IL METODO SOCRATICO DI IERI COME EMPOWERMENT DI OGGI NEL SERVIZIO SOCIALE-DOTT.SSA SILVANA DI FILIPPO
La vita deve essere vissuta solo in avanti,
ma può essere capita solo a ritroso
( Daniele Pallone)
Redazione-L’ironia e la maieutica sono i mezzi con cui Socrate conduce l’interlocutore alla definizione dell’oggetto. L’ironia è il momento negativo del metodo perché consiste nel porre l’interlocutore in contraddizione con se stesso obbligandolo ad esprimere con coerenza il proprio pensiero. La maieutica, o arte del far nascere, è la parte positiva del metodo perché consiste nel processo di formazione, sbozzamento, definizione del concetto come verità universale.
Socrate supera il relativismo sofistico proprio in forza del concetto,che, pur restando soggettivo, assume carattere di verità universale. Distingue così tra opinione e scienza: la prima fatta di rappresentazioni soggettive, l’altra di concetti universalmente validi. Il concetto si definisce con la enumerazione dei caratteri comuni che si trovano in tutte le singole rappresentazioni di un determinato oggetto. Così ad es. l’albero come concetto si definisce nell’enumerazione dei caratteri comuni ad ogni singola rappresentazione di albero. Socrate applica per la prima volta il procedimento induttivo per cui da una serie di rappresentazioni sensoriali (tanti alberi) si possono ricavare dei dati comuni per costituire un concetto universale che include tutti i singoli alberi.
Socrate, inoltre evidenzia una moralità come sapienza. Egli afferma un intellettualismo etico, che identifica la Verità col Sommo Bene, la sapienza con la moralità: chi è sapiente conosce il bene e lo fa, e quindi è buono, mentre il malvagio è colui che non fa il bene perché lo ignora. Egli però non avverte che spesso la passione trascina anche coloro che conoscono il male che stano per fare. Per Socrate la vera felicità è la sapienza come bene sommo, che non resta altrimenti definito. Perciò egli si aggira in un circolo chiuso, da cui il Demone o ispirazione della coscienza buona può trarlo fuori. Il Demone è per Socrate una non meglio definibile voce interiore, divina, che lo avverte e guida al bene. Questo straordinario pensatore, idealizzato dagli scritti di Platone per il suo metodo, per la sua vita integra e per la sua eroica morte è stato maestro di vita non solo ai greci, ma a tutta l’umanità civile.
Egli insegnò ai suoi discepoli a chiedersi e a cercare il perché delle cose, a capire attraverso il ragionamento e con l’aiuto della coscienza, che cosa sono il bello, il buono e il vero perché, sosteneva,”nessuno sbaglia di propria spontanea volontà”, ma è difficile sapere in che consiste il bene. Aveva il senso della modestia e si considerava ignorante:”sapeva di non sapere”. Allo stesso modo, di fronte a ogni persona e a ogni nuova situazione possiamo considerarci ‘ignoranti’. E’ un’ignoranza che nasce dalla modestia e non dal dover subito intravedere presuntuosi giudizi. E’ un’ignoranza che fa grande un uomo nella sua semplice voglia di conoscere e apprendere; capire soprattutto. Dunque, è lontano il tempo in cui qualcuno già praticava la semplicità e la profondità della sapienza. Una sapienza che ancora di più con Socrate fa registrare l’amore per la parola: una parola per tutti e con tutti, una parola animata dal desiderio di apprendere sempre più negli altri e tormentato in se stesso.
I moderni studi della metodologia interiore per comunicare meglio con se stessi e gli altri, rimandano ad un periodo lontano : quello Socratico.
Per operare con gli altri, è necessario conoscere prima se stessi. “Poiché l’intervento professionale non si riduca solo all’applicazione di teorie e metodi, è necessario che l’operatore segua prima il difficile percorso di riflessione su se stesso, sulle sue paure, sulle sue ansie, suoi dubbi per stabilire in fase successiva, una vera relazione d’aiuto con l’altro.” (…) Conoscere d’altra parte implica il separarsi ed il distruggere l’abbandono cioè e la rinuncia a visioni del mondo rassicuranti e conoscitive (…) ogni mutamento conoscitivo individuale o scientifico, genera ansia richiedendo all’uomo una messa in crisi della propria identità. L’intervento professionale non si riduce tout-court nell’applicazione di un metodo, di una teoria o di una tecnica, né alla ripetizione di un esperimento fatto di momenti fissi e predeterminati. E’ un problema che deve essere affrontato di volta in volta e richiede all’operatore sociale l’uso di tutto il proprio Sé e non solo della sua conoscenza. Il primo punto da analizzare, perciò, è la conoscenza di se stessi come persone e come operatori sociali. ( Metodo Introspettivo o soggettivo)
Per l’Operatore, ma anche per il docente o il genitore, è molto importante conoscere se stesso, solo così potrà conoscere, capire e accettare “gli altri”. La capacità di vivere con se stessi e con i propri sentimenti è, infatti, l’unico mezzo per capire i sentimenti altrui. Solo se il professionista riesce a comprendere a pieno le motivazioni dei propri atteggiamenti nei confronti dell’Assistito, può realmente operare su di lui senza volerlo inconsciamente coartare, consentendogli di stabilire un sereno rapporto con l’operatore e, successivamente con il prossimo.
Nelle relazioni sociali, la dinamica dei rapporti è anche il risultato della comprensione di se stessi e della propria conoscenza. Richiamando all’attenzione “Conosci te stesso” di memoria secolare, si è voluto evidenziare le fondamenta di un sapere umano da cui trarre verità non interpretate. In questo modo, è possibile capire se esiste un ostacolo alla comunicazione e al rapporto che è in noi. Nella dinamica dei rapporti, accade spesso una riflessione introspettiva del tipo:” ho le idee confuse””non mi capisco più” “non so ciò che cerco”. Ci si sofferma all’autovalutazione senza conoscere la tecnica. Nella dinamica dei rapporti professionali, la metodologia introspettiva deve essere più forte e strutturata. Per questo, un buon operatore deve sempre ri/guardarsi dentro e mettersi in discussione.
Le soluzioni più adeguate devono sempre essere accettate. Nel percorso relazionale è necessario privilegiare il rapporto comunicativo. Per rendere possibile questo passaggio è necessario viaggiare verso la conoscenza del sé (introversione o metodo soggettivo); verso l’esplorazione degli altri, riconoscendo il loro mondo circostante con attenta analisi ed osservazione (estroversione o metodo oggettivo) ; verso l’azione che sostiene il primato sulla conoscenza intellettiva. Che deve rappresentare quella sostanziale ipotesi sperimentale rispondente alla validità dei fatti concreti; verso un’azione che si fa sempre più sociale nel momento in cui risponde all’atto del funzionare nella promozione di una forte energia manifestata nella risposta concreta dell’integrazione degli altri. L’operatore del sociale disponendo di queste vie maestre può evitare di trasaltàre su una metodologia piuttosto che un’altra. Tutto passa dalla persona e nella persona stessa non trascurando i passaggi generali dell’azione sociale. Le metodologie possono essere soggettive e proposte dall’esperienza sociale stessa , tenendo presente che ogni persona non è mai un caso e che ogni individuo è persona pensante, con i propri dolori, con le proprie esperienze , con le proprie gioie,con una propria mente. Le cose vanno viste sempre e unicamente dal suo punto di vista e di analisi soggettiva.
Il metodo introspettivo, è il risultato fondamentale di una forte motivazione nell’operatività e nell’interazione con gli altri. E’ molto importante concentrarsi sulla propria esperienza soggettiva per tentare di comunicare tutto ciò che siamo stati e che siamo, che abbiamo dato e che possiamo dare. Tutto ciò che abbiamo sperimentato o vissuto può servire a ‘capire’ meglio gli altri. Questo lavoro retrospettivo ci porta a ‘ricordare’ di noi il piccolo bambino o l’adolescente o il giovane con le sue inevitabili gioie e dolori,comprensioni e incomprensioni. Esso deve servire per migliorare il rapporto con gli ‘altri’, evitando giudizi e cercando di riflettere, dialogare in un reale contesto di ascolto, per recuperare o potenziare emozioni.(…)”L’introspezione ( di cui si era servito Wundt) viene chiamata “metodo dell’osservazione soggettiva”: si tratta dell’osservazione che il soggetto fa su se stesso per cogliere direttamente i fenomeni psichici. Questo mezzo, benché non esente da difetti, è l’unico che ci permette di cogliere e descrivere certi contenuti di coscienza, come le percezioni, le immagini, i ricordi. Solo per esperienza interna diretta possiamo renderci conto di fenomeni analoghi che si verificano anche negli altri. “ L’introspezione (Ingl. introspection; Fr. introspection), riguarda l’osservazione dei propri contenuti psichici, che può essere simultanea o retroattiva rispetto all’accadimento psichico. La capacità di introspezione (col suo “cogito, ergo, sum”, com’è noto, Cartesio giunge al concetto dell’esistenza di sé come essere pensante attraverso lo stesso dubbio che aveva negato quell’esistere. Questo sarebbe il modo con cui l’individuo entra a diretto contatto con sé stesso, cioè fa dell’introspezione) può essere suscettibile di apprendimento e venne utilizzata in passato dalla psicologia sperimentale come modello di indagine dei processi psichici soprattutto da una corrente teorica definita, appunto per il suo metodo, introspezionismo. La teoria Psicoanalitica ha, tra i suoi scopi, quello di migliorare l’introspezione dei pazienti, intesa come capacità di autosservazione. Il Metodo Introspettivo permette la conoscenza di sé. Solo una persona che conosce se stessa e si possiede è in grado di capire il vissuto e il mondo intimo dell’Assistito e può stabilire con lui un vero rapporto di aiuto. Il metodo introspettivo indica il cammino verso l’autenticità. Può essere identificato il passaggio dall’esteriorità all’interiorità. L’interiorizzazione è il rivivere dal di dentro ciò che si è vissuto, portati all’esteriorità. Significa “andare a fondo”,rivedendo la nostra giornata, individuando con sincerità i motivi veri che hanno determinato le proprie scelte, le proprie reazioni, i propri stati d’animo. L’interiorizzazione è il metodo dell’autenticità. Come ogni metodo va perseguito con costanza. Essere costanti nel metodo, significa abituarsi a programmare ogni giorno in cui “ci si rivede dentro”.
“Il metodo introspettivo è il metodo d’indagine psicologica più antico, esso risale a Cartesio ed è il metodo in cui l’individuo entra a diretto contatto con sé stesso, con i propri fenomeni psichici interni, cioè fa dell’introspezione. L’individuo osserva ed esamina sé stesso ( autosservazione o Osservazione Interna), traendo una definizione dei fatti. Questo metodo prende anche il nome di metodo soggettivo, poiché il soggetto si sdoppia in osservatore e osservato, in esaminatore ed esaminato, in soggetto pensante e oggetto pensato.”.
“Noi non possiamo renderci conto” dice A. Gemelli “ dei fatti psichici degli altri uomini che mettendoli in rapporto con i nostri”.
Ognuno di noi, a volte coscientemente e a volte inconsciamente, dialoga con sé stesso; ciò può avvenire per vari motivi: per soppesare i pro ed i contro in una decisione, per valutare se in una certa circostanza ci siamo comportati bene o male.Tutto sta che, anche senza rendercene conto, passiamo un pezzo della giornata a parlare con noi stessi; e più una persona è introversa, più ore passa a dialogare da sola.
Il metodo di Claudio Foti e Claudio Bosetti è quello di valorizzare la soggettività del destinatario dell’intervento educativo e preventivo, favorendo la sua partecipazione cognitiva ed emotiva al percorso formativo. Un percorso basato su modalità di interazione e di comunicazione bi-direzionale tra formatore e destinatario della formazione, tra adulto e minore se il processo formativo coinvolge quest’ultimo. L’esperto deve evitare di assumere atteggiamenti irriguardosi, svalorizzanti o passivizzanti la soggettività del bambino e dell’adolescente. Si tratta di ridurre al minimo il ricorso al metodo della lezione frontale e della comunicazione unidirezionale, che pone rigidamente l’adulto come soggetto che sa e il minore come soggetto che non sa.
Se il destinatario della proposta formativa è l’adulto, occorre ricordare che la soggettività comprende gli aspetti professionali ed umani, cognitivi ed affettivi dell’educatore, dell’operatore o del professionista dell’infanzia o dell’adolescenza. La soggettività è la capacità di un soggetto adulto, impegnato in un ruolo familiare o sociale a contatto con i bambini o adolescenti, di ascoltare, definire ed esprimere i propri bisogni, compreso il proprio bisogno di essere sostenuto ed aiutato ad affrontare le proprie impegnative responsabilità a contatto con figli, allievi o minori in carico professionale. La metodologia introspettiva è uno strumento di autosservazione che consente di soffermare la propria attenzione sullo svolgimento delle proprie azioni, offrendo una sintesi sulla funzionalità o disfunzionalità della propria operatività.
Possiamo definire, dunque, la metodologia introspettiva come una serie di discorsi con se stessi, per elaborarli nella sala dati del dialogo interiore dove si registrano svariate discussioni. E’ una specie di resoconto personologico.
Il dialogo sociale si correda di svariate caratteristiche che possono essere strutturate oppure dettate o suggerite semplicemente da nessuna connessione logica o da un’incompleta relazione.
Il dialogo diventa sociale se alla base passa il concetto di meditazione,riflessione ed uso di un linguaggio che si fa “sociale” poiché diventa oggettivato ad un bisogno . Questo bisogno può essere comune ai referenti oppure portato alla risoluzione con mezzi disponibili della comunicazione e dell’impegno professionale.
La conoscenza di se stessi porta alla capacità responsabile e consapevole di acquisire i propri limiti e migliorare le proprie aree.
Il metodo oggettivo, invece, è lo studio del comportamento (base delle ricerche del Watson), o “metodo dell’osservazione oggettiva”, consiste nell’osservare gli atteggiamenti, i gesti, le reazioni organiche, le azioni dell’uomo(…) e nel ricavarne in base a ciò i sentimenti, gli stimoli, i fenomeni psichici che stanno dietro quelle reazioni e le provocano. Il Metodo Oggettivo o Comportamentistico, studia le manifestazioni esteriori dell’individuo, la sua condotta, il suo comportamento, per questo è anche detto metodo comportamentistico o dell’osservazione esterna, allo scopo di stabilire qual è la risposta. Questo metodo considera il comportamento nei rapporti tra individuo e individuo ,tra individuo gruppo e società, tra individuo e ambiente.
Nella comunicazione interattiva bisogna tener conto di come la persona vive e sente se stessa; di come ciò influisca sul suo comportamento.Va evitato, da parte dell’operatore qualunque giudizio.
Sappiamo che la via più breve è quella di formulare una soluzione. Questo atteggiamento impone solo il proprio modo di pensare, in questo senso tendiamo a vedere le cose dal nostro punto di vista e non da quello della persona oggetto di aiuto.
La professionalità operativa si misura proprio dalla facoltà di vedere e riconoscere il comportamento-problema dell’altro dal suo punto di vista.
Un bravo operatore aiuta a trovare la soluzione. In definitiva, è la persona stessa che cerca la risoluzione al suo problema con il nostro sostegno. E’ un sostegno, però, che gradatamente si allenta fino alla sua estensione.
Alla fine del processo di aiuto, la persona in stato di necessità si riconosce autosufficiente e capace di affrontare le varie situazioni.
Rousseau considerava lo sviluppo dell’allievo come il risultato della maturazione e dell’esperienza e affermava l’esigenza che l’educatore conoscesse l’evoluzione psicologica dell’essere umano.
Per questa ragione, l’operatore attua il procedimento di empowerment per aiutare, accompagnare, ma mettere le persone in grado di poter fare (principio del saper far fare).
Infine, l’azione diventa sociale se si correda di queste caratteristiche. Si tratta di un’azione non prefabbricata, ma adattata nel lavoro con le persone e i suoi bisogni, anche con una creatività sociale.
Essere creativi significa: “ prendere due parti dell’universo che non sono state mai messe insieme e, mostrandone il rapporto, farne più ampia la connessione totale”. Allo stesso modo l’azione deve essere creativa nella propria essenzialità, a sollecitare un cambiamento o a sostenerne l’integrazione.Il punto di vista della condotta sociale percettiva costituisce il punto di vista iniziale del colloquio sociale. La percezione dell’atto sociale significa contatto con l’ambiente,in senso stretto significa non soltanto percezione del contesto sociale nel suo aspetto fondamentale, ma percezione del contesto sociale per cogliere la misura dell’influsso dell’ambiente sul soggetto. Per realizzare questa presa di contatto con il contesto sociale si deve anzitutto notare che il soggetto è una realtà, la quale presenta aspetti complessi: interni ed esterni. Inoltre si deve tener presente che per raggiungere l’aspetto interno del comportamento bisogna fidarsi dell’aspetto esterno, attraverso il processo di osservazione ed utilizzando il processo d’inferenza o di deduzione.“L’Azione è il momento pratico e si esprime nell’interazione con il contesto sociale permettendo il confronto delle proprie esperienze con le conoscenze ed esperienze elaborate dagli altri. Sia la bipolarità interna al soggetto(introversione-estroversione) sia quella che lo relaziona agli altri (individuo-società)postulando l’acquisizione per sé e per gli altri di un grado sufficiente di: Fiducia fondamentale in sé e negli altri; autonomia come libertà di espressione e capacità di focalizzarsi sul sé; iniziativa intesa come capacità di orientamento, progettazione, scelta, decisione e azione; efficienza, intesa come capacità di portare a termine un lavoro, di valutare l’efficienza dei mezzi e del metodo prescelto, per migliorare le qualità di risultati conseguiti; identità, intesa come consapevolezza di sé e capacità di fare riferimento al proprio contesto naturale e sociale;socialità, intesa come capacità di “riconoscere” gli altri, interagire, collaborare, convivere” e procedere verso un’azione sociale co-operativa. “ Il tempo di pensare, deve precedere sempre ogni azione perché permette prima di tutto di capire situazioni, connettere le informazioni per organizzare i pensieri e costruire ipotesi di funzionamento e d’intervento. Il tempo di pensare orienta l’agire professionale nella definizione degli obiettivi del progetto di aiuto e di ricerca di possibili soluzioni e iniziative pratiche”. Milena Lerma sostiene che ‘quello del lavoro integrato, da parte di un sistema di operatori, in un sistema di aiuto, rappresenta oggi un modello ricco di prospettive’e che ’ l’azione professionale’ si basa sulla’relazione tra persone organizzate in sistemi integrati’. (1992) L’azione è la cellula dell’agire operativo che deve sostenere il tessuto della conoscenza, al fine di rendere funzionale la produzione di effetti positivi sugli organi e sul sistema. L’azione diventa professionale, quando si cimenta della capacità operativa integrata, attraverso un sistema di esperti dentro un sistema di aiuto. In forza di tali azioni, viene visto con/protagonista l’utente. Si tratta di un’azione che volge all’essere umani e che attinge la propria forza dall’eticità, tendente a valorizzare la propria coscienza che si oppone a ciò che non ha un senso, una validità morale. E’ una risposta autentica e coraggiosa che vuole un cittadino propositivo in una società agita nel buon senso e nella partecipazione
produttiva.
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