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“STORIE DI VIOLENZA NELL’ARTE ITALIANA : MARTIRIO DI SAN BARTOLOMEO ” – DI VALTER MARCONE

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Redazione-  Dal 1951 , anno della sua istituzione , le sale del forte spagnolo a L’Aquila hanno ospitato il Munda , il più importante museo della regione Abruzzo . Per i danni arrecati dal terremoto del 2009 alle strutture del castello il museo è restato chiuso fino al 2015 , quando a seguito del restauro dei locali dell’ex mattatoio, è stato riaperto proprio in quella sede al Borgo Rivera dove sorge anche la Fontana delle 99 cannelle.

Al Munda è esposto il capolavoro di Mattia Preti: martirio di San Bartolomeo (XVII sec.). Sullo sfondo di un cielo nuvoloso S. Bartolomeo è in balia dei suoi carnefici che gli strappano brandelli di pelle dando vita ad una scena di violenza inaudita.. Questo martirio di S. Bartolomeo è una delle opere della storia dell’arte pittorica che raccontando storie di violenze ne rappresentano la crudeltà in forma visiva . Ce ne sono anche altre tra cui quelle che elenca per esempio Finestre sull’arte,una rivista on line che per ogni opera scelta pubblica anche una descrizione e un commento . Eccone un breve elenco per altro non esaustivo : Duccio di Buininsegna , Strage degli innocenti, dalla Maestà di Siena (1308-1311; tempera su tavola, 220 x 412 cm; Siena Museo dell’Opera del Duomo : “Susanna e i vecchioni” (1610) e “Giuditta e Oleferne” (1620) di Artemisia Gentileschi; Gerard David, Giudizio di Cambise (1498; olio su tavola, 202 x 349,5 cm; Bruges, Groeningemuseum) ;Niccolò Circignani detto il Pomarancio, Scene di martirio (1583; affreschi; Roma, Santo Stefano Rotondo al Celio) ;Alessandro Allori o Giovanni Maria Butteri, Caterina de’ Ricci atterra i figli di Babilonia (1588-1590; olio su tela; Firenze, Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze); Artemisia Gentileschi Giuditta decapita Oloferne (1617 ;olio siu tela 158,8X125 cm; Napoli Museo Nazionale di Capodimonte ; Giuseppe Vermiglio, Giaele e Sisara (1620 circa; olio su tela, 130 x 103 cm;Milano Pinacoteca Ambrosiana .

Attribuita a Matteo Preti dal Serra (1912) Il martirio di S. Sebastiano opera proveniente da S. Demetrio de’Vestini Palazzo Dragonetti Cappelli , oggi al Munda di Borgo Rivera, ha tutte le caratteristiche del linguaggio di questo artista : “il denso chiaroscuro di derivazione napoletana, unito ad un sapiente uso del colore, appreso in un ambiente veneto. C’è poi attraverso i particolari macabri una chiara dichiarazione dell’influsso napoletano” .

Ma leggiamo per intero la descrizione che ne fa il catalogo del Ministero dei beni culturali che la descrive così : “San Bartolomeo occupa quasi interamente la parte centrale della tela; intorno a lui si accaniscono i carnefici che strappano al santo brandelli di pelle. Dietro la scena si intravede il cielo nuvoloso “ e aggiunge specificando : “ Le tela venne pubblicata dal Serra (1912) che vi riconobbe l’opera di Mattia Preti, il grande maestro calabrese attivo in Italia e all’estero per tutta la seconda metà del XVII secolo. Sempre nella stessa collezione era conservata la tela con Giobbe nel letamaio . L’opera fu eseguita dal Preti in una fase matura della sua attività e sono bene riconoscibili alcune caratteristiche peculiari: il denso chiaroscuro, di derivazione napoletana, unito ad un sapiente uso del colore appreso in ambiente veneto. L’intenso naturalismo anch’esso un influsso napoletano, è riscontrabile non solo nei particolari macabri ma anche nella caratterizzazione eccessiva dei personaggi, che pure possiedono un’imponenza quasi statuaria. (Sul Preti, cfr. Civilta del Seicento a Napoli, Napoli, pp. 370 – 382) .Tela, pittura ad olio dalle misure :Altezza: 280 cm Larghezza: 205 cm .”

Sul sito web santi e beati la storia di Bartolomeo viene narrata così : “I vangeli sinottici lo chiamano Bartolomeo, e in quello di Giovanni è indicato come Natanaele. Due nomi comunemente intesi il primo come patronimico (BarTalmai, figlio di Talmai, del valoroso) e il secondo come nome personale, col significato di “dono di Dio”.Da Giovanni conosciamo la storia della sua adesione a Gesù, che non è immediata come altre. Di Gesù gli parla con entusiasmo Filippo, suo compaesano di Betsaida: “Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazareth”. Basta questo nome – Nazareth – a rovinare tutto. La risposta di Bartolomeo arriva inzuppata in un radicale pessimismo: “Da Nazareth può mai venire qualcosa di buono?”. L’uomo della Betsaida imprenditoriale, col suo “mare di Galilea” e le aziende della pesca, davvero non spera nulla da quel paese di montanari rissosi.Ma Filippo replica ai suoi pregiudizi col breve invito a conoscere prima di sentenziare: “Vieni e vedi”. Ed ecco che si vedono: Gesù e Natanaele-Bartolomeo, che si sente dire: “Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità”. Spiazzato da questa fiducia, lui sa soltanto chiedere a Gesù come fa a conoscerlo. E la risposta (“Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico”) produce una sua inattesa e debordante manifestazione di fede: “Rabbi, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!”. Quest’uomo diffidente è in realtà pronto all’adesione più entusiastica, tanto che Gesù comincia un po’ a orientarlo: “Perché ti ho detto che ti ho visto sotto il fico credi? Vedrai cose maggiori di questa”. Troviamo poi Bartolomeo scelto da Gesù con altri undici discepoli per farne i suoi inviati, gli Apostoli. Poi gli Atti lo elencano a Gerusalemme con gli altri, “assidui e concordi nella preghiera”. E anche per Bartolomeo (come per Andrea, Tommaso, Matteo, Simone lo Zelota, Giuda Taddeo, Filippo e Mattia) dopo questa citazione cala il silenzio dei testi canonici. Ne parlano le leggende, storicamente inattendibili. Alcune lo dicono missionario in India e in Armenia, dove avrebbe convertito anche il re, subendo però un martirio tremendo: scuoiato vivo e decapitato. Queste leggende erano anche un modo di spiegare l’espandersi del cristianesimo in luoghi remoti, per opera di sconosciuti. A tante Chiese, poi, proclamarsi fondate da apostoli dava un’indubbia autorità. La leggenda di san Bartolomeo è ricordata anche nel Giudizio Universale della Sistina: il santo mostra la pelle di cui lo hanno “svestito” gli aguzzini, e nei lineamenti del viso, deformati dalla sofferenza, Michelangelo ha voluto darci il proprio autoritratto.(1 )

Sicuramente il dipinto più famoso sul martirio di questo Santo è quello di Giambattista Tiepolo ,opera dei suoi primi anni di lavoro a Venezia. A. Cocchi scrive : “Questo dipinto fa parte di una serie di dodici tele con storie della vita degli apostoli, realizzate ciascuna da un celebre pittore dell’epoca e destinate alla chiesa di San Stae a Venezia.
Appartiene alla fase giovanile e ai suoi modi più drammatici. Il taglio compositivo è impostato sulle diagonali, i colori sono molto caldi e in prevalenza scuri, i contrasti di luce-ombra sono violenti. Tutti elementi che denotano una forte vicinanza alla pittura del Piazzetta.
A ciò si aggiunge la componente teatrale della scena: i personaggi hanno espressioni e gesti esagerati, le figure solenni vengono messe in evidenza nella loro enfasi, sottolineati dai contrasti di luce abbagliante e zone buie, organizzate sapientemente come in una regia.
Questo tono aulico, declamatorio è un elemento constante della sua pittura dove i personaggi sono sempre in posa e la scena sembra più recitata che vissuta.
c’è una ricerca di teatralità che toglie l’effetto di tragedia, ma punta su quello spettacolare e fantastico che emergerà in maniera più compiuta e uno stile più personale negli affreschi. (2 )

E va ricordato sul martirio di S. Bartolomeo anche il quadro di Gioacchino Assereto pittore italiano (Genova 1600-1649) la cui opera e personalità sono state rivalutate da R.Longhi che lo ha indicato come il migliore artista genovese del primo Seicento accanto a B. Strozzi La rappresentazione di un S. Bartolomeo scuoiato vivo,opera conservata al Museo dell’Accademia Linguistica di Genova, è frutto della lezione del realismo caravaggesco che Gioacchino Assereto porta alle estreme conseguenze .

La notte di S. Bartolomeo poi ci ricorda uno degli episodi più cruenti nel rapporto tra le Chiese quando tra il 23 e il 24 agosto del 1572, migliaia di cristiani ugonotti vennero massacrati in Francia dai cattolici.

In realtà ci sono molte altre opere pittoriche che raccontano questo martirio in cui però il realismo della scena viene mitigato e anzi evitato per esempio concentrando la scena su un particolare o su un momento prima della esecuzione del martirio . Una rappresentazione meno cruenta. Infatti in certe opere lo vediamo mentre, risorto o in gloria, porta con sé la sua pelle (celebre è il san Bartolomeo della Cappella Sistina), oppure vediamo il coltello del boia.

Dell’attività del Munda dobbiamo però dire dell’ultima iniziativa , il restauro sotto la direzione scientifica del direttore delegato Federica Zalabra e di Giulia Vendittozzi. di due opere dell’arte abruzzese , una danneggiata dal terremoto e l’altra recentemente acquistata. Parliamo di la «Madonna del Rosario» di Saturnino Gatti e la «Dormitio Virginis» del Maestro del Trittico di Beffi.

I particolari dell’opera di restauro dell’opera di Saturnino Gatti vengono così riferiti da Fedrica Zalabra : “«La “Madonna del Rosario”, forse l’opera mobile più importante di Saturnino, ha subito nel corso dei secoli numerosi interventi per bloccare il degrado del supporto e per arginare la caduta della pellicola pittorica. Per questo ci siamo affidati a Roberto Saccuman, specialista dei supporti lignei, che è riuscito con fatica a risanare le tavole, facendo sì che il legno possa ora avere dei movimenti controllati». (…)«siamo passati a togliere tutti gli interventi precedenti che erano stati fatti per tamponare la situazione, che era drammatica: La “Madonna del Rosario” ha infatti perso parte della pellicola pittorica originale anche a causa di vicissitudini violente, come i terremoti, mentre quella rimasta era pesantemente offuscata da ridipinture. Grazie all’intervento di CBC ora possiamo ammirare i colori cristallini e tintinnanti vicini agli affreschi di Saturnino del 1494 nella Chiesa di San Panfilo a Tornimparte, con i quali si scorgono legami anche formali, per esempio negli angeli, anche se questa pala è del 1506-11».

Maria , la madre di Dio, la Madonna è il soggetto di alcune opere pittoriche e scultoree di Saturnino Gatti. Durante la visita in occasione della Perdonanza Papa Francesco, dopo aver pregato davanti l’urna di Celestino V ha potuto vedere nella rinnovata collocazione, appunto della Chiesa di Collemaggio, la statua della Vergine con il Bambino attribuita a Saturnino Gatti dopo le vicende del recupero dei Vigili del fuoco del 2009 ,durante le operazioni di soccorso alla popolazione aquilana e la messa in sicurezza degli edifici della città colpiti dal terremoto e il restauro a cura della Soprintendenza.

Per la «Dormitio Virginis» del Maestro del Trittico di Beffi (fine XIV secolo-inizi del XV), va detto che questa opera è stata acquistata dal MuNDA lo scorso anno dall’antiquario fiorentino Enrico Frascione. Zalabra dice «È un acquisto importantissimo. La superficie pittorica è intatta, ma era stata trattata con beveroni e ora sta rivelando straordinari colori e un bellissimo praticello nella parte inferiore». La tavola, di 150×250 cm, presenta un’anomalia: «Due delle tavole che la formano sono state inserite nell’800, evidentemente per risarcire quelle originali danneggiate, e sono state dipinte simulando la pittura così come appariva a quell’epoca. Dopo la pulitura appaiono più scure. Dobbiamo quindi mediare tra la superficie originale e queste due tavole. Inoltre, l’opera ha uno sviluppo orizzontale particolare: la storica dell’arte Cristiana Pasqualetti ipotizza che fosse un paliotto d’altare realizzato per Teramo, dove questo genere di tavola arriva dal Nord Italia lungo la via adriatica con tipologie bizantine».

La Dormitio Virginis viene così descritta dal catalogo dei Beni culturali : “Sul pannello sinistro la complessa scena della “Dormitio virginis”. In basso si trova la Madonna, distesa sul letto funebre circondata dagli apostoli. Più in alto troviamo due angeli che, in volo, incorniciano la scena centrale con Cristo che solleva verso il cielo Sua Madre. In alto troviamo una solenne Incoronazione, impreziosita da severi scranni “

Nelle notizie storiche il Catalogo spiega : “Il nome del Maestro del Trittico di Beffi è stato spesso accostato ad un corpus di opere comprendenti un “Missale plenum”, conservato a Chieti dell’Archivio Arcivescovile, le “Orationes” di Chantilly, la “Tavola delle Sette Parole” anch’essa al Museo Nazionale d’Abruzzo, il dittico con i santi Giovanni Battista ed Evangelista, due pinnacoli, ora nella collezione della Cassa di Risparmio, una tavola raffigurante la Maddalena della Galleria Sarti di Pisa e gli affreschi rinvenuti sotto la volta e l’arco absidale della chiesa di San Silvestro dell’Aquila. In particolare Bologna ha notato forti affinità nel confronto di questo trittico con con gli affreschi aquilani: il pannello centrale con la Madonna con Bambino e la Natività raffigurata a destra del trittico sono accostabili agli analoghi soggetti raffigurati nella volta di San Silvestro, fatte salve le dovute e ben individuabili differenze riscontrabili nella resa dei volti, soprattutto del Bambino, il quale mantiene nel trittico, tutta la nobiltà e la delicatezza che invece manca a quello di San Silvestro. La figura dell’orante è raffigurata in ginocchio mentre assiste a mani giunte al bagno purificale del Bambino. La sua veste, abbottonata sul davanti con ampie maniche rigonfie, denuncia una datazione collocabile qualche anno dopo il 1413, data considerata “ante quem” per quanto rigurada gli affreschi di San Silvestro. Il fondamento culturale su cui il pittore si basa è quello senese della fine del Trecento. In particolare il Carli ha notato affinità non trascurabili con Taddeo di Bartolo, proponendo dei riferimenti con il primo Marino di Bartolomeo, specie nella “Incoronazione della Madonna”. La Torlontano sottolinea come la figura del maestro di Beffi si sia confrontata con l’opera di Antonio di Atri, attraverso un dialogo intrecciato sul comune linguaggio tardo-gotico, articolato su grammatiche lineari ed espressive tipiche della comune formazione senese. Citata dal Van Marle come opera di scuola toscano-marchigiana, fu attribuita dal Berenson a Francesco di Gentile, mentre un’attenta analisi da parte del Serra e del Carli l’avvicinano alla scuola senese del secondo ‘300 “

Fin qui dunque l’attività del Munda tesa a far conoscere meglio il suo patrimonio e il “tesoro” di arte che contiene . Un’attività che ha trovato nella nuova collocazione una spinta alla rinascita e a una nuova vita. Una vita che però è sicuramente legata a quella che fu la collocazione originaria, il Forte spagnolo che in questi anni si è giovato di un programma di lavori di restauro che permetteranno a breve la riconsegna di questa imponente costruzione e simbolo della città, appunto alle attività civiche di cui il Munda è una delle massime espressioni .

Tanto che in una intervista data dalla direttrice Federica Zalabra a Sara Stangoni pubblicata su maggiolicultura.it alla domanda :”Ha un obiettivo che le piacerebbe realizzare nel suo incarico di direzione?” Risponde così : “Che il museo possa tornare quanto prima nella sua “casa”, il Castello Cinquecentesco. Si spera che si possa raggiungere questo obiettivo già con il primo quarto del Castello, è stato completamente restaurato, siamo nella fase del collaudo e delle autorizzazioni. Aprendo questa ala del Castello si potrà restituire a L’Aquila un’altra piazza: per entrare al Castello, infatti, dopo il ponte levatoio c’è un grande cortile che sarà di libero accesso per tutti e non vincolato al percorso museale. Si potrà quindi vivere come spazio di socialità con tanti servizi a disposizione al piano terra: luoghi di ristoro e di incontro, sale per esposizioni temporanee, il bookshop, il laboratorio di restauro e una biblioteca. Immagino di vederlo pullulare di persone e soprattutto di giovani.”

( 1 )http://www.santiebeati.it/dettaglio/21400)

( 2 ) (https://www.geometriefluide.com/pagina.asp?cat=tiepolo-gianbattista&prod=martir-s-bartolomeo-tiepolo)

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