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“TEATRO DEI PUPI ITALICI ” – DI VALTER MARCONE

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Redazione- Piccolo, ma non solo per piccoli: il Teatro dei Pupi Italici che Girolamo Botta ha inaugurato a Sulmona, è un gioiello da collezione che il giovane siciliano, trapiantato nella città di Ovidio, ha cercato e costruito con tenacia.

Questo avvenimento culturale per la città peligna mi ha fatto ricordare e voglio condividerla con il lettore la grande epopea dei pupi siciliani rinnovati nel loro splendore, pur attingendo totalmente alla tradizione dell’isola, di Marco Cuticchio . Quelli di Girolamo Botta si chiamano Pupi italici perchè pur riaffermando il valore di questa arte che ha molte caratteristiche, a partire proprio dalla creazione dei pupi e poi degli scenari del palco, delle musiche e dei racconti, proprio nei racconti vira verso le storie peligne come avrò modo di dire più avanti attingendo proprio alla pagina web di questo “puparo” . Una pagina che illustra il lavoro svolto da Botta per allestire questo spazio a Sulmona ma anche per creare una associazione che proponga iniziative e specificatamente un laboratorio, oltre a spettacoli attraverso la compagnia appunto di Girolamo Botta .

Qualche anno fa , forse un decennio, leggendo la storia appunto di Marco Cuticchio sul mio blog osservatorio di confine .it ho pubblicato una storia quasi inventata che però trascriveva in alcune parti fedelmente l’esperienza che Marco Cuticchio raccontava dell’ attività di pupari dell’intera sua famiglia .

Scrivevo questo su quel blog . Questa è una storia inventata. E’ la pagina di un diario di vita mai raccontata dal protagonista come l’avete qui letta. Non di meno sono vere le pagine scritte da Mimmo Cuticchio sulla sua esperienza di puparo e su quella della sua famiglia e soprattutto il ricordo di suo padre Giacomo Cuticchio ( 1917-1985). Sono altrettanto veri i pupi fotografati da Giorgio Dobrota. Appartengono alla collezione Costa Crociere e sono stati realizzati secondo il progetto di due giovani autori Emanuele Salamanca e Noa Prealoni. Le armature dei pupi sono state eseguite sul recupero della toreutica antica e moderna: il volto, il costume del pupo e l’apparato ornamentale sono frutto di una rigorosa ricerca storico-filologica.

Mimmo Cuticchio è universalmente riconosciuto come il principale artefice della “rifondazione” dell’Opera dei Pupi: nasce nel 1948, quando il padre Giacomo, puparo “camminante” (girovago) si stabilisce a Gela. Cantastorie, attore teatrale e regista teatrale italiano. È il più importante erede della tradizione dei cuntisti siciliani e dell’arte del puparo nel teatro dei Pupi siciliani, oggi iscritto nel Patrimoni orali e immateriali dell’umanità dell’UNESCO. La sua biografia è segnata da esperienze importanti e da incontri come quello con Salvo Licata che lo sosterrà nella sua ostinata ricerca di una vita “contemporanea” all’Opera dei Pupi. Alla morte del maestro Peppino Celano, puparo e cuntista, di cui Mimmo fu allievo dal 1970, Cuticchio si dedica al proprio teatrino che apre nel ’73 . Nel ’77 fonda l’Associazione Figli d’Arte Cuticchio: per la prima volta nel mondo dei pupari, l’Associazione riesce a stabilire un rapporto con la Pubblica Amministrazione, e questo permette un ulteriore sviluppo e una qualificazione della sua attività, che si precisa sempre più in quei settori dell’artigianato che tradizionalmente affiancavano l’opera dei Pupi ed ai quali i pupari si sono sempre appoggiati. La compagnia, come unità produttiva assolutamente autosufficiente, è quindi in grado di produrre spettacoli e controllarne tutte le fasi, dallo sbalzo dei metalli delle armature all’intaglio del legno per i corpi, alla pittura di scene e cartelli, alla realizzazione dei costumi, saldando tre importanti aspetti nella sua comunicazione teatrale: il recupero delle tecniche tradizionali dei pupi e del cunto, la ricerca e la sperimentazione. Dal 1989 avviene una svolta nel percorso di Mimmo Cuticchio ormai definitivamente indirizzato verso una “rifondazione” del teatro dei pupi. Nascono gli spettacoli Visita Guidata all’Opera dei pupi, Francesco e il Sultano, L’Urlo del Mostro e alcune “serate speciali” che legano i modelli del cunto e dell’opra tradizionali ad un impegno civile e artistico che rispecchia la società contemporanea. (1)

E quindi raccontavo così le storie che raccontava Cuticchio .

Mio zio Francesco faceva il cantastorie. Mio padre Mimmo faceva il puparo .Io Peppe faccio il puparo.
Quello di zio Francesco era il grande theatrum mundi ,la piazza che evocava il teatro della vita dove, allo stesso tempo, tutti sono tutti: attori e spettatori.
Fuori dal casotto mobile mio zio Francesco raccontava le imprese che evocavano “lu cuntu” che arricchiva sempre, pur sorprendendola qualche volta, la memoria dello spettatore quasi sempre analfabeta.

Zio accompagnava ciascun luogo del percorso narrativo con il movimento degli occhi, della bocca , delle braccia, conduceva e presentava i suoi personaggi. In questo gioco di corrispondenza tra parole e gesti, si aiutava con un’asta di legno , quella che zia Maria conserva ancora nell’armadio. Disegnava nell’aria le stoccate e le parate nei duelli dei paladini. Scoppiavano ad ogni mossa applausi e urla d’evviva come se quelle gesta formidabili si fossero appena compiute su quella piazza, sulla piccola predella di legno martellata dai piedi di quel rapsòdo che era mio zio.
Lo so che quel suo sentimento epico popolare nel narrare le storie aveva influenzato mio padre Mimmo, che era il fratello più piccolo ,l’amato Mimmo come lui lo chiamava ,”lu picciriddu “ in vecchiaia quando non poteva più girare per le piazze perché senza più forze.
L’amato Mimmo un bel giorno nel bel mezzo della performance de “lu cuntu” aveva invitato quel pubblico a guardare sulla buca palcoscenico di quel suo casotto messo sulla piazza in attesa . Da quel palcoscenico comparve una splendente armata di pupi che raccontavano la grande storia di re e paladini .

DA SETTE ANNI CARLO MAGNO COMBATTE….“Da sette anni Carlo Magno combatte vittoriosamente i Mori di Spagna, ma la città di Saragozza resiste. Il suo re Marsilio decide di proporre a Carlo un accordo di pace con il regno francese, dopo essersi convertito al cristianesimo. Ma il suo piano è solo un inganno. Manda dunque i suoi ambasciatori da Carlo che si trova a Cordova da poco conquistata; all’incontro sono presenti i pari tra cui Rolando, il nipote di Carlo, Oliviero, amico di Rolando, l’arcivescovo Turpino, Gano di Maganza e Namo consigliere di Carlo. Rolando consiglia di non fidarsi del consiglio di Marsiglio, ma Gano, cognato di Carlo e patrigno di Rolando, non è d’accordo come la maggior parte del Consiglio del re: viene dunque inviato, su proposta di Rolando, al campo dei Mori per trattare le dure condizioni di pace….”

Quei pupi che non erano marionette armate e soprattutto il loro repertorio cavalleresco facevano ricordare il sole della Spagna e quella musicalità della lingua parlata frammista alle scansioni ritmiche della lingua letteraria.
Nel corso dei secoli i “ cantàri” locali avevano costruito storie dal sentimento epico-popolare . E quegli spettatori non erano più gli stessi ogni volta che insieme al puparo, lungo tutta la rappresentazione, si reinventavano le caratteristiche delle storie prescegliendole per se e per le storie stesse.
Mio padre poi sul più bello chiudeva anche lui il sipario. La storia continuava. Quando ? La sera successiva,il prossimo giorno di festa, il prossimo anno.

GANO E’ FORTEMENTE RISENTITO…“…Gano per questo nutre un profondo risentimento e minaccia vendetta nei confronti di Rolando, cosicché trama di tradire il re con Biancandrino, ambasciatore di Marsilio. Al cospetto di Marsilio Gano inasprisce le condizioni dettate da Carlo e consiglia al re di Saragozza l’accettazione del compromesso. In tal modo il re e il suo esercito abbandoneranno l’assedio della città lasciandosi alle spalle la sola retroguardia composta dai dodici Pari e capitanata da Rolando: Marsilio dovrà così attaccare proprio la retroguardia e Gano giura di aiutarlo.
Intanto Carlo si sposta a Valterne e lì viene raggiunto da Gano con i doni e gli ostaggi inviati da Marsilio. Nonostante i cattivi presagi (due sogni dal significato sinistro), Carlo muove il suo esercito da Saragozza. Rolando, eletto capo della retroguardia su proposta di Gano, rifiuta metà dell’esercito offertogli da Carlo chiedendo solo ventimila uomini più i dodici Pari…”

Si davano appuntamento ai confini dell’immaginario mio padre, mio zio e quel loro popolo facendo attenzione che in definitiva a ciascun personaggio delle loro storie il “vestito popolare” cadesse a pennello.

I FRANCESI DI RITORNO IN PATRIA…” …I francesi di ritorno in patria superano il passo di Roncisvalle mentre i Saraceni si preparano a sorprendere la retroguardia. Qui, resosi conto dell’attacco imminente, Oliviero consiglia all’amico di suonare l’olifante (il corno il suono emesso dal quale richiamerebbe immediatamente le truppe del re) ma Rolando rifiuta in nome del suo onore e del suo coraggio. Ha così inizio la battaglia di Roncisvalle. In un primo momento i Franchi hanno la meglio sui Saraceni, ma la schiacciante superiorità numerica dei Mori fa sì che Rolando si trovi obbligato a suonare l’olifante, questa volta con il disappunto di Oliviero. Il suono del corno risuona tre volte sulle rocce di Roncisvalle ma Gano, animato dal risentimento per Rolando inganna re Carlo e gli impedisce di andare in soccorso del suo cavaliere.
Nel frattempo la retroguardia francese ridotta a soli tre uomini viene sopraffatta. Rolando colpito a morte tenta di spezzare la sua spada Durlindana non riuscendoci ed estenuato si accascia sul terreno con le mani conserte al petto. Giunto Carlo, sbaraglia gli avversari i quali inseguiti si danno alla fuga e annegano nel fiume Ebro.

Marsilio, rifugiato presso l’emiro Baligante, si suiciderà in seguito alla sconfitta di quest’ultimo nello scontro decisivo contro il re Carlo. Saragozza è conquistata e i Mori convertiti. Il re torna ad Aquisgrana dove ha fretta di processare Gano per tradimento. Ricusati i giudici Gano si difende con l’appoggio dei suoi nobili parenti tra cui il potente Pinabel, che sfidato dallo scudiero Teodorico verrà ucciso insieme a tutti i suoi. Gano sarà squartato.
Carlo, ormai bicentenario, in seguito all’apparizione in sogno dell’Arcangelo Gabriele parte per dare aiuto al re Viviano in Infa dove hanno posto l’assedio i Saraceni. E «Qui finisce la storia che Turoldo mette in poesia».”

Nel repertorio di ogni puparo c’erano alcuni spettacoli che fissavano le tappe della stagione teatrale. Don Chiaro, Tre contro tre a Lampedusa, Orlando pazzo, Roncisvalle.
Mentre per gli altri spettacoli i pupari rispettavano la trama classica per “Roncisvalle” esistono numerose versioni. Infatti di questo episodio del ciclo delle gesta di Carlo Magno esistono le versioni del Pulci, del Morgante , del Turoldo nella Chanson de Roland, del Turpino nella Cronaca.

Orlando sente che la morte lo invade,
dalla testa al cuore gli discende.
Sotto un pino se ne va correndo,
sull’erba verde s’è coricato prono,
sotto di sé mette la spada e il corno.
Ha rivolto il capo verso la pagana gente:
l’ha fatto perché in verità desidera
che Carlo dica a tutta la sua gente
che da vincitore è morto il nobile conte:
Confessa la sua colpa rapido e sovente,
per i suoi peccati tende il guanto a Dio.

Orlando sente che il suo tempo è finito:
Sta sopra un poggio scosceso, verso Spagna;
con una mano s’è battuto il petto:

“Dio! Mea culpa, per la grazia tua,
dei miei peccati, dei piccoli e dei grandi,
che ho commesso dal giorno che son nato
fino a questo giorno in cui sono abbattuto!”.
Il guanto destro ha teso verso Dio.
Angeli dal cielo sino a lui discendono.

Il conte Orlando è disteso sotto un pino,
verso la Spagna ha rivolto il viso.
Di molte cose comincia a ricordarsi,
di tante terre che ha conquistato, il prode,
della dolce Francia, della sua stirpe,
di Carlomagno, suo re, che lo nutrì;
non può frenare lacrime e sospiri:
Ma non vuol dimenticare se stesso,
proclama la sua colpa, chiede pietà a Dio:

“O padre vero, che giammai mentisci,
tu che resuscitasti Lazzaro da morte
e Daniele salvasti dai leoni,
salva l’anima mia da tutti i pericoli
per i peccati che in vita mia commisi!”.
A Dio ha offerto il guanto destro:
san Gabriele con la sua mano l’ha preso.
Sotto il braccio teneva il capo chino;
con le mani giunte è andato alla sua fine.
Dio gli manda l’angelo Cherubino
e san Michele del pericolo del mare;
insieme a loro venne san Gabriele:
portano in paradiso l’anima del conte.

Ma le domande che si rincorrono nella storia sono: “ era presente il Turpino? Giunsero in tempo Rinaldo e Ricciardetto? Chi fu il paladino che fuggì? Tornò indietro Carlo Magno a compiere vendetta? Come morì Orlando? Che fine fece la Durlindana?”

Il bello era che ogni domanda era un episodio e ogni episodio si interrompeva con una suspence che creava aspettativa nello spettatore.
Continua Cuticchio nel suo racconto autobiografico : Cantavo spesso da ragazzo :“or si ferma ,or volteggia, or si ritira/e con la man spesso accompagna il piede ./Porge or lo scudo ,ed or la spada gira/Ove girar la mano nimica vede…” disteso sulla paglia, giù al buio sotto le assi del casotto mentre mio padre batteva ancora una volta lo scudo di un’armatura arabescata e dalle pitture ricercate.
Laggiù nell’ombra stavo in mezzo a tutti quei corpi. Corpi, teste, forme di animali di legni di faggio,noce, tiglio e cipresso. Mio padre li sceglie con cura. Un legno che dà corpo a nove sezioni: due piedi,due gambe, due cosce, un busto, mano e pugno o

doppie mani. La loro anima è un filo di ferro. 45 centimetri di filo per i ragazzi e gli angeli, 56 centimetri per i cavalieri, 62-63 centimetri per i paggi mosti a soldati fino a 70 centimetri per i giganti. E poi l’alpacca e l’ottone per le armature a sbalzo con motivi arabeschi in rame. Le bacchette di ferro buttate sul pavimento pronte ad intervenire nelle sostituzioni ma anche anime in silenziosa veglia ed attesa.
Mi ricordo quella volta pensavo :” Stasera per la prima volta potrò trasformare in polvere la pece nera greca per ottenere l’effetto del fuoco per l’uscita sul piccolo palcoscenico dei diavoli e per l’incendio dopo versa la fine della rappresentazione di città e castelli.” Ma quelle storie non mi piacevano.
La nostra abitazione era la casa-teatro,dove durante il giorno ciascuno di noi aveva un ruolo preciso : chi lucidava le armature ,chi spolverava i visi dei pupi, ,chi preparava l’occorrente per riparare le marionette che si erano rotte durante i combattimenti,. Anche durante la recita serale ciascuno di noi aveva un suo compito. C’era chi suonava il pianino a cilindro e chi cominciava a svolgere le prime mansioni sul palcoscenico : porgere un pupo, dare la voce all’angioletto ,fare entrare un soldatino dall’ultima quinta ,ora dalla parte dei pagani ora dalla parte dei cristiani , tutto secondo il mestiere a cui mio padre teneva sommamente.
Eravamo sette figli . Mio padre tra un paesino e l’altro impiantava case-teatro nelle quali nascevano figli e pupi .

Gli occhi la sera, oltre che al palcoscenico erano rivolti all’ingresso della sala dove si svolgeva uno scambio : formaggi, uova, olive e frutta compensavano l’ingresso di diverse serate
Mi piacciono ancora oggi invece le rappresentazioni dei racconti cavallereschi derivati dalla Chanson de geste. Gli eroi di Carlo Magno celebrati dalla Chanson de Roland prendevano corpo nei pupi di mio padre e vivono ancora oggi in quei pupi che io ho conservato.

Quanti anni sono passati. Mi piaceva e lo leggo ancora la storia in quel libro di lettura che ho trovato un giorno “Don Quijote” di Cervantes che descrive ad un tratto Don Chisciotte ,il protagonista del romanzo, alle prese con un teatrino ambulante dove si rappresenta un’autentica storia “ tolta alla lettera dalle Croniche francesi e dai romances spagnoli che corrono sulla bocca della gente e dei ragazzi per le vie.”
Da ragazzo disteso sulla paglia sognavo quelle avventure .Sera dopo sera intanto mio padre fin dal 1969 gira i paesini dell’entroterra della Sicilia e continua a rappresentare il lungo ciclo delle storie dei paladini di Francia.
Sono anni durissimi. La necessità di pane e lavoro dopo la prima crisi del Teatro dei Pupi degli anni Trenta lo ha portato a difendere questo mestiere coinvolgendo tutti noi di famiglia.
Ora le battaglie e i duelli della vita assumono la fisionomia di una danza armata, cadenzata dallo scontro delle spade e dell’impatto rumoroso dei corpi e delle armature. Tutta quella gente che assiste alle rappresentazioni non dimentica la vita quotidiana e in quelle rappresentazioni sente di essere un paladino in lotta contro il proprio datore di lavoro, contro un’ingiustizia della politica, contro i padroni.

Rispettare i tempi della battaglia muovendo i pupi sulla scena , sottolineare i passi ed i colpi di spada con i colpi ritmati sulla pedana equivale a lottare contro i mostri del malgoverno , della criminalità organizzata, del dolore della povertà , della fame, del bisogno insoddisfatto, del disinteresse delle istituzioni.
Occorre allestire i fondali , le quinte, i teloni ma soprattutto i cartelloni , grandi manifesti di carta e di tela istoriati con scene che riproducono i momenti più eroici ed emozionanti dello spettacolo. Affossare dunque le telenovela, i seriali, i talk show , spegnere gli apparecchi tivvu.
Ecco la nostra vita come la rappresentazione del puparo: si può attraversare longitudinalmente tutto lo spazio scenico perché mio padre si muove parallelamente dietro il fondale, ma non si può avanzare sul proscenio perché limitati dall’estensione delle braccia. Ecco dunque la verità della rappresentazione e della vita: la limitazione. Nel caso del puparo l’estensione delle braccia. E scusate se è poco.

Sono ora passati tanti anni. Mio padre “lu pucciriddu” non c’è più. Sono morti anche i suoi maestri i fratelli Greco e Tano Meli. Mio padre aveva aperto il suo primo teatro nel 1933 a Palermo in Via Aloisio Juvara e nel 1969 l’ultimo, che aveva chiamato “Super Teatro delle Marionette Ippogrifo”. Anche lui aveva cominciato la sua carriera con l’aiuto di suo padre, mio nonno. La sua prima rappresentazione fu “La morte di Milone” e il pubblico era composto da opranti, pupari e costruttori di pupi ,tutti a giudicare la recitazione,l’esecuzione delle manovre, : la vestizione dell’eroe protagonista che perde pezzo a pezzo l’armatura. Promosso a pieni voti.
Oltre al lavoro con mio padre , alla partecipazione al festival di Spoleto il mio apprendistato si svolge sotto l’occhio vigile di Peppino Celano .Alla morte di questo maestro il 28 luglio 1973 apro il mio primo Teatro di Via Bara, all’Olivella.. Nel 1997 apro una scuola per pupari e nel 1977 avevo fondato l’Associazione “Figli d’Arte Cuticchio”
La “Macchina dei sogni” è un evento teatrale che ho pensato negli anni ed è arrivato alla XXII edizione. L’Unesco ha riconosciuto l’opera dei pupi “opera immateriale dell’Umanità”
E,ora che sono vecchio qualche giorno mi viene ancora voglia di cantare :”Or si ferma or volteggia, or si ritira/Deo mea culpa per la grazia tua / perdono dei miei peccati, dei piccoli e dei grandi / che ho commesso dal giorno che son nato/porgi lo scudo e or la mano gira…”

L’arte del cunto e la sapienza scenica dell’“Opera dei pupi” è questione di artigianato e memoria, ritmo e invenzione. Qualità che Mimmo Cuticchio possiede al massimo grado. Puparo per trasmissione paterna, oprante assoluto dell’Opra di disciplina palermitana, maestro nell’arte del cunto, appresa per osservazione silente da Peppino Celano, Cuticchio recupera e supera la tradizione ottocentesca, per profonda conoscenza. Tramanda il patrimonio romanzesco, dai poemi medioevali francesi ai rifacimenti italiani, elaborando ibridazioni impensate.

Racconta le audaci imprese di cavalieri e principi, gli amori e l’arme, l’eroismo e la viltà, per alludere, con sotterranea critica, agli eventi del nostro tempo, schivando la clausola compiacente del pro bono malum. In O a Palermo o all’inferno – momento spettacolare di questo progetto a lui dedicato – si può ripercorrere la storia dei suoi tradimenti, unico varco per innovare nel solco della tradizione.

Il cunto si fa con la spada. È cosa diversa dal cantastorie di cronache con chitarra e cartelli. Serve fendenti in aria e batte il ritmo. Con questo modo orale di percussione, respiro e mimica del viso, Cuticchio scandisce il racconto in imprevedibili successioni di peripezie. Intreccia una serie di rispondenze, sospensioni, riprese, in un sistema di incastri, senza mai dare l’impressione di un vortice causale degli eventi.

Con voce tonante o carezzevole, aspra o struggente, disossa il dire dalla retorica della declamazione e dell’andamento cantilenante, e abbraccia la via in cui il racconto epico-cavalleresco gioca con i volumi, articola le variazioni tonali della voce e diventa corpo sonoro. Alza e abbassa continuamente il livello generale del cunto, per poi impennare in incalzanti e sincopati climax drammatici.

Di Cuticchio, Ferdinando Taviani scrive: «non capeggia un’istituzione. E non è neppure un baule di beni culturali che possono facilmente esporsi o diffondersi. È un bene culturale vivente. Il suo sapere è in continuo divenire […], un teatro nuovo, che dilata i propri confini e supera le dimensioni della dimora originaria. È in questa trasformazione che i valori di una tradizione culturale siciliana vivono piuttosto che sopravvivere. E diventano una parte significativa del teatro italiano, senza isolamenti regionali». Fuori dalle etichette del folklorismo nostalgico dei ricordi d’infanzia o dell’inno turistico alla tradizione popolare, Mimmo Cuticchio consegna a nuova vita un mestiere antico. (2) (3)

Ma torniamo all’ iniziativa di Girolamo Botta a Sulmona come si legge nel sito web Teatro dei Pupi Italici .

Piccolo, ma non solo per piccoli: il Teatro dei Pupi Italici a Sulmona, è un gioiello da collezione che il giovane siciliano, trapiantato nella città di Ovidio, ha cercato e costruito con tenacia. Così il puparo ha rimesso a nuovo un locale della Casa Santa dell’Annunziata in una zona della città, in corso Ovidio sud, che da tempo lamenta di essere fuori dal “grande circuito” del turismo, trasformando la sua bottega in una meta da raggiungere, comunque, per grandi e piccoli, indigeni e turisti.

Un teatrino da ventiquattro posti, realizzato secondo la tradizione, curato nei minimi particolari e che serba, soprattutto, un tesoro di conoscenza ed arte artigiana che Botta coltiva da anni, costruendo pezzo pezzo i suoi personaggi, gli eroi della storia, i guerrieri e le principesse d’altri tempi.

Botta in questo spazio di poco più di sessanta metri quadrati ha investito l’anima, convinto che la cultura sia campo di lavoro, oltre che di piacere e svago.

Nelle sue storie, che sono frutto di ricerche storiche, canzoni di gesta, leggende antiche, locali e nazionali, restituisce un modo di narrare che sembra lontano anni luce dalle stories di Instagram e TikTok, ma che pure conserva un fascino che va oltre il tempo e che richiama, sempre, un pubblico numeroso.

“L’associazione Pupi Italici – spiega – organizzerà spettacoli per grandi e piccoli a cadenza settimanale, chiaramente più frequenti nei periodi di maggior afflusso turistico. Sono convinto che sarà un punto di riferimento per famiglie e bambini”.

Un’impresa culturale, uno stimolo in più in una città che, da sabato prossimo, potrà contare su un altro palcoscenico. Piccolo, ma non solo per piccoli. Uno spazio affidato alla compagnia teatrale Art G. Botta che produce e realizza spettacoli di pupi secondo un canovaccio che è quello dell”opera dei pupi che è un’antica forma di teatro di figura.

La compagnia ha origini siciliane min particolare palermitane, dove ancora oggi esiste una forte tradizione dell’opera dei pupi, patrimonio immateriale dell’umanità Unesco.

Dice Botta nella pagina web :”La nostra missione artistica va alla ricerca di storie locali per poi metterle in scena con originalità.Viviamo in Abruzzo nella città di Sulmona dove la classica opera dei pupi è stata rivisitata fondando i pupi italici.I nostri pupi portano in scena le storie dell’epica dei guerrieri italici che combatterono per i loro diritti di cittadinanza durante la guerra sociale.L’opera teatrale dei guerrieri italici ha il titolo Dove è nata Italia divisa in 10 episodi. La compagnia produce anche opere teatrali sulle storie di personaggi come Celestino V.”

E continua : “ I nostri pupi sono vere e proprie opere d’arte figurativa, i fondali dipinti che fanno da sfondo alle scene, così come i visi scolpiti, assemblati e lavorati a mano, sono il risultato dell’artigianato e del lavoro creativo di Girolamo Botta.”

La compagnia ha collaborato con il teatro stabile d’Abruzzo sotto la direzione artistica di Giorgio Pasotti e con altre realtà come Cunta terra, Florian, Drammateatro e Teatro zeta.

Partecipa a rassegne, festival, premi nazionali e internazionali.

Nel 2019 i pupi Italici hanno collaborato con il maestro Emilio Marcucci mettendo in scena l’opera di Rigoletto, con il suo debutto al teatro Fenaroli di Lanciano, nel 2019 e 2021 ha debuttato all’auditorium del parco (Renzo Piano) all’Aquila durante la manifestazione del cantieri dell’ immaginario.

Sempre nel 2021 ospiti del premio Otello Sarzi nelle Marche, nel 2022 la compagnia è invitata al progetto RED tenutosi presso l’Università del D.A.M.S di Teramo per convegni spettacolo sull’opera dei pupi e dei popoli italici, con il direttore artistico Rolando Macrini.

Nel 2022 i pupi italici sono ospiti del 47° festival internazionale dei burattini e le figure vengono dal mare (Ravenna). Ospiti alla 52° Mostra dell’artigianato abruzzese a Guardiagrele. Ospiti al Macondo Festival 2022 che si tiene nella città di Francavilla al mare. Ospiti della XIX edizione del Premio Culturale MuMi cultura e solidarietà in scena a Francavilla al Mare debuttando con l’opera LA FIGLIA DI IORIO di G. D’Annunzio. Ospiti del Festival Internazionale Les Marionette Sauvages a Lausavage, Granducato di Lussemburgo.

La compagnia “Pupi italici” è stata fondata da Girolamo Botta Puparo e pittore nato a Palermo nel 1985, da sempre appassionato di arte, dopo essersi diplomato all’Istituto d’Arte inizia la sua attività artistica frequentando vari laboratori e teatri di opera dei pupi del famoso teatro  siciliano nella sua città natale. Nel 2013 si trasferisce in Abruzzo, a Sulmona, fondando la compagnia e realizzando i pupi Italici insieme ad Alessandra Guadagna.

Innanzi tutto occorre dire che è la forma di teatro più antica che esista.
Il Cunto viene fatto con l’essenziale che richiede la tradizione: una pedana, una spada, il corpo e la voce.
Durante il racconto teatrale e la narrazione la voce si trasforma, fino a raggiungere alcuni momenti drammatici, in cui la recita risulta una metrica regolata che supera qualsiasi significato per toccare l’astrazione del corpo sonoro.
Il cuntista, ovvero il narratore professionista del ciclo carolingio e di storie epico cavalleresche è stato probabilmente il veicolo principale attraverso cui l’opera dei pupi ha derivato i soggetti da rappresentare nella sua forma ciclica.
Da questi il puparo ha appreso la tecnica di interrompere il racconto in un momento cruciale, suddividendo le storie in infinite puntate.
Gli studiosi convergono tutti nell’affermare che sono state proprio le storie raccontate dai cuntisti ad ispirare la nascita del pupo armato.
La compagnia dei pupi Italici grazie a Girolamo Botta si propone di riportare in vita la storica, e ormai quasi in via d’estinzione figura del Cuntastorie tradizionale, attingendo alla tecnica del Cunto siciliano e riportando storie dell’Italia centro meridionale.

Attualmente ha messo in scena Dove nacque Italia, La battaglia di Tagliacozzo, La storia di Pietro del Morrone, La figlia di Iorio.

Il puparo crea dalle materie prime la sua opera dei pupi. Il pupo è una tipica marionetta dell’ Italia centromeridionale, il pupo si differenzia con la classica marionetta grazie alla sua particolare costruzione e manovra. Infatti il pupo ha una stecca di metallo che oltrepassa la testa agganciandosi al resto del corpo, la base chiamata ossatura viene  lavorata a mano con la tecnica dell’intaglio su legno. Una volta finita l’ossatura si procede con la pittura degli arti e della testa, di solito le teste vengono dipinte ad olio e in alcuni casi vengono inseriti anche degli occhi di vetro. Finita la prima fase si prosegue con il taglio e cucito dei vestiti, arricchendo gli abiti con trine, merletti e suppellettili vari. La fase più complessa è la cesellatura e lo sbalzo sui metalli preziosi, creando le armature. Le armature vengono arricchite con ornamenti (leoni, aquile, gigli, borchie in ottone o rame) applicate con la tecnica della brasatura a stagno. Per creare un pupo di solito si impiegano oltre 20 giorni di duro lavoro.

Nell’opera dei pupi viene curata anche la parte scenica, come la pittura a mano dei cartelloni, dei fondali di scena, le decorazioni delle cornici e dei teli di copertura dipingendo delle allegorie.

Una volta terminato il lavoro artigianale dei pupi e delle  pitture il puparo  cura la scrittura dei testi, la regia,  trovare il carattere del personaggio, gli effetti scenici e le luci. La fase finale sono le prove delle arti dello spettacolo dedicandosi nella manovra, nella recitazione e l’arraggiamento musicale.

La compagnia approda agli spettacoli storici dell’epica cavalleresca Italica. La scelta è stata, infatti, sin dall’inizio delle attività, quella di rappresentare il teatro della tecnica dei Pupi battezzando quest’ultimo in Pupi Italici. Ha svolto spettacoli in rassegne, scuole, manifestazioni e progetti museali ed e’ socia all’unione internazionale della marionetta. La compagnia e’ stata fondata da Girolamo Botta marionettista e pittore nato a Palermo nel 1985, da sempre appassionato d’arte, dopo il diploma all’Istituto d’arte dà il via alla sua carriera artistica frequentando diversi laboratori e teatri di figura del famoso teatro dei pupi Siciliani della città natale. Nel 2013 si trasferisce in Abruzzo nella città di Sulmona fondando la compagnia e realizzando i Pupi Italici insieme ad Alessandra Guadagna.

(1)http://www.ateliersulmare.com/it/cuticchio.html

(2)a cura di Piersandra di Matteo in collaborazione con Arena del Sole – Nuova Scena – Teatro Stabile di Bologna

(3)https://archivi.dar.unibo.it/files/old_dar/web/mimmo-cuticchio-2.html

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