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CAPACITA’ DI ENTRARE IN EMPATIA-DOTT.SSA SILVANA DI FILIPPO

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La dimensione facilitante nella relazione di aiuto è senza dubbio costituita dal mondo dell’empatia.

Redazione-Compito essenziale della relazione d’aiuto è quello di facilitare l’autoesplorazione dell’utente, attraverso la percezione accurata delle sue emozioni e del contesto nel quale si verificano. Chi chiede aiuto deve essere stimolato ad assumersi la responsabilità delle proprie esperienze e ad entrare in contatto con il proprio mondo. Nella relazione di aiuto questo accade con comunicazioni verbali, ma anche con espressioni non verbali. Sono richiesti quindi, all’operatore, oltre alla capacità empatica, altri comportamenti che si possono ritenere facilitanti delle relazioni interpersonali. Queste dimensioni sono definite ‘facilitanti e, conseguentemente, l’operatore è definito un ‘facilitatore’ delle relazioni sottendendo, con questo termine, anche il ruolo e la funzione dell’operatore di una situazione interpersonale o in un contesto d’aiuto. Esistono, dunque, alcune caratteristiche che facilitano la riduzione della difensiva nell’utente. Queste, se utilizzate nella prima fase della relazione di aiuto, permettono di conferire all’operatore una base solida dando spessore alla qualità del rapporto stimolandone il coinvolgimento.

L’operatore costruisce le basi della sua relazione con l’utente, oltre che attraverso l’empatia, per mezzo della cordialità e del rispetto.[1]

(…)Il rispetto è la dimensione che fa riferimento all’apprezzamento dell’altro per il solo fatto di essere una persona e, per questo, degno di considerazione. Il rispetto cresce e si sviluppa con il procedere della relazione,se riusciamo a comprendere l’unicità dell’utente e se apprezziamo i suoi sforzi nei molteplici aspetti della sua vita. Senza il rispetto da parte del consulente per alcune caratteristiche chiave del cliente, l’aiuto non è possibile. [2] (…) La cordialità , altra dimensione facilitante basilare, è trasmessa soprattutto attraverso la comunicazione non verbale e nasce dal prendersi cura dell’utente. La cordialità potrebbe essere definita  come l’espressione fisica dell’empatia e del rispetto e la sua comunicazione avviene attraverso una vasta gamma di canali non verbali.(…) La comunicazione non verbale garantisce validità a quella verbale. Quando i messaggi sono in contraddizione, infatti, è più frequente che si creda ai non verbali piuttosto che a quelli verbali. [3](…)Un operatore empatico si muove con delicatezza, sensibilità e accuratezza, in modo che, anche se commette degli errori, questi non sono avvertiti in  modo incongruente, ma sono riscattati dal carattere provvisorio delle affermazioni. Il suo tono di voce è intenso e riflette la serietà, la profondità e la coerenza del suo contatto empatico.

Egli riesce a correggere le sue risposte prontamente, evidenziando la consapevolezza di ciò che va cercando e di cui sta parlando nelle sue esplorazioni con il cliente. L’empatia con il cliente si dimostra anche attraverso i tentativi sperimentali del consulente e l’esplorazione degli errori.

(…)Prestare attenzione al cliente facilita il coinvolgimento nel processo d’aiuto. Questa fase serve a comunicare un profondo interesse e richiede la capacità di comunicare un’attenzione totale e incondizionata. L’attenzione passa attraverso le tre dimensioni dell’osservazione, dell’ascolto e dell’attenzione fisica.

Il processo di aiuto prosegue con la fase del rispondere. Essa richiede che l’operatore sappia entrare nello schema di riferimento dell’altro. Questo momento dell’aiuto è quello in cui le dimensioni facilitanti, come l’empatia, sono più importanti.

L’abilità dell’operatore nel rispondere accuratamente favorisce nel cliente l’esplorazione del vissuto interiore.

La fase successiva della relazione d’aiuto è quella in cui il consulente passa a personalizzare le esperienze dell’altro: fare in modo che l’utente riconosca la responsabilità e l’appartenenza dei propri contenuti.

La personalizzazione dei contenuti del cliente facilita la comprensione del problema in rapporto alla loro attuale situazione e la loro trasformazione in obiettivi futuri.

La fase, nella quale le esperienze dell’utente sono filtrate attraverso quella dell’operatore  è la fase dell’iniziare. In questo momento del processo di aiuto, l’operatore e l’utente stabiliscono gli obiettivi, sviluppando i programmi, fissando le scadenze e i rinforzi, preparano la realizzazione dei passi necessari e i momenti di verifica.

Questa fase facilita il cliente nel passaggio dalla fase della comprensione a quella dell’azione. Dal punto di vista dell’utente, quindi, si può delineare un processo di elaborazione interpersonale che passa attraverso le fasi del coinvolgimento, dell’esplorazione, della comprensione e dell’azione.

Il processo di aiuto si sviluppa con un andamento a ‘spirali crescenti’ che ricalcano il cambiamento e lo sviluppo personali[4]

Per dare rilievo ai possibili significati presenti nel flusso esperienziale dell’altro, bisogna aiutarlo a focalizzare questo utile tipo di referente: il flusso, al fine di esperire i significati in modo più pieno e andare così avanti nella costruzione del sé.

Risulta chiaro, dunque, perché l’empatia non può essere considerata uno stato: essa deve essere necessariamente intesa come un processo poiché ha il compito di ‘insegnare’ un altro processo: quello del flusso dell’esperienza che si dispiega momento per momento. Del resto, ‘solamente quando il terapeuta può cogliere l’esperienza che, momento per momento, si svolge nel mondo più intimo del cliente, senza tuttavia perdere la propria identità, molto probabilmente si verifica la modificazione della personalità. [5]

Le persone abili nella comunicazione sono fortemente empatiche, si pongono costantemente delle domande precise, tipo:

  • “Se io fossi al posto del mio interlocutore ( o dell’uditorio) che cosa potrebbe interessarmi di quella presentazione?” Una domanda così semplice permetterebbe a molti oratori di snellire le proprie presentazioni focalizzandosi sul “cosa interessa agli altri”, anziché sul “ cosa mi piace raccontarvi”.
  • “Quali sono i bisogni del mio interlocutore che possono essere soddisfatti o stimolati dalla presentazione?” Per esempio: se un insegnante deve aprire una lezione e il suo obiettivo è quello di ottenere la massima attenzione e il massimo apprendimento, su quale bisogno degli studenti può fare perno? Probabilmente sul tempo libero.

Un approccio di questo tipo, non richiede tematiche particolari ,ma solo un po’ di empatia. In ogni caso identifica una proiezione comunicativa sugli interlocutori, sul loro profilo, sui loro bisogni, sui loro interessi.[6] L’atteggiamento empatico presuppone nell’operatore una disponibilità emotiva che gli deriva da un uso di Sé e dei propri meccanismi interattivi consapevoli.[7]

L’empatia è il filo conduttore del lavoro sociale: è quella capacità di essere con/nell’esperienza umana tale da trasmettere una profonda comprensione dello stato d’animo dell’altra persona.

Essere empatici, consente di dare la netta percezione di essere apprezzato, non giudicato: di essere dentro il concetto di accoglienza. Nelle relazioni di aiuto, questo fenomeno si traduce in strumento efficiente ed efficace, capace di identificarsi come potente forza di cambiamento personale e sociale.

Il primo elemento dell’empatia è l’empatizzante, rappresentato dall’operatore  che è colui che trasmette empatia. Il secondo elemento è riconducibile all’empatizzato, cioè l’assistito, che è colui che richiede un colloquio o riceve un servizio.

Nelle relazioni umane e sociali l’empatia  ri/conduce alla ri/conoscenza  e alla valenza di un’operatività efficace in forza di detto elemento che rappresenta il baricentro di una produttiva relazione di aiuto.  L’empatia dimostra costantemente domande rivolte a se stessi,del tipo: “Se fossi al suo posto, quali potrebbero essere  le mie aspettative? Cosa vorrei che il mio interlocutore facesse per me? Quali sono le sue necessità? Ecc.”.

E’ la capacità di comprendere e sentire i sentimenti di un’altra persona. La comprensione empatica è un atteggiamento di comprensione dell’altro nei limiti delle proprie possibilità di accettazione. E’ uno dei compiti più  impegnativi del lavoro assistenziale ma è destinato a dare frutti  abbondanti, tali da ripristinare l’equilibrio  tra il dare ed il ricevere, quasi nel momento stesso in cui si dà. Una relazione d’aiuto diventa terapeutica, quando contiene uno sforzo di comprensione dell’esperienza vitale della persona, per un movimento profondo e sincero di empatia, possibile solo in condizioni di maturità affettiva. Ogni falla  nel rispetto dell’assistito, come persona, paralizza la possibilità di essergli d’aiuto, di collaborare  con lui, fino ad  arrivare ad un peggioramento, se questi non trova il modo di comunicare i suoi bisogni ad un orecchio capace di ascoltarlo e capirlo.

    Per empatia si intende la capacità di comprendere quello che prova e sente un’altra persona, di mettersi nei suoi panni . L’empatia è un fenomeno prevalentemente cognitivo, mentre la simpatia è un fenomeno prevalentemente affettivo. Nel mondo dell’empatia avviene l’esatto opposto di quanto avviene nella simpatia o nell’antipatia, in cui non ‘si sente’ l’altro ma esclusivamente se stessi.

Essere empatici significa rimuovere sentimenti di antipatia o simpatia, e vedere le cose dal punto di vista della persona che abbiamo di fronte. Mettere sentimenti di questo tipo nella relazione interattiva, significa non entrare in empatia con l’altro. Riuscire nell’impresa empatica significa avere capacità professionali che consentono di ‘entrare nell’altro’ durante la relazione di aiuto, e tornare se stessi alla fine del rapporto di aiuto.

L’empatia è una capacità che non si impara, ma un tratto psicologico innato. Eppure l’Assistente che ha da prendersi cura della persona da assistere non può prescindere dal riflettere su quel complesso di tensioni e di attese che sono proprie del mondo dell’Assistito e dal diventare il più possibile consapevole delle proprie emozioni e capace di dare un senso alle proprie esperienze e al rapporto umano  con l’assistito.

    L’Operatore del sociale, deve mettersi dal punto di vista dell’Altro per realizzare un rapporto empatico, ovverosia basato sul fatto di capire come l’altro vede e vive il suo problema. L’atteggiamento empatico presuppone nell’operatore una disponibilità emotiva che gli deriva da un uso di sé e dei propri meccanismi interattivi consapevole e funzionale, e quindi il superamento di barriere difensive e di rigidità dal raggiungimento di un certo livello di sicurezza di sé e di fiducia nelle proprie capacità professionali; in definitiva un’immagine positiva di sé come professionista, fondata sulla consapevolezza della propria competenza. Se l’operatore è capace di accettare tutti i suoi sentimenti, siano essi  corretti o negativi, se è abituato ad essere chiaro ed autentico, sarà capace di sentire e comprendere anche i sentimenti dell’Assistito. Sarà in grado di sviluppare un atteggiamento empatico. C’è comprensione empatica quando ci si sa mettere nei panni dell’altro e si percepisce la realtà come lui la vede e la sente, senza operare selezioni in quello che ascolta. Per riuscire a comprendere il vero significato che l’assistito attribuisce alla sua comunicazione è necessario recepire in modo empatico quello che viene detto.

Bibliografia: Opera di Silvana Di Filippo,La forza del sociale nella comunicazione interattiva.Metodo e tecnica del colloquio psicosociale.Ed.Eco,Isola del G.Sasso(Te)Abruzzo,2008,pp:51,52,53,54,55.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] Federico Fortuna e Antonio Tiberio Il mondo dell’empatia, Franco Angeli,2002,Pag. 46

[2] Carkhuff R.R., Helping and human relations. A primier for lay and professional helpers (vol.I): selection and training, New York, Holt, Rinehart and Winston, 1969.

[3] Watzlawick P., Beaving J.H., Jackson D.D. (1967), Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi delle patologie e dei paradossi, Roma, Astrolabio-Ubaldini, 1971.

[4] Cfr. 68-70 IL MONDO DELL’EMPATIA di Federico Fortuna e Antonio Tiberio, Franco Angeli,2002 – ulteriori approfondimenti Crkhuff R.R. (1987), L’arte di aiutare, Trendo Ed. Centro Studi Erickson, 1987.

[5] Cit. a pag. 69 nota 10. Rogers C.R.(1962) ‘L’essenza di una relazione d’aiuto’, in Rogers C.R., La terapia centrata sul cliente.

[6] Cfr. p. 18 Cesare sansavini, Parlare in Pubblico, Demetra,Firenze, 2003

[7] Cfr. F. Ferrario.”La dimensione dell’ambiente nel processo d’aiuto”, in “Il servizio sociale come processo d’aiuto”, Coordinamento docenti di Servizio Sociale,Ed. F. Angeli, Milano, 1988. F. Ferrario, G. Gottardi, “Il territorio e Servizio Sociale”, Ed. Unicopli, Milano, 1987

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