MORIRE PRIMA DI MORIRE – VIVERE NEL VENTRE DEL VIVERE
Non continuare a vivere cosi fuori da pensieri e sogni essere qui vivere nel ventre del vivere sorridere e cosi non perdere forza e tempo ancora voler cambiare il mondo imparare a star soli.
Morire prima di morire il canto assordante dei gabbiani mentre il lasciarsi andare al senso dell’anima sull’ultima sponda del vivere non sa d’inferno o paradiso come si spegne l’io comincia D’io.
Redazione- L’Io che si perde e sente paura di abbandonarsi allo spettacolo della libido esistenziale che attraversa l’universo in immagini e di fatto inizia a temere la morte, divenendo di fatto, mortale, tanto da necessitare barriere, confini che si moltiplicano di giorno in giorno, proiettando nell’idea cosmica l’agorafobia detenuta nel suo core votato all’isolamento dal resto del mondo. Inizia cosi l’avventura di un essere umano sempre più terreno, che si allontana dal suo gemello spirituale separandosi da se stesso e rinunciando ad apprendere l’arte dell’amore è cosi costretto ad apprendere solamente l’arte di morire prima di morire. Il che significa sperare nei luoghi dell’abbandono, dove si dibatte perdendosi e rifiutando a se stesso la possibilità di andare oltre se stesso, ancorandosi ad un corpo ad oltranza, non immaginando che proprio quel luogo, il corpo, che sembra sia l’unica cosa posseduta veramente al mondo, lo tradirà alfine senza pietà alcuna, costringendolo a dipartire, finalmente a morire. Per tutta la vita sarà il dolore ad alternarsi alla gioia e quel corpo proverà a contenerli entrambi, farà cosi posto all’anima che potrà liberarsi di quelle strettezze vincolate ora al solo godimento, ora alla sola angoscia esistenziale. Godimento e angoscia, i 2 poli fatti della stessa sostanza a ridosso di cui si protende il sentimento o stato d’animo che dir si voglia che accompagna l’umanità, quasi costantemente, ovvero il “morire prima di morire” L’Io gaudente e l’io angosciato nascono dalla separazione originaria dalla fonte della luce e si destrutturano entrambi nella ricerca etico- estetica fino a sprofondare nelle viscere della creazione artistica, li dove la sfera egoica trionfa per eccellenza, nella vana speranza di evitare la quotidiana morte, volendole gridare in faccia: tu non esisti e raccontare allo stesso tempo a se stessi le frottole sull’immortalità. Come dice il grande Psicoanalista, Sigmund Freud. “ Il fatto è che siamo sempre pronti a disprezzare quello che non capiamo; è un modo comodo per semplificare i problemi .”
Si perché noi non capiamo moltissime cose e per lo più finiamo per ignorarne tantissime altre, alimentandoci di rifiuti, confini, distanze, di cose insomma, piuttosto che immaginare il loro superamento, la reale nascita esistenziale che non può prescindere dalla proiezione verso una dimensione d’infinito. Dobbiamo iniziare a comprendere come il godimento terreno possa in-fluire sul divino e non solo quello confinato alla mera sessualità, ma tutto quello che nelle nostre giornate determina piacere: ascoltare musica, leggere, ammirare un dipinto o una scultura. Primo AlterEgo del godimento è la paura, “translata” dalle cellule nervose dell’amigdala con rilascio di corticotropina come risposta del cervello ad esposizione a situazioni allarmanti o minacciose, per intenderci quella che si prova a seguito di aggressione fisica o verbale. Secondo AlterEgo del godimento è il vissuto abbandonico, “translato” dalle cellule nervose della Corteccia Parietale e dell’Ippocampo, per intenderci quella che provano gli Anziani anziani lasciati in custodia a caregiver domiciliari o affidati in case di cura, in situazioni in cui diventa facile nel processo naturale di perdita di memoria vedere dimenticate parole come rispetto, attenzione e dignità. E’ come sostare in lunghissimi e tristi corridoi, dove in fila si attende l’uscita dal mondo, macabre sale d’attesa dove lo stato d’animo è quello di “morire prima di morire”. Ma vivere nel ventre del vivere è davvero troppo importante, sentirsi pienamente presenti, importanti, godere dell’arte e della bellezza, restare vivi insomma e giungere vivi e consapevoli al capolinea è morire alla nostra piccola identità egoica e attraversare sperimentandola la nostra identità più profonda che rifugge da ogni individualismo e separatività e si confronta con l’unità universale dove si sperimenta felicità e pienezza. In tal senso è necessario far morire l’Ego e “rinascere” non più dunque tentare di salvare l’io , ma finalmente riuscire a liberarsi dall’io . E questa morte dell’Io è un percorso carico di frustrazioni non affatto indolore con rinunce ad attaccamenti, soddisfazioni, aspettative gloriose. Tuttavia, finché non muoriamo alla credenza di essere un io separato, spezzando la barriera della separazione ovvero disidentificandoci con l’ego, non possiamo apprezzare che tutti gli esseri sono una unica realtà e dunque tutto ciò che esiste non ci è estraneo, vivendo assieme esattamente, riuscendo a morire prima di morire e nello stesso tempo a vivere nel ventre del vivere. E nel ventre del vivere non esistono garanzie e sicurezze, cosi come siamo abituati a pensarle in termini di ciò che ci occorre: un lavoro, un percorso scolastico, una famiglia, la salute, poiché la nostra vita non ha più niente di sicuro dopo la morte egoica, ci appare nuda, coi caratteri di provvisorietà e precarietà e se c’è una cosa che le Pandemie in genere potrebbero insegnarci è il fatto di poter andare oltre il desiderio dell’io, ma c’è la paura a montare la guardia all’Io, perché è a questo preciso compito che è dedicata la paura della salvaguardia egoica e della condizione di separazione. Ed alla paura si affianca tutto un esercito di difendenti dell’Ego, basti pensare a come sia lo stato della comunicazione odierna.
Tutti contro tutti, ognuno a difesa del proprio fortino esistenziale, cosi ben sintetizzato nel “stay at home” della propaganda contro il Covid-19, in cui non c’è alcun spazio per la crescita e la consapevolezza personale ed il lockdown decreta il fallimento dell’investimento sulla maturità del soggetto che viene attaccato alle macchine (telefonino, pc, etc.) sia da sano che da malato (respiratore) fino a determinarne la condizione di passività e di arrendevolezza totale. Sarebbe auspicabile invece una società in cui si possa consapevolmente scegliere di stare a casa ed utilizzare la prudenza evitando comportamenti a rischio ed essendo rispettosi della sicurezza altrui al di fuori da certi luoghi comuni per cui alcune persone non sarebbero in grado di gestirsi rispetto a certi eventi e situazioni, finendo per divenire realmente untori da cui bisogna necessariamente prendere le distanze. Ma è proprio questo il momento strategico per preparare il nuovo essere umano, per distanziarsi dalla visione egoica del mondo e nella giusta misura far crescere la fiducia reciproca senza rinunciare alla biosicurezza. La nostra ricerca verso il superamento dell’ego, può aiutarci a non morire prima di morire nello sforzo di evitare il contagio, restituendoci il permesso di vivere nel mondo e quello di morire a noi stessi, che non significa avere a che fare con la morte, dal momento che è l’unico stato che non incontreremo mai veramente, se è vero che finche noi esistiamo lei non esiste e quando lei esiste noi non ci saremo più, come asseriva Epicuro. E invece passiamo tutta la vita a negare la morte, a nasconderci a lei, sperando che non riesca a scovarci. Questa scotomizzazione della morte, diviene massima nella pandemia attuale dove non essendo possibile neanche una degna sepoltura, viene negato il tempo di morire ed il lutto stesso non trova più appartenenza, ne tantomeno elaborazione. Ma in generale, a prescindere dalla pandemia viviamo tempi veloci in cui l’importante è apparire belli, giovani e ricchi e vivere il più possibile agiatamente senza alcuna memoria e attenzione verso i defunti e verso il passato. Ma una società che rinuncia al passato che futuro può avere mai? Ignorando cosi brutalmente l’età della saggezza, della compiutezza, ciascuno di noi alle soglie della vecchiaia sarà costretto ad affannarsi a rincorrere aspetti estetici di sé piuttosto che mostrare con orgoglio le rughe di una vita vissuta appieno che andrebbero venerate e tenute lontane da certe incurie di matrice tanatofobica. Come il più bello dei fiori sappiamo di crescere, maturare e sbocciare, avvizzire e morire, ma sappiamo anche che l’unica cosa che conta è vivere appieno e con consapevolezza. Da Epicuro a Freud Eros e Thanatos interagiscono continuamente sul piano esistenziale, interferendo reciprocamente, per cui gli individui fanno fatica ad essere felici per timore di perdere tutto (morire) e fanno di tutto per evitare di morire per non perdere il godimento della vita. Tutto sarebbe dunque semplice se non ci fosse quella guastafeste chiamata anima, cui fisicamente è stato dato anche un peso ma che forse sul piano scientifico si può racchiudere in quello che dice Einstein: “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”.
E dunque per dirla con Epicuro: “ la nostra condizione di non essere dopo la morte è la stessa nella quale ci trovavamo prima della nascita”. In MIA MADRE E’ UN FIUME, la scrittrice Donatella Di Pietrantonio, definisce il rapporto con la figura materna come l’albero motore del veicolo dell’esistenza, ed il raggiungimento di quel che si è , passa attraverso il rapporto Madre/Figlia. Interessante è pure la dimensione dell’Hic et nunc di Orazio che conferisce il senso della misura, accanto alla capacità di sapersi accontentare senza cercare altro di sé, scegliendo di diventare ciò che si è e conferire senso alla quotidianità, ricollegandosi al carpe diem sempre di Orazio che incita a vivere pienamente il presente, valorizzando pienamente l’istante , nella consapevolezza che si vive veramente solo il presente. L’esistenza autentica infatti, non può prescindere da una giusta progettualità; per stare bene al mondo occorre soprattutto progettare il quotidiano, ridefinendo continuamente scopi esistenziali e stili di vita all’interno del connettivo sociale in cui si sedimentano idee d’adesione e cambiamento. L’Uomo adopera tutta una serie di sistemi per vivere l’istante e congelare la dimensione temporale, uno di questi è la preghiera che nella dimensione dell’ascolto, della ripetizione, della spiritualità, fino alle forme di ascesi esercitano una certa forma di controllo e di riempimento dello spazio temporale. Forme di preghiera seriali come il Rosario, il Nam-myoho-renge- kyo e gli Esercizi Sufi utilizzano il cosiddetto principio della simultaneità di causa ed effetto, mostrando che le esistenze sono fondamentalmente dotate in modo intrinseco del grande stato vitale, per cui recitare tali preghiere è un atto di fede nel meraviglioso potere della vita, non un affidarsi a frasi magiche che fanno emergere poteri soprannaturali, né, a parte il Rosario, un affidarsi ad un’entità trascendente. Tutte le forme di preghiera, rispettano il principio secondo cui le persone comuni, sforzandosi con coerenza, sicuramente otterranno grandi risultati, rispettando la dignità e le infinite potenzialità delle nostre vite ordinarie, riuscendo infine a far emergere la pura energia fondamentale della vita; che evita di far cedere alle difficoltà e fa vincere il soggetto sulle proprie sofferenze. Il cercare accordo ed armonia, purificazione dai desideri per le cose di questo mondo e dedizione al Divino che è all’interno del se, precederebbe uno stato di gioia e purezza , in un cuore liberatosi dall’ansia, dalle preoccupazioni attraverso l’esercizio del ricordo di Dio che a sua volta determina lo stato di benessere o rifugio spirituale in cui non v’è più timore o tristezza per alcuna cosa, predisponendosi dunque al MORIRE PRIMA DI MORIRE ovvero all’estinzione dell’io, con allontanamento da tutto ciò che non è Dio. Questa condizione di dominio della cosiddetta Natura umana proietterebbe verso l’idea di pace e eternità, con unici compagni di viaggio la fede, la pazienza e la perseveranza. L’uomo libero, essendo l’esistenza tutta un poter essere, è cosi capace di generare un processo di unificazione al tutto, rivolto all’essenziale dell’esistenza, alla riscoperta dell’autenticità.
Guarda al fine ultimo dell’esistenza stessa del NON MORIRE, ovvero il raggiungimento di un’altra dimensione più appagante e duratura, rispetto alla condizione esistenziale in se impermalente. Riguardo poi la questione dell’individuo che scelga di porre termine alla vita in modo volontario o terapeutico che sia, per la scelta consapevole di allontanarsi dal corpo in quanto unità somatopsichica sofferente e/o insoddisfacente per la qualità di vita che si è determinata fino a quel momento, tale questione trova la sua matrice nell’idea che la vita è un ciclo in cui non è ammissibile l’allontanamento dal fondamento stesso della libertà dell’uomo, intesa anche come libertà di non più vivere, ovvero di morire. Tale questione tuttavia ci riporta sul piano esperenziale all’incapacità del soggetto di concretizzare quel passaggio sottile del MORIRE PRIMA DI MORIRE, ovvero di vivere nel ventre del vivere , che lo costringerà poi ad esercitare il diritto di porre termine alla propria esistenza d’amblè o in maniera assistita, rinunciando a conoscere il valore della morte e molto probabilmente costringendosi a negare il valore della vita vissuta fino ad allora, forse per estinzione di ogni altra forma o possibilità progettuale e delineando infine un percorso esistenziale in cui si staglia il Vivere per Morire. Non c’è mai in ogni caso per i più, coscienza di vita non avente in gioco anche la sua fine, con ripetuti rivolgimenti nostalgici ad un passato che non tornerà più (che peccato!) e con numerose sortite nel tempo futuro dominate perlopiù da timore e preoccupazione (che sarà!). Mettere in conto il morire, significa affrontare il limite di vivere meglio il tempo presente, come soglia stessa o nomen omen esistenziale. Anche per Jung, la morte sembra essere un cambiamento di stato, come per Einstein, materia/energia che si trasformano e la vita una parentesi di quel tornare ad essere quel che si era e che si è. Questo rimanda dunque fortemente ad interrogarci sul senso della vita e sulla questione cardine su cosa sia veramente la vita e su cosa sia importante considerare riguardo ad essa (valori etici, moralità, etc.). Situazioni liminali come la morte, suggeriscono modalità esistenziali di abbandono attivo, per sortire migliori percezioni ed esperienze non facendosi intrappolare dalle sabbie mobili della nevrosi o dal fiume vorticoso psicotico che pur mosse dal nobile fine di allontanare l’idea della morte, finiscono per imprigionare il soggetto in una vita angosciosa e frammentaria in cui la memoria subisce numerosi assalti e turbative ed il presente assomiglia ad uno piccolo stagno dove a vivere veramente è solo la sofferenza. Il vero nemico in tal senso è l’angoscia del contagio, assai presente nella società contemporanea che finisce per destrutturare i vari livelli socio-relazionali producendo due grandi fenomeni di massa: l’ineguaglianza e l’indifferenza. Questi sono i veri nemici dell’umanità, costringendo il mondo a situazioni di costante migrazione collettiva, dimenticando spesso la qualità della vita e finendo i più a vivere “morenti” ed a morire in modo insignificante spesso anche per se stessi. Morte dunque in coda alla vita, non avente o dante senso, insomma post factum esistenziale.
Il sacramento della estrema unzione è divenuto unzione degli infermi e dunque viatico per la malattia, perdendo di significato e non suggellando la morte. La fine è asettica spesso, mentre i parenti si affannano attorno per rendere questo evento insensato, il meno traumatico possibile e seguito da una cerimonia funebre rispettosa del rango del congiunto. I nostri fini concentrati sono nella vita e per la vita, pur sapendo che vi sarà una conclusione. Nell’antica grecia invece, una bella fine, una morte onorevole produceva un effetto speciale, ad esempio in battaglia, rendendo importante ed eroica tutta la vita stessa, assumendo la morte un ruolo salvifico e dunque la stessa vita far capo alla morte che diveniva arché . Non è possibile tuttavia commettere l’ingenuità di voler estrarre un senso universale, o meglio convergere verso un senso unificante, in rapporto al dipanarsi continuo di significati, neppure per alcuni mostri sacri della Psicoanalisi come Freud, seppur vicini a cogliere le valenze del rapporto tra amore e morte, tuttavia non riescono ad analizzare i due eventi essenziali della vita, ovvero la nascita e la morte che sembrerebbero assolutamente estranei al volere umano, a men di scomodare alcune teorie secondo le quali ciascuno sceglie di venire al mondo in quel preciso istante ed in quella famiglia e modalità ed in qualche modo si prepara l’uscita dal mondo, gli fornisce un senso e comincia addirittura a farsene una ragione, aprendo una sorta di negoziato nato con lei, immaginando di fare parte di un tutto universale, in cui sia matericamente che spiritualmente in una concezione d’insieme assoluto. Ciò conduce al far ritorno : l’eterno ritorno e ciò anche al termine dell’ultimo degli eventuali cicli di reincarnazione che alcune dottrine orientali paventano, inteso come ritorno all’egualità vera che la vita non può consentire, per l’enorme disparità di possibilità esistenziali che concede e determina. In realtà, si potrebbe dire che l’essere umano è in continua guerra, con quella scia mortifera, o coda esistenziale e proprio per questo riesca ad apprezzare una vita assolutamente irrispettosa ed inadempiente riguardo le attese, attraverso la costruzione mentale più fantastica e meravigliosa, seppur ingannevole, rappresentata dall’illusione di non morire che va a rafforzare la voglia esistenziale. Origina da questa costruzione mentale dell’illusione di non morire, come formazione reattiva, il conflitto relazionale per cui nella vita ha sempre torto chi è assente, per cui il massimo rimprovero che muoviamo all’altro è quello di non esserci, in quanto insopportabile la deprivazione dell’altro nella relazione che sia amicale, amorosa, professionale, etc.. Questa costrizione al fare a meno di, appare essere cosi dolorosa ed imperdonabile, tanto che l’uscita di scena da ogni forma di relazione umana raramente ottiene la possibilità di un continuum o di forme di moderata comprensione della concreta possibilità di continuare ad esistere per l’altro/per gli altri (pensionamento, cambio di lavoro, separazione, cambio di club, associazione, etc..), per la regola del niente sarà come prima. Ogni atto esistenziale, relazione, rapporto avrà dunque insieme il potere di legare e slegare, di far vivere e di far morire la relazione.
Ed in questa verità si racchiude il codice esistenziale che vive della somma algebrica tra istinto di conservazione o eros ed istinto di morte o Thatanos, in una tensione che appare essere in parte individuale ed in parte collettiva e che affonda molto le sue radici nel delicato rapporto tra le 3 istanze psichiche: Conscio, preconscio, inconscio, che esprimono l’essere in termini di consapevolezza presente o assente, riguardo le scelte esistenziali. E se il soggetto è un iceberg, con più dei 2/3 nascosti (divisibili in un’area preconscia propria dei ricordi, della conoscenza e dei sogni che possono talora divenire consci ed una area inconscia o inconsapevole in cui paure, conflitti, desideri immorali, desideri sessuali repressi vengono sapientemente spinti e/o sommersi come istanze inaccettabili dal superIo che come cerniera si pone a guardia del rapporto tra Io ed Es), e solo meno di 1/3 affiorante in superficie (area consapevole percettiva e del pensiero). Individuo che oscilla nel compromesso tra le personali motivazioni autentiche e quelle imposte dai modelli morali o educativi. Ed è propria dell’inconscio cosi prevalente la vocazione mortifera della vita stessa dominata più dalle pulsioni di morte (in cui regnano sovrane la sofferenza e la morte come indici del reale) piuttosto che dalle pulsioni sessuali, intese come perdere il proprio tempo a vivere fino al caso estremo di patto stabile con la vita, rappresentato dal narcisismo nel cui mondo tutto è vita, tutto è Eros, tutto è ideale, posto accuratamente dal soggetto al riparo dalle irruzioni del reale. In questa fase di Pandemia, accade quello che accade anche nel corso dei conflitti bellici e di tutte le circostanze che producono sul genere umano una condizione di grave sofferenza che si sviluppa in maniera del tutto sorprendente. Sul piano bioenergetico, rispetto al Virus Sars Cov 2, sembra incredibile come un organismo che vibra a 5.5 hz e che non sopravviverebbe sopra i 25.5 hz, possa colonizzare degli esseri umani con vibrazioni solitamente ben più alte, se solo considerassimo che alcuni stati d’animo e/o sentimenti producano delle vibrazioni assai più alte: la Generosità viaggia a circa 95 hz, il ringraziamento vero a 150 hz, la Compassione a 150 hz, l’Amore verso il prossimo e verso tutti gli esseri viventi a 150 hz ed infine l’Amore incondizionato e universale supera i 205 hz. Ma per alzare la frequenza bioenergetica individuale, basterebbe semplicemente inclinarsi verso le emozioni e gli stati d’animo positivi: amare, sorridere, avere un atteggiamento benedicente, giocare, dipingere, scrivere, cantare, ballare, gioire della vita, praticare Meditazione, Reiki, Yoga, e Taichi, camminare ricercando la presenza di sole, fare esercizi fisici nella natura, nutrirsi con alimenti della terra: semi, grani, legumi, frutta e verdura ed infine bere acqua. Senza dimenticare che le vibrazione bioenergetiche prodotte dalla preghiera oscillano tra i 120 ed i 350 hz.. La preghiera proiettata al risultato di una connessione autentica con Dio, genera lo scudo più importante per il benessere psicofisico individuale e collettivo: la pazienza che consente la capacità di conservare uno spirito gioioso, anche quando intorno c’è troppa tristezza essendo di per se una vittoria e un superamento.
Possiamo intendere anche la pazienza come la forma più alta di coraggio e di protezione della relazione umana. La stessa frequenza bioenergetica terrestre pari a 27,4 hz. appena più alta di quella di certi virus, già ci metterebbe già al riparo da questi sgraditi ospiti, purtroppo però ci sono ambienti come Ospedali, Residenze assistenziali e socioassistenziali, Bar, Carceri, Sotterranei. etc., che sviluppano vibrazioni bioenergetiche molto basse , al di sotto dei 20 hz in rapporto al grado di presenza di quelle emozioni e/o stati d’animo negativi come Rumore, Solitudine, Sofferenza, Orgoglio, Paura, Abbandono, Superiorità e Dolore (0,1 – 2 hz); o Irritazione, Collera, Rabbia da (0,9 – 6,8 hz). Senza considerare poi che l’assenza di sole ed il consumo di Alimenti trasformati chimicamente e delle carni, incide non poco in negativo sul livello bioenergetico vibrazionale. Abbandonando il pensiero newtoniano necessitante di una riprova, non possiamo ormai evitare di pensare che tutti gli essere viventi sono dei campi elettromagnetici ed in tal senso perdonatemi il gioco di parole, più siamo positivi più il campo luminoso si accende, viceversa più siamo negativi più s’indeboliscono le vibrazioni bioenergetiche e poi di conseguenza il corpo, divenendo attaccabile e facile preda di minuscoli virus che amano e si nutrono di vibrazioni basse e prediligono corpi malati e stanchi, privi della giusta energia vitale. Occorre essere pertanto consapevoli di come sia necessario pensare a modificare determinati comportamenti e stili di vita, in favore di quelli che riescono opportunamente bioenergeticamente ad illuminare ed a fortificare gli organismi umani . L’analisi bioenergetica offre una comprensione più profonda dell’effetto dei processi energetici sull’organismo umano; attraverso il Grounding si sonda e misura la relazione energetica tra la persona e il suolo, valutando se l’appoggio è saldo o poco stabile e quanto questo disvela circa il senso di sicurezza e la reale carica energetica del soggetto che appartiene alla natura come qualsiasi altro essere animale; ma si pone anche al di sopra della natura, poiché interagisce con essa tentando di controllarla. Allo stesso modo, per analogia opera verso la sua parte istintuale più profonda cui è vincolato per la maggior parte di se stesso, tentandone un controllo con la sua parte razionale ed è questo binomio mente-corpo che si gioca la partita esistenziale in cui il soggetto è dibattuto in una tensione dinamica che se da un lato costituisce il polo istruttivo positivo o per dire in altro modo le personali radici culturali, dall’altro presenta il polo d- istruttivo negativo contenente un patrimonio genomico disattivo ed entrambi possono godere dei servigi di un terzo polo neutralizzante che ha la funzione di modulare il tutto. Questo dipolo energetico che in fisica è rappresentato da positroni ed elettroni con l’ausilio nei neutroni, spiega l’arco esistenziale in cui l’uomo fin da bambino inizia a costruire e distruggere continuamente, per poi fermarsi e ricominciare in un equilibrio assai precario alla ricerca della perfezione. Per cui ogni organismo, può farsi trovare impreparato a certi appuntamenti e subire maggiormente la colonizzazione da parte di microorganismi patogeni che siano virus, batteri o funghi.
E forse più del contagio fisico, quello che preoccupa è il contagio emotivo, lo svilupparsi di mancanza di empatia, tipici di ogni pandemia a prescindere dal secolo in cui si manifesta. L’ottica dell’altro come possibile untore, appartiene alla cultura ed alla filosofia del sospetto che da sempre attanaglia il mondo con le sue rivoluzioni cicliche che non sortiscono mai il vero cambiamento, poiché sono dimentiche di comprendere il sé nel movimento che si vuole generare nel cambiamento agognato.
Non è dunque difficile immaginare come le prede ideali di questi virus appaiono essere tutti quei soggetti che stanno sperimentando in vario modo la condizione del vivere morendo o quella del sopravvivere giorno per giorno, in rapporto ai problemi della immigrazione, della povertà, dell’indifferenza sociale, di disastri ambientali, della cattiveria, dell’odio, dei conflitti, della depressione, dell’apatia senile cosi legata all’abbandono relazionale e di tutto quello che sia psicologicamente che fisicamente produca una condizione di prostrazione. All’origine di alcuni contagi e malattie c’è sicuramente l’assenza di un buon attaccamento, di un holding sociale soddisfacente, la frantumazione dei valori familiari, in sostanza l’essere immersi in un mondo devitalizzato ed asfittico, in cui non è cosi difficile ai primi attacchi del virus smettere di respirare . Il Virus è forse il pretesto, d’una vita che ha perduto mordente e diritto all’entusiasmo, che non crede più ad illusioni e sogni, ormai sprofondata in quel reale che non lascia più spazio ad alcuna idealità. Viviamo una vita troppo delusa dall’impossibilità di continuare a riproporre un passato ormai lontano ed inutile, in cui un presente inconsistente, insopportabile ed indecifrabile e del quale non riesce più ad accontentarsi, lascia spazio ormai alla sola paura del futuro, configurando per sé quegli orizzonti Leopardiani che si stagliano cosi prepotentemente nell’opera maiuscola Canto notturno di un pastore errante dell’Asia: “Nasce l’uomo a fatica. Ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento per prima cosa; e in sul principio stesso la madre e il genitore il prende a consolar dell’esser nato.” L’indifferenza è forse il principale dei fattori alla base della cessazione della ragione ideologica dell’esistere che cosi fortemente viene impressa nel disagio della civiltà contemporanea, tutta impegnata a tentare di migliorare la propria condizione, attraverso la ricerca dell’agio e delle ricchezze, che ha subito una forte accelerazione nell’ultimo secolo, con la determinazione sociale di una sproporzione delle risorse economiche, non ben condivise con tutti i popoli della terra. Il risultato è che tutti sono contro tutti e nessuno è mai felice e soddisfatto, se non apparentemente e temporaneamente, forse perché non siamo ben attrezzati culturalmente e scientificamente al punto da riuscire a fornire strumenti indispensabili alla convivenza umana. L’ottimismo della ingenuità non appare sufficiente e ben più corposa sembra essere la necessità di una consapevolezza che porti ad una corretta analisi della società in cui si è immersi, riconoscendo il valore delle fondamenta biologiche che uniscono indissolubilmente gli esseri umani e le priorità legate alla rinuncia ai comportamenti violenti sociali, in favore dell’accrescimento della cultura del rispetto, dell’empatia e della non violenza che secondo Gandhi è l’arma dei cuori forti ed una nuova forma di lotta che assomiglia assai più alla pace ed ai sogni. Quali possono essere i sogni oggi in un epoca che abbraccia la prospettiva del se morire è impossibile che contiene pure l’incapacità di vivere pienamente l’esistenza e che vede l’uomo impegnato a sopportare la vita stessa. Ma se l’essere è, come può diventare nulla e dunque morire potrebbe significare nella logica fisica di un passaggio di stato, letteralmente passare a miglior vita, divenire eterni e questo al di la delle umane necessità di doversi sentire immortali per poter sopravvivere all’idea incombente del morire, perché come asserisce Freud “la meta della vita è la morte” o meglio alla vita segue la morte e ciò rappresenta una certezza, nel momento in cui si vede morire il proprio Padre, atto che consente al soggetto di poter accedere alla ineludibile dimensione del morire, che apre le porte all’imprescindibilità del dover rinascere attraverso un movimento di rinnovamento esistenziale. Questo percorso di rinnovamento esistenziale che arriva sempre nella vita dopo ogni crisi o superamento del conflitto tra principio di piacere e principio di realtà, è poco accessibile al soggetto nevrotico occupato a celare al mondo la propria incapacità di amare se stesso, la vita, il mondo, dominato dalla paura di essere pienamente se stesso. Tutto appare minaccioso e necessitante di controllo, per cui tutto si transla sul corpo che perlopiù appare teso, contratto sul piano motorio, con torpidità sul piano sensitivo e sensoriale, con assenza dello sguardo a volte o modalità occhi spenti , ed infine respirazione superficiale come se tutto debba non svolgersi se non in modo superficiale, per non rischiare di dover percepire il proprio essere.
Tale paura di vivere che include quella di morire, determina il meccanismo alla base dell’esigenza di controllare e/o dominare la vita, poiché sarebbe un’esperienza spiacevole e rischiosa l’essere trasportati da emozioni e soprattutto il mostrarle. Se il motto di quest’epoca è si può fare o meglio si può fare di più , diventa improbabile per un nevrotico riuscire ad essere, ad essere di più! Questo fare di più che si porta dietro il sentire di meno, è assai attinente alla condizione nevrotica, per cui si punta tutto sull’essere bravi e ad ottenere risultati nel piano del fare e dell’avere. A ciò consegue quasi automaticamente il fallimento della dimensione dell’essere, generante l’angoscia esistenziale che innesca un circolo vizioso che rende vani tutti gli sforzi di riuscire ad essere pienamente se stessi, in questa beata discrepanza in cui il soggetto è realizzato, stimato, apprezzato ma non amato, in quanto egli stesso non riesce ad amarsi per quello che è. La Nevrosi diviene quasi un destino per l’uomo moderno imprigionato in una cultura che ha come valori principali il successo ed il potere e che se perseguiti determinano la rinuncia all’essere, al piacere, alla serenità e dunque si genera un conflitto interpersonale ed intrapersonale, scatenando continue guerriglie interiori e verso quegli altri che vorrebbero scalfire la parte razionale del soggetto o al contrario sollecitare oltremodo la parte istintuale ed emozionale, facendo spesso l’errore di considerare come valori assimilabili il potere ed il piacere, come se il potere potesse servire su un piatto d’argento il piacere stesso. Il potere in ogni realtà laddove si mostra, genera una vis schizofrenogena o separatrice e tutti devono obbedire alla logica del dover essere superiori, prevalere e raggiungere una piattaforma stabile in cui tutto deve rimanere costante, rifuggendo ogni desiderio di cambiamento, con un progressivo addomesticamento di tutte le istanze volte ad una qualità della vita, delle relazioni. Anche se, appare infantile per far parte di un determinato sistema che il soggetto pur manifestando alcune resistenze, desideri conformarsi a queste esigenze per ottenere l’approvazione di chi manifesta il potere, illudendosi d’esserne oggetto d’amore, dal momento che chi gestisce il potere lo fa in modo strategico, prendendo a prestito la locuzione romana del divide et impera e ciò avviene a tutti i livelli, professionali, sociali, politici, per evitare che il soggetto cresca, sia autonomo e consapevole e dunque al riparo da richieste, imposizioni, etc.. Attraverso l’amore e la comprensione il soggetto può apprendere corrette abitudini e regole della propria cultura senza veder soggiogato il suo spirito, anche se spesso accade che il processo di adattamento verso la cultura possa indebolire la personalità, e suscitare timore esistenziale. In tutto ciò, appare di rilevante importanza la questione del controllo della sessualità, in una società basata su regole e legami, le restrizioni e la normalizzazione, considerando che si ha a che fare con soggetti inclini alla gelosia, al possesso ed al comportamento violento, associando spesso ai sentimenti ed al desiderio sessuale, l’idea di tabù e di vergogna, con secondaria interiorizzazione del conflitto.
Ciò avviene per l’Edipo, per cui il soggetto bambino è considerato rivale dal genitore dello stesso sesso, con la conseguenza che anche se in assenza d’incesto, avviene la nascita della sensazione più spiacevole con cui il soggetto fin da bambino dovrà fare i conti: il senso di colpa. Ed è proprio il senso di colpa che insegna al soggetto un meccanismo di difesa che poi sarà da questi largamente abusato: la rimozione. Se la rimozione tuttavia è incompleta, il soggetto annega nella nevrosi, palesando oltre ai conflitti psichici, vari disturbi neurovegetativi a carico della respirazione, della frequenza cardiaca, della sudorazione, della motilità intestinale, della risposta orgasmica all’attività sessuale. La psicosi è tutt’altra cosa dalla nevrosi. La separazione mente-corpo è ormai avvenuta, come su due rette sghembe senza più possibilità di contatto, il soggetto interagisce col mondo in maniera scissa per cui, diviso in 2 o più parti, si muove in modo disorganizzato perlopiù, mostrando quegli aspetti antitetici della personalità che la Nevrosi invece si affanna a nascondere. Viaggia cosi con gli istinti pronti come vele spiegate e ogni tanto cerca rifugio in manifestazioni deliranti e dispercettive dell’io. Ormai divenuta psicotica e frammentaria, la società attuale mostra da un lato la propensione a vivere negli individui in maniera incontrollata gli istinti, manifestando la propria anima animalesca, a tratti predatoria e/o cannibalesca, per una voracità di potere e successo che si misura in termini di ricchezze materiali(paesi industrializzati), cui corrisponde un’esigenza emotiva e spirituale insoddisfatta a causa dell’impoverimento della loro vite interiori, costringendoli a vagabondare senza sosta sul pianeta, in modo sradicato e senza pace, tutti alienati e carichi di inutili fardelli e/o sensi di colpa. Un uomo moderno costretto a tatuare sul corpo il tempo che passa, intento a volte in tribalismi e votato a tutte le forme di sperimentazione tranne che ad una, perché non trova più accesso al suo cuore e a quelle emozioni speciali dell’amore, talmente energetiche che possiamo definirle cibo per vivere e per morire. E forse questa è la ragione dell’ansia che accompagna la vita dell’uomo moderno, un’ansia indefinibile, incolore e sine causa, uno stato di allarme continuo che sta li e ci guarda come fossimo degli idioti che non riescono a comprendere nulla di quello che accade. A volte si può incorrere nella tentazione di pensare che dietro tutte le cose ci sia una regia occulta che manovra tutte le cose e che voglia nascondere quell’immensa voglia di vivere che ogni essere umano partorisce ogni volta che viene al mondo e che poi per una ragione o per un’altra viene a scemare e l’ansia è li per dirci che stiamo sbagliando strada anche se lo fa in modo strano a volte incomprensibile, petulante e quasi sempre inaccettabile, come invano tenta di suggerire il cambiamento il Grillo Parlante a Pinocchio, nella Favola di Collodi. E già quest’ansia sembra far morire prima di morire ma ci proietta cosi fortemente nel ventre del vivere che diviene assai fastidiosa, mentre ci urla nelle orecchie continuamente la pulsione vitale che stiamo lasciando alle spalle, per cui se c’è una cosa da non temere questa è l’ansia, perché ci ricorda di vivere . In fondo la vita è solo questione di tempo, il tempo per nascere, per crescere e per morire, ma tutto questo tempo non ha per nulla i caratteri dell’ordinarietà perché è un tempo speciale, immenso e straordinario ed è per questo che è una cosa seria il vivere ed è soprattutto per questo che non possiamo prendere tutto troppo sul serio e dimenticarci che la cosa più importante nel ventre del vivere è la spensieratezza tipica dell’infanzia, dominio di scarso appannaggio dell’età adulta, tanto simigliante al fanciullino di Pascoliana memoria, ossia in ultima analisi, la gioia che deriva dall’amore di essere.
TI AMERAI
Amerai te stessa
ogni volta che abbraccerai più alberi di quanti ne lascerai abbattere
ogni volta che i fiori saranno tuoi lasciti a prati e giardini
ogni volta che garantirai il volo agli uccelli
ogni volta che racconterai le tue avventure alla luna e alle stelle.
Amerai il diritto di amare e d’essere amata
ogni volta che ti fermerai colta da stupore
a ringraziare il sole che nasce e che sfuma dietro i monti
meglio star con te che avventurarti su sponde secche di conforto
di fiumi carichi di promesse d’amore e di gloria.
Amerai la piccola sorgente che cresce in te
nessuno ti deluderà se tu non ti deluderai per prima
né perderai forza d’andar di miraggio in miraggio fino all’oasi finale
dentro di te cerca e trova la lanterna che guiderà il tuo viaggio
guardati con amore potresti essere la Via.
Ti amerai.
a cura di ANTONIO LERA
(Neuropsichiatra, Psicoterapeuta, Scrittore, Candidato al Nobel per la Letteratura 2020, Docente di Psicologia dello Sviluppo e Psicologia dell’Educazione presso l’Università degli Studi de L’Aquila)