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” RITA DA CASCIA ” – PROF.SSA GABRIELLA TORITTO

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Redazione- Nel quattordicesimo e quindicesimo secolo l’Italia e tutto l’occidente europeo conobbero un periodo difficile per la storia della Chiesa. La situazione generale presentò aspetti molto critici a causa del trasferimento del papato ad Avignone. L’insediamento dei successori di Pietro in Francia fu foriero di difficoltà ed incertezze che si vennero a determinare in particolare nella città eterna, Roma, e di lì in tante diocesi italiane e d’oltralpe.

Anche il clero regolare avvertì il contraccolpo determinato dall’assenza dei pontefici da sempre collocati nel cuore dell’Italia e in quel momento si sentì abbandonato alle fazioni cittadine e agli odi baronali, causa di continui e lunghi conflitti.

Il ritorno dei pontefici a Roma e il conseguente scisma inaugurò un periodo di ulteriore aggravamento della situazione storica e politica, destinata a non sanarsi fino alla metà del XV secolo, quando una chiesa ormai modificata rispetto a quella dell’età medioevale riprese con maggiore stabilità la sua azione sia in Roma sia in altre zone della penisola. Inoltre la crisi dell’impero bizantino, il profilarsi del “pericolo turco”, con le sue ripercussioni continentali e mediterranee, e lo sviluppo degli Stati nazionali alimentarono ulteriori instabilità e inquietudini difficilmente superabili.

Malgrado il disordine sopra esposto, lo scisma, la presenza contemporanea di due o tre pontefici, le attività pastorali continuarono ad essere implementate con ordine e con fervore nei monasteri, nei conventi, nei pievi e nelle parrocchie urbane. Furono gli stessi vescovi a promuovere quasi sempre le attività religiose. In loro assenza, quando essi risultarono impegnati nei lunghi concili indetti e furono costretti a lasciare per periodi non brevi la consueta attività pastorale, le diocesi furono rette dai vicari, i quali riuscirono spesso a far sì che i fedeli, soprattutto quelli dispersi nelle campagne e nelle zone meno popolose, non fossero abbandonati a se stessi. Pertanto la vita di base della cristianità poté continuare a reggersi saldamente e proseguì nonostante i tanti problemi destinati a sconvolgere i vertici della Chiesa.

Tra la fine del quattordicesimo secolo e la prima metà del quindicesimo addirittura vi fu un clero zelante ed esperto, non molto colto ma pronto a soccorrere le necessità delle singole parrocchie, delle confraternite, delle strutture ecclesiastiche primarie, assai numerose ed attive in quel momento storico. Quel clero garantì la cura delle anime e non avvertì i problemi posti dal conciliarismo e dalle grandi assise di Costanza e di Basilea.

Il quattrocento si distinse anche per la presenza operosa di un associazionismo laico, riconducibile spesso a ordini sacerdotali vecchi e nuovi, oltre che per l’attività di parroci e monaci e per l’impegno pastorale diffuso e presente nelle città e nelle zone rurali. Si infittirono le confraternite e i terzi ordini ispirati ai Francescani, ai Domenicani, ai Carmelitani, ai Serviti e agli Agostiniani.

Collegata agli Agostiniani, nel quindicesimo secolo vi fu una mistica, originaria di Roccaporena, nell’Umbria settentrionale: Santa Rita da Cascia.

Nacque fra il 1380-1381. Morì sempre a Cascia nel 1457, il 22 maggio, giorno in cui ancora oggi si festeggia il suo nome.

I suoi genitori, Antonio Lotti e Amata Ferri, le trasmisero il profondo senso religioso da cui fu animata e che la condussero alla santità.

Fin da ragazza Rita avvertì il desiderio di consacrarsi a Dio e di entrare nell’Ordine agostiniano ma obbedì ai genitori, che secondo le consuetudini del tempo la vollero sposa e madre, dandola in moglie a Ferdinando, uomo dal carattere collerico ed inquieto.

Rita, con calma e determinazione, tentò di cambiare l’indole del marito ed in parte vi riuscì, allontanandolo dall’ambiente rissoso frequentato.

Dal matrimonio nacquero Giacomo Antonio e Paolo Maria, cresciuti da Rita con grande amore.

Rita governò la sua casa con sicurezza, senza paure o rassegnazione, forte e costante nella fede e nelle pratiche religiose. Purtroppo ogni suo sforzo non riuscì a ribaltare la situazione familiare che assunse pieghe drammatiche.

Dopo alcuni anni di matrimonio il marito Ferdinando fu ucciso in un agguato, vittima di odi e risentimenti di varia natura. Rita reagì senza disperarsi. Addirittura perdonò pubblicamente gli assassini del coniuge e si impegnò con tutta se stessa per infondere nell’animo dei due figli sentimenti di compassione e pietà cristiana. I due giovani però, crescendo, manifestarono lo stesso carattere del padre ed esternarono a più riprese la volontà di vendicare il genitore ucciso. Dinanzi al prepotente desiderio di vendetta dei figli, Rita si rivolse a Dio perché se li riprendesse pur di non vederli moralmente e spiritualmente “persi”.

Accadde così che, come hanno raccontato in modo corrispondente le “Vitae”, i due giovani, prima che commettessero alcun misfatto, morirono, l’uno dopo l’altro, colpiti da un male.

L’ennesimo duplice lutto non sconvolse la fede di Rita. Ella con grande coraggio e con calma accettò anche l’ulteriore dura prova in cui intravide una risposta di Dio alle sue preghiere, concludendo che se i figli avessero potuto salvarsi, l’Onnipotente li avrebbe convertiti in vita. Mentre a fronte di un destino di perdizione Dio li allontanò dal mondo prima.

Il dolore fu grande ma diede senso e nuovo conforto alle sue preghiere, tanto che si convinse ad abbracciare quella vita religiosa, tanto desiderata da ragazza.

Entrò nel monastero agostiniano di Cascia e in breve tempo e in modo sorprendente riuscì a divenire fruitrice del culto e del magistero agostiniano. Non ancora paga, nonostante le giornate ricche di preghiere e meditazione, tese con tutta se stessa ad un modello di perfezione religiosa e chiese al Signore ripetuti segni che la indirizzassero ad un impegno totale ed irreversibile e che, attraverso un sacrificio, la ponessero in rapporto con il Soprannaturale.

Le “Vitae” ci hanno tramandato che Rita si appellò al Signore per ricevere una prova, un segno concreto e tangibile del suo rapporto con il Divino, e chiese a Gesù una spina della sua corona, destinata a trafiggerle la fronte. I dolori che ne scaturirono furono acutissimi ma accettati con amore.

Meno certo è un altro prodigio che si narra sul suo conto. E’ meno certo poiché non vi sono rispondenze nelle narrazioni a noi pervenute ed è relativo a quando la Santa, in attesa del permesso per l’ingresso nella sede religiosa prescelta, nonostante il portone serrato, dopo un’ardente preghiera recitata fuori da quelle mura religiose, si ritrovò proiettata all’interno del monastero in modo inspiegabile e miracoloso.

Nel 1450 Rita volle recarsi a Roma In occasione della Giubileo che a metà della quindicesimo secolo richiamò ancora nella città dei papi una grande moltitudine di fedeli. A glorificare il nuovo Giubileo convennero nella città eterna, fra gli altri, 4000 frati francescani, San Giovanni da Capestrano, San Giacomo della Marca, San Diego d’Alcalà, tutti confusi in San Pietro fra la folla gioiosa e festante. Fra i tanti presenti vi fu anche Rita, a cui durante il viaggio e la permanenza presso la sede degli Apostoli si sanò e si rimarginò la piaga sulla fronte per aprirsi nuovamente una volta rientrata a Cascia.

In Umbria la Santa riprese la sua esperienza di preghiera e di sacrificio che si concluse il 22 maggio 1457, giorno della sua morte.

La canonizzazione fu voluta da papa Leone XIII il 24 maggio 1900 e la sua festa venne fissata per il 22 dello stesso mese.

Ulteriori trattazioni potrebbero esaltare in modo completo le eroiche sofferenze di Rita ed esse potrebbero essere considerate come esaltazione e fanatismo difficilmente accettabili almeno sul piano storico. Comunque si è voluto porre in evidenza ancora una volta la decisa fermezza di questa donna, che fra il Trecento e il Quattrocento riuscì a ricostruire la vita che fin da fanciulla aveva sognato e che seppe realizzare, senza indulgere in alcun pietismo.

Di Rita va anche sottolineata la convinzione con cui interpretò i suoi doveri di sposa e di madre a cui fu avviata, senza che essi costituissero la ragione primaria della propria esistenza, cercando sempre di compiere con decisione il suo dovere in modo del tutto attivo.

Una volta entrata nell’ordine agostiniano, Ella si sentì obbligata a sacrificarsi in grado eroico e al contempo a non rinchiudersi fra le mura monastiche. Infatti continuò a mantenere i contatti con il mondo sino a quando si recò a Roma in occasione della predetto Giubileo.

Ecco dunque una donna esemplare, consapevole dei suoi obblighi e del posto che occupò nella società e nella Chiesa con dignità e con amore.

F.to Gabriella Toritto 

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