IL PIACERE DI PARLARE IN DIALETTO-DOTT.SSA MONIA CIMINARI
Redazione-Secondo recenti dati diffusi dall’Istat a fronte di report mirati sulle lingue, l’italiano, tutto sommato, si mantiene stabile, diminuisce invece l’uso del dialetto, mentre aumenta la diffusione delle lingue straniere e dei linguaggi social network tra i giovani.Il regime fascista potenziò fortemente il disprezzo per il dialetto, in quanto favorire l’uso del dialetto era considerato in contrasto con le direttive spirituali e politiche del regime, rigidamente unitarie. Il regionalismo e i dialetti erano ritenute espressioni marginali e residui dei secoli di divisione e di servitù. Nel secondo dopoguerra il dialetto suscitò l’interesse degli intellettuali e degli artisti più sensibili tra cui Luchino Visconti, Ignazio Buttitta, lo stesso Pasolini. L’uso del dialetto riavviava a una scelta di campo culturale e politica. Negli anni sessanta e settanta la cultura giovanile di protesta assunse il dialetto come forma di contestazione: ”Mo che il tempo s’avvicina” fu la testata di un giornale di origine sessantottina. Successivamente e, direi attualmente, i mass media con tutte le loro forme di comunicazione, gerghi in codice, rischiano di appiattire e sommergere registri linguistici locali. Già, il padre della pedagogia, Jean Jacques Rosseau notava: “ per insegnare il latino a Giovannino non basta conoscere il latino, bisogna conoscere Giovannino” nel suo contesto di vita e nelle sue origini. Occorre, dunque, fare qualcosa, non possiamo lasciare che le nostre tradizioni spariscano. Ad ogni modo, nonostante non conosca molti modi di dire, con mia figlia parlo in dialetto. Certe espressioni sembrano più efficaci quando je dico che essa ad’è la vella de mamma e che je vojio tando vene. Peccato però, se parli ai tuoi figli in dialetto, quando arrivi all’asilo disimparano tutto e a scuola, se parli in dialetto, tirano su il naso e se continueremo così, con queste tendenze, non insegneranno più niente e si comunicherà solamente con wattsapps. Comunque nella scuola dove ho fatto tirocinio io ho sentito alcuni bambini stranieri dire tra loro
alcune parole nel gergo, come: “questo me piace o passame la penna…”, quindi il dialetto fa anche integrazione. E’ stata interessante anche un’iniziativa che ho avuto modo di fare con un’associazione locale con cui collaboro, che si chiama “donne di carta”. Quest’associazione culturale no profit, diffusa in tutta Italia, cerca di promuovere il piacere del libro e della lettura, rifacendosi al romanzo fahrenheit 451 di fantascienza di Ray Bradbury. Ambientato in un imprecisato futuro, per me molto attuale, si descrive una società dispotica in cui leggere o possedere libri e considerato un reato, per cui, così facendo, molti libri vengono bruciati. Se vuoi avere un libro lo devi imparare a memoria. In questo c’adoperiamo noi, impariamo bra ni di libri, poesie, racconti a memoria, come abbiamo fatto con il libro della Vergara, di Deborah Iannacci. Essa rappresenta la matrona che ha il governo della casa nel retroterra marchigiano. È stata, veramente, una bellissima esperienza condividere la mente, le ricette, la laboriosità, l’ingegno della Vergara in un’agenda libro che accompagna ogni donna e ogni mamma per tutto il corso dell’anno, in cui poter scrivere considerazioni, desideri, suggerimenti: perché la Vergara ci sa fare, ci sa prendere per la gola, con la sua arte culinaria del buon cibo. Uno dei suoi dolci preferiti è il frustingo che è un dolce tipico marchigiano a base di frutta secca e fichi, in ascolano è detto frestingè, in fermano frustingo, in maceratese frostingo e nel pesarese bostrengo. Si racconta che il frustingo sia il più antico dolce di Natale, al punto di essere più remoto del Natale stesso e, che la sua ricetta, che risale a più di duemila anni fa, sia passata dalle mani etrusche a quelle picene. Il frustingo era quindi un pane povero e sostanzioso, apprezzato anche dai romani, che lo chiamarono panis picentius, ed è stato anche oggetto di interesse di Plinio, il quale descrisse come veniva consumato nel latte mielato. Di questa conoscenza ne ho fatto tesoro e l’ho portata a scuola e, in occasione di una lezione, mi sono attivata per trasmetterla ai bambini, unendo le tradizioni culinarie a qualche parola di dialetto con i numeri delle ricette, il gusto della pratica,