre i primi consensi rimarcati nel Sessantacinque dal Parmigianino, ispirato ad un episodio del Sacco di Roma (alternativa denominazione del medesimo dipinto) del 1527 narrato dal Vasari. Grazie a queste ed altre affermazioni, oltre che per i brillanti risultati in ambito più strettamente scolastico, l’Amministrazione Provinciale dell’Aquila lo sostenne per diverso tempo con provvidenze e pensioni annue.
Patini visse intensamente anche il periodo culminante dell’unificazione nazionale e della reazione violenta che l’accompagnò, militando fra i Cacciatori del Gran Sasso voluti da Garibaldi. La successiva repressione del brigantaggio lo vide impegnato nelle file della Guardia Nazionale Mobile con il grado di sergente, dopo che da volontario si arruolò nel contingente fornito dal suo paese.
Ottenne nel Sessantotto il Pensionato di Firenze, che gli consentì contatti con i Macchiaioli, e nel Settanta quello di Roma, durante il quale intensificò un’unione di lavoro e di studio con il più anziano Michele Cammarano, da lui già conosciuto e frequentato a Napoli.
Rientrato nel 1873 nel suo paese natale dopo aver preso atto a Napoli dei richiami artistici di Hans von Marées, principale esponente della pittura della “pura visibilità” teorizzata dall’Hildebrand e dal Fiedler, approfondì le sue ricerche in intensi paesaggi e in studi volti a fisionomizzare in chiave personale le tematiche ispirategli dalle condizioni di immiserimento della gente dei suoi luoghi approdando ad un lirismo memore degli insegnamenti palizziani e delle ricerche illuminanti condotte con l’amico Cammarano nella campagna romana.
Le prove più significative degli anni Settanta, dalla Prima lezione d’equitazione, dove si affaccia la triade familiare su cui si incentreranno le tele più note della maturità, alla Catena, quasi autobiograficamente volta ad evocare l’esperienza della caccia ai briganti, ai Tre Orfani, che crudamente scandiva la scoperta della misera condizione della sua gente, lo portarono nel 1880 alla creazione della più celebre delle sue opere, L’Erede, a cui nel bene e nel male rimase legato il suo nome, da quando, l’anno successivo venne esposto a Milano.
Patini andò quindi completando e approfondendo l’analisi della realtà della terra natale attraverso quella che lui stesso definì la sua “trilogia” comprendente, oltre all’Erede Vanga e Latte, esposta a Torino nel 1884 in coincidenza dei primi moti agrari del Veneto e acquistata dal Ministero dell’Agricoltura, e Bestie da Soma, presentata a Venezia nel 1887 ed acquisita dall’ Amministrazione provinciale dell’Aquila.
Chiamato nel 1882, grazie anche all’interessamento di Primo Levi, a dirigere la Scuola d’Arti e Mestieri fondata ad Aquila in precoce accordo con le recenti prospettive culturali europee, la sua esperienza si arricchì attraverso gli approfondimenti di studio consigliati dal nuovo ruolo ed attraverso il viaggio in Germania che gli venne sollecitato nel 1884 dal Ministero dell’Agricoltura perché ne ricavasse stimoli ed arricchimenti utili all’insegnamento.
La tematica sociale che oltre ai dipinti della trilogia si era arricchita di altre importanti prove, quali la grande tempera dell’ Aquila, realizzata nel 1882, e della pensosa Pulsazioni e Palpiti, conclusa verso il 1890, dopo “un decennio di lavoro” secondo quanto egli stesso affermò, continuò ad attrarre il Maestro fino all’ultimo, come confermano non solo le riedizioni dei dipinti più celebri quanto anche nuove ideazioni di opere, fra cui Le due Croci, del periodo più tardo.
Pur senza contraddire la precedente, l’ultima fase della produzione di Patini parve più disposta ad accogliere le sollecitazioni pittoriche nuove, giacché in essa si rintracciano indicativi suggerimenti riconducibili alla cultura europea contemporanea, dal nascente gusto liberty al preraffaelitismo.
I temi sacri, frequentemente commissionatigli nell’ultimo periodo, nonostante un suo profondo interesse per il messaggio evangelico, non gli furono suggeriti da una vera e propria fede religiosa estranea invero alla sua personalità ed ai suoi convincimenti di massone, affiliato alla Loggia aquilana della quale fu Venerabile.
Alla stessa maniera egli, pur avvertendo intensamente e non solo come pittore le problematiche sociali legate al mondo operaio ed a quello rurale ricusò di militare ne Partito Socialista.
L’importante incarico di affrescare l’Aula Magna dell’Università di Napoli, conferitogli dal Ministero della Pubblica Istruzione nel 1905 a seguito di un concorso a carattere nazionale, giunse a coronare una vita di intenso lavoro, non priva di incisivi riconoscimenti e dell’ammirata considerazione della sua gente che lo volle Amministratore del Comune natìo e Consigliere Provinciale, ma anche amareggiato da invidie e meschinità immeritate oltre che da lutti familiari.
Tornato a Napoli , la città che lo aveva visto nascere e formarsi come pittore per tradurre in affreschi i bozzetti prescelti, fu stroncato da un ultimo attacco di angina pectoris o ictus cerebrale come oggi sembra più probabile, nella notte del 16 Novembre 1906.
Testo del Prof. Cosimo Savastano
In sintesi l’attività di Patini, considerato uno dei capisaldi del nuovo realismo italiano, si svolse a Napoli e in Abruzzo, nella parte aquilana. Frequentò abruzzesi contemporanei quali l’archeologo Antonio De Nino , che gli dedicò alcuni articoli, poi i più famosi Francesco Paolo Tosti,Francesco Paolo Michetti e Gabrile F’Annunzio , venendo ospitato nel tardo Ottocento nel convento di Michetti a Francavilla al Mare . Il recupero dell’immagine e dell’attività di Patini è arrivato nella seconda metà del Novecento grazie a Cosimo Savastano, che ricorda il convenzionalismo patiniano, impostato sui modelli classici, veicolata dalla tradizione paesaggistica dell’Abruzzo e delle sue genti. Legatosi al gruppo di pittori abruzzesi quali Domenico Morelli e Filippo Palizzi, da quest’ultimo apprese la lezione del ritrarre il vero, con l’amico Cammarano frequentò la Scuola di Posillipo, apprese da Courbet l’uso della cromatura scura e grezza per ritrarre le brutture della fatica e della realtà dei ceti sociali meno abbienti. A Napoli, Patini apprese il naturalismo d’ispirazione barocca, e a questo periodo risale La rivolta di Masaniello (1863), conservato nel Municipio di Castel di Sangro, Il sacco di Roma (1864), nella Collezione d’arte del Municipio di Napoli.
Opere principali
Duomo dell’Aquila, altare con il”San Carlo Borromeo tra gli appestati”, perduto nel terremoto del 2009
- Gesù orante nell’orto degli ulivi, Castel Frentano, cappella della scuola materna A. R. Caporali
- La prima lezione di equitazione (2 versioni), pinacoteca Patiniana, Castel di Sangro
- La catena
- Le tre orfanelle
- La guardiana delle oche (1873)
- Morte di Jacopo Ortis (1873 ca.), collezione Buzzelli, Novara
- Il ciabattino (1873), collezione d’arte del Banco di Napoli
- Case di campagna (1874), conservato nella Pinacoteca, mostra il borgo vecchio di Castel di Sangro
- I notabili del mio paese (1878)
- L’erede (2 versioni, 1880), Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea, Roma
- Vanga e latte (2 versioni, 1884), Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, Roma
- L’Aquila (affresco), ispirato al ratto di Ganimede, presso la volta dell’aula di lettura della biblioteca provinciale Salvatore Tommasi (L’Aquila) nel palazzo del Convitto (1883 ca.)
- Contadina abruzzese e sfondo di paesaggio (1884), collezione privata, L’Aquila
- Bestie da soma (1886), Castel di Sangro, Pinacoteca, proveniente dall’ex palazzo della Prefettura dell’Aquila
- Pulsazioni e palpiti (1891-99), pinacoteca Patiniana, Castel di Sangro
- Pancia e cuore (1890 ca.), Pinacoteca, Castel di Sangro
- L’Angelo Custode (1892 ca.), chiesa di San Demetrio martire, San Demetrio ne’ Vestini (AQ)
- Angolo di Castel di Sangro, o Via Paradiso (1890 ca.) L’Aquila, collezione privata
- Cristo Crocifisso (1896), cappella della Basilica di San Pelino, Corfinio
- Decorazioni delle sale dell’hotel Baiocco (1895), L’Aquila, corso Vittorio Emanuele
- Nudo patriottismo (1895), Museo provinciale di Bari
- Sant’Antonio di Padova incoronato da Gesù Bambino (1898), cappella di Sant’Antonio, santuario della Madonna della Libera, Pratola Peligna
- Visione di Sant’Antonio di Padova – I Quattro Evangelisti (1898), santuario della Madonna della Libera
- I Bravi
- Il Volto Santo (1894 ca.), convento dei Cappuccini di Manoppello, ossia santuario del Volto Santo
- Il pifferaio (1880?), collezione privata, L’Aquila, esposto nella pinacoteca Patiniana
- San Carlo Borromeo tra gli appestati, tela del transetto sinistro del Duomo dell’Aquila (1900), distrutto dal terremoto del 2009
- Allegoria della Redenzione (1901-1903), collezione privata, L’Aquila
Altre opere
- Testa di frate, Galleria Ricci Oddi, Piacenza
- Pastore abruzzese, collezione privata
- Vari ritratti femminili abruzzesi, collezione privata
- Ritratto di vecchia popolana abruzzese, collezione privata
- Paesaggio sul Sangro, con contadine, collezione privata
- Strada di paese con persone, collezione privata
A Patini è intitolato lo stadio di Castel di Sangro e dedicato un monumento in bronzo, situato all’incrocio di via XX Settembre e il corso Vittorio Emanuele con piazza Caduti del 1943, in cui il pittore è mostrato nell’atto di dipingere. Dalla tavolozza si dipanano intrecci e festoni, e una musa dall’aspetto muliebre abruzzese. Nella provincia sono inoltre numerose scuole a portare il suo nome, tra cui l’istituto Mazzini-Patini dell’Aquila e il liceo scientifico di Castel di Sangro. La massoneria locale gli ha intitolato le logge dell’Aquila e di Avezzano. (1)
Pinacoteca Patiniana
L’erede, 1880
Vanga e latte, 1884
Bestie da soma, 1886
All’interno di Palazzo De Petra a Catel di Sangro c’è la Pinacoteca Patiniana Nelle sue sale restaurate, accanto a diverse opere di pregio si trova la magnifica collezione dei dipinti di Teofilo Patini, arricchita dall’arrivo di Bestie da Soma (1886), opera conclusiva nella trilogia composta inoltre da L’erede e Vanga e latte. Questi dipinti collocano il Patini come primo pittore sociale dell’Italia post-unitaria, e lo rendono uno dei grandi maestri del ‘900. “Bestie da soma è un’opera di grandissimo valore pittorico oltre che storico. Patini era giunto a una sintesi, a una libertà di grafia pittorica che lo aveva portato da una scrupolosa analisi del vero, che qui traspare, al racconto di quel vero con un linguaggio libero. Un linguaggio che tiene conto in senso maturo e oggettivo di tutti gli studi fatti sui pittori dal ‘600 fino ai contemporanei; anche gli stranieri, che l’artista aveva potuto ammirare nei suoi viaggi all’estero: in Inghilterra, Francia, Germania”, spiega Cosimo Savastano, storico dell’arte e maggior esperto al mondo del pittore sangrino, sintetizzando il valore dell’opera. “Patini è stato garibaldino, e sergente della Guardia nazionale per la repressione del brigantaggio – aggiunge Savastano -. Dopo aver attivamente partecipato alla realizzazione dell’Unità d’Italia fu poi tra coloro che rimasero profondamente delusi dall’attuazione inadeguata dei principi in cui tanto credeva, tanto da dar vita al movimento conosciuto come Risorgimento tradito. Con i suoi dipinti sociali denuncia la condizione di povertà e arretratezza che l’Unità portò nei paesi dell’Appennino, dove venne distrutta l’economia locale e non si compresero le esigenze della popolazione, dando vita a quella ‘Questione meridionale’ che è tutt’ora aperta». ( 2) (3)
( 1)https://www.wiki.it-it.nina.az/Teofilo_Patini.html
(2)https://www.tesoridabruzzo.com/la-pinacoteca-patiniana/
(3)Bibl.: A. De Gubernatis, Dizionario degli artisti italiani…, Firenze 1889, pp. 359 s.
T. P. 1840-1906 (catal.), a cura di A.M. Damigella – E. di Majo, Francavilla al Mare 1981; C. Savastano, T. P. e la sua gente, L’Aquila 1982; L. Martorelli, in Il secondo ’800 italiano. Le poetiche del vero (catal.), Milano 1988, pp. 329 s., figg. 228, 229; T. P. (1840-1906), a cura di F. Bologna, L’Aquila-Castel di Sangro 1990; R. Cioffi, 1888-1906. Pittura religiosa e implicazioni massoniche, ibid., pp. 329-333; La pittura in Italia. L’Ottocento, a cura di E. Castelnuovo, II, Milano 1991, pp. 510, 954-955; C. Savastano, T. P., in Pittori abruzzesi dell’Ottocento, Sambuceto 1995, pp. 171-205; L. Martorelli, in Capolavori dell’800 napoletano (catal., Monza), a cura di N. Spinosa, Milano 1997, pp. 182-184; L. Martorelli, in Civiltà dell’Ottocento. Le arti figurative (catal.), Napoli 1997, pp. 572-574, 625; M.M. Lamberti, La Maison Goupil e gli artisti italiani, in Aria di Parigi (catal., Livorno), a cura di G. Matteucci, Torino 1998, pp. 63, 65, 181; C. Savastano, La Pinacoteca civica T. P. in Castel di Sangro, Castel di Sangro 2007; Gente d’Abruzzo. Verismo sociale nella pittura abruzzese del XIX secolo (catal., Assisi-Teramo), a cura di P. Silvan, Roma 2010, pp. 110-139; T. P. Bestie da soma, studi e inediti (catal., Rivisondoli), a cura di C. Savastano, Castelli 2011; A. Muzi – G. Simone, in Il sentimento della natura. Pittori abruzzesi al tempo dell’Italia unita (catal.), a cura di L. Arbace, Pescara 2012, pp. 104-126.