” L’AFRICANA MONICA “- PROF.SSA GABRIELLA TORITTO
Redazione- Monica nacque nel 331a Tagaste, nella regione proconsolare romana della Numidia. Ebbe un ruolo determinante nella conversione di suo figlio Agostino, illustre santo e filosofo. Fu costantemente illuminata da una grande fede e da un profondo credo nel soprannaturale.
I genitori di Monica furono cristiani e cristiana fu la sua educazione, affidata ad una nutrice che viveva da molto tempo nella sua casa tanto da avere allevato anche il padre. La nutrice fu sempre ricordata per il rigore, a volte eccessivo, con cui crebbe la piccola Monica che ebbe un’infanzia infelice, che le impedì di affacciarsi alla vita con serenità.
Fin dall’inizio il destino di Monica fu contraddistinto da situazioni che le procurarono tribolazione e disagio. Era adolescente quando sposò Patrizio, un pagano dal carattere violento e intemperante, decurione della città di Tagaste. Quel matrimonio fu costellato di rinunce e dolore fin dai primi anni, sebbene fossero vissuti dalla giovane con pazienza e rassegnazione: due virtù che contrassegnarono la vita di Monica destinata ad incarnare l’archetipo di sposa e di madre cristiana.
Dal matrimonio con Patrizio nacquero tre figli: Agostino, Navigio e una femmina, su cui non ci sono state tramandate notizie. Si sa poco anche su Navigio, dato che l’attenzione dei posteri si concentrò esclusivamente sulla figura di Agostino.
Monica dedicò ogni sua energia al figlio Agostino. Entrambi entrarono nella storia come inscindibili tra loro, dato che la madre fu un’eccezionale presenza nell’esistenza dell’autore delle “Confessioni”, nella sua formazione, elevazione spirituale e conversione. Del resto in “Confessioni” Agostino ci lascia della madre pagine che la ritraggono in modo indimenticabile. Attraverso la testimonianza del figlio abbiamo di questa donna, madre e santa al contempo, elementi che la descrivono in modo mirabile.
Monica educò Agostino cristianamente senza l’opposizione del marito. Ella cercò di infondere nell’animo del figlio gli stessi sentimenti che pervadevano il suo. Si preoccupò di iscriverlo fra i catecumeni sebbene, seguendo l’abitudine del tempo, differì il momento della somministrazione del sacramento del battesimo, poiché temeva che con il tempo potesse naufragare in lui la grazia sacramentale.
Agostino studiò con grande profitto a Cartagine, dove ebbe una duplice crisi. Infatti durante gli anni di retorica, fra il 371 e il 374, aderì al manicheismo e si imbatté in una concubina da cui ebbe un figlio Adeodato, da lui poco amato, forse perché la sua presenza gli ricordava il periodo della “perdizione”.
Conclusi gli studi, rientrò da Cartagine a Tagaste, dove aprì una scuola di grammatica e iniziò a propagandare in modo attivo il manicheismo.
Devastante fu il dolore della madre Monica. Ella era atterrita dal traviamento del figlio. A consolarla tuttavia fu una visione divenuta celebre ed avvenuta in sogno, in cui le fu annunciato il ravvedimento del figlio attraverso le parole di un vescovo che le diceva: “Fieri non potest ut filium tantarum lacrimarum pereat” – (“Non è possibile che un figlio muoia con tante lacrime.”).
Nelle nello stesso periodo, ed esattamente nel 371, le preghiere e la fede di Monica furono confortati dalla conversione al cristianesimo del marito Patrizio. Questi poco dopo morì.
Frattanto Agostino continuò ad essere manicheo ma la sua eccezionale cultura e il suo inestinguibile bisogno di spiritualità lo tennero sempre in una situazione di attesa e di permanente insoddisfazione, da cui si riprese nel 383, dopo la morte di un amico che gli aveva reso invivibile quel posto. Decise allora di abbandonare la sua casa, deludendo le instancabili preghiere della madre.
Monica vide con timore l’eccessivo allontanamento del figlio. Agostino, dal suo canto, lasciò l’Africa, abbandonando con un inganno la madre in preghiera presso la Memoria di San Cipriano, poco lontano dal porto di Cartagine. Infatti, mentre la donna piangeva ed invocava il santo nell’attesa di vedere il figlio, che le aveva chiesto di attenderlo, egli salpò per l’occidente e raggiunse Roma, dove sperava di trovare alunni più meritevoli, guadagni maggiori e onori più appaganti.
Una volta giunto a Rom, Agostino si ammalò. Inoltre le sue speranze di incontrare allievi migliori che a Cartagine furono deluse. Sicché nel 385 decise di abbandonare la vecchia capitale dell’impero per andare a Milano, dove ottenne la cattedra di retorica e dove si imbatté nel vescovo Ambrogio, il quale con la parola e l’esempio lo indusse ad una scelta esistenziale.
Nello stesso anno, 385 d. C., Monica, colpita dalla perdurante lontananza del figlio, per cui prevedeva pessimisticamente un succedersi di sventure, lo raggiunse a Milano, nonostante il suo soggiorno a Cartagine fosse stato poco costruttivo per Agostino.
A Milano seppe che il figlio già da tempo aveva stretto rapporti con il vescovo Ambrogio e ne ascoltava le prediche appassionate che in quel periodo riscuotevano grande successo di pubblico. E senza voler essere una presenza troppo oppressiva per quel figlio così sensibile e complicato, accompagnò da lontano ciò che poi fu definito il lento avvicinamento di Agostino alla Grazia.
La prova fu lunga poiché la grande cultura e i profondi tormenti del filosofo resero problematico il suo avvicinamento al Cristianesimo. Poi finalmente accadde ciò che Monica definì un miracolo e nel suo animo tornarono le ormai lontane parole premonitrici di quel porporato che in Africa le aveva predetto in sogno anni prima: “ E’ impossibile che possa perire il figlio di tante lacrime”.
Nell’autunno del 386 Agostino e Monica, ormai ricongiunti, si ritirarono nella residenza di Cassiciaco, in Brianza, e solo dopo mesi di profonda meditazione l’autore di “Confessioni” ricevette il battesimo nella città di Milano, fra il 24 e il 25 aprile del 387, nella notte del sabato santo.
Verso la fine dell’estate dello stesso anno madre e figlio ripresero il cammino che da Milano li avrebbe condotti a Roma per l’Africa.
Monica fu ricolma di felicità, convinta del definitivo ravvedimento del figlio che apparve ormai riguadagnato alla vera fede. Intanto Agostino decise di abbandonare la scuola e l’insegnamento, di rinunciare a qualsiasi progetto matrimoniale, di volersi interamente consacrare al servizio di Dio e soprattutto di volere far ritorno nella terra africana e nella sua natia Tagaste. Fu questo il grande trionfo dell’infaticabile Monica.
I due giunsero ad Ostia, dove sostarono nell’attesa di imbarcarsi sulla nave che li avrebbe ricondotti in Numidia. Fu allora che Monica, stanca e forse anche consapevole di aver compiuto fino in fondo la difficile missione che le aveva consentito di vedere l’amato figlio ormai convinto cristiano, fu scossa da una febbre così violenta da condurla alla morte in soli nove giorni. Era il 387.
Agostino, affronto dal dolore, tornò in Africa solo l’anno successivo. In Africa l’attendeva un’altra grave perdita: la scomparsa del figlio Adeodato. Poi iniziò per lui un lungo periodo di significativo impegno religioso e culturale che si concluse con il suo decesso avvenuto nel 430 e con la sua santificazione.
Il corpo di Monica fu sepolto ad Ostia, dove per secoli il suo nome fu praticamente dimenticato. Nel 1162 avvenne la prima traslazione delle sue spoglie in Francia, ad Arrovaise, e la celebrazione della sua festa fu fissata al quattro maggio. Secondo il Martiriologio romano papa Martino V fece portare il corpo della Santa a Roma e le sue reliquie, prima collocate a San Trifone, furono traslate a Sant’Agostino il nove aprile 1430.
Le “Confessioni”, scritte fra il 397 il 398, contengono le indimenticabili espressioni con cui Agostino esaltò Monica, santa e madre, madre e santa.
Dal quindicesimo secolo in poi Monica fu ricordata per la sua determinazione e il buon senso con cui seppe stare vicino al figlio senza abbandonarlo e senza opprimerlo e per l’incrollabile fede per cui, pur costituendo in un certo senso un unicum con il figlio, filosofo e santo, se ne distinse per dar vita ad un ritratto di donna che non si sentì mai soggetta ad alcuno se non a Dio e andò dritta per la sua strada senza mai arretrare di fronte a rischi e difficoltà.
F.to Gabriella Toritto