” CATERINA SFORZA ” | PROF.SSA GABRIELLA TORITTO
Redazione- Nacque a Milano nel 1463. Fu figlia illegittima di Galeazzo Maria Sforza e di Lucrezia Landriani, nobildonna di corte. La sua esistenza fu quella riservata a buona parte delle figlie dei signori italiani e, come accadeva allora, la famiglia decise di darla in sposa a Girolamo Riario, nipote di Papa Sisto IV della Rovere, dato che suo padre, Duca di Milano, perseguiva alleanze ad ampio raggio.
Nella prima metà del Quattrocento le lotte per la supremazia fra gli Stati regionali italiani avevano ripreso con veemenza ma dopo la caduta di Costantinopoli in mano ai Turchi (1453), su sollecitazione di papa Niccolò V, furono intraprese iniziative di pace tanto che Venezia e Milano si incontrarono a Lodi il 4 aprile del 1454.
In virtù della pace conseguita, furono sospese tutte le operazioni militari e Francesco Sforza fu anche riconosciuto Duca di Milano. Solo Venezia rimase con un modesto aggiustamento delle sue frontiere con l’abitato e il circondario di Crema.
Nel 1455, a pace fatta, si determinò un complesso di alleanze che diede luogo alla nascita della Lega Italica. Il patto, promosso da Milano, Venezia e Firenze, fu subito approvato dal pontefice e da altri Stati, tutti interessati ad esaltare l’equilibrio raggiunto fra le forze politiche italiane della metà del XV secolo.
Durante i successivi 50 anni il contesto di apparente pacificazione fu interrotto da ripetute aggressioni e sommosse che causarono il depotenziamento della politica economica, fiscale, legislativo-giudiziaria e burocratica degli Stati italiani, minacciando la pace sottoscritta. Si trattava di un equilibrio piuttosto precario, dato che il quadro politico italiano della seconda metà del XV secolo fu costellato da inquietudini e instabilità con spargimenti di sangue e frequenti congiure, sebbene si tentasse di rimanere fedeli all’equilibrio instaurato con la Lega Italica.
In tale panorama Caterina Sforza si inserì con autorevolezza, facendosi valere come titolare di un potere legittimo. Si rivelò pedina indocile di progetti e accordi disegnati e sanciti al di fuori della sua volontà, imponendosi come protagonista delle vicende a lei contemporanee e mai come comprimaria.
Le nozze con Girolamo Riario, conte di Imola e Forlì, furono celebrate nella primavera del 1477, quando Caterina aveva soli 14 anni. Alcuni mesi prima, esattamente il 26 dicembre del 1476, suo padre, Galeazzo Maria Sforza, era stato assassinato. Lo stesso Girolamo Riario, sposato l’anno prima, fu coinvolto nella congiura dei Pazzi del 1478, che in Firenze condusse alla morte Giuliano de’ Medici, pur senza indebolire l’egemonia della famiglia medicea.
Caterina fu coinvolta, seppure indirettamente, alle predette congiure che segnarono in modo indelebile sia la sua giovane età, sia il suo futuro.
Dal matrimonio con Riario nacquero sei figli. L’unione di Caterina con Girolamo tuttavia fu sentimentalmente un fallimento. Ciò non costituì un’eccezione, dato che in quel tempo erano soprattutto gli interessi politici ed economici a determinare i matrimoni. Inoltre la differente personalità fra i due coniugi causò una doppiezza di condotta pubblica che di certo non giovò alla saldezza del principato di Riario. Fu il caso di quando, morto papa Sisto IV, i Colonna spinsero il popolo romano ad assaltare e a saccheggiare le proprietà dei della Rovere e dei Riario.
In quel momento Girolamo e Caterina, che aspettavano il quinto figlio, erano fuori Roma, a Paliano, ma si affrettarono a rientrare nella città eterna dove il Riario deteneva l’importante carica di castellano di Castel Sant’Angelo.
Fu proprio Caterina ad entrare nell’Urbe in prima persona, accompagnata dalle truppe del condottiero Paolo Orsini, ad impossessarsi del castello, ad organizzare dal nulla la difesa e ad espellere dalla rocca coloro la cui fedeltà non fosse conclamata. Di contro il marito, titolare della castellanìa, mostrando un carattere mutevole e pavido, completamente diverso da quello della consorte, risoluta e abituata a decidere con coraggio, si accampò pavidamente fuori dalla cinta muraria della città.
Caterina rimase asserragliata in Castel Sant’Angelo per circa due settimane, difendendo strenuamente i diritti e l’onore del marito mentre Girolamo patteggiava con il Sacro Collegio dei cardinali in cambio di denaro, del titolo di capitano generale della Chiesa e della conferma dei suoi possedimenti di Imola e Forlì.
Umiliata e delusa, la donna lasciò Roma assieme al marito il 26 agosto del 1484. Quella non fu l’unica occasione in cui la nobildonna dimostrò tutto il coraggio, la dignità e la lungimiranza che il marito non ebbe. Fu perspicace nell’analisi degli avvenimenti e decisa nell’identificare possibili soluzioni alle crisi che si presentavano.
Qualche anno più tardi il potere di Girolamo Rialto iniziò a vacillare sotto i colpi di una grave crisi economica e fiscale e in seguito alla ritrovata e consolidata alleanza fra la Chiesa e Firenze dopo il matrimonio di Franceschetto Cybo, figlio di Papa Innocenzo VIII, con Maddalena de’ Medici, figlia di Lorenzo il Magnifico.
In quel contesto storico Caterina ancora una volta si ritrovò sola ad affrontare quella intricata situazione. Decise così di recarsi a Milano per chiedere appoggio allo zio Ludovico Sforza. La nobildonna, temendo che la parentela stretta da Lorenzo il Magnifico, nemico del marito già da molti anni, con il pontefice potesse mettere a rischio la sopravvivenza del suo casato e il futuro dei figli, stipulò con lo zio Ludovico il Moro un vero e proprio baratto di Stato. Si mostrò pronta a concedere i possedimenti romagnoli allo zio, al fine di impedire le ambizioni del papa e i progetti di Lorenzo de’ Medici.
Il momento era alquanto delicato e pericoloso, tanto che di lì a poco, il 14 aprile 1488, a Forlì, Girolamo Riario fu assassinato in una congiura ordita da un gruppo di suoi collaboratori, sostenuti da Firenze. Il popolo non appoggiò quel progetto delittuoso ma Caterina, temendo il peggio, si rinchiuse comunque con i suoi figli nella Rocca di Rivaldino, ponendosi ancora una volta a capo di una resistenza tenace e determinata.
Machiavelli nelle Istorie Fiorentine ci ha lasciato un ritratto vigoroso di Caterina, donna di grande spessore politico e strategico, decisa nella difesa dello Stato ereditato alla morte del marito e destinato al figlio Ottaviano.
La contessa Sforza fu interlocutrice dei maggiori signori della penisola italiana, pronta a portare avanti trattative e ad accettare spregiudicati compromessi in nome di un’idea di politica che proprio Machiavelli avrebbe di lì a poco teorizzato: “… il fine giustifica il mezzo …”.
Lo storico fiorentino, per rappresentare l’indole indomita della nobildonna, racconta che al castellano di Rivaldino, che minacciava di uccidere i figli, volendo impedire a Caterina di entrare nella Rocca, l’impavida contessa rispose in modo risoluto e sfrontato di avere “seco in modo a rifarne degli altri”. Dopo quindici giorni dalla morte del marito, l’arrivo delle truppe sforzesche risolsero la situazione critica a favore della contessa.
La Sforza rimase poi saldamente al potere come reggente del figlio Ottaviano sotto la supervisione del cardinale Raffaele Riario Sansoni, suo parente, tuttavia gli ultimi dieci anni del 1400 furono tormentati per lei.
Nel 1492 la morte di Lorenzo il Magnifico contribuì a rompere quell’equilibrio sancito dalla Lega Italica con la conseguente, immediata discesa in Italia del re francese Carlo VIII e la contemporanea espulsione dei Medici da Firenze.
Uscita indenne dalla fallimentare spedizione di Carlo VIII, Caterina incrinò i rapporti con i suoi sudditi allorquando si legò sentimentalmente a Jacopo Feo, scudiero di corte, divenuto suo favorito ed elevato ad un rango eccessivamente alto per lui.
La condotta della contessa Sforza, l’ambizione e l’arroganza del suo amante, il pericolo cui erano esposti i diritti ereditari del giovane Ottaviano posero in allarme la famiglia dei Riario, sicché il 27 agosto 1495 una congiura si abbatté sull’amante Jacopo Feo, probabilmente su ordine del cardinale Riario Sansoni. Esecutore materiale fu uno dei soldati di Ottaviano Riario e i sudditi Forlivesi quella volta furono sostenitori convinti del complotto.
Terribile fu la vendetta della nobildonna. Infatti Caterina, se in seguito alla morte del marito aveva voluto proteggere la legittimità del suo potere signorile, nel 1495, accecata dalla passione, causò un copioso spargimento di sangue. Tale comportamento però alienò definitivamente alla contessa Sforza l’appoggio dei sudditi che in precedenza l’avevano sempre sostenuta.
Ma non era finita. Nel 1496 la contessa conobbe Giovanni di Pierfrancesco dei Medici, il quale si era recato a Forlì per acquistare il grano di cui Firenze aveva un gran bisogno.
Giovanni, trentenne, bello e brillante, riuscì a conquistare Caterina, in quel tempo trentatreenne, offrendole appoggio, collaborazione prima ancora che amore.
Due anni dopo Caterina diede alla luce l’ultimo figlio, il settimo. La sua felicità durò poco poiché cinque mesi dopo la nascita di Ludovico, così chiamarono il bambino, suo marito Giovanni morì dopo una breve malattia, lasciando la contessa sola, addolorata e fragile.
Al piccolo Ludovico fu cambiato il nome in Giovanni, in memoria del padre. Divenne uno dei più importanti condottieri italiani dell’epoca rinascimentale e passò alla storia come Giovanni dalle Bande Nere.
Caterina dunque fu una figura di primo piano nello scenario storico-politico del quindicesimo secolo, il cui destino si intrecciò con vicende strategiche e militari importanti ed imprevedibili. La sua eredità durò nei secoli a venire nel ricordo di quelle doti organizzative e teorico-politiche che la resero una grande donna.
L’esistenza della contessa Sforza cambiò quando Cesare Borgia conquistò Imola e Forlì, portandola prigioniera a Roma dove aveva ricoperto un ruolo prestigioso accanto al primo marito Girolamo Riario.
Rimase reclusa in Castel Sant’Angelo fino al 1501, quando papa Alessandro VI, padre del temibile Cesare Borgia, la liberò in cambio della rinuncia ai beni in Romagna.
Si ritirò in Firenze, dove frattanto il figlio Giovanni era entrato a pieno titolo a far parte della famiglia medicea e per la cui tutela dovette lottare duramente.
Si spense a quarantasei anni, il 28 maggio 1509. Giovanni, allora undicenne, fu affidato alla tutela del pivano Francesco Fortunati e di Jacopo Salviati, genero del Magnifico.
Più tardi Giovanni sposò Maria, figlia di Jacopo Salviati. Il loro erede Cosimo divenne il primo granduca di Toscana.
F.to Gabriella Toritto