“QUANDO IL BOSS NON TELEFONA PIU'”, IL NUOVO LIBRO DELLA GIORNALISTA VALENTINA ROSELLI SULLE STRAGI DI CAPACI E VIA D’AMELIO: L’INTERVISTA AL PROTAGONISTA FRANCESCO MACRI’
Redazione- Valentina Roselli, laureata in Scienze Politiche, giornalista, ha iniziato come cronista per importanti testate nazionali e locali, ha collaborato con alcuni periodici di attualità occupandosi di politica ed è stata direttore editoriale del quotidiano online “Notizie Nazionali”. Negli ultimi anni ha lavorato come ghostwriter e ha collaborato a inchieste giornalistiche su temi di attualità per radio e tv online. Nella prefazione del libro scrive:<< Come giornalista non ho mai saputo cogliere la notizia più succulenta, capace di attirare l’attenzione del pubblico. Quando l’ho fatto ho agito controvoglia perché ho sempre prediletto le notizie che piacevano a me. Non ho mai voluto seguire lo schema classico e la scrittura del giornalista di razza, che per altro stimo molto. Le strade già tracciate su binari già decisi da altri per arrivare dritti alla meta non mi sono mai piaciute e ho sempre preferito le fantasiose mulattiere. Una domanda mi ha sempre accompagnato nel corso del mio lavoro: “Sono le persone che vogliono leggere certe notizie o siamo noi giornalisti in base a certe percezioni a dirigere l’interesse della massa?” Questo quesito lo si più assimilare alla storica questione: “È nato prima l’uovo o la gallina?” e non si ha risposta. Così quando Francesco Macrì mi ha chiesto se volevo scrivere un articolo sulla sua notizia, ho preferito scriverci un libro in tutta libertà, perché non sapevo se il caporedattore di turno di un quotidiano nazionale, avrebbe confermato gli elementi perché questa storia diventasse un articolo. Molto probabilmente sarei stata liquidata con un: “Già sentito” oppure “Mah non abbiamo abbastanza riferimenti”, o ancora “Questo Macrì non mi convince” in base a quali criteri non l’ho mai assimilato fino in fondo. A me invece Francesco Macrì convinceva per tanti motivi, per la storia che proponeva, per riscontri e verifiche fatte, per la sicurezza con la quale esponeva il suo vissuto. Non ho dovuto chiedere conferme a nessuno ed ero più che convinta che il suo racconto fosse una storia da far conoscere, così è nato questo libro. Sinceramente non so se questa storia vi interesserà o se per voi era importante che la scrivessi, se ho messo a fuoco una notizia che susciterà una vasta eco, davvero non lo so. So con sicurezza che era importante per me far sapere che in Italia ci poteva e ci potrebbe essere un’arma utile nella lotta alla criminalità. Un deterrente contro le esplosioni e le comunicazioni di questa gente pericolosa e tanto basta. Spero che basti anche a voi per giudicare Quando il boss non telefona più degno di interesse>>. Ci rivolgiamo ,quindi, direttamente al Sig.re Francesco chiedendogli
:<<Quale è questa arma che ,secondo lei, avrebbe potuto salvare le vite di Falcone e Borsellino?
L’arma, come lei mi chiede non e’ affatto il termine esatto, bensi’ si chiama semplicemente dispositivo (device) jammer.
Nel libro, si parla del dispositivo “Jammer” che se fosse stato adottato dal ministero dell’interno e fosse stato utilizzato dalle scorte dei due magistrati, le stragi di Capaci e Via D ‘Amelio sarebbero state evitate: potrebbe essere più specifico?
Esattamente, ribadisco e confermo che se all’interno delle autovetture bilndate dei due magistrati fossero stati installati i dispositivi, escludo, dopo aver condotto uno studio molto accurato e professionale sulla dinamica e sui sistemi esplosivi usati nei due attentati, che appunto i “dispositivi” abrebbero svolto il proprio dovere, ossia che interrompendo le comunicazioni sia radio che della telefonia mobile gli ordigni non sarebbero esplosi; o meglio non sarebbero esplosi sicurissimamente ad una distanza cosi ravvicinata per uccidere i due magistrati e gli uomini della scorta.
Il “Jammer”, secondo lei e come le hanno risposto ufficialmente, è dannoso per la salute umana?
Ma guardi, la ringrazio per questa domanda perche’ e’ proprio da qui che nasce questa incredibile storia, e nasce appunto la mia volonta’ e forse bisogno.. di raccontare alla “coraggiosa” e professionale giornalista valentina roselli questa triste vicenda che da molti e troppi anni mi trascino sulle spalle. rispondo alla sua domanda: intanto sul libro troverete tutti i dettagli tecnici ingegneristici riguardo ai possibili danni che “potrebbero” causare le onde elettromagnetiche emesse dai sistemi jammer; e di conseguenza senza rientrare troppo nella parte “tecnologica” del libro “ quando il boss non telefona piu’”, mi limito ad esprimere una semplice considerazione: a cavallo degli anni 60-70, scotland yard a protezione della regina, gia’ usava sistemi jammer, e questo e’ il primo esempio; se vogliamo tornare addirittura piu’ indietro, le dico che durante lo sbarco in normandia, le navi americane sparavano sulle prime linee tedesche tramite potentissimi trasmettitori jammer, onde elettromagnetiche al fine che gli avamposti non potessero comunicare e trasmettere alle retrovie naziste che lo sbarco era iniziato! aggiungo e termino, tanto per rendere appunto un idea, che furono pproprio gli israeliani ( con cui ho avuto ottimi rapporti) che mi informarono e addirittura mi domandarono il perche’ in italia si continuava a morire di esplosivi comandati a distanza ( “ied” termine inglese) escludendo del tutto i disositivi jammer di cui loro ne facevano “necessariamente” uso da molti anni!
Perché, secondo lei, il ministero della difesa ha adottato per le forze armate il “Jammer”, mentre il ministero dell’interno non ha ancora preso una decisione al riguardo?
Francamente la scelta delle forze armate impegnate nei teatri di guerra riguardo questi equipaggiamenti e’ stata piu’ che obbligata; sia per il richio costante di imbattersi con questi ordigni improvvisati ( che ci sono costate molte vittime) sia perche’ ci siamo resi conto sul campo, che gli eserciti di altre nazioni ne facevano gia’ un uso storico. riguardo alla decisione da parte del ministero degli interni ( e non solo) di non adottare simile tecnologia sara’ il caso di chiederlo direttamente a loro, anche se il libro illustra una diciamo attendibile opinione..
Nel Libro si parla dell’uso dei cellulari in carcere da parte dei Boss(Totò Riina) della Mafia sottoposti al regime del 41 bis: come è possibile, secondo lei, tutto ciò? Ce ne vuole parlare?
Ripeto, il libro sara’ sufficientemente utile a percepire da parte dell’ opinione pubblica se in tutto questo ci sono state delle responsabilita’ intenzionali o semplicemente di scarsa cultura in materia, cose che dal mio punto di vista non sono entrambi tollerabili, soprattutto se, queste scelte determinano poi la vita o la morte delle persone. certamente e’ a dir poco scandaloso che sistematicamente si continuano a ritrovare all’interno dei ns istituti penitenziari telefonini cellulari in mano alla criminalita’ organizzata. e anche su questo il libro testimoniera’ il mio “calvario” per non essere riuscito a risolvere questo triste problema..
In conclusione ci parli un po’ di lei e ci racconti come è nata l’idea di collaborare, se così possiamo dire, con la giornalista Roselli per la nascita di questo libro?
Potrei e dovrei rispondere (professionalmente parlando) con un semplice e decoroso “no comment”; lascio alla fantasia dei lettori dare una connotazione alla mia figura, anche per il semplice motivo che parlare del mio storico sarebbe davvero un impresa non facile, soprattutto per una questione di “spazi” concessi in un articolo di stampa; la decisione di collaborare con la giornalista valentina roselli infine, e’ maturata come ho gia citato, per il semplice motivo di aver colto in lei due semplici elementi per me fondamentali :