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ARTE E RESILIENZA: NOTE PSICOANALITICHE SUL SIGNIFICATO DELL’EVENTO ARTISTICO-DOTT.SSA MARIA RITA FERRI

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Redazione- In psicoanalisi l’evento artistico si situa nel processo di sublimazione, culmine di un altro processo psichico: l’elaborazione del lutto. In quest’ultimo l’Io raccoglie il dolore e lo ripone nel cuore, della perdita dell’oggetto conserva l’ombra, come ci ricorda S. Freud, ne compone il dolore in una forma estetica (et. sensibile), lo pone su un piano universale di valore e creatività.

D.D.Winnicott ci guida a conoscere i misteri della piccola mente del bambino, in solitudine, rimasto senza l’oggetto. Il primo oggetto è da sempre perduto, la madre.

La psiche del bambino sapeva di essere uno con la madre, con il mondo, non conosceva alcuno che fosse separato dal suo Sé. Egli soggettivamente accoglieva ed era il mondo stesso. Nascendo perde questa continuità e scopre che l’oggetto vive da sempre all’esterno di lui ed è, per questo, da sempre perduto.
Dal sentimento doloroso della perdita l’Io ne estrae un nuovo senso, dall’orma dell’oggetto nel suo cuore crea nuovamente quello perduto all’esterno come presenza preziosa e arricchente dentro di sé. Attraverso l’arte, che nasce nel dar forma universale ed estetica al sentimento, l’Io ritrova il legame con l’oggetto e ne esce arricchito.
Da allora ogni volta che un nuovo oggetto d’amore scompare l’Io ne costruisce l’imago, attingendo al dolore, nel proprio mondo interno e con essa può attendere il ritorno, mantiene vivo il legame, esperando.
Tale imago ritrae l’oggetto in “un sogno non ancora sognato”, con W. Bion, lo pone in una rêverie del nido, lo congiunge alle rive. Ogni oggetto ritrovato internamente arricchisce l’Io e lo struttura maggiormente.

Per un approfondimento maggiore faremo riferimento al ramo francese della psicoanalisi, che ci permette di cogliere i ramages della pittura contemporanea.
Ed è con l’arte informale materica, ed è con A. Tàpies, A. Burri, G.Parmigiani ed altri che l’opera diviene la rappresentazione non più dell’imago, ma dell’essere in sé nella sua incandescenza.
La materia diviene protagonista ed ha il canto dell’esser-ci.
Ogni muro di A. Tàpies ha una trama, è segnata dal significante. E’ una narrazione pittografica.
L’opera d’arte è esperienza sensibile, è squarcio, è folgore, è materia intrecciata di senso.
Il muro è memoria inconscia di un esserci-nel-tempo, conserva in sé le orme della presenza di un altrove, si offre come figura della corrosione del tempo, è opera che vive, attraversata da chi lasciò, dimentico, il suo passaggio come memoria.
La scelta del materiale implica il condurre il tempo all’interno dell’opera: la scelta del materiale come protagonista dell’opera include la trasformazione nel tempo.
E’ poetica dell’oggetto, del dettaglio elevato a dignità di Das Ding, ovvero dell’origine dell’essere.
E’ matericità onirica: dà sostanza alla trascendenza, ne fa un’immanenza gravida di senso e al tempo stesso impalpabile.
Spazio materico vissuto, sedimentato, significato, graffiato ed inciso da un vivere che narra di sé attraverso il linguaggio dello scrostamento come scrittura.
Il fruscio dell’essere è passato di lì, vi ha dimorato, ed il muro conserva la sua fragranza. E’ luogo di incontro fra Spazio e Tempo, Essere e Sogno, dove il segno entra nella materia, ne fa parte.
Il muro di A. Tàpies ha la poetica del tempo come scrigno dell’inconscio.
Il segno ha vita sua propria, vive nella materia, è parte della trama dell’opera, è sopravvivenza dell’atto.
L’opera stessa è estetica in quanto atto, atto di svelamento della Cosa, ovvero dell’inconscio cosmico o, con J. Lacan, del reale.

Materia solcata, invasa e attraversata dal segno dell’essere, inseparabile da esso. Il segno sul muro di A. Tàpies non è significante che rimanda ad un contenuto altrimenti significato, ma è traccia dell’esser-ci e, in quanto tale, sacra. E’ traccia della Cosa (Das Ding), del primo incontro.
Il segno che si stratifica è inscrizione dell’essere-nel-tempo, dell’Il-y-a di E. Lévinas.
Le fil rouge dell’informale materico di A. Tàpies, secondo la letteratura d’arte, nasce già da Giorgio Morandi, poeta della sottrazione e dell’elisione di ogni cenno di eccesso formale. L’oggetto è sottratto al tempo e al suo passaggio. E’ inizialmente sottratto al suo significato culturalmente condiviso, viene accolto nella sua forma più pura che viene da G. Morandi carezzata, spolverata, compresa nel suo essere icona dell’impensabile. Le sue bottiglie, ad esempio, divengono così oggetti con venature di oblio. Sottratte al tempo ma testimoni di un passaggio d’ali che le colloca su un piano intemporale, ma già nostalgico.
La sua poetica è il canto dell’object oublié, oggetti che si smarriscono, che hanno una vertigine, si affacciano sul non-essere, vite al limite, sulla “bordatura incandescente della Cosa”, con J. Lacan.
L’oggetto, dunque ,in G. Morandi, non parla mai della realtà, è negazione di essa, ma più in profondità è svelamento del vero o del reale, cui dona una forma nel suo intrinseco modo di esistere.
Morandi ne fa un’icona della sostanza dell’essere. L’oggetto è inoltre colto nella sua fragilità che rende preziosa la vulnerabilità dell’esistere.
Sono scrigno della irrappresentabilità dell’esser-ci, la custodiscono e la velano. Non rimandano. Ad un significato trascendente, sono oggetti sospesi, oggetti significanti, o “immagini-segno”, con M. Recalcati.
G. Morandi coglie il silenzio delle cose, l’infinito in esse compreso, sono immagini che respirano ed aspirano alla forma pura e materica, essenziale dell’essere, ne rivelano la fragranza.
L’irrappresentabilità trova forma in icone sottratte al tempo ma che del tempo portano la fragilità intrinseca.

G. Morandi fa della caducità un sentimento, rivela la fragilità delle cose nel loro resistere al tempo.
Smaterializzare l’oggetto è per lui come avvolgerlo di oblio, giungere a dimenticarlo, slegarsi da esso come avviene al termine dell’elaborazione del lutto, come ci ricorda M. Recalcati.
In Morandi l’elaborazione trattiene un resto che conserva la forma come sostanza e inoltre la verità dell’oggetto e la verità assoluta sull’oggetto, ne fa cioè un’immagine di eternità. Salva l’oggetto dall’erosione del tempo e della memoria e ascolta il suo essere silenziosamente presente, come il canto del coro muto di Madama Butterfly, di G. Puccini.
Ne fa dunque un oggetto che attende un ritorno.
Un oggetto che resiste al tempo è davvero un oggetto indimenticabile.

Se nel surrealismo l’evento artistico ha la forza di far esplodere la forma e riversare l’energia dell’inconscio, S. Freud afferma, al contrario, che l’espressione diretta dell’inconscio non costituisca mai il centro di un’opera d’arte, anzi che essa nasca da una velatura dell’inconscio, in cui l’Io assicuri una mediazione simbolica che dia struttura alla forza pulsionale e la contenga in una espressione di stile.
In Ernst Gombrich, infatti,il fatto estetico è il risultato di un processo sublimatorio dell’Io, che dona un linguaggio simbolico, di mediazione e espressione segnica della Cosa, ovvero dell’Es.
In S. Freud si apre l’interrogativo sul come la forma dell’opera possa contenere ed esprimere il fuoco dell’energia pulsionale. Ogni opera d’arte ha al suo interno tale tensione, nasce da tale dialogo intimo tra Io ed Es.
In questo senso si sviluppa l’opera di A. Burri, in cui intrecciare la forma alla forza pulsionale esprime la tensione tra la forma ed il Reale (con J. Lacan). E’ un delicato equilibrio tra i due registri che permette di cogliere l’essenza vitale come slancio della Cosa ( ovvero energia delle origini ) nel linguaggio del mondo.
L’artista affianca il Reale per non cadervi e mantenere un assetto formale

che dia segno e voce alla forza dell’essere.
A.Burri afferma che l’opera d’arte è una “irriducibile presenza”, ovvero non traducibile. E’ in questo senso che l’opera è un’immanenza d’essere.
E’ nell’opera stessa, infatti, il significato che mai la trascende. Perfetta coincidenza tra essere ed opera : il significato, egli aggiunge, “appare solo nella pittura”.
La declinazione estetica di A. Burri è data dalla certezza della forma che inscrive i materiali (pensiamo alle tele di iuta, ai Sacchi) in un equilibrio d’arte “perché ciò che interessa primariamente l’artista…è dare forma all’informe , recuperare la materia al valore sublime della forma”, con M. Recalcati.
Porta cioè la materia nell’organizzazione della forma, verso la sua dignità intrinseca ma assicurata dalla ricomposizione formale del Vero inconscio.
A.Burri coniuga lo strappo, la lacerazione, la slegatura, con la composizione, il ricucire, l’accostare in un assetto formale rigoroso.
Nei Gobbi la percezione dell’esistenza tangibile del Reale assume la forma tridimensionale che rende quasi tangibile, ma allo stesso tempo indicibile il Centro dell’opera, ovvero Das Ding (S.Freud), che può essere costeggiato, ma mai direttamente rivelato perché accecante per l’Io.
L’arte informale materica, ponendo la caducità al centro della bellezza (come suggeriva S. Freud in Caducità) fa sì che essa sia assunta come premessa del bello e quindi in esso compresa come accrescimento e non come suo sfiorire, dove il bello diviene catartico di ogni fragilità possibile: nello stupore del profilo d’arte l’immanenza si colma di cielo.

Dott.ssa Maria Rita Ferri

Psicoterapeuta Psicoanalitico,

Formazione Psicoanalitica Post Lauream,

Spec. Psicoterapia Familiare.

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