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” SIMON WEIL E LA DIGNITÀ UMANA ” – PROF.SSA GABRIELLA TORITTO

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Redazione-  Simon Weil è stata una filosofa, innamorata del pensiero greco; una combattente per la giustizia e il rispetto della dignità umana, appassionata all’idea di Dio, cui corrispondere senza limiti confessionali.

Nasce in una famiglia ebrea non praticante, di grande cultura. E’ una delle prime donne ad avere accesso ai corsi del celebre filosofo Alain.

Simon De Beauvoir, ricorda d’averla incontrata alla Sorbona, dove già, diciassettenne, gode di ottima reputazione per l’intelligenza e per il ragionamento filosofico. E’ anche conosciuta per il bizzarro abbigliamento e impressionano i suoi singhiozzi alla notizia di una catastrofe sociale.

Dopo gli studi all’École Normale, inizia ad insegnare filosofia. Si interessa all’istruzione e ai problemi degli operai, dei contadini e dei disoccupati. Milita come sindacalista e inventa gesti provocatori, come la divisione del suo salario con i disoccupati.

In anticipo, rispetto ai più, prende consapevolezza della tragedia immane che sta per abbattersi sull’Europa con l’ascesa del nazismo e della diffusa condizione di miseria delle popolazioni. Si espone personalmente, denunciando e scrivendo articoli di critica socio-politica in condanna dei totalitarismi sia di destra, sia di sinistra.

La questione operaia la spinge a fare esperienza diretta, facendosi assumere come operaia presso alcune fabbriche metallurgiche di Parigi ma il suo fisico è fragile. Soffre di continue emicranie.

Nel 1936, in Spagna, entra a far parte delle brigate internazionali che combattono nella guerra civile. Diversi sono i suoi atti di eroismo. Successivamente visita Assisi e dopo un soggiorno nell’abbazia benedettina di Solesmes, Simon Weil si avvicina al Cristianesimo.

Tenta allora un serrato confronto con dei religiosi, scegliendo però di non entrare nella chiesa istituzionale, per non perdere la libertà teoretica e per continuare a restare vigilante sulla soglia assieme a coloro che o non vogliono o non possono varcarla.

Effettua un’intensa riflessione spirituale, la sua «conoscenza soprannaturale», attraverso la disciplina dell’attenzione e del distacco. Intuisce la trasformazione dell’energia universale dal vuoto dell’io alla pienezza della realtà, che è divina. Così come intuisce una stretta connessione tra la rivelazione greca e l’epifania evangelica.

Non ha invece il tempo di approfondire il mondo islamico, che pure avrebbe voluto indagare. A lei dobbiamo l’idea dell’illuminazione che accomuna l’Iliade, i tragici greci, i presocratici, i pitagorici e Platone alla tradizione indo-cinese e a quella cristiana, considerando anche civiltà ancora più arcaiche.

A causa della persecuzione nazista sfolla a New York assieme alla famiglia ma ritorna ben presto in Europa al fine di arruolarsi nella Resistenza.

Fa parte del Comitato Nazionale «France Libre» del generale De Gaulle a Londra, in qualità di redattrice, essendole stato proibito il fronte, dove chiede di andare.

Lavora alla stesura del programma per una costituzione democratica post-bellica, fondata sui doveri verso l’essere umano, ma a causa della sua intransigenza è costretta ad abbandonare l’incarico.

Critica il colonialismo; ipotizza la possibilità di un incontro fra Oriente e Occidente; focalizza la sua attenzione sull’analogia fra lo strapotere degli europei conquistatori, oppressori delle terre d’Oltremare e la barbarie ideologica che attraversa le nazioni d’Europa.

Solleva obiezioni al marxismo e alla struttura partitica; promuove il coraggio, abiurando la violenza e progettando, per esempio, la formazione di un corpo infermieristico femminile di prima linea.

Durante la guerra riduce l’alimentazione ai limiti consentiti dalla tessera di razionamento e si ammala di tubercolosi. Muore nel sanatorio di Ashford il 24 agosto del 1943.

L’alta ricerca intellettuale e l’intensa vita spirituale di questa donna vengono alla luce soltanto dopo la morte, attraverso la pubblicazione per lo più postuma della sua opera.

Anima nobilissima, è molto vicina e attenta agli operai oppressi del 1900. “Bisognosa” del reale, si avvicina al loro mondo, esperendo fisicamente, personalmente il lavoro produttivo industriale.

Ritiene doveroso riflettere sull’attenzione che, a suo dire: “è la forma più rara e più pura della generosità”. Come scrive di lei Ingeborg Bachman: “Il suo partito era quello dei poveri, dei deboli, degli oppressi, e a questo partito senza nome aderì a modo suo”.

Intorno agli anni ’30 del secolo scorso Simon Weil entra a far parte del “Groupe d’éducation sociale”, ponendosi l’obiettivo di rinnovare il tentativo delle Università popolari. Simon Weil comprende, assieme ad altri pensatori del suo tempo, come la cultura costituisca una “potenza” e che il popolo, privato di tale potenza, non potrà giammai governare. Constata quanto sia più grave privare gli esseri umani dei beni dello spirito piuttosto che dei beni materiali, almeno dal momento in cui questi ultimi bastano per vivere.

E’ determinata ad impegnarsi nell’educazione operaia (e in ciò ricorda Carducci) basata essenzialmente su tre principi anarco-libertari:

  • sottrarre gli operai, i lavoratori alla pretesa autorità degli intellettuali, nell’ottica di una rivalutazione del lavoro manuale;
  • fornire loro una conoscenza generale della reale situazione in cui vivono e delle cause della loro condizione al fine di avviarli allo studio e alla comprensione dell’economia politica e della dottrina marxista;
  • adottare un modello d’istruzione antiautoritario, caratterizzato dall’apertura alla discussione e allo scambio.

Intende un’iniziativa di istruzione reciproca, convinta che coloro che pensano di sapere meno alla fine saranno coloro i quali avranno insegnato di più. Simon è consapevole che “in ogni epoca la facoltà di maneggiare le parole è sembrata agli uomini qualcosa di miracoloso (….) il dominio di coloro che sanno maneggiare le parole su coloro che sanno maneggiare le cose, si ritrova in ogni tappa della storia umana (….) e sono sempre stati dalla parte della classe dominante.”

Simon Weil inoltre dà grande importanza al lavoro. A distanza di un secolo lo stesso Papa Francesco, a fronte delle nuove espressioni di schiavitù e di sfruttamento nel mondo produttivo, si è appellato alla “dignità del lavoro”, sollecitando che a nessuno manchi il lavoro, la dignità e la giusta retribuzione.

Voltaire sosteneva che: “il lavoro allontana da noi tre grandi mali: la noia, il vizio, il bisogno”.

Simon afferma che “L’uomo crea l’universo intorno a sé con il lavoro” ed elabora una filosofia incentrata sul lavoro poiché il lavoro è lo strumento che l’essere umano ha di presa e trasformazione del mondo, il solo modo di domare la materia. Per non soccombere alla dura realtà e alle cieche necessità naturali l’uomo può intervenire su di esse attraverso il lavoro, con un’impresa incentrata sull’individuo e non sui gruppi o movimenti o collettività. Così attraverso il lavoro l’uomo sperimenta il contraltare della propria libertà individuale che si esercita attraverso il pensiero e l’azione conforme al pensiero.

F.to Gabriella Toritto

BIBLIOGRAFIA

S. Weil, L’ombra e la Grazia, a cura di Georges Hourdin e Franco Fortini, Bompiani, 2002

S. Weil, Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale, Adelphi Edizioni, 1983

S. Weil, La persona e il sacro, Adelphi Edizioni, 2014

S. Pétrement, La vita di Simone Weil, Milano, Adelphi Edizioni, 1994

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