RIFORME E RECOVERY FUND, UNA SFIDA PER PRODURRE RICCHEZZA E MINORI DISUGUAGLIANZE
Redazione- Scrive Lorenzo Bini Smaghi : “Se non vengono fatte le riforme essenziali, nel settore della pubblica amministrazione, della giustizia, del sistema della contrattazione collettiva , come hanno fatto altri paesi in questi ultimi anni, il sistema economico italiano rimarrà arido, incapace di trasformare fondi pubblici in ricchezza diffusa e in minori disuguaglianze. Il paradosso è che tutto ciò è ben noto. Ciascun governo degli ultimi vent’anni ha presentato, anno dopo anno, un piano nazionale di riforme, sempre con le stesse priorità. Questi piani sono stati poi sistematicamente disattesi. Anche questa volta è previsto un piano di riforme, denominate “politiche di sostegno”. Nella maggior parte dei casi sono previste leggi delega entro la primavera del 2021, con l’emissione dei decreti applicativi entro la fine del prossimo anno” (1)
Lorenzo Bini Smaghi si riferisce alla capacità del nostro paese di programmare interventi capaci di far fruttare quelle che saranno le risorse offerte dal Next Generation Eu che noi chiamiamo Recovery Fund . Risorse che dopo una prima trattativa a livello europeo sembravano già essere a disposizione nei primi mesi del 2021 ma che hanno visto un rallentamento del percorso a causa del veto temporaneo posto da Ungheria e Polonia all’approvazione del bilancio preparato dalla Commissione dentro il quale sono inseriti i fondi del Next Generation Eu. Risorse che rischiano di slittare ancora se a febbraio il nostro Governo non sarà in grado di presentare per l’approvazione i progetti da finanziare secondo modalità bene precise e richieste dalla Eu.
Lorenzo Bini Smaghi si domanda anche le cause della scarsa crescita di investimento (2) nel sistema industriale italiano e richiama l’attenzione proprio su un punto fondamentale ossia che in definitiva non si può e non si deve “ credere che la crescita dell’economia italiana dipenda principalmente dagli investimenti pubblici , tanto più se finanziati a debito anche se si tratta di debito europeo.” (…)Perché “non conta tanto la quantità di investimenti quanto il dinamismo sottostante del sistema economico nel quale tali investimenti vengono innestati e la capacità di far sbocciare nuova crescita e nuova occupazione. Ciò è in linea anche con l’esperienza di paesi non europei, come il Giappone, che negli ultimi trent’anni ha sprecato numerosi piani di investimento con pochissimo impatto economico.Il motivo per cui l’economia italiana non è cresciuta negli ultimi 20anni non è tanto l’assenza di investimenti quanto la mancanza di un terreno fertile affinché gli investimenti possano produrre effetti moltiplicatori positivi per lo sviluppo dell’intera economia.”
Le considerazioni che abbiamo riportato di Lorenzo Bini Smaghi vogliono essere una introduzione ad un’analisi sulla capacità italiana di formulare e “mettere a terra” progetti capaci di spendere i fondi relativi al Next Generation Eu ma anche sulla capacità della burocrazia italiana di dimostrare di essere in grado di assolvere al suo compito in modo moderno e dinamico lavorando anche alla sua stessa riforma attraverso la proposizioni di percorsi di cambiamento che possono già essere favoriti da quanto previsto nel decreto semplificazione. In poche parole la prima riforma per attuare tutte le altre riforme è la riforma madre della burocrazia italiana.
Certo il buongiorno si vede dal mattino . I progetti formulati per il Recovery Fund furono proposti in una bozza ad una riunione del Consiglio dei ministri nel mese di dicembre che non ebbe esito perché interrotta a causa della notizia della positività al Covid 19 della ministra dell’Interno. Notizia poi rivelatosi infondata . Quella bozza che ha continuato a circolare per qualche settimana ha suscitato le critiche del Partito Democratico ma soprattutto del leader di Italia viva, il senatore Matteo Renzi , che più volte ne ha chiesto la revisione per problemi di merito e di metodo. Fino ad arrivare ad una crisi di maggioranza con il ritiro della delegazione di Italia Viva dal Governo. Malgrado la presentazione di una nuova bozza di programma cambiata secondo le indicazioni della stessa Italia Viva e l’accantonamento della “ cabina di regia” che prevdeva l’affiancamento dei ministri dell’economia , dello sviluppo economico industriale, del mezzogiorno da parte di un gruppo di esperti e consulenti . La bozza dei progetti modificati ed emendati è stata poi inviata al Parlamento per ulteriori integrazioni e modifiche in modo da essere pronti alla loro presentazione nel mese di febbraio
All’inizio del negoziato con l’Europa, l’obiettivo fu quello di ottenere più risorse possibili, magari a “fondo perduto” e senza condizioni. Un obiettivo in parte raggiunto grazie al mutato clima in Europa e al fermo e convinto europeismo del Governo italiano ,interpretato dallo stesso Presidente Giuseppe Conte e ribadito da uomini delle istituzioni europee come Davide Sassoli e Paolo Gentiloni . Ottenuti i fondi, l’obiettivo è ora quello di riuscire a concretizzare i progetti e soprattutto a spenderli in maniera produttiva e oculata . Solo per fare un esempio va detto che le risorse per la sanità, che ha sofferto negli ultimi dieci anni di tagli ai bugdet tanto da metterne seriamente in pericolo i compiti e le funzioni volute dalla legge istitutiva del Sistema Sanitario Nazionale ,sono state raddoppiate nella seconda bozza dei progetti Recovery Plan. Si è passati da nove miliardi a quasi diciotto miliardi. Ora il problema è quello di spendere questi diciotto miliardi che non è cosa semplice considerato che la sanità è competenza regionale, che in alcune regioni è commissariata, che la formazione del personale ha bisogno di anni, che le stabilizzazioni del personale sono sempre controverse , che si incontrano sempre difficoltà a destinare risorse alla ricerca .Sicuramente la spesa produttiva nel comparto sanità grazie a questa risorsa sarà la condizione perché ci si metta al riparo dalle conseguenze di altre pandemie che inevitabilmente faranno seguito all’attuale, almeno stando alle previsioni di virologi e scienziati.
Stefano Carli su Affari & Finanza di Repubblica del 5 ottobre 2020 richiama l’attenzione sui 76 miliardi messi a disposizione dalla Comunità europea che il nostro paese nel periodo 2014-2020 non è riuscito a spendere . Sono infatti circa 76 miliardi di euro, utilizzati fino ad oggi per un importo vicino al 10%, i danari previsti dall’Unione Europea, per gli anni 2014-2020, per una serie di spese d’investimento, nelle materie più disparate: ricerca, piccole e medie imprese, agricoltura, ambiente , occupazione giovanile, trasporti e infrastrutture.
Scrive Eticapa.it “Il malfunzionamento delle Amministrazioni centrali e regionali è sicuramente la causa più evidente in superficie: ma, dietro la solita favoletta della “burocrazia”, si cela l’irrazionalità delle regole e l’inesistenza di una vera cabina di regia in grado, per esempio, di orientare la spesa verso progetti realmente sfidanti. Al contrario, il potere decisionale é rimesso a centri di potere totalmente sconnessi ed autonomi, che sovente polverizzano la destinazione dei fondi UE e si dedicano a microfinanziamenti di natura assistenziale. La prova di ciò è facilmente acquisibile consultando il sito OpenCoesione della Presidenza del Consiglio dei Ministri –: il Dipartimento ha sotto monitoraggio ben 1 milione e 100.000 progetti , in larga parte non ancora avviati, alcuni dei quali finanziati con poche decine di euro a pasticcerie, centri benessere e vari. Consigliamo di consultare le varie “liste di progetti” nel sito in questione. E’ sufficiente questa lettura per comprendere come funziona il nostro Paese” (3)
Esiste per l’Italia un pericolo ben maggiore del non ricevere fondi del Recovery Fund ed e’ quello di ottenerli per poi non saperli spendere. Ipotesi quest’ultima molto più’ frustrante ma, ad oggi, più’ realistica.Per non dire l’altro pericolo ancora più allarmante, quello di non riuscire a restituirli.
Giuseppe Beato scrive infatti :” L’Italia, in esito a un indubbio successo politico nazionale, ha oggi a disposizione circa 208 miliardi di euro (a tacere degli altri 38 disponibili a titolo di Meccanismo Europeo di Stabilita’). Essi sono il frutto di trattative serrate avvenute negli ultimi mesi fra i Paesi UE e conclusesi con gli accordi dello scorso 21 luglio. Sono stati previsti ben 750 miliardi di Recovery bond, da reperire sui mercati finanziari e da porre a disposizione dei Paesi europei maggiormente colpiti dal COVID 19. Di questi, 360 mld saranno distribuiti attraverso operazioni creditizie e ben 390 mld saranno sovvenzioni a fondo perduto. Un indubbio successo italiano. L’Italia peraltro fa la parte del leone potendo attingere fra i 27 Paesi UE a un quarto abbondante delle risorse comunitarie previste. (…) E prosegue :” ov’e’ allora il pericolo? Il pericolo c’e’ ed e’ mortale: esso consiste nella scarsa o nulla capacita’ di spesa che l’Italia ha dimostrato di avere nella gestione dei fondi strutturali europei nel corso degli ultimi 15 anni, come sono ripartiti e ). Basti pensare che, su una cifra di finanziamenti nettamente inferiore stanziata in bilancio UE per gli anni 2014/2020 – 44,6 mld a titolo di risorse UE e 31 mld a titolo di risorse nazionali per un totale di 76 miliardi di euro stanziati 7 anni fa – la Corte dei Conti in una relazione dello scorso maggio 2020 a cura del Presidente della Sezione di Controllo degli affari comunitari e internazionali quantificato nel 21,6 % i pagamenti effettuati in Italia (pag. 5) in relazione all’entità’ dei finanziamenti inizialmente programmati (53 miliardi di euro, cifra a sua volta fortemente dimensionata rispetto al finanziamento di 76 miliardi a disposizione –“(4)
Nelle 419 pagine della Relazione” I rapporti finanziari con l’Unione europea e l’utilizzazione dei Fondi europei “ ( 5) relativa all’anno 2019 la Corte dei Conti esamina la capacità di spendere i fondi europei a disposizione del nostro paesi e i relativi problemi che si frappongono . Li riassume così Giuseppe Beato : “Esistono quindi tre ordini di problemi strutturali che vanificano la capacita’ di utilizzo dei fondi di spesa a disposizione del sistema economico nazionale: a) la capacita’ (o incapacità’) del sistema politico/istituzionale di individuare gli obiettivi strategici prioritari e in relazione a questi di programmare gli interventi nell’interesse generale del Paese; presentiamo qui di seguito un’analisi severa di Antonio Zucaro su questo tema, in relazione all’attuale situazione politica; b) il malfunzionamento della multilevel governance che induce la Corte dei Conti a parlare (pag. 8) di “pletora di soggetti che intervengono ai vari livelli nella gestione dei fondi” e di “polverizzazione dei programmi”, determinata dal prevalere incontrollato – aggiungiamo noi – di forme di finanziamento micro (sovvenzione a centri fitness o alla festa del patrono comunale- basta dare un’occhiata al sito Opencoesione.gov.it – con l’indicazione del milione e mezzo di progetti monitorati) nella latitanza iniziale di progetti strutturali condivisi e conseguente fretta di spendere dell’ultimo momento; c) lo stato ormai comatoso di molte amministrazioni pubbliche, prive come sono di adeguate risorse umane professionalizzate, di risorse informatiche e di risorse finanziarie.”(6)
In fatti Antonio Zucaro (7) su Spazio pubblico scrive : “Le polemiche e le trattative sulla titolarità a scrivere il recovery plan, ovvero se spetti alla Presidenza del consiglio, al Governo o al Parlamento, si basano in realtà su una medesima concezione del piano come lista della spesa, da distribuire tra settori, categorie e territori con la mediazione dei soggetti politici, più o meno mascherati da soggetti istituzionali. Niente di nuovo: sono venticinque anni che la legge finanziaria ed il bilancio, ovvero il piano annuale di distribuzione delle risorse tra le politiche pubbliche, è una sommatoria di norme e di stanziamenti per vari soggetti, rappresentati o da organi di Governo o da parlamentari, col Ministero dell’economia che fa quadrare i conti agli occhi dell’Europa, magari con qualche trucco, e la saracinesca finale del maxiemendamento approvato col voto di fiducia. “(…)Una politica degna di questo nome, invece, dovrebbe e potrebbe seguire un’altra strada, prendendo le mosse dagli interessi particolari, selezionati e classificati secondo criteri di valore, definendo quindi le politiche di settore sulla base delle risorse disponibili e ricomponendo alla fine un quadro d’insieme coerente che assicuri la soddisfazione dei diversi interessi nel modo migliore possibile alle condizioni date. Utopia? Forse. Ma nelle esperienze di governo dei paesi sviluppati sono rinvenibili elaborazioni e precedenti che possono essere presi in considerazione, per determinare il salto di qualità che la profondità della crisi rende oggi necessario”.
Zucaro dice anche come in questa severa reprimenda ,ovvero il Piano : “ dovrebbe essere un complesso di misure inquadrate in politiche di settore e coordinate nell’ambito di un indirizzo generale di Governo. Norme, procedure, obiettivi, risorse, tempi. Cominciando dagli indirizzi generali, che indicano le priorità sulla base dei valori da affermare, ma che non possono essere solo “narrazione”.
Mentre si discute sui progetti del Recovery Plan , anche alla luce delle passate esperienze in merito alla capacità di spesa da parte delle istituzioni del nostro paese è in attesa di approvazione al Parlamento la l’approvazione di un ulteriore scostamento di bilancio . Il ministro dell’economia Roberto Gualtieri subito dopo l’approvazione della legge di bilancio 2021 ha annunciato l’intenzione di rafforzare ”gli interventi sia sul 2020 sia sul 2021 attraverso scostamenti di bilancio”.
Fino a ora sono stati autorizzati quattro aumenti di spesa in deficit, , I primi tre per un totale di 100,3 miliardi di euro. La prima richiesta da parte dell’esecutivo risale al 5 marzo, con successiva integrazione l’11 marzo, quando è stata autorizzata una maggiore spesa in termini di indebitamento netto di 20 miliardi. Il 24 aprile, in occasione della presentazione del Documento di economia e finanza, è stato richiesto un nuovo scostamento di 55 miliardi, e il 23 luglio è arrivata la terza (e per ora ultima) richiesta di un ulteriore spesa di 25 miliardi. Totale 100,3 miliardi di euro. Il quarto scostamento di bilancio è stato richiesto il 20 novembre 2020. Nei prossimi giorni si procederà per un quinto scostamento di bilancio . .Per effetto di tali incrementi, il nuovo livello di indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche risultava pari al 10,4% del Pil nel 2020 e al 5,7% nel 2021.
Manovre di bilancio in deficit, scostamenti di bilancio introducono un problema importante nella vita del nostro paese : il problema del debito pubblico che è il debito contratto dallo Stato per soddisfare il proprio fabbisogno. Si ha un deficit quando le entrate sono inferiori alla somma di uscite e spese per interessi.
A settembre 2019 , il debito pubblico italiano è arrivato a 2.439 miliardi, ma ad agosto aveva toccato il record di 2.463 miliardi. La cifra cruda offre però un punto di vista limitato. Per capire quanto il debito pubblico pesi su un Paese si rende in rapporto al prodotto interno lordo. Alla fine del 2018, il debito pubblico italiano era pari al 134,8% del Pil, una delle percentuali più alte al mondo. Bankitalia affermava nel dicembre 2020 ,in piena seconda ondata pandemia che il debito pubblico italiano continua a salire e ha messo a segno un nuovo record, spinto dalla necessità di finanziare le iniziative del governo in risposta al Covid. A fine ottobre il debito delle Amministrazioni pubbliche era pari a 2.587,0 miliardi, in aumento di 3,2 miliardi rispetto al mese precedente.
Continuare a parlare di Recovery Plan e non parlare della sostenibilità del debito pubblico significa probabilmente non affrontare realmente quello che succederà una volta passata la pandemia. I progetti del Recovery Plan devono essere correlati e finalizzati alla creazione di iniziative che riescano a produrre ricchezza per far fronte al debito pubblico che nato negli anni ’60, esploso negli anni ’80 potrebbe oggi diventare insostenibile.
Infatti scrive Carlo Terzano su Startup Italia (8 :)” 2.578.900.000.000. Lo abbiamo voluto scrivere in modo esteso per rendere meglio l’idea della cifra mostruosa che abbiamo raggiunto in agosto. È il nostro debito pubblico, ormai letteralmente esploso. E questa volta non è colpa né degli sprechi, né delle ruberie o dell’assistenzialismo figlio degli scambi di voto della Prima Repubblica. O meglio, non solo. Perché a una situazione già precaria e tutt’altro che lusinghiera ora si è pure aggiunto il Covid. I dati di Bankitalia fotografano infatti l’aumento esponenziale del fardello che ci trasciniamo dietro dall’immediato Dopoguerra aggravato ulteriormente dalle spese sanitarie dirette e indirette.” (…) Questo significa che : “Numeri simili, in condizioni normali, ci avrebbero causato immediatamente la cacciata, a calci, dall’Unione europea, che come sappiamo da anni ci richiama al rispetto nel rapporto tra deficit – PIL (ormai è solo un lontano ricordo: quelle regole sono state momentaneamente disinnescate e noi abbiamo oltrepassato ogni soglia di sicurezza). Senza più la protezione europea, l’Italia, a causa di quei 2.578,9 miliardi di euro di debito pubblico che la zavorrano e la rendono poco credibile sul piano creditizio avrebbe fatto la fine della Grecia…”(…) “In parole povere, lo Stato sta emettendo obbligazioni (dei “pagherò”) a tutto spiano per pagare le spese maggiorate dal rischio Covid per sanità, istruzione, trasporti e tutto questo finisce nel calderone dei soldi che, presto o tardi, dovremo restituire. Esattamente come i soldi del Recovery Fund o della SURE che sta finanziando la cassa integrazione. Insomma, passata la pandemia il rischio è che il vero malato sia nuovamente il nostro debito pubblico. E la cura potrebbe essere da cavallo, su un paziente già martoriato dal Covid-19.”
E dunque il problema del debito e quello dei progetti del Recovery Plan sono strettamente legati e probabilmente si riesce a rendere sostenibile tale debito, ( abbattendolo in buona parte , evitando i richiami dell’Europa e ripartendo per un rilancio del paese) solo, teoricamente , con una soluzione semplice che consiste in “riforme strutturali” volte ad accrescere il saggio di sviluppo dell’economia,rendendo meno difficile fare impresa e costruendo attorno a questo progetto una serie di riforme appunto dalla giustizia alla sanità, passando per la semplificazione, fino ad arrivare , come sostengono le organizzazioni internazionali e la Banca d’Italia ,ad un avanzo primario fra il 3 e il 4% mantenuto per molti anni a venire.
Attenzione però alle false soluzioni come : l’idea di aumentare il deficit per aumentare il PIL e per questa via sostenere le entrate fiscali e ridurre il rapporto debito/PIL spesso sostenuta dai politici prima delle elezioni. Lidea di un ripudio del debito formulata con due versioni completamente diverse. Una prima versione che dice che, in caso di crisi, i contribuenti degli altri paesi europei possano venire in aiuto dell’Italia a patto che gli italiani, a cominciare dai detentori dei titoli pubblici, facciano anch’essi uno sforzo per risanare il bilancio pubblico. Una seconda versione è quella populista secondo la quale il debito non lo abbiamo fatto noi e dunque non lo paghiamo. Infine l’idea che l’uscita dall’euro è una delle conseguenze dell’illusione di poter risolvere il problema del debito con la monetizzazione, senza pagare costi elevati in termini di inflazione.
Dobbiamo agli interventi della BCE se nell’ultimo decennio siamo riusciti a superare la crisi finanziaria prima, quella dello spread dopo e adesso la pandemia. Una BCE che è intervenuta provvidenzialmente anche se non potrà continuare all’infinito in questa sua opera di tutela. In quasi tutti i paesi sta esplodendo il debitoma questa non è una giustificazione per il nostro debito e nemmeno una consolazione . Per cui quello che più importa ora è mettere l’ attenzione proprio sullo scenario post Covid . I progetti del Recovery Plan che il Parlamento si appresta ad esaminare , insieme con le necessarie riforme dovranno pemetterci di mantenere il passo in una situazione in cui gli altri paesi riprenderanno a camminare .Bisogna essere dunque pronti per quanto la BCE abbasserà lo scudo di protezione. In quel momento dovremo essere in grado di camminare da soli . E non si tratta di sforbiciare di volta in volta le pensioni o di allungare la lista della
“spending review”, quanto di rivoluzionare l’essenza stessa della vita economica e finanziaria di questo paese .
(1) https://www.eticapa.it/eticapa/wp-content/uploads/2020/10/Recovery-Fund.pdf
(2) “… in rapporto al Prodotto lordo del paese gli investimenti pubblici italiani sono gradualmente calati negli ultimi 20 anni, da circa il 3% del periodo 2001-05 al 2,3% per cento dello scorso anno. Non si tratta tuttavia di una tendenza molto diversa da quella media degli altri paesi europei. Il calo tendenziale degli investimenti pubblici, comune a molti paesi, non è sufficiente a spiegare la peggior performance di crescita italiana, prima e dopo la crisi.Il livello degli investimenti pubblici italiano, pur essendo lievemente inferiore alla media europea, è peraltro più elevato di alcuni paesi, come la Spagna, il Portogallo e in alcuni periodi anche dell’Irlanda, del Belgio e della Germania, che sono cresciuti molto più di noi.”
(3) https://www.eticapa.it/eticapa/lo-scandalo-dei-fondi-strutturali-europei-non-spesi/
(4) https://www.eticapa.it/eticapa/come-mandare-in-fumo-i-finanziamenti-europei-istruzioni-per-luso/
(6) idem nota n. 4