AMIANTO: IMPIEGO, SALUTE E BONIFICA-DOTT.SSA GABRIELLA FONTECCHIO
Redazione-Una esposizione cronica a fibre di amianto risulta in patologie primariamente correlate all’apparato respiratorio, a partenza dall’asbestosi per terminare al tumore pleurico a seguito di contatto per via prettamente inalatoria. Nonostante ad oggi il solo nominare il termine “amianto” faccia sobbalzare gran parte della popolazione per la ben nota pericolosità di detto materiale, si ritiene utile rammentare che i suoi usi sono stati estensivi nel corso dei secoli e possiamo farli risalire al medioevo, quando veniva impiegato in rituali, magici o, addirittura, per la fabbricazione di prodotti tessili. Tornando indietro nel tempo, al riguardo, il medico naturalista Boezio (600 d.C.) ne riporta le proprietà terapeutiche, in quanto tale materiale, applicato sotto forma di unguento preparato mediante miscelamento con altri composti (come piombo e ruta), risultava miracoloso per “…il lattime e le ulcerazioni delle gambe…”. Alla luce della sua elevata tossicità rivelatasi in tempi moderni, ben comprendiamo l’insieme degli effetti collaterali, i quali andavano di gran lunga a superarne i benefici. Ancor prima, persiani e romani disponevano di manufatti in amianto deputati ad avvolgere i cadaveri destinati al processo di cremazione, procedimento finalizzato all’ottenimento di ceneri più pure e chiare dei resti umani. Da Plinio il Vecchio, in Naturalis historia 36, 139 – I sec d.C.: “Amiantus alumini similis nihil igni deperdit; hic veneficiis resistit omnibus, privatim magorum” (l’amianto, simile all’allume, non si consuma a causa del fuoco; esso resiste a tutte le stregonerie, specialmente a quelle dei maghi), una frase che pone in evidenza le sue proprietà ignifughe. Infatti, le caratteristiche dell’amianto, le quali giustificano il suo ampio impiego nel passato e in epoca più recente, sono racchiuse nella sua etimologia prettamente greca, dove il termine amiantos voleva significare “materiale incontaminato, puro, limpido”, mentre asbestos stava per “inestinguibile, indistruttibile”; non a caso vi si ricorse alla fabbricazione di tessuti ignifughi, come le tute di protezione (come quelle in dotazione ai vigili del fuoco) e risulta essere altamente resistente al calore, all’abrasione, all’usura termica e meccanica, nonché dovuta all’azione di agenti biologici, chimici e fisici.
Con il termine “amianto” intendiamo riferirci non a un unico materiale, bensì a sei composti minerali dall’aspetto fibroso, appartenenti alla serie mineralogica dei silicati e distinti in serpentino (crisotilo: amianto bianco) e anfiboli (crocidolite: amianto blu, altrimenti noto come amianto azzurro del Capo in quanto proveniente da giacimenti siti nella Repubblica Sudafricana; amosite: amianto bruno; antofillite, actinolite, tremolite. Proprio gli anfiboli sono considerati i più pericolosi per l’uomo. Per l’appunto, in relazione al tipo di amianto, la capacità di penetrazione polmonare è diversa: gli anfiboli, costituiti da fibre di 3 micron di diametro, possiedono una capacità di penetrazione più elevata delle fibre di serpentino (ricurve), ciò in virtù della morfologia tipicamente allungata, una caratteristica che lo rende estremamente rischioso in caso di contatto protratto, come discusso nel paragrafo riguardante le patologie correlate all’asbesto.
La figura seguente riporta l’aspetto tipico di fibre di amianto di anfibolo osservate al microscopio elettronico.
Sul finire del XIX sec., scoperte le sua ben note e sfruttabili caratteristiche (materiale altamente ignifugo, elevate resistenza a trazione e flessibilità, elevata capacità legante, ottimo fonoassorbente e termoisolante, incombustibilità), le applicazioni dell’amianto furono molteplici, in particolar modo nel campo dell’edilizia, impiegato da solo o applicato come miscela cemento-amianto (noto quale Eternit, dal latino “aeternitas”, eternità). Ne derivò un uso massivo, privo di, allora, significative valutazioni medico-genetico-biologiche che ne confermassero la pericolosità. Al contrario, la scienza moderna, avvalendosi di tecnologie all’avanguardia, ha evidenziato, basandosi su numerosi test di tipo, ripetiamo, biologico, chimico, genetico, nonché biochimico-clinico, la cancerogenicità dell’amianto in ogni sua possibile formulazione, definitivamente riconosciuta fin dal 1973 dalla Agenzia IARC (International Agency for Research on Cancer).
Gli impieghi esasperati dell’amianto hanno riguardato svariati settori e risultano, per l’appunto, legati alle sue numerose proprietà intrinseche già citate, ma, non da ultimo, sia alla facilità di ottenimento dalla roccia (semplice macinazione e arricchimento) e di lavorazione sia al basso costo; per queste ragioni, esso è stato utilizzato quale isolante termico in varie tipologie di impianti, ad es. centrali termiche/termoelettriche, fabbriche siderurgiche e di fonderia, vetreria, ceramica, laterizi; impiegato anche in impianti di condizionamento o quale barriera antifiamma nelle condotte per impianti elettrici. Le industrie edilizie, del freddo, del mobile, dei trasporti ed altre ne hanno acquisito, sfruttato e amplificato oltremodo l’uso ricorrendovi per: coperture e rivestimento di edifici industriali e domestici, in gran parte sotto forma di piane di cemento-amianto, serbatoi per la raccolta di acqua, pavimentazioni (ricordiamo il linoleum, un impasto di resine sintetiche e amianto), impianti frigoriferi, come componente di adesivi, collanti, filtri per la purificazione di bevande, supporti per deodoranti di ambienti domestici, spruzzato su travi metalliche, sui soffitti, presente in coppelle ricoprenti tubazioni, in canne fumarie o in condotte per l’acqua, rivestimento quale materiale isolante per navi, treni, autobus; dall’impasto con resine sintetiche ne è derivato un prodotto ultimo con cui fabbricare i ferodi (freni e frizioni per autovetture), causa primaria di rilascio protratto nell’atmosfera di fibre di amianto. Tessuti ignifughi contenenti amianto sono stati utilizzati a lungo non solo nell’abbigliamento, ma anche nell’arredamento per cinema, teatri e treni.
Quando la popolazione in generale (situazione extra-lavorativa) o i lavoratori addetti alla rimozione/bonifica dell’amianto sono ritenuti a rischio? La risposta risiede nella considerazione che, a seconda della sua lavorazione, l’amianto si distingue in friabile o compatto, dipendentemente dalla miscela oggetto di utilizzo. Il primo rilascia fibre con maggior facilità data la sua friabilità, ma il secondo non è esente dall’usura legata al tempo, alle condizioni meteorologiche/climatiche del luogo e di manutenzione. Le fibre aerodisperse possono permanere a lungo nell’atmosfera, depositarsi al suolo per gravità e quindi risospendersi a causa dei movimenti d’aria.
L’immagine rappresenta un comune aspetto dell’usura di coperture in Eternit per edifici ad uso abitativo o industriale.
Non a caso, i rischi per la salute sono strettamente correlati all’inalazione e alla respirabilità delle fibre rilasciate dai materiali contenenti amianto, dunque alla durata di esposizione e al grado di intossicazione, come accade in occasione di mancata manutenzione e interventi manutentivi, di ristrutturazione o bonifica.
Non ce ne rendiamo conto, ma l’amianto ci ha invaso la vita da secoli e, purtroppo, la sua attività lesiva a carico dell’apparato respiratorio in primis, ma anche di altri organi o tessuti, si manifesta in seguito a esposizione protratta nel tempo, vale a dire a basse dosi, ma continuative: il tempo di latenza, ossia l’intervallo di tempo che decorre dall’inizio dell’esposizione alla comparsa della malattia, è solitamente di decenni. Nonostante con la legge n. 257 del 12 marzo 1992 “Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto”, grazie alla quale l’Italia ha messo al bando l’amianto con un programma di dismissione di durata biennale, stabilendo, a partire dal 28 aprile 1994, il divieto di estrazione, importazione, commercializzazione, e produzione di amianto e di tutti i materiali contenenti amianto, la problematica si è spostata precipuamente verso a) il rilascio per usura delle fibre di asbesto e b) attività di rimozione e bonifica dello stesso. Il punto a) coinvolge la popolazione in generale, mentre il punto b) è piuttosto riferibile ai lavoratori che ne vengono a stretto contatto.
Come si accennava inizialmente, l’asbestosi è solo una delle patologie cui va incontro un soggetto esposto cronicamente all’amianto. Essa è caratterizzata da aspetti di natura cicatriziale a carico dei polmoni. A seguito dell’inalazione cronica di fibre di amianto, consegue infiammazione per l’intervento dei macrofagi che le fagocitano, fenomeno seguito da stimolazione dei fibroblasti che risulta in cicatrizzazione del tessuto connettivo polmonare (fibrosi interstiziale) e conseguente ridotta capacità di legare l’ossigeno. L’infiammazione polmonare è altresì ascrivibile alla morte dei macrofagi nel tentativo di fagocitare fibre di diametro superiore ai 3 micron ( da 3 a 5 micron). La diagnosi di asbestosi, “spia” di contatto con detto materiale tossico, viene posta a seguito di esame condotto mediante Risonanza Magnetica Nucleare (RMN), capace di rivelare la presenza di placche calcifiche e addensamenti alveolari, test condotto in associazione con la ricerca di tipici “corpuscoli di asbesto” nell’espettorato congiuntamente a prove di funzionalità respiratoria (indicative di insufficienza respiratoria restrittiva). Altra caratteristica dell’asbestosi è la così detta alveolite asbestosica riconducibile sempre all’attività dei macrofagi; questi, in tal caso ridenominati sideroliti) tendono a inglobare gli eritrociti rilasciati a causa delle numerose microemorragie indotte dalle fibre di amianto, andando a complicare così il quadro fibrotico polmonare.
Etiologicamente associato a fibre aerodisperse di amianto è il mesotelioma una forma di neoplasia maligna e aggressiva che colpisce in genere le membrane, in primo luogo la pleura (noto come MPM: Malignant Pleural Mesothelioma: mesotelioma pleurico), ma anche peritoneo e pericardio. La difficoltà della diagnosi deriva dal fatto che tale patologia si manifesta come conseguenza di una esposizione protratta nel tempo, manifestandosi, in media, dopo 10-20 anni dall’inizio del contatto. All’osservazione istologica, le membrane colpite appaiono ispessite, con numerosi foci di iperplasia alcuni dei quali divengono maligni. Sino a tempi recenti, le cause del mesotelioma da asbesto erano non ben comprese, ma recenti indagini genetico-biochimiche sembrano dimostrare un coinvolgimento di proteine denominate HMGB1 (High mobility group box protein-1: HMGB1) appartenenti al gruppo delle cosiddette molecole “DAMP” (Damage-Associated Molecular Pattern), ossia un pool di molecole la cui elevata espressione è associata al danno cellulare. Le HMGB1 sono normalmente presenti all’interno del nucleo cellulare come proteine non istoniche legate alla cromatina. Specifichiamo che per “cromatina” si intende il DNA complessato con proteine denominate “istoni”, il cui compito consiste nel regolare l’assemblaggio del nucleosoma, vale a dire quell’unità strutturale ripetitiva della cromatina consistente in un nucleo centrale di diversi istoni costituenti il fulcro attorno al quale si avvolge un segmento di DNA. E’ stato dimostrato che tali proteine HMGB1 vengono passivamente rilasciate dalle cellule necrotiche o secrete attivamente dalle cellule del sistema immunitario o cancerogene, e sono responsabili dell’iniziazione e perpetuazione della risposta infiammatoria. L’asbesto, dunque, induce un elevato rilascio di HMGB1 nello spazio intercellulare da parte delle cellule danneggiate, che, in sintesi, dà inizio alla risposta infiammatoria; quest’ultima è in grado di scatenare cicli di morte cellulare che evolvono nel tempo conducendo al mesotelioma. In accordo con quanto esposto, i livelli serici di HMGB1 risultano elevati in individui esposti all’amianto, proponendosì così quale valido “biomarker” di esposizione (Carbone M., Yang Haining: Mesothelioma: recent highlights, Annals of Translational Medicine, 2017).
Il tumore polmonare associato all’amianto rappresenta sempre il risultato della esposizione protratta nel tempo a detto materiale, in genere 20 anni, da quanto risulta da studi epidemiologici condotti su operai addetti alla cantieristica navale, alla fabbricazione di tutti i materiali contenenti amianto (MCA), coibentisti e minatori; da tali indagini emerge che il rischio di sviluppare il cancro è fino a 5 volte maggiore risposto ai soggetti non esposti, con un effetto sinergico qualora si vada a prendere in considerazione l’abitudine al fumo di tabacco. Si è comunque in attesa di ulteriori sviluppi e scoperte scientifiche in merito ai meccanismi di azione responsabili dell’effetto oncogenico.
Sempre indagini epidemiologiche sembrano dimostrare un aumento dell’incidenza di mortalità per tumori del tratto gastroenterico e della laringe tra i lavoratori esposti rispetto al resto della popolazione.
Riguardo alla gestione dei rifiuti contenenti amianto e alla loro tecnica di rimozione, inertizzazione e bonifica, non mancano fortunatamente ad oggi direttive della Comunità europea (CE), della Comunità economica europea (CEE) e decreti legislativi finalizzati a tutelare la salute dei lavoratori professionalmente esposti.
Per averne un’idea, risale al 1991, con il D. Lgs n. 277, “La attuazione delle direttive CEE n. 80/1107, n. 82/605, n.83/477, n.86/188 e n. 86/642 in materia della protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro”. In relazione alle attività di bonifica, merita particolare attenzione quanto previsto dall’art. 34 del D. Lgs n. 277/91 “lavori di demolizione o di rimozione dell’amianto” che impone al datore di lavoro di predisporre un piano di lavoro che garantisca la sicurezza tanto dei lavoratori che dell’ambiente esterno, piano da presentare successivamente all’Organo di Vigilanza. A seguire fu la legge, già citata, n. 257/92, con successiva emanazione del Decreto Ministeriale 06/09/1994 circa ”Normative e metodologie tecniche di applicazione dell’art. 6 e dell’art. 12 della legge n. 257/92” riguardanti: 1) localizzazione e caratteristiche delle strutture edilizie: classificazione MCA, in friabile e compatto, campionamento e analisi; 2) valutazione del rischio: criteri per esame MCA, per la scelta dei metodi di bonifica, procedura di ispezione, valori limite di inquinamento; 3) metodi di bonifica: a) rimozione (il metodo di maggior efficacia e più diffuso, comportante l’asportazione totale della copertura in Eternit e sua sostituzione con altra copertura priva di tossicità), b) incapsulamento (consistente nel trattamento dell’asbesto con materiale penetranti a costituire un film di protezione che ne impedisca il rilascio nell’ambiente) e 3) confinamento (altrimenti detto “sopracopertura”, una operazione finalizzata alla installazione di una copertura sovrastante l’Eternit).
Desiderando approfondire alcuni aspetti, precisiamo che l’art. 249 del D. Lgs. 81/08 definisce che la valutazione del rischio amianto nei luoghi di lavoro è obbligo del datore di lavoro, il quale deve provvedere ad informare i lavoratori del pericolo, effettuare una certificazione dello stato di integrità dell’amianto congiuntamente a monitoraggi ambientali e biologici, per valutare la presenza di fibre di amianto nell’aria e negli operatori. La metodica di campionamento da impiegare è quella che prevede la filtrazione di un volume di aria noto attraverso una membrana a micropori, che trattiene le fibre, formata da esteri misti di cellulosa per analisi MOCF (microscopia ottica in contrasto di fase) o in policarbonato per analisi SEM (microscopio ottico a scansione). In uno specifico Documento di Valutazione dei Rischi vengono riportati i risultati dei campionamenti eseguiti periodicamente e segnalati alla ASL di competenza qualora in costante aumento, anche se si resta al di sotto dei valori limite soglia, che nell’art. 254 del D. Lgs. 81/08 viene fissato in 0,1 fibre per centimetro cubo di aria, misurato come media ponderata nel tempo riferita a un turno lavorativo (8 ore).
In ultimo, come proteggere i professionisti impegnati in operazioni di bonifica oltre agli obblighi spettanti ai datori di lavoro? I Dispositivi di Protezione Individuale (DPI)
La protezione dei lavoratori impegnati in operazioni di bonifica deve comprendere sia i respiratori sia specifici indumenti protettivi da indossare esclusivamente durante e dopo i lavori e da togliere rispettando le procedure di decontaminazione.
Nella scelta dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie bisogna considerare che i facciali filtranti indicati per polveri di amianto (tipo FFP3) e le semimaschere con filtro di tipo P3 possono essere utilizzati solo nelle operazioni preliminari che non comportino tossicità da materiali a base di amianto. Nel corso di operazioni di bonifica vera e propria di norma vanno impiegati respiratori a ventilazione assistita (costituiti da maschera intera e filtro P3), oltre a caschi ventilati, che tuttavia offrono un grado di protezione minore. Un grado di protezione maggiore può essere assicurato solo con i respiratori a rifornimento d’aria esterno (respiratori isolanti) o muniti di bombole (autorespiratori). Le tute per bonifica amianto devono essere intere, di tessuto idoneo a non trattenere le fibre, provviste di cappuccio, prive di tasche esterne, chiuse mediante elastici ai polsi e alle caviglie. Sotto la tuta, l’abbigliamento deve essere ridotto al minimo.
Le tute vanno sostituite a ogni uscita o entrata e, di norma, sono monouso. Solo in casi molto particolari, se si ricorre a materiali più confortevoli, ma anche più costosi (ad es. in materiale gore-tex), la tuta protettiva può essere riutilizzata, previa decontaminazione mediante lavaggio.
Le successive immagini illustrano un lavoratore durante una fase di rimozione di MCA e due fasi di decontaminazione degli operatori e delle attrezzature: depolverizzazione a umido o mediante aspirazione, procedura seguita da eliminazione degli indumenti di lavoro; doccia con DPI indossati e lavaggio finale della maschera.
Nell’insieme, attualmente siamo in possesso di tutte le “armi” possibili per garantire sicurezza e salute sia dell’uomo che dell’ambiente: adeguati interventi di manutenzione di edifici ad uso abitativo a tutela degli occupanti e normative a protezione della salute dei lavoratori contribuiscono a limitare i danni da tossicità da asbesto…..purché, con una nota polemica, dette precauzioni, applicabili a scopo preventivo,